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Autore: damnhudson    26/07/2012    5 recensioni
"Odiava quando la gente la obbligava a parlare, quando veniva obbligata a raccontarsi. Si poneva spesso delle domande verso queste persone, si chiedeva perché volessero sempre sapere così tanto di lei che in fondo non era nulla di speciale. May aveva un problema di fondo: aveva paura di risultare troppo noiosa, per quello non raccontava niente, aveva paura soprattutto che la gente facesse come lei, ovvero distrarsi al suono delle sue parole. Per questo May non raccontava, non parlava con nessuno, nemmeno da sola. "
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Uno.

Le tipiche feste inglesi, erano per lei pane di tutti i giorni. Si destreggiava ad ogni festa di chiunque fosse. Passava il suo tempo settimanale a studiare mentre il fine settimana partecipava alle feste più disparate in qualsiasi quartiere potesse arrivare, l'importante era avere un passaggio. La sua vita era perfetta ai suoi occhi. May non aveva mai dato a sapere niente di lei, eppure la gente - come sempre - si ostinava a dividerla nella più disparate categorie della scala sociale. C'era chi la inseriva tra le sfigate - e a lei andava bene, dato che odiava chi la guardava troppo. -, chi invece la sistemava tra le più appetibili - e a lei continuava ad andare bene, perché così dimostrava solo quanto fosse inattaccabile la sua figura: nessuno la conosceva bene, per quanto dicesse. - . May Sommers era una ragazza che tutti di vista conoscevano, ma che nessuno - appunto, conosceva per davvero. Su di lei tanti pareri, tante belle cose; ma nessuno per davvero aveva conosciuto il vero carattere della ragazza.

May non voleva che nessuno la conoscesse troppo bene, non poteva permettere che qualcuno le facesse notare quanto in effetti fosse sola, voleva solo che le persone parlassero con lei per quello che si mostrava e forse era sbagliato - e lei lo sapeva bene - ma le andava bene così. Odiava parlare, lo faceva a stento. Quando una persona parla poco, ci si aspetta sempre che sia una buona ascoltatrice ma lei non era nemmeno quello. Odiava ascoltare la gente, odiava quando le persone andavano a sbandierare i propri problemi alla luce del sole. Anche lei aveva i suoi problemi eppure non andava a dirlo in giro, c'erano cose che si potevano raccontare ed altre che non si potevano raccontare e anche se le sue non le raccontava comunque, si aspettava che anche gli altri facessero questo tipo di distinzioni. I problemi erano realmente problemi se ti corrodevano da dentro, erano problemi seri se quelli non avevi nemmeno la forza di raccontarli e i suoi erano così. May, spesso e volentieri, quando la gente parlava si distraeva, pensava ad altro, magari a cosa avrebbe voluto mangiare a cena o a che colore avrebbe avuto nei capelli se avesse potuto tingerli: peccato fosse allergica alle tinte. Ma c'era una cosa che odiava più di altre, o quasi. Odiava quando la gente la obbligava a parlare, quando veniva obbligata a raccontarsi. Si poneva spesso delle domande verso queste persone, si chiedeva perché volessero sempre sapere così tanto di lei che in fondo non era nulla di speciale. May aveva un problema di fondo: aveva paura di risultare troppo noiosa, per quello non raccontava niente, aveva paura soprattutto che la gente facesse come lei, ovvero distrarsi al suono delle sue parole. Per questo May non raccontava, non parlava con nessuno, nemmeno da sola. May aveva paura, soprattutto.
Per quello si dava alle feste più disparate. Alle feste non c'era bisogno di parlare. Alle feste ci si divertiva, ballava e beveva. Nessuno ti ferma per chiederti di che segno zodiacale sei, o qual'è il tuo colore preferito. Era l'habitat preferito della ragazza questo. Stava bene così, senza che nessuno le si interessasse. Aveva i suoi genitori che lo facevano, ogni tanto, quando tornavano dal lavoro e bastavano e avanzavano. Non c'era bisogno di altre domande. May stava bene, stava bene come quando inizi a togliere il giacchetto a Maggio perché ormai non fa più troppo freddo, stava bene come quando suo padre le diceva che a cena c'era la pizza e non il solito minestrone. Sorrideva perché nessuno mai l'aveva spezzata, perché nessuno alla fine la conosceva bene, nessuno sapeva come poterla spezzare.
 Ed era felice. E non aveva bisogno di niente, se non di se stessa e quelle feste che facevano in giro.

«A che ora posso rientrare? Ho il passaggio, non c'è bisogno che papà venga a prendermi.» Esordì la ragazza, entrando in cucina mentre sua madre lavava i piatti, in maniera stanca. Come se fosse - o forse lo era per davvero - la solita routine. Se non avesse tanta fretta si sarebbe anche offerta di aiutarla, ma davvero, era in ritardo. La sua "amica" sarebbe passata a prenderla a breve e sapeva quanto Jennifer odiasse aspettare e per non perdere il passaggio doveva fare da brava.
«Non lo so, tesoro.» Rispose, la signora Sommers girandosi verso sua figlia e sorridendole apprezzando il suo vestitino. Non era troppo corto, May non aveva mai dato di questo problemi. Sapeva alla perfezione come vestirsi. «Passa Jennifer?» Chiese ancora, scrutando in viso la figlia, che sorrideva a sua volta.
«Sì. A brevissimo, quindi devi darmi una risposta al volo, mamma.»
«Fai tu, tesoro. Quando la festa finisce... torna. »
Risposte strategiche di una madre che si fida a tal punto di te da non darti il coprifuoco. In momenti come questi, May, amava la sua personalità calma e tranquilla. Non aveva dato problemi ed ora eccola lì, senza coprifuoco. Okay, era anche quasi maggiorenne, ma quasi. Erano pur sempre soddisfazioni, queste. Le migliori. Si avvicinò alla donna che l'aveva messa al mondo, della quale aveva un po' troppo per i suoi gusti e le lasciò un bacio sulla guancia e per un momento la sua poca voglia di parlare si riconobbe.

Era una festa tipicamente inglese in cui l'unico motto che vigeva era: porta chi vuoi, e alcool se puoi. E infatti, lei e la sua Jennifer si erano occupate di passare al supermercato per portare qualcosa. Non era stata una grande spesa, facevi contenti i partecipanti anche solo con una bottiglia. Nel migliore dei casi, se ubriachi, non distinguevano nemmeno il succo alla pesca dalla vodka. "Sempre vodka alla pesca è." Aveva constatato un ragazzo, prima di vomitare tutto compresa l'anima. In genere May non beveva molto, o meglio, tendeva a non esagerare in modo tale che poi potesse ricordare con lucidità tutto quello che diceva o faceva e soprattutto con chi si appartava. In genere scappava prima che le cose si facessero troppo complicate da gestire, ma ogni tanto beccava qualche ragazzo che le piaceva. Andare a quelle feste, era come andare in discoteca, solo che la maggior parte delle volte era una cosa all'aperto e dunque si respirava. Decisamente meglio che una discoteca. E poi la musica tendeva ad essere migliore, era senza dubbio migliore.
Non appena mise piede dentro l'enorme villa che ospitava la festa, si rese effettivamente conto di quanto l'odore di alcool fosse pesante. Lei non avrebbe bevuto, se lo ripromise proprio. Si guardò attorno, cercando qualcuno che conoscesse o magari anche solo il viso di Jennifer che l'aveva lasciata che non erano nemmeno arrivate. Jenny era come lei, solo più espansiva e i suoi sorrisi erano spesso e volentieri più finti dei suoi. Un altro punto a favore di May era che se non voleva sorridere non lo faceva e basta. E si stava meglio così. Non sapeva cosa fare, perché non c'era il solito gruppo ad attenderla, ma solo una vasta dispensa d'alcool e non le piaceva molto, ma si avvicinò comunque, prendendo un bicchierino rosso di carta e versandoci dentro un liquido trasparente, molto simile a qualcosa che aveva recentemente assaggiato, ma di cui al momento il nome non le usciva. Comunque era buono.
«Sommers, non bere!» La avvisò di passaggio Luke, mentre passava tenendo per mano la sua nuova ragazza. Luke e May stavano assieme un periodo prima, era stato il suo primo ragazzo anche se lei non si era mai sentita di amarlo come doveva. Comunque, sta di fatto che ad una festa la ragazza bevette un po' troppo e fece praticamente un casino. Il cellulare di Luke iniziò a registrare messaggi con scritto "sei una merda" o "non ti ho mai amato" o  "lo so che te la fai con Jil" lasciando il ragazzo di sasso, quest'ultimo aspettò che la sua ragazza tornò lucida e il giorno dopo la lasciò, così senza nemmeno troppi giri di parole, era vero che se la faceva con Jil, ma non era affatto giusto per lui - e solo per lui - che venisse trattato così. Il fatto di non averlo mai amato veramente, consentì alla ragazza bionda appena lasciata di non stare troppo male, ma da quel momento non ebbe più nessuna relazione.
«Lasciami in pace! E non tradire Jil.» Rispose lei a tono, guardando il ragazzo andare via con una ragazza che di sicuro non era Jil Hudson. Iniziava a sentire la testa che girava, e per un momento appoggiò il bicchiere, riprendendo a guardarsi intorno, notando solo ora che il giardino si era riempito di bei ragazzi, che di sicuro attiravano la sua attenzione. Le piaceva quell'ambiente. Quando era brilla o ad una festa, perdeva completamente il suo essere buona e calma, anche se per un po' conservava questo status.
«Bevi da sola?» Chiese un ragazzo, piazzandosi davanti a lei. Era brutto, ma brutto davvero.
«Non sono ancora ubriaca, smamma.» Fece, sorridendo e muovendo la manina con un gesto poco carino. Il ragazzo di tutta risposta, abbassò le spalle e se la lasciò dietro, non perdendosi d'animo però e riprovandoci con un'altra ragazza, la quale a quanto parve ci stette e lo seguì.
May continuò a bere, sorseggiando ciò che era presente nel bicchiere. Tequila, ecco come si chiamava. Non doveva, se l'era ripromesso, ma al momento era tutto quello che sapeva fare, un po' perché si stava annoiando un po' perché ne aveva bisogno. Perché non poteva mai essere come tutte le altre ragazze? Perché non poteva essere circondata da persone che le volevano bene per quello che era? Anche se era una stralunata col malumore o il ciclo continuo, perché nessuno le voleva bene? Perché non sapeva tenere le conversazioni e le sue si bloccavano solo ad un misero 'come stai?' si sentiva stupidamente da schifo. Prese il suo bicchiere, dopo averlo riempito e si spostò dal tavolo andando ad appoggiarsi ad un muretto. Si sedette con le spalle contro il muro, lasciando che il liquido trasparente scivolasse nella gola, procurando un po' di fastidio mentre il mondo ai suoi occhi appariva un po' più sfuocato ogni qualvolta che ingoiava.
«Secondo te il bagno dov'è?» Chiese un ragazzo con i capelli corti e gli occhi chiari, mentre la guardava dall'alto. Aveva il suo stesso bicchiere in mano, solo che il suo era giallo. Lo voleva lei quel bicchiere. Il giallo era il suo colore preferito, non del ragazzo che aveva davanti, chiunque esso fosse.
«Dentro casa a meno che tu non voglia fare la pipì all'aria aperta.» Rispose May, stringendosi nelle spalle.
«Non ti darebbe fastidio?» Continuò lui, attirando l'attenzione della ragazza che alzò lo sguardo per incontrare gli occhi azzurri del ragazzo.
«Non mi interesserebbe, in realtà. Anzi, prometto di girarmi! Solo vedi di non far puzzare la tua pipì. Non voglio vomitare.» Ecco, questa era una di quelle cose che da sobria non avrebbe mai detto e per un momento di maledisse per non essersi ascoltata. Dannazione, si era ripromessa di non bere e invece. Sperava solo di non fare la stessa fine della festa passata, dove ancora stava con Luke.
«Uh. - fece il ragazzo scoppiando a ridere e guardandola. Tirò giù la zip, osservando se la ragazza si fosse realmente girata e poi fece pipì, così come le aveva già preannunciato. - Fatto.» Disse, infine. Scavalcò il muretto e si sedette sopra. «Ho una pipì velocissima, ti conviene salire anche a te, così non ti sporcherai e non puzzerai.»
«Giustissimo.» Disse lei, balzando in piedi e porgendo una mano al ragazzo per farsi aiutare a salire. Una volta che si sedette, rimase così con le gambe a penzoloni.
«Io mi chiamo Tom.» Fece il ragazzo, girandosi a guardare la ragazza. «E non ti porgo la mano, perché sai cosa ho appena toccato.»
«Ew, Tom.» Disse lei solamente. Beh, ogni tanto si dimenticava le buone maniere da ubriaca, come presentarsi.
«Tu?» Chiese appunto, il ragazzo senza smettere di guardarla. Anche lei ricambiò lo sguardo, cercando di ricordarsi di cosa stessero parlando. Lui se ne accorse e rise, contagiando anche lei. «Il tuo nome.»
«Scusa. Io sono May. May Sommers. Il mio nome non è un'abbreviazione di niente.»
«Quanto hai bevuto May?» Chiese lui, guardandola.
«Un pochino. Perché?»
«Non so, così per chiedere... Cosa, con esattezza?» Chiese ancora guardandola. May non capiva assolutamente dove lui volesse andare a parare, si guardò intorno e poi, per un momento capì.
«Mio padre ha una pistola. Non puoi farmi del male, ti verrà a cercare e la metà di questa gente mi conosce, quindi non puoi stuprarmi.» Disse lei, saltando giù dal muretto, mentre cercava qualche posto dove tenersi, perché improvvisamente tutto girava, maledetto alcool, l'aveva già pensato, per caso?
«Anche io ho una pistola, vuoi vederla?» Chiese lui, ridendo. «Ed è bella grossa.»
«Tom!» Lo ammonì lei, ubriaca sì, ma questa l'aveva capita.
«Non ti voglio stuprare. Ho una vita davanti, sei pazza, per caso?» Chiese, saltando giù anche lui dal muretto e raggiungendola. Le poggiò una mano sulla spalla per tenerla, vedendola in difficoltà.
«Un po' ubriaca, forse... Ma non pazza, Tom senza cognome.»
«Parker. Tom Parker.» La ragazza annuì, prendendo nota del cognome del ragazzo, mentalmente, ovvio. Anche se ora non si ricordava nemmeno cosa avesse mangiato prima di uscire. Perché aveva mangiato prima di uscire, vero?
«Tom Parker?» Lo richiamò lei, vedendo che si era distratto. Non si sapeva perché ma al momento era bisognosa d'attenzioni e poi quel Tom Parker era molto carino, le piaceva il suo modo di fare e poi non era da tutti fare pipì in mezzo alla gente. L'aveva persino salvata dalla sua velocissima pipì, come l'aveva chiamata lui.
«May Sommers?» Fece il ragazzo, girandosi nuovamente verso la ragazza, la quale senza aspettare mezzo secondo lo baciò sulle labbra. E fu tutto dire che il ragazzo non aspettava altro. Solo che May non si chiese che anche lui fosse ubriaco come lo era lei e se quella era solo una scusa per stare assieme, per un momento, la ragazza abbassò tutte le barriere che in diciassette - quasi diciotto anni aveva alzato. E le aveva abbassate per Tom Parker, che conosceva più o meno da cinque minuti esagerando.


Martina(?)
Allora, non ho idea di cosa sia questa. E' solo una cosa a cui ho lavorato per un po' di tempo, uno degli scritti a cui tengo di più. Un po' perché è il mio primo vero tentativo sullo scrivere sui the wanted, un po' perché ci sono particolarmente affezionata. L'idea nasce nel momento in cui mia cugina si sente male e per farle compagnia, ho mezzo inventato una storia; dunque mi sono messa a scriverla e questo è quello che ne è uscito. Io sono già al capitolo tre, sto scrivendo il quattro. E' una seccatura perché sono capitoli molto lunghi, perché mi perdo spesso e volentieri nei sentimenti di May che, essendo come è, sono molto accentuati.
Dedico l'intera storia a Francesca. Ha sempre, sempre, sempre creduto in me, e mi ha supportato. Ti voglio bene.
May è una parte di me.
Non so cos'altro dire, trolol. Nel caso voi non vogliate leggere, è okay, ma prima di giudicare in negativo, se mai la doveste aprire, leggetela tutta, non so se ne vale la pena, ma è... mh, non so, qualcosa a cui tengo.

Grazie per l'attenzione. :)
   
 
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