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Autore: damnhudson    30/07/2012    4 recensioni
"Odiava quando la gente la obbligava a parlare, quando veniva obbligata a raccontarsi. Si poneva spesso delle domande verso queste persone, si chiedeva perché volessero sempre sapere così tanto di lei che in fondo non era nulla di speciale. May aveva un problema di fondo: aveva paura di risultare troppo noiosa, per quello non raccontava niente, aveva paura soprattutto che la gente facesse come lei, ovvero distrarsi al suono delle sue parole. Per questo May non raccontava, non parlava con nessuno, nemmeno da sola. "
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo due
Un mese più tardi.

May scese dal letto ancora un po' stordita dal sonno appena concluso e come ogni mattina, rimase per un po' a guardarsi intorno, cercando di riconoscere la stanza in cui aveva dormito. Non appena mise piede per terra, le balenò in testa l'idea che anche oggi avrebbe dovuto lavorare sodo. Dopo l'ultimo anno a cui si era dedicata assiduamente allo studio, addirittura diminuendo le feste a cui partecipava, si era diplomata, e dunque aveva ripreso a fare ciò che ogni estate faceva: lasciava l'Inghilterra e partiva per la Spagna, dove ad aspettarla stava la sorella della madre, che la trattava esattamente come se fosse sua figlia. Sua zia Gloria, aveva tre figli, e lei era la quarta. Frequentando una scuola di lingue, May aveva imparato a parlare alla perfezione lo spagnolo e poi il fatto che ci passasse tre mesi l'aiutava alla grande. Quando May attraversava il mare per allontanarsi dalla sua isola, iniziava a sentirsi bene. Iniziava a sentire la voglia di divertirsi. Sul serio. Quasi non fosse May Sommers. Quasi non fosse la persona più sola, fredda ed incostante. Nei tre mesi che stava in Spagna smetteva di essere una persona fredda, cinica ed irreale. Semplicemente riprendeva ad essere May con tanto di sorrisi. Ovviamente la Spagna non poteva cambiare tutte le cose. Continuava a non parlare. Ancora non aveva trovato niente da dire di interessante, ma almeno ascoltava. C'era qualcosa nell'accento spagnolo che la obbligava - quasi ad ascoltare. Poca voglia di parlare, ma tanta voglia di ridere ed ascoltare qualunque cose le venisse detta. Quando stava in Spagna stava bene, realmente bene. L'unica cosa che iniziava a pesare era il fatto che fosse per tre mesi lontano dalla sua famiglia. Quell'anno decise che era ora di mettersi a lavoro, iniziare a racimolare i soldi per l'università di lingue che avrebbe presto o tardi frequentato a Liverpool. Magari evitare di servire ai tavoli, non che ci fosse niente di male, ma quando le persone le avrebbero chiesto che cosa consigliava lei, non avrebbe potuto semplicemente stringersi nelle spalle, sarebbe stata mandata via in troppo poco tempo.
Ben presto, sotto l'ala di zio Ramon, trovò un lavoro nel campo della ristorazione. Era qualcosa che sapeva fare alla perfezione, parlare alle altre persone in un'altra lingua e con parlare si intende dare il benvenuto e dire le cose più essenziali che aveva imparato a memoria prima di intraprendere quel lavoro.
Decise che era ora di sbrigarsi ed uscire dalla stanza, mentre finiva di infilarsi la maglietta, e recarsi nel bagno dove prese il suo spazzolino giallo. Giallo come il bicchiere di Tom Parker quella notte. Si era ripromessa di non pensarci più, ma tanto ormai non manteneva più le promesse che faceva a se stessa. Non si spiegava perché, nonostante fosse ubriaca si ricordava alla perfezione di Tom Parker. Ogni singolo dettaglio, ogni frase che lui le disse. E poi, soprattutto non si spiegava perché nonostante fosse stata una cosa da poco, si ostinava ogni tanto a ripensarci. Non era stato niente quel bacio e Tom Parker aveva smesso di farsi sentire e a lei stava bene così, perché nemmeno May si mise alla sua ricerca. Restava sola nella sua camera e pensava al ragazzo che - di sua spontanea volontà - aveva baciato. Quante cose conosceva di lui? Niente. Un nome, un cognome. Il colore dei suoi occhi, il colore che avevano le sue labbra. E stava di nuovo esagerando e degenerando. Prese a spazzolare i denti, chiudendo gli occhi, quasi a volersi costringere di dimenticare ogni cosa a cui aveva pensato, quasi a voler dimenticare Tom. Non esisteva nessun Tom nel suo universo perfetto. Nel momento in cui riaprì gli occhi, sua cugina Sofia apparve davanti a lei, mentre velocemente si legava i capelli nero corvino.
«A che ora stacchi hoy(*)?» Domandò dunque, sistemando una forcina e incalzandola col suo perfetto accento spagnolo. Era così bello sentirlo. May si strinse nelle spalle, lanciando un'occhiata alla ragazza.
«Alla stessa ora di sempre, direi. Perché, tu?» Chiese May di rimando, mentre metteva lo spazzolino apposto e sciacquava la bocca.
Lei e Sofia lavoravano assieme, mentre la seconda aveva più esperienza perché questo per lei era il secondo anno, May non sapeva niente di come mandare avanti questo lavoro, si adattava solo a quello che la cugina le consigliava. La terza persona che lavorava con loro era Oliver, un ragazzo tedesco con circa venti anni che mandava avanti il lavoro che suo padre gli aveva affidato. Il bed and breakfast che seguiva Oliver, era posto a nord di Valencia, lungo una calle(*) anonima, che quasi nessuno conosceva, se non i turisti che chiedevano alloggio a poco prezzo. Oliver offriva la colazione e un posto per dormire. Sofia e May dovevano rifare i letti, preparare le stanze e May da sola accogliere i turisti che non fossero spagnoli, la maggior parte dunque. Si divertiva anche a fare quel lavoro.

Non appena varcarono la soglia della - tipo - villetta che Oliver gestiva il ragazzo le incalzò con un sorriso.
«Non siamo in ritardo, non ci guardare così.» Disse subito Sofia, guardando il ragazzo che si toccava un orecchio.
«Credo stia parlando al telefono, guarda.. » Indicò May, ridendo un po' cercando di non fare rumore. Sofia di tutta risposta rise più forte, attirando - ora ed effettivamente - l'attenzione del ragazzo americano, che si staccò poco dopo l'auricolare dalle orecchie.
«Guess what?» Chiese a quel punto.
Era un continuo mischiare le lingue, si sentiva fortunata May a parlarle tutte. E quindi si sentiva fortunata a capire ogni cosa che i ragazzi dicevano anche tra di loro. Il primo giorno di lavoro, quando Oliver si era presentato a May, le disse qualcosa in tedesco e la faccia che fece subito dopo che Sofia le disse che anche May capiva fu epica. May annuì e sorrise, senza dire niente, come al solito.
«Ho cinque prenotazioni, per cinque diverse camere singole.» Continuò Oliver, osservando le ragazze che da un momento all'altro sarebbe svenute. Cinque camere e per per quanto tempo? Era assurdo dover lavorare così tanto però. Cinque camere da preparare, più le due che ieri May non aveva voglia di fare, risultato: lavoro a palate. Era già stanca prima di iniziare.
«Quando arrivano?» Chiese Sofia, nelle stesse condizioni di sua cugina May.
Oliver guardò Sofia facendole un sorriso e lei sembrò ricambiare. C'era qualcosa che i due non avevano raccontato a May? Si sentiva prima di tutto un po' in più, inoltre tagliata fuori, ma lei cosa voleva rimproverare a chi? Lei non aveva mai raccontato a nessuno di Tom e probabilmente mai lo avrebbe fatto. Si era ritrovata - di nuovo a pensare a Tom.
«Quando?» Richiese May, facendo passare lo sguardo da Oliver a Sofia.
«Uh, allora è questa la tua voce?» Chiese divertito Oliver, prendendosi gioco di May. Aveva già sentito la sua voce, ma ogni volta che questa parlava lui le dice simili idiozie che effettivamente la facevano ridere.
«Ti pentirai amaramente, Oliver, di averla sentita.»
«Esattamente tra.. - Oliver abbassò lo sguardo sul suo orologio, controllando l'ora che in effetti era. - ..tre ore, muovetevi ragazze belle.» Proferì, guardando ancora le ragazze e appoggiando, nuovamente, lo sguardo su Sofia che sorrise un'ultima volta e poi iniziò a salire le scale per andare a mettere in ordine la prima stanza. E May dopo aver osservato Oliver fece lo stesso, dedicandosi prima alle due stanze che non aveva ancora finito di fare la sera prima e poi il tempo volò e quasi le tre ore non le sentiva passare. Non sapeva niente di quei ragazzi nuovi che stavano arrivando ad occupare le stanze che lei e sua cugina avevano con cura preparato. Meno male che non toccava a loro preparare la colazione che era prevista nel prezzo, May non sapeva cucinare niente o meglio, si era cimentata nel fare qualcosa, ma non era andato nel migliore dei modi come ci si aspettava.
«Ah, prendetevi una stanza.» Fece May disgustata dai continui sguardi che li lanciavano i suoi colleghi, inoltre una era sua cugina, dannazione.
«Era meglio quando non parlavi, davvero, Sommers.» Disse Oliver, che puntò lo sguardo su di lei. «Sei pronta ad accoglierli? Sii gentile... - però May lo interruppe con un cenno del capo, mettendosi lei a terminare la frase.
«Sii gentile, May! Non c'è bisogno di parlare male nè di dire troppe cose in più, il necessario.»
«Bravissima, May!»
La ragazza si inchinò brevemente davanti a lui, sorridendogli. Beata Spagna che la cambiava. Che la rendeva migliore. May prese la cartellina che Oliver gli porse, guardando cosa in effetti ci fosse scritto, quando sentì il campanello suonare. Tutto accadde in un minuto. Sofia che si alzava di scatto per aprire la porta, Oliver che sistemava i pantaloni e lei che continuava a studiare la cartellina.
«Oliver, ci deve essere un errore.» Un madornale errore. Oliver scosse la testa e lei alzò il viso per guardarlo ma tutto quello che vide fu: «Tom Parker?»



Martinascorner.

E finisce così il secondo capitolo. *trollface*
 
Dunque, vediamo un po'. Al primo capitolo ho ricevuto quattro recensioni, quindi mi sono convinta ad andare avanti. So che nessuno interessano i miei sproloqui post capitolo, ma io li devo fare per forza. Nom, seriamente, ho finito le cose da dire. Sono una piccola May, io.
Tatataaaan, e niente, ironia della sorte i ragazzi sono assieme a Valencia ( un sogno Martinesco(?) io non ci sono mai stata, ma conto di andarci. ) e si sono rincontrati.Povere persone innocenti che pendono dalle mie ditina che scrivono, no, seriamente, poverini. Non penso che avranno mai qualcosa di facile questi due, se mai avessero qualcosa. By the way, niente, mi sono dilungata troppo, ora me ne vado che ho anche caldissimo.

Grazie a chi ha recensito, mi avete fatto sentire, come sempre, considerata e anche con del talento. Grazie a chi ha posto questa storia nelle seguite, grazie ai lettori silenziosi come me. Grazie, grazie, grazie.

Taaaantissimo amore, Marti.

   
 
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