Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Sigyn    31/07/2012    5 recensioni
Ci sono molte cose che nessuno sa riguardo a Millicent Bullstrode, ma ancora di più sono quelle che nessuno si è mai nemmeno preoccupato di chiedere.
Genere: Comico, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Het, Slash | Personaggi: Daphne Greengrass, Millicent Bullstrode, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Blood




Millicent Bullstrode non era una Pureblood, ed essendo una Slytherin si guardava bene dal dirlo in giro. Fin dal suo arrivo ad Hogwarts, grazie agli altri studenti della sua Casa, aveva subito imparato quanto lo stato di sangue di una persona potesse essere determinante, nel corso della sua vita.


Comunque sia, nessuno si era mai preoccupato di parlarne alla diretta interessata.

Beh, non da quella volta al Primo Anno in cui Vincent Crabbe si era preso gioco della sua scarsa conoscenza delle regole del Quidditch e si era immediatamente ritrovato con un occhio nero e un livido bluastro sulla guancia, almeno.

Draco Malfoy aveva la vaga impressione di essere imparentato con Millicent da parte di madre, ma non aveva mai badato molto a quel pensiero: era imparentato con molta gente ben più importante, lui. Tracy Davis talvolta la prendeva in giro – rigorosamente alle sue spalle – ipotizzando scherzosamente che la sua goffaggine e il suo aspetto fossero dovuti ad una parte di sangue Muggle nelle vene. Pansy Parkinson aveva preso più seriamente queste chiacchiere, e una volta ne aveva parlato con Daphne Greengrass e le sue altre amiche.

Daphne era stata l’unica a non ridere e, dopo aver intimato a Pansy di stare zitta, era uscita sbattendo la porta dal Dormitorio.



*



Millicent era stata abituata fin da bambina a pensare di essere una strega. Sua madre aveva cominciato ad impartirle le prime basilari nozioni sulla magia e i maghi quando aveva otto anni. Un giorno, l’aveva fatta salire in soffitta, promettendole una lezione importantissima e alludendo, con un sorriso misterioso e un bagliore di affetto e rara tenerezza negli occhi neri, ad un evento speciale che sarebbe accaduto il giorno del suo undicesimo compleanno. Non dire niente a papà, si era raccomandata, l’usuale espressione accigliata che tornava brevemente sui lineamenti duri del volto, una nota preoccupata nella voce.

Millicent l’aveva visto come un gioco, una bella favola, ma non ci aveva mai creduto davvero. Ma era raro che gli occhi di sua madre brillassero in quel modo, allegri e nostalgici allo stesso tempo, e qualche piccola bugia non le avrebbe fatto certo del male.

Poi, quando aveva nove anni, un ragazzino che abitava nel suo quartiere aveva commesso l’errore di canzonarla per la sua stazza. Lei lo aveva insultato per i suoi occhi tondi e sporgenti e la sua espressione stupida, e lui aveva risposto tirandole i codini e dicendole che i maschi dovevano portare i capelli corti.

Millicent aveva chiuso gli occhi e stretto i pugni fino a che le nocche erano sbiancate e le unghie avevano lasciato il segno sui palmi, sentendo la rabbia montare dentro di lei, così calda da essere quasi dolorosa. Si sentiva le guance andare a fuoco, e le lacrime iniziare a pungere dietro gli occhi – ma lei non avrebbe pianto, non voleva piangere, non avrebbe pianto.

E poi, il calore era diventato un formicolio sotto la pelle, un qualcosa di al contempo uguale e completamente diverso da una leggera scossa elettrica che le correva dalla testa alla punta delle dita. E, quando aveva riaperto gli occhi, la stretta sui suoi capelli non c’era più.

Davanti a lei, con un’aria confusa che doveva essere identica alla sua, c’era un piccolo gatto tigrato dagli occhi tondi.

L’incantesimo era durato solo pochi minuti, ma quello non fu l’unica cosa inspiegabile che le successe. E, quando due anni dopo la lettera arrivò per davvero, Millicent fu più curiosa e stupita che semplicemente sconvolta.



Il giorno in cui un gufo dall’arruffato piumaggio grigio topo irrompe dalla finestra aperta della cucina e atterra sgraziatamente davanti alla scodella di latte e cereali della figlioletta undicenne non è mai il più felice dell’anno, in una casa abitata da una moglie strega e un marito Muggle.

Non che in genere vada meglio per un marito mago e una moglie Muggle, sia chiaro. Ma, quella mattina, un centinaio di campanelli di allarme si accesero e squillarono violentemente nella testa di Kentigerna Bulstrode, mentre la voce stridula di sua nonna straripava da un vecchio ricordo mai completamente dimenticato e riecheggiava nella sua mente borbottando in tono astioso su Muggle incapaci di prendersi le proprie responsabilità, mogli ripudiate ed irresponsabili ragazze madri abbandonate a se stesse sul ciglio della strada.

Per questo quel pomeriggio, con Millicent chiusa in camera sua a rileggere per l’ennesima volta il contenuto della lettera che aveva tenuto con sé tutto il giorno e nessuna distrazione e possibile cambio d’argomento che la donna non avrebbe esitato ad usare a portata di mano, Kentigerna Bullstrode decise che era arrivato il momento di fare un discorso serio con suo marito.

Beh, più serio delle spiegazioni emozionate e confuse che era riuscita a fornire a John quella mattina, comunque. Kentigerna aveva sempre avuto un’alta opinione di se stessa e della sua capacità di mantenere il sangue freddo in ogni situazione, ma certe cose erano semplicemente troppo perfino per lei.

John Bullstrode era un uomo ordinario, di indole tranquilla, completamente ed indiscutibilmente privo di poteri magici e stranezze in generale. E, in quel momento, anche un coniuge evidentemente confuso ma straordinariamente sereno e paziente.

- Quindi, tu mi hai nascosto per anni di essere una strega – disse. Non pareva eccessivamente turbato, o spaventato, o infuriato ... o qualsiasi altro aggettivo che terminasse in -ato. Invece, la fissò con quella sua aria tranquilla e vagamente malinconica e bevve un sorso dalla sua tazza di tè.

- Non potevo dirtelo, John. C’è una legge che ... – provò a spiegare lei, con l’espressione dura e determinata che assumeva quando stava per affrontare un argomento importante.

Suo marito la interrupe con un gesto della mano. – Una legge? Ho sempre pensato che non ti fidassi abbastanza di me – replicò con un sorriso mesto.

Kentigerna spalancò gli occhi e, già che c’era, anche la bocca. – Tu lo sapevi? Ma come ... ? -. Suo marito, sotto l’apparenza placida e vagamente ottusa da vecchio bue, era un uomo molto intelligente, ma questo era certamente troppo anche per lui!

- Kentigerna – John si interruppe per bere un altro po’ di te – al nostro primo appuntamento ti ho dovuto spiegare cos’è un numero di telefono. E, quando siamo andati a vivere insieme, siamo passati al funzionamento delle lampadine -.

Kentigerna accennò un sorriso nervoso.

- E, l’unica volta che l’ho incontrato, tuo padre prima mi ha insultato in gaelico e poi mi ha puntato contro un bastoncino di legno. E tua sorella, tentando di essere gentile, mi ha chiesto se volevo un bicchiere di succo di zucca ... ne aveva già un calderone fatto in casa, quindi non c’era proprio alcun disturbo, sai -.

- Va bene, forse non sono poi così brava a fingermi una Muggle – Kentigerna sbuffò, alzando gli occhi al cielo: - ... una persona senza poteri magici – chiarì, sotto lo sguardo incuriosito e perplesso di John.

- E poi ci sono i pomeriggi in cui tu e Millicent state in soffitta per ore e tornate giù con gli abiti bruciacchiati e puzzando di spezie e cose simili, e la volta in cui la bicicletta di Millicent è finita sul tetto e lei non ha saputo spiegare come fosse successo, e il tuo imprecare insultando Morgana e Merlino quando sei davvero arrabbiata ...-.

- Ho capito, ho capito! – sbottò Kentigerna, portando le mani davanti a sé come per difendersi da quel fiume incessante di parole, sentendosi all’improvviso girare la testa. Poi, un pensiero le attraversò la mente in uno sfolgorante lampo di panico ed incredulità: - E non hai mai pensato di ripudiarmi? -.

John alzò un sopracciglio. – Divorziare, dici? - sembrò pensarci sopra per qualche istante. Posò la tazza sul tavolo e si sistemò i baffi neri con la mano.

- C’è un modo in cui io possa farlo senza che tu mi trasformi in un rospo per il resto della mia vita?- domandò infine.

Kentigerna sorrise. – No -.

- Bene. Perché sarebbe un gesto molto stupido, da parte mia, e mi meriterei proprio di gracidare in uno stagno -.

E, detto questo, John riprese serenamente a bere il suo tè.


  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Sigyn