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Autore: SAranel    30/07/2012    4 recensioni
Il piccolo John è costretto a scappare di casa, una notte, rifugiandosi nell'unico posto in cui si è sempre sentito al sicuro. E proprio mentre le cose sembrano prendere una piega tutt'altro che rassicurante, un aiuto particolare arriva in suo soccorso, un aiuto che potrebbe cambiare tutta la sua vita. Che succederà?
"John sapeva benissimo che era sbagliato, che la mamma si sarebbe preoccupata, che non avrebbe dovuto reagire a quel modo.
Era però altrettanto certo, davvero sicuro sicuro sicuro che, se non fosse andato via in quel momento, sarebbe scoppiato a piangere davanti a tutti come un poppante, lui che aveva ormai ben dodici anni, e non avrebbe avuto più il coraggio di uscire da camera sua almeno per i successivi dieci. Aveva dovuto farlo, era stato necessario.
Peccato però che in quel momento se ne stesse pentendo amaramente, al diavolo il coraggio e altre stupidaggini simili."[...]
Genere: Mistero, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Arriva il quarto capitolo!
Lieve cambio di atmosfere, vi do solo questo piccolo avviso.
Sperando in bene, vi auguro buona lettura!
S.

 

 

 Can miles truly separate you from friends?
If you want to be with someone you love, aren't you already there?

-Richard Bach

 

 

 

*

 
La vita con Sherlock era stata una liberazione, per John.

Ogni giorno passato accanto a lui era stato pregno di una qualcosa di sempre nuovo, piacevole, adrenalinico, vivo. Ogni momento passato in sua compagnia gli aveva donato qualcosa di liberatorio, una sensazione simile al tornare a respirare dopo ore di apnea.

Era stato tutto quasi irreale, come in un sogno. La sua vita aveva cominciato a sembrare così simile a quella che aveva sempre desiderato che a volte si svegliava nella sua stanza credendo fosse tutto svanito, che una volta aperte le persiane, la luce avrebbe invaso l’angusta stanza in affitto dove aveva vissuto prima di Baker Street, lasciandolo con l’amarezza di un obiettivo mai raggiunto, di un desiderio irrealizzabile.
Invece, era stato tutto vero.
Era nelle mani di Sherlock che ogni mattina aveva poggiato la prima tazza di tè, seguita immediatamente dalla propria; era sulle spalle di Sherlock che aveva rimboccato la coperta quando il detective crollava sul divano dopo ore di lavoro senza sosta, ed era stato Sherlock, sempre e inevitabilmente Sherlock a occupare ogni suo pensiero, ogni singolo giorno della sua nuova vita.

Non avevano mai parlato dei loro incontri precedenti. Non avevano mai accennato a quei momenti, al tempo passato, al fatto che fosse trascorso così tanto tempo, o anche semplicemente discusso del perché non avessero mai cercato un modo per tenersi in contatto. Forse non ne avevano sentito il bisogno, o forse John non aveva desiderato rivangare momenti della sua vita che avrebbe voluto dimenticare. Non era rimasto più spazio per i ricordi in quella vita, i cassetti della sua mente erano diventati colmi fino all’orlo e John non aveva sentito alcun bisogno di riaprirli.

Adesso però, ora che tutto ciò che rimaneva di quell’anno e mezzo insieme non era altro che una macchia di sangue rappreso su di un marciapiede, John era stato costretto a ricordare.

Non aveva dormito per giorni dopo la caduta, e quelle poche volte che era riuscito a scivolare in un tormentato dormiveglia non aveva fatto che sognare lui.

Ed erano sogni, incubi, completamente diversi da quelli che avevano tormentato il suo sonno tempo prima.

Una guerra diversa.

Era come tornare indietro nel tempo ogni volta, rivivendo sempre la stessa scena, sempre gli stessi attimi che di volta in volta cambiavano in un unico piccolo particolare.

In quei sogni Sherlock gli parlava, gli parlava sempre, gli diceva di rimanere fermo, di non muoversi. Sherlock gli diceva che quello era il suo biglietto, che era quello che la gente faceva, e che era un impostore e tutti dovevano saperlo. E alla fine, il suo commiato.

Quello che cambiava ogni volta, erano le parole che seguivano quella lacerante frase d’addio, che diventavano ogni notte più crude, piene di risentimento e colpa, sentimenti che costringevano John a mordere con forza il cuscino per non gridare, per non esplodere dalla frustrazione pressante.
Una volta sentiva chiaramente Sherlock chiedergli di fermarlo, di aiutarlo a scendere, di impedirgli di compiere qualcosa che non desiderava davvero. Un'altra volta lo vedeva chiaramente piangere, dando un’immagine alla voce rotta dalle lacrime che aveva sentito al telefono, e altre volte, quelle peggiori che lo facevano risvegliare madido di sudore e con una morsa allo stomaco, Sherlock lo accusava di non aver nemmeno provato a salvarlo.

Ed era vero, in fondo, e quel pensiero per John era come una lama affilata che gli dilaniava il petto ogni volta che vi si soffermava.

Sapeva che non avrebbe potuto fare nulla in quei pochi minuti, Sherlock era stato chiaro sul non muoversi, e sapeva che se gli avesse disobbedito avrebbe vissuto con ancora più rimorso, ma non riusciva a darsi pace.
Avrebbe tanto voluto avere dodici anni, come la prima volta che l’aveva incontrato, con la speranza infantile che tutto potesse succedere, che nulla fosse completamente impossibile.

Aveva pensato tante volte a quanto sarebbe stato meglio non averlo più incontrato dopo la mattina al molo, anche se pentendosi subito dopo di avere anche solo immaginato una prospettiva simile.
Sherlock aveva portato colore al suo mondo grigio, spento. Sherlock gli aveva dato tutto, e John aveva ricambiato in ogni modo possibile, grato, riconoscente alla vita per quella possibilità.

Forse avrebbe dovuto litigare con Harry, quel pomeriggio di agosto. Poi sarebbe scappato in un posto solitario, tranquillo, lontano dal resto del mondo e magari lo avrebbe trovato lì ad aspettarlo. Magari Sherlock avrebbe potuto concedergli quel piccolo miracolo.
Sherlock avrebbe potuto. Sherlock avrebbe potuto fare ogni cosa.

 

John non aveva voglia di rimanere in casa, quella sera.

L’afa era diventata opprimente, nemmeno il calar del sole sembrava poter offrire il refrigerio tanto agognato, e il nuovo appartamento di John era un vero e proprio forno a causa del condizionamento difettoso.

Non aveva una meta ben precisa, non gliene serviva una, ma girovagò per il quartiere a passo lento, con la testa china e immerso nei suoi pensieri.

Entrò in un pub e bevve un paio di birre per scacciar via una malinconia che si dimostrò più resistente del previsto e continuò per la sua strada, costeggiando appartamenti illuminati e chiassosi e casette più tranquille, con coppie d’anziani seduti l’uno accanto all’altro sul patio.

Il Big Ben risuonò in lontananza, avvisandolo dell’avvicinarsi della mezzanotte, quando John si accorse di essere quasi in prossimità del suo vecchio quartiere natale.

Sorrise e osservò con nostalgia i palazzi alti, le colonne bianche davanti agli ingressi, i cancelli smaltati e perfettamente ridipinti che da piccolo si divertiva a scavalcare e le aiuole fiorite ben tenute dalle vecchine del piano terra.

Avrebbe dovuto portarci Sherlock, anni prima, anche se forse il suo amico non avrebbe apprezzato al massimo il sentimentalismo estremo di quel gesto, ma poco importava.

Avrebbe dovuto renderlo partecipe della sua vita passata, magari portarlo a quel vecchio parco giochi dove si erano visti la prima volta. Sarebbe stata un gran bel gesto, se solo… se solo le cose non fossero andate com’erano andate.

E a proposito di quel parco giochi, il lento cammino di John lo portò inevitabilmente in prossimità dei suoi cancelli, a costeggiare il lato ovest a pochi metri di distanza, con le chiome dei due alti faggi ad abbellire ulteriormente il cancello d’entrata decorato in ferro battuto.

Le labbra si piegarono inevitabilmente in un sorriso, e cominciò, senza che se ne rendesse conto, ad avvicinarsi sempre di più alla cancellata ripida che recintava il parco, dello stesso identico colore di vent’anni prima, che rifletteva perfettamente lo spirito di quel luogo dove il tempo sembrava quasi non essere passato.

Senza riflettere più di tanto, sfiorò una delle sbarre, stringendola nella mano destra e usando la sinistra per puntellarsi su una delle travi verticali.

Magari con la leva giusta…

Si diede lo slancio con il piede destro e saltò sul muretto in pietra, dandosi un’ulteriore spinta su di esso, e con un notevole sforzo riuscì a salire cavalcioni sulla parte superiore fino a scendere con un balzo agile sull’erba del prato dall’altro lato.

John non sapeva esattamente perché l’avesse fatto, in verità.

Si immaginò gli sguardi di Greg, la Donovan o Anderson se lo avessero visto sgattaiolare in un vecchio parco giochi, per di più chiuso, ma a John in quel momento non poteva importare di meno del giudizio degli altri.

Si diresse a passo sicuro verso il parchetto delle altalene, il suo favorito quand’era bambino, e fu felice di notare che le sue preferite, quelle arancioni dove aveva passato ore ed ore a dondolare senza mai stancarsi, erano ancora lì dov’erano sempre state.
John quasi si commosse davanti a quell’oggetto, alla fine soltanto una struttura di ferro, corda e legno, ma che per lui significava tantissimo.

La sfiorò come se quella potesse sentirla, come se potesse effettivamente godere della sua carezza, e John sorrise quando quella cigolò sonoramente, come a dargli un segno d’apprezzamento.

Dopo una piccola iniziale esitazione John la fermò, afferrandola per le corde e sedendosi piano, quasi come se temesse di romperla. Per fortuna, quella resistette.

Cominciò a dondolarsi lentamente, dandosi la spinta con i piedi allineati, e lasciò la mente vagare a quella notte dei suoi dodici anni, la notte in cui aveva visto Sherlock, che a quel tempo era solo un mocciosetto arrogante senza nome, per la prima volta in assoluto.
Ricordava ogni piccola sfumatura di voce, ogni suo sguardo, ogni movimento che aveva potuto vedere nella flebile luce, e John non smetteva mai di stupirsi davanti a quell’evidenza. Soltanto quegli istanti, i momenti passati con Sherlock, rimanevano vividi nella sua mente a quel modo, come se fossero scene di film viste e riviste incise su una pellicola immaginaria nella sua testa.
Avrebbe voluto dimenticare, da un lato, ma dall’altro era felice, grato, incredibilmente sollevato dal fatto di avere quei ricordi così chiari ben impressi in mente. Dimenticarlo sarebbe stato come tradirlo, e John avrebbe preferito morire, piuttosto.

“Vorrei tornare a quel giorno, Sherlock” disse al vento e all’erba mossa da esso, davanti a sé. “Vorrei chiudere gli occhi e risvegliarmi bambino.”

Il silenzio che seguì posò una coltre scura, triste, intorno al cuore di John. Poi però, qualcosa improvvisamente cambiò. Un rumore secco, come di rami spezzati, lo costrinse a voltarsi verso il boschetto.

“Lo vorrei anch’io, John” qualcuno, alla fine, gli rispose.

 

Preso completamente dal panico, John sussultò, all’erta. Guardò davanti a sé, da dove la voce era venuta, senza però vedere nulla, all’inizio. Dopo qualche secondo però i cespugli cominciarono a muoversi in maniera innaturale, e una mano, o almeno tale sembrava sotto la flebile luce, spuntò dalle foglie e dai rami, precedendo l’intera figura imponente di un uomo sconosciuto.

“Chi sei?” gridò John, alzandosi dall’altalena e cercando intorno a sé una qualunque cosa da poter usare per difendersi in caso ce ne fosse stato bisogno.

“Non ce n’è bisogno, John. Non ti farò nulla” la voce parlò ancora e questa volta, John la riconobbe all’istante.

“Chi sei, ho detto?” gridò ancora più forte, credendo di poter svenire lì in quel momento, il respiro diventato affannoso, frenetico e il cuore che sembrava voler uscire dal petto aprendosi un varco con la violenza del suo battito.

“Non fare domande di cui conosci la risposta, John” esclamò ancora l’uomo, scivolando sotto l’unica lontana fonte di luce.
E quello che John vide, gli diede il colpo di grazia.

Si tenne lo stomaco con le braccia, stringendolo forte per cercare di bloccare la nausea terribile che ormai non gli dava tregua. La vista gli si annebbiò per qualche secondo, soltanto lampi di luci e ombre davanti agli occhi, e sentì le gambe cedere e il suo corpo accasciarsi ai piedi dell’altalena, con il sapore terroso dei fili d’erba secchi sulle labbra.

Nei pochi attimi di lucidità che precedettero l’incoscienza totale, John scorse una figura china su di lui intenta a parlargli e sentì il tocco di mani che cercavano in tutti i modi di sostenerlo, senza successo.
Dopo qualche secondo poi, tutto divenne buio.



Quando John rinvenne, tutto attorno a lui era ancora scuro, confuso e silenzioso, a parte un rumore cadenzato e monotono proveniente da sopra di lui.

Facendo attenzione, si puntellò sulle braccia instabili, mettendosi seduto e guardandosi intorno. Quando si girò verso la fonte del rumore, fu costretto nuovamente a sostenersi stringendo la sbarra dell’altalena, pressandola così forte da rischiare di sgretolarsi qualche falange.

“Cosa cazzo sei tu?” domandò in un sussurro simile a un sibilo. “Sono morto, o sono impazzito?”
L’uomo seduto sull’altalena, intento in un lieve dondolio avanti e indietro, lo guardò con espressione difficile da decifrare.
“Nessuna delle due, John” disse, secco.

John rise, nervosamente, cercando di concentrare la stretta della sua mano sulla sbarra per respingere la tentazione di stringerla attorno al collo dell’uomo.

Si sollevò e rimase in piedi davanti alla figura seduta.

“Mi sembra di averti fatto una cazzo di domanda.”

“E a me sembra di averti risposto.”

“No che non l’hai fatto!” sbraitò John, con l’odio che cresceva dentro di sé a ogni sillaba.

“Ti ho detto di non farmi domande di cui conosci la risposta” spiegò l’altro, come se stessero parlando del caldo afoso di Londra di quell’agosto.

“Dio Santo Sherlock, smettila di fare lo stronzo!” gridò ancora, incurante del fatto che non dovesse assolutamente trovarsi in quel posto e che magari qualcuno avrebbe potuto sentirlo. Si lasciò cadere sull’altalena vicina e abbassò lo sguardo, tenendosi la testa con le mani, distrutto dentro e fuori. Che stava succedendo? Stava impazzendo davvero? Al momento sembrava l’unica ipotesi plausibile.



Continua...


  
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