Scusate il ritardo!! Davvero, ho avuto un po' troppo da fare col lavoro e non avevo la forza di rileggere ed aggiornare... un bacio a chi commenta, come sempre! Grazie!
Capitolo sei: Camere separate…?
John
aveva consegnato le chiavi delle stanze a tutti, restavano davanti a lui
Kagome, Ery, Steve ed Allen. Kagome, fino a quel momento, non si era domandata
come sarebbero state le disposizioni delle camere. Ma adesso si chiedeva se
sarebbe stata con Ery… Da sola… O… O forse… Con Allen?
L’ultima
ipotesi, seppur molto allettante, l’avrebbe volentieri evitata, almeno per il
momento. Voleva infatti che, se doveva succedere qualcosa tra loro due,
accadesse in modo naturale, e non forzato dalle situazioni.
John
diede due chiavi, una a Steve, ed una a Ery. Erano in camere singole, quindi
separate. Allora anche Kagome e Allen…
-
Ragazzi, io
non so cosa preferite, ma per questa notte vi prego di accontentarvi, se
vorrete domani vi farete cambiare le stanze… Allen, sei in una singola, e tu
Kagome… Anche - il tono quasi dispiaciuto del manager mise in estremo imbarazzo
Kagome, che non disse nulla.
In
una situazione così delicata era sicura che, se avesse parlato, avrebbe detto
qualcosa che avrebbe fatto intendere ad Allen o che lei non voleva affatto
dividere una stanza con lui, o l’esatto opposto… Quindi era meglio tacere…
-
Va benissimo
così, non ti preoccupare. Ora andiamo che siamo tutti stanchi – rispose Allen,
tranquillo.
La
stanza di Kagome era al secondo piano, quelle di Allen e John al terzo. La
ragazza salutò velocemente i due prima di scendere dall’ascensore. Quindi
ognuno entrò nella propria stanza.
Kagome
rimase sbalordita dall’eleganza della sua camera: ben arredata, con un grosso
bagno con vasca ad idromassaggio. La portafinestra dava accesso ad uno
splendido ed enorme terrazzino, con tavolino e due poltroncine, dal quale aveva
una bellissima vista della città di Los Angeles. Faceva un po’ freddo, ma non
le importò. Era la prima volta che andava in quella città, e già solo il fatto
di essere lì, per lei, era un sogno.
Sistemò
velocemente il minimo indispensabile, preso dai bagagli, si lavò e si infilò a
letto. Ma non dormì, pensò. E pensò a lungo…
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Allen
era entrato nella sua camera. Non badò a nulla e si sdraiò sul letto, senza
nemmeno togliersi i vestiti. Guardando il soffitto, al buio, si mise a pensare
a tutto quel che gli era successo in un solo giorno. Si era affezionato molto a
quella ragazza, Kagome. Erano stati insieme tutta la giornata, ed ora, dopo
appena dieci minuti che lei non era più con lui, ne sentiva già la mancanza.
Dio,
quant’era bella… Non si era mai affezionato così a nessuna ragazza, era la
prima volta che voleva bene ad una persona. Se così non fosse, infatti, se la
sarebbe portata a letto la notte precedente, e mai le avrebbe chiesto di
seguirlo in tournèe. Come aveva sempre fatto, insomma.
Ma
lei non era una delle tante sgualdrinelle che gli si buttavano tra le braccia.
Lei era una ragazza seria, intelligente, che lo apprezzava non solo per il suo
aspetto, ma anche per quello che faceva. Che lui piacesse a Kagome non era
infatti un mistero, più volte quel giorno, ed anche la sera precedente, l’aveva
sorpresa a guardarlo con aria sognante. Ma questo non poteva che fargli
piacere, perché anche a lui piaceva lei.
Voleva
vederla, voleva parlarle. Si, doveva andare nella sua stanza, e se non si fosse
già addormentata sarebbe stato un po’ lì con lei. Uscì quindi dalla sua camera,
per andare in quella di Kagome.
Ma
nel corridoio si accorse di aver trascurato un piccolo particolare, che però
era molto rilevante: che numero era la stanza di Kagome? L’unico a saperlo,
forse, era John…
Non
finì di formulare quel pensiero, che Allen si trovò già a bussare alla porta
del suo manager.
John
andò ad aprire la porta, con aria assonnata. Era evidente che stava per andare
a dormire, infatti indossava solo un paio di boxer e una maglietta, ed aprì la
porta sbadigliando.
-
Che numero è
la stanza di Kagome? – chiese subito Allen.
-
Ma sono le quattro
del mattino, e la notte scorsa non abbiamo praticamente dormito… Non ce la fai
proprio a frenare gli ormoni? – chiese il manager.
-
Scemo… Non
vado mica là ad importunarla… Volevo solo parlarle un po’… - rispose Allen.
-
Si, si, va
beh… È la numero 252 –
-
Ok, grazie –
Così
Allen scese un piano di scale e si mise a cercare la stanza di Kagome.
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Kagome
aveva appena indossato la sua camicia da notte preferita. Azzurra, di seta,
corta a metà coscia e con le spalline sottili. Era carina, sembrava quasi un
vestitino… Stava per infilarsi sotto le coperte, quando qualcuno bussò alla sua
porta.
Stancamente
la ragazza si alzò ed andò ad aprire. Quando davanti a lei vide Allen il sonno
le passò all’istante.
-
Che ci fai
qui? – chiese lei.
-
Non riesco a
dormire… Vorrei parlare un po’… - rispose Allen. Kagome si spostò aprendo un
po’ di più la porta, facendolo entrare. Il ragazzo notò subito la camicia da
notte di Kagome… Le stava benissimo, era ancora più bella del solito…
I
due ragazzi si sedettero sul letto. Tra loro calò un imbarazzante silenzio, ed
Allen ne uscì con la prima domanda che gli venne in mente.
-
Non mi hai
ancora detto se ti è piaciuto il concerto, ieri sera –
-
Certo che mi
è piaciuto! –
-
Davvero? –
-
Si… Tu hai
una voce fantastica… - l’aggettivo che meglio esprimeva l’opinione di Kagome
sulla voce di Allen era “sensuale”, ma ovviamente la ragazza non si azzardò a
dirgli una cosa simile.
-
Sono
contento… E, dimmi, qual è la canzone che ti piace di più? – le chiese il
ragazzo.
-
Vediamo…
Difficile a dirsi… Sono molto indecisa tra “18 & Life” e “In the darkened
room”, ma… Forse… La seconda, anche se le adoro entrambe… -
-
Le adori
entrambe? Quindi, se io ti dicessi…
“Ricky was a young boy
He had a heart of stone…”
Tu continueresti a cantare? – quella di
Allen era una chiara ed innocua provocazione per farla cantare.
Quando
Allen aveva intonato i primi due versi di “18 & life”, sottovoce, Kagome
avvertì dei piccoli brividi percorrerle la schiena. Ma alla sua domanda non
rispose, non aveva alcuna voglia di cantare. Lei non sapeva cantare, e poi,
davanti ad un cantante di quel livello non aveva nessuna intenzione di fare
figuracce.
-
Dai, canta con me… “Ricky was a young boy, he had a
heart of stone…” – nulla, Kagome non lo seguiva. Si vergognava…
Allen
si avvicinò un po’ di più a lei, scostandole con due dita una ciocca di capelli
che le copriva il viso. Quel gesto fece agitare il cuore di Kagome, che aumentò
di molto il ritmo dei suoi battiti. La guardò e continuò:
“Lived nine to five and worked his
fingers to the bone”
Niente,
ancora Kagome non cantava. Il ragazzo ripeté ancora una volta i versi, e
Kagome, finalmente, anche se in un sussurro, si decise ad andare avanti:
“Just barely out of school
Came from the edge of town”
Quindi
Allen prese a cantare insieme a lei tutta la canzone. Entrambi cantavano
sottovoce, non potevano certo mettersi ad urlare a quell’ora della notte!
Allen
era stranamente felice, stava solo cantando con Kagome! Ma il solo sentire il
suono dolce della sua voce cantare quelle parole che lui stesso aveva scritto,
lo faceva stare bene.
Finita
la canzone, Kagome venne pervasa dalla curiosità.
-
Allen… Ma…
Questa canzone, che parla di un ragazzo un po’ sbandato, uno che al posto di
sparare ad una bottiglia spara ad un suo amico e passa il resto della vita in
galera… Ma come ti è venuta in mente? – chiese Kagome.
-
Vedi io… Io
vivevo nella strada. Ero un po’ come Ricky, avevo sempre un coltello in tasca
per difendermi e non farmi mettere i piedi in testa. E frequentavo degli amici
così. Ma un giorno, avevo solo sedici anni, Ricky, un diciottenne, portò con sé
una pistola. A turno tutti si misero a sparare contro alcune bottiglie di
vetro. Io non volevo partecipare, lo ritenevo un gioco troppo pericoloso. E
mentre mi allontanavo, guardando quei ragazzi sparare alle bottiglie, dentro la
mia mente si fecero nitide alcune scene dovute alla mia immaginazione: quelle
che sono descritte nella canzone… - spiegò Allen.
-
Capisco… -
rispose Kagome.
-
Perché me
l’hai chiesto? – chiese Allen.
-
Perché è una
storia molto triste, ma anche molto realistica. E dentro di me temevo che fosse
una storia vera… - rispose Kagome.
-
No, non lo
è. Ma poteva diventarlo –
Allen
si alzò ed andò verso la finestra. La aprì ed andò sul terrazzino, per
osservare quella splendida città totalmente illuminata. Kagome lo seguì. Da
quando gli aveva chiesto spiegazioni sui contenuti di quella canzone, Allen
sembrava essersi rabbuiato.
La
ragazza gli andò accanto, cingendogli la vita con un braccio.
-
Ho detto
qualcosa che non va? – gli chiese, con voce dolce.
-
No, scusami…
È solo che quegli amici di cui ti parlavo prima non li ricordo mai troppo
volentieri… Soprattutto Ricky - rispose Allen. Kagome non volle sapere altro.
Lo strinse solo un po’ più forte a sé.
Allen
a quel gesto cinse le spalle di Kagome con il braccio, e rimasero così per
alcuni attimi, ad osservare il panorama notturno di Los Angeles.
-
Sai… Non
sono mai stata qui… E ho sempre sognato di venirci… - disse Kagome.
-
Davvero?
Allora domani ti porterò un po’ in giro… Se ti va – propose Allen, voltandosi a
guardarla.
-
Certo! –
rispose lei con entusiasmo.
Rientrarono
in camera, ed andarono a sedersi di nuovo sul letto.
-
Scusa per
quello che ti ho chiesto prima, non avevo intenzione di farti tornare alla
mente brutti ricordi… - si scusò Kagome.
Allen,
che in quel momento guardava verso il basso, sollevò lo sguardo, andando a
fissare quei bellissimi occhi blu in quelli castani di lei.
Lo
sguardo di Allen in quel momento sembrava quello di un bambino, era dolcissimo,
ma era anche molto attraente e… selvaggio.
-
Non ti devi
scusare, Kagome… - dicendo questo Allen si avvicinò molto a Kagome,
abbracciandola mantenendo però sempre una minima distanza che gli permetteva di
guardarla in viso.
Kagome
non disse nulla, gli occhi di Allen avevano perso totalmente l’aria da bambino,
il suo sguardo, pur sempre dolcissimo, era ora profondo e particolarmente
attraente. Non staccarono gli occhi gli uni dagli altri nemmeno per un istante,
fin quando le loro labbra vennero a contatto, in un bacio dolce, seguito da
altri ed altri ancora.
Il
cuore di Kagome sembrava volesse esplodere, tanta era la velocità con cui
batteva. Non ci poteva credere. Quelle labbra fantastiche, quel ragazzo
fantastico… Ora la stava baciando. Non era possibile.
Allen
volle approfondire quel bacio, Kagome lo assecondò senza nemmeno esitare un
istante.
Lentamente
Allen si portò sopra a Kagome, senza mai staccare le labbra da quelle della
ragazza. Lei lo stringeva forte a sé. La passione che li travolgeva era tale da
fargli quasi perdere la ragione.
Allen
cominciò ad accarezzare Kagome. Braccia, gambe, le sue carezze si facevano
sempre più audaci. Voleva quella ragazza, la voleva e basta. Ed anche lei
voleva lui.
Ma
Allen non era sicuro che quella fosse la cosa giusta… Lo volevano entrambi,
però allo stesso tempo lui per la prima volta nella sua vita si trovò a pensare
che non era giusto. Si erano appena conosciuti, non voleva rovinare tutto.
Kagome non era una ragazza qualunque, lei era… Kagome… No, non dovevano
rovinare tutto subito. Bruciare le tappe non avrebbe creato altro che inutili e
fastidiosi imbarazzi.
Allen
cercò quindi di calmarsi, spostandosi su un lato e tornando a baciare Kagome
con molta dolcezza e tranquillità.
Kagome
fu felice di quell’atteggiamento del ragazzo: stava per perdere la ragione, lo
desiderava… Ma fortunatamente lui aveva dimostrato di pensarla un po’ come lei.
Lui
si staccò dalle labbra di Kagome, tornando a guardarla negli occhi. Le prese
una mano, e portandola alle labbra la baciò con dolcezza.
-
Scusami… Non
volevo… Io… - Allen era in mostruoso imbarazzo. Si sentiva come se fosse
saltato addosso a Kagome. La ragazza, per tutta risposta, gli prese il viso tra
le mani e gli diede un bacio. Poi, sorridendo, gli rispose:
-
Scusarti di
cosa, di aver realizzato il mio sogno più grande? – e gli diede un altro bacio.
Allen
le sorrise, quasi stupito di quello che la ragazza gli aveva appena detto. Lei
continuò:
-
Tu hai detto
che io ti ho colpito perché apprezzo l’artista che sei, apprezzo la tua voce e
la tua musica. Anzi, a dire la verità tu sei uno dei miei cantanti preferiti.
Ma… Sei bellissimo, e io sono pur sempre una ragazza… E come tutte le altre
ragazze che ti elogiano, sono attratta da te… È solo che tu per me non sei solo
un bel corpo ed un bel viso, sei molto di più… Ma che mi piaci… Non posso
negarlo… -
Il
ragazzo le si avvicinò, e le carezzò una guancia.
-
Anche tu mi
piaci, mi piaci molto, ed anche tu per me non sei solo una bella ragazza, ma
molto di più. Per questo ti ho chiesto di scusarmi, perché ho perso un po’ la
testa, prima –
-
Io invece
per questo ti ringrazio, perché hai avuto la coscienza di fermarti prima che
fosse troppo tardi. Ti devo ringraziare, non perdonare –
-
Io… Io ho
capito subito che tu saresti stata una ragazza speciale per me… -
Così
tornarono a baciarsi, addormentandosi infine abbracciati.