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Autore: _Rockstar_    30/07/2012    2 recensioni
Che cosa sarebbe successo se i 76esimi Hunger Games fossero stati istituiti veramente? Cosa sarebbe successo se la ghiandaia imitatrice non avesse ucciso la Coin e il loro malvagio progetto fosse andato a buon fine? Cosa sarebbe successo se ventiquattro ragazzi di Capitol City fossero stati gettati in una nuova arena soltanto per vendetta da parte degli altri distretti? Attenzione: Spoiler de "Il canto della rivolta".
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo IV – La stessa vecchia canzone

Deep in the meadow, under the willow.
A bed of grass, a soft green pillow.
Lay down your head, and close your eyes
and when they open, the sun will rise.
Deep in the Meadow – Sting

 

Erano passate ormai più di cinque ore dalla mietitura e già stavano trasmettendo le repliche in tv. Era sempre stato così. Fin dalla prima edizione, tutti gli abitanti di Panem, soprattutto quelli dei distretti, erano obbligati a seguire il reality alla tv e nessuno poteva sottrarsi a questa regola. Ma creata la regola; creato l’imbroglio. E’ risaputo che molti cittadini, coloro che non potevano sopportare la vista di innocenti morti o che si rifiutavano di obbedire alle regola della capitale, puntualmente, durante il programma si rifugiavano da qualche parte, cosicché i pacificatori non potessero scovarli e punirli duramente. Gli unici che molto volentieri assistevano allo show erano, ovviamente, gli abitanti della capitale che, forse, non subendo direttamente quelle crudeltà, trovano piacere nel guardarlo. Rose non era tra questi. Fin da quando era nata, era stata costretta da sua padre, fin troppo vicino ai piani crudeli del nonno, ad assistere al programma. Lei non  capiva realmente cosa stesse succedendo negli schermi di quella piccola tv, ma col tempo, iniziò a comprendere e a farsi delle idee tutte sue. Quella che più capiva il malcontento della bambina, era la madre. Anche lei condivideva le idee della figlia, ma era troppo codarda per ammetterlo. Rose no. Molto spesso era incappata in discussioni con il padre, che molto spesso finivano con maltrattamenti fisici, molto rincorrenti in quella casa. Lei non era la tipica ragazza sottomessa, era tutt’altro. Per niente al mondo si sarebbe fatta mettere i piedi in testa e nemmeno permesso di farsi cambiare idea con un lavaggio del cervello che, a quanto pare, era molto di moda in quella città. Ormai a nessun cittadino della capitale importava niente di quello che succedeva al di fuori delle loro quattro mura. Le uniche cose che davvero detestavano interesse erano gli abiti, il make-up e la chirurgia, che erano arrivati oltremodo più lontani dall’essere definiti orridi. Più Rose si guardava in giro, più era sicura di essere nata nel luogo sbagliato. Come faceva, una come lei, a essere davvero figlia di quella città così tremendamente rifatta e falsa? Questa fu una delle cause della solitudine e dell’inadeguatezza, che caratterizzarono l’infanzia e la giovinezza della ragazza. Rose si rigirò sul letto, su un fianco ed aprii gli occhi, ancora gonfi e rossi per il recente pianto. Si asciugò le ultime lacrime con il lenzuolo del letto e guardò l’orologio olografico posato sul comodino affianco a lei. Ne aveva uno simile a casa, ma invece di essere grigio metallizzato come quello, era di colore lilla, il suo preferito. Era formato da una lastra di metallo da cui, attraverso degli speciali ed innovativi led, l’orario veniva proiettato in alto. Ci passò la mano in mezzo, ma naturalmente non successe nulla. Con un enorme sforzo di rialzò dal letto e, nonostante mancasse poco all’ora di cena, si chiuse in bagno gettandosi nella doccia. Si tolse gli abiti , che gettò dentro ad un cestello, collegato a dei tubi, che gli avrebbero fatto arrivare direttamente alla lavanderia ai piani sotterranei. Chiuse le porte della doccia intorno a sé ed impostò la temperatura dell’acqua, il tipo di bagnoschiuma e di shampoo, che a tempo debito, sarebbero stati rilasciati. Fece una doccia, non estremamente lunga, ma abbastanza duratura per riuscire a pensare a come avrebbe agito da quel momento in poi. Decise che se c’era in gioco la sua vita, avrebbe fatto di tutto per imparare a giocare. Uscii dal bagno e lentamente prese giù un altro vestito per la serata. Si stupì quando vide che tutti i sui vestiti erano stato trasferiti in quell’armadio. Questa gentilezza le diede un senso di famigliarità e protezione di cui tanto aveva bisogno in quel momento. Si legò i capelli in una treccia laterale e si rigettò nuovamente sul letto. Nonostante tutte le buone intenzioni, non ce la faceva proprio a trovare la voglia e la forza per alzarsi e dirigersi verso la sala da pranzo. Sentì delle voci provenire dal salotto ed immaginò che appartenessero a Peeta e a Katniss, che si stavano dirigendo di sotto. Il solo pensiero di dover dividere il tavolo da pranzo con lei, le fece venire il voltastomaco. Non sapeva precisamente il motivo per cui la odiasse tanto, era sicura che lei fosse una delle prime persone ad aver detto sì a quei stupidissimi giochi. In un certo senso, era l’artefice della sua morte e per questo la odiava. I suoi pensieri vennero interrotti da qualcuno che, alla porta, aveva cominciato a bussare. L’unico che poteva essere rimasto negli appartamenti era sicuramente Declan. Non lo conosceva molto bene, andavano a scuola insieme, ma non gli rivolgeva la parola molto spesso. Sapeva soltanto che proveniva da una famiglia molto ricca e che suo padre era morto, niente di più.
– Vattene, Declan! – urlò di rimando. Non riusciva proprio a trovare la forza di alzare la schiena da letto e con un passo dopo l’altro, dirigersi verso la sala da pranzo.
– Sono io, Katniss – Si girò immediatamente verso la porta. Aveva paura che lei potesse intuire e sapere a cosa stava realmente pensando.
– Oh. – si limitò a dire – Vattene, Katniss – finì poi.
Voleva soltanto essere lasciata in pace, perché nessuno voleva capirlo? Alzò gli occhi al cielo, realizzando che la ragazza fuori dalla porta era, sì, colei che aveva acconsentito alla sua morte, ma anche colei che aveva il potere di salvarla. Molto lentamente si alzò dal letto e andò verso la porta. Alzando nuovamente gli occhi al cielo, aprì la porta trovandosi Katniss appoggiata allo stipite destro, mentre guardava verso l’alto. Abbassò lo sguardo e per qualche secondo si guardarono negli occhi. Era entrambe così orgogliose da riuscire a sostenere lo sguardo a vicenda. Così simili, ma così diverse.
– E’ stato davvero rude quello che hai fatto, lo sai? – esordì lei in modo scherzoso. Rose prese la battuta in tutt’altro modo. Senza neanche risponderle, sorpassò la mentore e se ne andò, camminando più in fretta che potesse
– Parli come mia madre! – le urlò quando ormai era arrivata agli ascensori.
Katniss la seguì fino alla sala da pranzo con uno strano sorriso in volto. La cena andò avanti senza particolari problemi. Fu costretta a sedersi al tavolo con Declan, Peeta e purtroppo anche con Katniss. Spezzò una lancia a favore della verità e dovette ammettere a se stessa che Peeta era davvero simpatico. Sembrava essere davvero turbato da tutta quella storia, ma cercava sempre di tirarti su il morale. Era convinta che lui fosse uno di quelli che aveva votato no, se mai ce ne fossero stati alcuni. Sorrideva sempre e faceva delle battute a cui nessuno, neanche Rose, poteva evitare di ridere. Le più divertenti furono quelle a proposito del loro vecchio mentore, che, quanto pare, erano le sue preferite. Rose seguì la loro edizione con maggior attenzione e voglia di quanto abbia mai fatto. Erano poche, pochissime, le edizione che Rose aveva trovato lontanamente “interessanti”. L’ultima nella lista fu la 71esima edizione. Lo show si svolse in uno dei più grandi e meravigliosi laghi rimasti al mondo. Il lago era circondato da pareti rocciose, le quali erano le uniche fonti di cibo. I pesci erano molto abbondanti, ma l’acqua era disseminata da ibridi che furono la causa della morte di molti tributi. Il vincitore, Mason Flint, del distretto due. Fin dall’inizio dei giochi, fece parte del gruppo dei Favoriti. Si chiamano favoriti, il gruppo di tributi provenienti dai distretti 1, 2 e 4, i quali, per la maggior parte delle volte, sono i vincitori. Quando il gruppo incominciò a diminuire, lui ruppe l’alleanza e uccise l’ultima ragazza e poi scappò via. Grazie alla sua esperienza nella arrampicata, scalò le pareti rocciose e uccise l’ultimo gruppo di tributi rimasti prima che loro potessero accorgersene. Fu lui, durante la 74esima edizione, la quale vide vincitori per la prima volta due concorrenti, Katniss e Peeta, a fare da mentore ai ragazzi del distretto due Cato e Clove. Lui fu il migliore amico del ragazzo e non si era mai odiato tanto fino a quando lo vide morire sotto gli artigli degli ibridi. Non si perdonò mai, poiché fu proprio lui a suggerire a Cato di offrirsi volontario per partecipare ai quei giochi. Quell’edizione colpì molto Rose per la stupenda e reale ambientazione (molto spesso le Arene venivano ricostruite dagli Strateghi ed ispirate da paesaggi realistici) e per la lealtà e la furbizia dimostrata dal ragazzo. A differenza di molti tributi provenienti dai distretti più ricchi, Mason, fu uno dei pochi che riuscì a tenere la mente lucida e non farsi sopraffare dalla capitale, che spesso e molto volentieri ricattava i vincitori in cambio di salvezza e protezione per le loro famiglie. L’unica edizione che appassionò veramente la ragazza fu quella di Katniss e Peeta. Si era accorta fin dall’inizio, che la storia degli innamorati fosse una messa in scena creata dal loro mentore, ma questo fu uno dei motivi che la costrinsero a seguire meglio quella edizione. Aveva sempre desiderato essere come la sua eroina. Esatto, Katniss era il suo modello di comportamento, la sua ispirazione. La ammirava e la stimava. Nel momento in cui venne a sapere che Katniss aveva dato l’approvazione a quell’ultima edizione, gli occhi di Rose si aprirono alla verità. Fu in quel momento che capì quanto quella battaglia contro la capitale era stata inutile. Katniss e i ribelli avevano lottato tanto per la libertà e appena avevano bevuto un assaggio del potere, avevano rifatto l’errore che ai sui tempi aveva commesso anche il presidente. Non erano così diversi, infondo. Per questo la odiava. Aveva distrutto in un solo momento le sue aspettative, i suoi sogni, il mondo migliore ch tanto desiderava. Non scambiò parola con lei per tutta la durata della cena. Si concentrò soprattutto su Peeta e le sue battute e sul ragazzo, Declan, che le sedeva accanto. Era un ragazzo taciturno e forse non tanto sveglio.

 

Here it's safe and here it's warm.
Here the daisies guard you from every harm.
Here your dreams are sweet and
tomorrow brings them true
Here is the place where I love you.
Deep in the Meadow – Sting


 

Dopo cena, tutti e quattro ritornarono ai loro appartamenti. Katniss e Peeta si ritirarono nei loro appartamenti, mentre Declan, dopo aver provato a fare conversazione con Rose e uscendone sconfitto, ritornò anche lui in camera da letto. Rose si tolse le scarpe, si disfò la treccia e si sedette sul divano, distrutta. Osservò per qualche minuto il soffitto e poi iniziò a guardarsi intorno. Quella stanza era così simile a casa sua, ma anche così diversa. La sua casa aveva sempre un profumo di cannella che svolazzava nell’aria, grazie alle piante che coltivava la madre. Quel posto, invece, aveva il terrificante odore di solitudine, desolazione e di morte. Scacciò quel pensiero e si ritrovò a fissare il pianoforte che, imponente, occupava il lato destro della sala. Da piccola, sua madre le aveva insegnato a suonare qualche strumento. I suoi preferiti erano la chitarra e il pianoforte. Aveva un repertorio molto vasto con la chitarra, ma al pianoforte sapeva suonare solamente una ninna nanna, vecchia forse quanto il tempo. Sua madre la chiamava la canzone delle valle. Si alzò e timidamente si sedette davanti al pianoforte. Si legò i capelli e intonò il canto.
 

Deep in the meadow, hidden far away.
A cloak of leaves, a moonbeam ray.
Forget your woes and let your troubles lay.
And when it's morning, they'll wash away.
Deep in the Meadow – Sting

 

La sua voce risuonò calma e intonata. Cantava a voce più bassa possibile. Non voleva disturbare nessuno, ma soprattutto non voleva che qualcuno la sentisse cantare. Lo detestava. Percepiva il canto e la musica in generale come una via di fuga da tutto ciò che la circondava. Quando suonava, il mondo esterno non esisteva e le paure volavano via. Katniss era uscita dalla sua stanza perché aveva sentito le note di una canzone così tanto famigliare che non poteva non sapere chi fosse ad intonarla. Suo padre, prima di andarsene, le aveva insegnato quella canzone. Ormai era l’unica cosa che le restava di lui. Spesso, quando la notte sua sorella si svegliava dopo aver avuto gli incubi, lei le cantava quella canzone e insieme a Prim, si addormentava. Prim era morta a causa di un attacco di Capitol City, durante la ribellione. Non si seppe mai se l’hovercraft che fece precipitare a terra i pacchi esplosivi era veramente appartenuto alla città. Non c’è giorno in cui, Katniss, non si faccia questa domanda e non c’è giorno in cui non pianga per la scomparsa della sorella. Tutto era iniziato quando, tre anni prima, si offrì volontaria al posto di Prim per partecipare agli Hunger Games. Katniss promise alla sorella che avrebbe provato a vincere per lei e così fece. Non c’è giorno in cui non indossi la spilla della ghiandaia imitatrice che regalò alla sorella proprio quel fatidico giorno. Rose finì l’esecuzione e Katniss non poté fare a meno di applaudire. Rose si girò di scacco e rossa in viso, si alzò velocemente dalla sedia
– Che cosa ci fai tu qui? Non è carino origliare! – le urlò contro.
Katniss non sembrò farci troppo caso, Rose sì. Aveva appena violato la sua privacy e questo non le stava affatto bene.
– Dove hai imparato quella canzone? – le chiese con tono calmo e dolce. Rose era sempre più infuriata
– Me l’ha insegnata mia madre. Perché sei qui, Katniss? – le chiese accentando in malo modo il nome Katniss.
– Ti ho sentita cantare e non ho potuto fare a meno di ascoltare più da vicino – le rispose
– Non avresti dovuto. Non mi piace che la gente mi ascolti. Mi dà fastidio … - continuò quasi balbettando Rose.
– Scusa se ti ho interrotta o fatta infastidire, non era mia volere. Hai una voce davvero stupenda – Rose non credeva a ciò che stava sentendo
– Grazie … - la chiacchierata stava diventando davvero ambigua.
- Potresti cantarla di nuovo. Mi piace molto come la canti tu. – ammise Katniss con lo stesso tono di voce che aveva mantenuto dall’inizio
– Chi altro la canta? – chiese curiosa l’altra
– Mio padre la cantava quando ero piccola. Per favore, canta di nuovo – disse avvicinandosi al pianoforte e sedendosi accanto a Rose.
Lei, un po’ interdetta, ricominciò a cantare.


 

Here it's safe, and here it's warm
Here the daisies guard you from every harm
Here your dreams are sweet and tomorrow brings them true
Here is the place where I love you.
Deep in the Meadow - Sting


Risponde l'autore
Ok, so che questo capitolo può sembrare un po' lungo, ma dopo qualche giorno di vacanza, un po' per riprendere attenzioni
e un po' perchè avevo molto da dire, ho dovuto scrivere di più. In questo capitolo si capisce il rapporto che c'è tra questo due ragazze.
Per me è molto importante per capire veramente chi sono e perchè si comportano così e per fare questo c'è bisogno di un po' di
background dei personaggi. Se per caso, nella storia, trovaste qualche imprecisione,vi prego di farmelo notare in modo da risolverlo

al più presto. Spero vi sia piaciuto il capitolo perchè nel pressimo ci sarà più azione.
Se vi è piaciuta la canzone della valle, la potete ascoltare cliccando su uno dei link qui sotto.
Mentre potete anche leggervi alcuni passati hunger games da cui ho preso la storia della 71esiama edizione.
Un bacio _Rock_
http://www.youtube.com/watch?v=bcE4tZ9aBB8&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=mD-CBSBe9OQ
http://peetaismyhero.tumblr.com/tagged/pimh:PG




 

  
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