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Autore: EmmaStarr    01/08/2012    8 recensioni
“Sirius, le stelle sono dentro di te, oltre che fuori. So che le puoi trovare, anche se non riesci a vederle. Perché le stelle sono molto più che semplici palle di gas che bruciano. Sono anche sentimenti, amore soprattutto, ma anche pace, tranquillità, fiducia, sicurezza... cerca questo dentro di te, e troverai di nuovo tutte le stelle.”
* * *
Una raccolta di Missing Moments tra James e Sirius che ha come argomento principale le stelle, e quello che significano per la loro amicizia...
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Emma
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: James Potter, Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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I

“Capito, Sirius? Quella è Sirio. Adesso dimmi dov'è la costellazione di Orione.” ordinò l'uomo.

Il bambino si morse il labbro, concentrato, dopodiché indicò a colpo sicuro un gruppetto di stelle lassù, in alto, oltre il cielo di Londra.

“Esatto. Vedi, ragazzo, noi siamo così. Delle stelle. Importanti, veri, luminosi. Non siamo come loro.”

E, con un gesto di disprezzo, lanciò una maledizione Cruciatus ad un'ignara passante. La ragazza si rotolò a terra, in preda ad un dolore terribile.

“Così le fai male, smettila!” pianse Sirius, aggrappandosi al braccio del padre tentando di fermarlo.

“Sciocco! Loro sono solo feccia!” gridò Orion, tirando una sberla al figlio.

Questi lo lasciò andare, tenendosi il naso sanguinante.

“Capito? Loro non sono stelle, non brillano. Babbani, sanguesporco, traditori del loro sangue... sono come quegli orribili asteroidi. Piccoli, grigi, spenti, vagano senza meta. E vengono immancabilmente distrutti. Fattene una ragione.” spiegò il padre con una voce calma e tranquilla, soddisfatta.

Sirius tirò su col naso e fissò l'uomo con odio.

Non sapeva perché, ma quel discorso non lo convinceva affatto.

Però dall'alto dei suoi sette anni non sapeva proprio come ribattere, e sentì ripetere quelle parole per ancora molti, molti anni senza potersi opporre.

Ancora non sapeva che, presto, avrebbe trovato una persona che l'avrebbe fatto davvero brillare.

 

II

“Ciao! Io vado!” gridò Sirius davanti alla stazione dell'Espresso di Hogwarts.

Finalmente avrebbe avuto l'occasione di farsi degli amici, che lo avrebbero apprezzato per quello che era e non per il suo sangue... o almeno, era quello che sperava.

Perso in questi pensieri, salì sul treno e pochi secondi dopo quello partì.

I suoi genitori non lo avevano nemmeno abbracciato.

Camminò per i corridoi, e ad un certo punto vide un volto conosciuto: da uno scompartimento alla sua destra sua cugina Bellatrix stava ridendo davanti ad una bambina dai capelli neri che piangeva in un angolo.

“Ehi, che le hai fatto?” chiese Sirius aggressivo, entrando nello scompartimento.

“Ah, il mio caro cuginetto!” squittì lei, scostandosi i capelli ribelli dal viso. “Proprio te cercavo! Che ne dici di ricordare alla piccola Mary quanto sporco sia il suo sangue?” e rise come una pazza.

“Dovresti lasciarla in pace!” ribatté Sirius fissandola dai suoi venti centimetri in meno.

“E tu chi saresti?” chiese però una voce alle sue spalle.

Sirius si voltò e vide un ragazzo alto, probabilmente del quinto anno, che lo fissava ostile. Aveva una spilla da prefetto appuntata al petto.

“Sirius. Sirius Black.” disse sicuro il più giovane.

“Black come lei, vero? Ascoltami, ragazzino, se pensi di poterci sbattere in faccia il tuo sangue puro e credere che ce ne importi qualcosa...” cominciò, trascinandolo fuori.

“Io non ho fatto niente!” ribatté Sirius.

“Ehi, Rob, guarda che è vero.” disse una voce da dietro di loro. “Questo qui è solo entrato!”

“Ah, James!” fece cordiale il più grande, lasciando stare Sirius, che si voltò incuriosito.

Davanti a lui c'era un ragazzino circa della sua età con dei capelli impossibili in testa e un paio di occhiali rotondi.

“Rob, fidati che è solo quella stronzetta di Bellatrix che tormentava Mary. Dovresti prendertela con lei.”

Quello borbottò qualcosa e rientrò nello scompartimento della cugina di Sirius.

“Non farci caso, lui era Robert McMillan, un po' un fanatico delle regole... io invece sono James Potter. Cerchiamo uno scompartimento?” chiese il ragazzo, e prima di avere una risposta lo trascinò per un braccio fino al primo scompartimento libero.

Senza nemmeno rendersene conto, già Sirius rideva come un pazzo per una battuta stupida dell'amico.

“Sirius, eh? Non è mica il nome di una stella?” chiese all'improvviso James.

“Sì, è così.” rispose un po' sconcertato l'altro.

“Potresti fare la star del cinema!” propose James, lo sguardo sognante.

Sirius rise di cuore. “I miei non me lo permetterebbero mai! Hanno perfino deciso in che Casa andrò...”

James lo fissò, improvvisamente serio. “E tu glielo lasci fare? Vuoi lasciarli decidere per te? Sirius, tu sei una stella: sei forte, luminoso, e anche coraggioso, ti ho visto con tua cugina. Non sei come lei. Devi andare nella Casa che vuoi tu.” affermò.

In quel momento, Sirius sarebbe voluto andare in qualunque Casa finisse anche James.

 

III

 

“Ma che spettacolo!”

“L'avevo detto che era una buona idea venire qui!”

I due amici erano sdraiati sull'erba del parco di Hogwarts a fissare le stelle.

“Guarda, quella è Sirio.” disse il Black indicando un puntino nel cielo.

“Chissà se c'è la stella Potter...” mormorò pensieroso l'altro.

Sirius rise. “Temo proprio di no! Ma fidati, non è poi questa gran cosa avere il nome di una stella.” aggiunse poi, per evitare di offenderlo.

“Sì, però è ingiusto. Aspetta: Potter letteralmente significa “Colui che fa le pentole”, no? Allora aspetta...” E con la bacchetta disegnò nel cielo una serie di linee che collegavano una stella all'altra, fino a formare un grottesco pentolone appena sotto Sirio.

“Ecco fatto! Ti nomino testimone oculare della creazione della nuovissima costellazione della pentola! I Greci mi fanno un baffo.” aggiunse, scompigliandosi i capelli.

“Ma fammi il piacere, hai beccato un mucchio di stelle che sono già in altre costellazioni! Così non vale!” lo schernì Sirius. “Dovevi fare la costellazione del somaro, altro che la pentola...”

“Ah sì? Ti avviso che a casa mia sono il campione mondiale di “unisci i puntini”! E ora sta a guardare!”

E unì altre stelle fino a formare la scritta “James Potter è un figo.”

“Sei andato.” constatò Sirius. “Andato! Un demente, ecco chi mi sono scelto come migliore amico.”

alzò gli occhi al cielo e fece un sospiro melodrammatico.

“Vergogna, caro mio! Dovresti prostrarti ai miei piedi per il semplice fatto che.. ehi! Guarda!”

“Cosa?” chiese Sirius preoccupato.

“Una stella cadente...” mormorò James, e Sirius la vide appena in tempo.

Aveva sottolineato la parola “figo.”

“Non penso ci sia bisogno di dire assolutamente niente. Sono davvero un figo. È ufficiale.” commentò James con un sorriso da un orecchio all'altro.

Ma Sirius non lo stava ascoltando. “E se è caduta Sirio?” chiese preoccupato, prima di tirare un sospiro di sollievo. No, la sua stella era ancora al suo posto: meno male!

“Ho sempre paura che cada per sempre, così non avrei più nulla da guardare, la sera...” confidò all'amico.

Quello ci pensò su, poi disse: “Se anche Sirio cadesse, finirebbe nella mia pentola e io la prenderei al volo!” promise.

L'amico sorrise a sua volta, molto più tranquillo. Sì, non doveva preoccuparsi: James Potter sarebbe sempre stato lì con lui.

 

IV

“Ehi, Remus!”

“Che c'è, James?”

“Ti prego, ti prego, ti prego, aiutami con i compiti di astronomia!” implorò quello, la testa rovesciata all'indietro.

Erano rimasti solo i Malandrini nella Sala Comune, e James ancora era immerso nei compiti.

“Chiedi a Sirius, lui è più bravo!” disse Remus, cercando di scamparla. Aiutare James era l'equivalente di un suicidio forzato.

“Lui dorme da mezz'ora!” ribatté stizzito James. “Ti imploro, non so da che parte cominciare!”

“Magari dall'ascoltare a lezione?” propose Remus, che stava così comodo sulla sua poltrona...

“Ah ah. Molto spiritoso. Daiiii... come si formano le stelle cadenti? Come fanno a cadere, e dove cadono se sono così grandi? Sono come i frutti che quando sono maturi cadono? E allora come facciamo a fidarci della stella Polare, se poi magari domani cade? Rem, la smetti di ridere e vieni ad aiutarmi?” aggiunse poi, offeso.

“Scherzi, vero?” fece Remus asciugandosi gli occhi. “Ma le stelle cadenti non sono mica stelle!”

“Oh, ora è tutto chiaro. Davvero, non so come farei senza di te e le tue affermazioni prive di senso! Si chiamano stelle cadenti, era logico che fossero stelle, no?”

Remus si chinò sul foglio di James e dette un'occhiata. “Ok, strappa tutto. Quello che hai scritto è senza senso.”

Con un sospiro plateale, James stracciò la pergamena e ne prese un'altra.

“È facile, in realtà. Le stelle cadenti sono asteroidi che si schiantano sull'atmosfera terrestre e si incendiano. Ok?”

“Comecomecome?” fece Sirius, sollevando la testa di scatto.

“Traditore, allora non dormivi!” gridò James, lanciandogli un cuscino.

Sirius lo ignorò e si rivolse a Remus. “Sono asteroidi? Sono così belle e sono asteroidi?”

“Sì...” rispose piano l'altro, leggermente preoccupato per la salute mentale dell'amico.

“Ma questo... questo è eccezionale!” gridò Sirius, svegliando di soprassalto Peter.

Poi corse di sopra, in dormitorio, troppo eccitato per parlare.

Ora sapeva cos'avrebbe finalmente potuto ribattere, e per la prima volta in vita sua non vide l'ora di rivedere suo padre.

 

V

“Noi siamo stelle, come te lo devo dire? Stelle! Tu facendo comunella con sanguesporco e traditori del loro sangue ci disonori! Loro sono solo asteroidi!” gridò Orion tirando uno schiaffo a suo figlio, come ormai faceva tutte le volte che si vedevano, visto che Sirius non si smuoveva di un millimetro dalle sue decisioni.

“Ho una notizia per te, papà. Indovina un po'? Una delle cose più belle che puoi vedere in cielo sono le stelle cadenti. E le stelle cadenti sono meglio delle stelle vere, perché sono più magiche, più lunghe!”

“E questo cosa diavolo centra?” abbaiò Orion, irritato. Cosa stava blaterando ora il figlio?

“Centra, perché le stelle cadenti sono asteroidi, ok? Asteroidi! E sono più belli e luminosi di te, o di me, perché sono specialissimi perché, oltre a dare una pace meravigliosa nel cuore, realizzano i desideri, cosa che tu non farai mai con me!” gridò Sirius.

Sapeva che questa sua sfuriata non avrebbe portato a niente di buono, ma almeno quella notte il padre sembrava essersi scordato di torturare un babbano innocente. Già qualcosa.

Ma quando vide lo sguardo assassino di Orion, desiderò essere in qualunque altro posto che non fosse lì.

Il suo ultimo pensiero coerente fu che almeno gliel'aveva fatta vedere, che lui non era come gli altri. Gli altri Black.

Poi fu solo tanto, tanto dolore.

Quella notte le grida del giovane rampollo dei Black risuonarono per tutta la casa.

 

VI

“Felpato? Sirius?”

“...”

“Sirius, ma che hai? Dovevamo sentirci oggi!”

“...”

“Sirius, mi preoccupo, dai!”

Alla fine la voce di James riuscì a farsi spazio tra le orecchie martoriate di Sirius. Era già stato cruciato altre volte, ma mai così tanto, così duramente.

Cercò di alzarsi, ma doveva avere delle costole rotte, perché gemette di dolore e non riuscì nemmeno a raggiungere il letto: era accasciato sul pavimento.

La voce di James però c'era, veniva dal suo baule... ma sì! Dallo specchio!

Cercando di non muoversi troppo, strisciò fino al baule e lo aprì. Prese in mano lo specchio e diede un'occhiata al James preoccupato ma sano, teso ma nutrito, confuso ma amato.

“Sir, ma che ti è successo?” sussurrò James, ma Sirius stava lentamente perdendo il controllo.

“Lo vuoi sapere che mi è successo? Sono stato cruciato perché mio padre mi odia da quando sono in Grifondoro! Se tu non mi avessi messo in testa strane idee, io non sarei qui a... a farmi torturare!” sussurrò con tutto l'odio che trovava dentro di sé.

“Sir, mi spiace, io...” cominciò James, ma Sirius non riusciva a sopportare la sua pietà.

“Ti spiace, eh? La fai facile, tu! Ma va' a quel paese!” e interruppe la conversazione, gettando lo specchio poco lontano. Poi però vide che era finito sul balcone: troppo pericoloso, meglio riprenderselo prima che Orion lo potesse vedere...

Mentre era fuori, però, lanciando un'occhiata da oltre le palpebre tumefatte al cielo, per poco non svenne di nuovo. Le stelle... non vedeva più le stelle!

“No, no, no...” mormorò, prima piano, poi sempre più forte. Rientrò in camera e si gettò sul letto, ignorando il dolore dalle costole.

Sarebbe impazzito, l'unica cosa che poteva fare era... “Ramoso? James?”

Subito apparve il volto dell'amico. “James... non le vedo più!” gemette. Si sentiva vicino alle lacrime.

“Cosa?” chiese quello.

“Le stelle! Non le vedo più!”

James strabuzzò gli occhi, chiedendosi se l'amico fosse impazzito. Poi però lesse l'autentica disperazione nei suoi occhi e capì che la situazione era grave.

“Aspetta lì. Io arrivo subito.”

Chiuse la conversazione, inforcò la scopa e volò in direzione di Londra, Grimmauld Place.

 

VII

Sirius era sdraiato sul letto, tremante.

Le stelle, non vedeva più le stelle!

Lentamente la confusione e la rabbia che aveva provato prima, con James, stava svanendo. Ora che diventava sempre più lucido, si rendeva conto che gli aveva urlato addosso senza motivo. Sì sentì malissimo.

Erano passati circa tre quarti d'ora da quando aveva sentito James, che udì un leggero bussare alla finestra.

Incapace di alzarsi, lanciò un incantesimo e quella si spalancò. James si fiondò nella stanza.

“Felpato! Ma...” poi però non seppe più cosa dire.

“Le stelle, James! Non le vedo...”

James lanciò un'occhiata agli occhi di Sirius, semichiusi per il gonfiore e pieni di lacrime di dolore, e pensò che già era fortunato a vedere lui.

Ma dirglielo non sarebbe stato il massimo.

“Sirius, le stelle sono dentro di te, oltre che fuori. So che le puoi trovare, anche se non riesci a vederle. Perché le stelle sono molto più che semplici palle di gas che bruciano. Sono anche sentimenti, amore soprattutto, ma anche pace, tranquillità, fiducia, sicurezza... cerca questo dentro di te, e troverai di nuovo tutte le stelle.”

Sirius cercò di obbedire, ma la pace e la sicurezza proprio non sapeva dove trovarle... alla fine riaprì gli occhi e fissò James, disperato. “Non le trovo!”

James si abbassò alla sua altezza. “Guarda me. Guarda i miei occhi.”

Sirius li guardò.

All'inizio non vide niente di ché, solo preoccupazione.

Poi però cominciò a scorgere anche qualcos'altro... gli occhi di James brillavano.

Erano accesi da qualcosa di più della preoccupazione: era amore. Non l'amore che lega due fidanzati, ma l'affetto che c'è tra quegli amici che sai che non ti abbandoneranno mai, anche se fingi di dormire per non aiutarlo con i compiti o se gli urli addosso.

In quegli occhi c'era anche sicurezza, tanta sicurezza, come quel giorno, anni prima, sdraiati sull'erba.

Quegli occhi nocciola erano sempre più grandi, sempre più profondi, a Sirius sembrava di poterci affogare dentro. Gli sembrava di poterli assimilare.

E alla fine le vide.

Prima Sirio, poi la costellazione della Pentola, poi tutte le altre: c'erano, le stelle c'erano!

“Le vedo, James.” mormorò a bassa voce, stavolta però sorridendo. “Le vedo di nuovo!”

James sorrise a sua volta, rincuorato.

“Visto, Sirio? Non puoi cadere, se sotto hai un pentolone. Su, andiamocene da qui.”

 

VIII

“Ammettilo: ci siamo persi.”

“Io non mi perdo ad Hogwarts.”

“Ma stavolta è successo, James.”

“No invece!” ribatté testardo il ragazzo. Erano entrambi schiacciati dentro al mantello dell'invisibilità, e stavano cercando di raggiungere la cucina.

“Per quanto ne so io, se proprio non ti sei perso almeno hai sbagliato strada.” disse Sirius, cercando un compromesso.

“Ecco, già più probabile...” ammise l'altro.

“Questo spiegherebbe perché siamo in Sala Grande.”

Infatti pochi secondi dopo sbucarono in Sala Grande, ma appena furono lì dimenticarono immediatamente la loro prima meta, perché avevano occhi solo per il soffitto.

Che ovviamente non somigliava affatto a un soffitto.

Era un immenso cielo stellato.

“È... È bellissimo!” mormorò James. “C'è anche la costellazione della Pentola!”

“E Sirio.” aggiunse Sirius.

“Sai, Sirius? Pensavo... Ora c'è Potter, ma vorrei proprio una stella come te che hai Sirio. Vorrei una stella James.”

Sirius alzò gli occhi al cielo. “Sei incontentabile, lo sai?”

“Sai che noia se non lo fossi?” ghignò James.

“E va bene, facciamo che la tua è quella.” disse Sirius indicando il cielo.

“Ehm... se dici quella non capirò mai, lo sai, vero?”

“E come faccio a fartelo capire?” sbuffò Sirius.

“Non serve che sia una in particolare, mi basta sapere che là in mezzo c'è la stella James. Può essere una qualsiasi, può essere tutte e nessuna.”

Sirius alzò il sopracciglio, leggermente scettico dalla stramba teoria dell'amico.

“E a che ti serve?”

“Per ritrovarmi.” fu l'enigmatica risposta. “Se sono giù, se sono triste, mi basta guardare il cielo e dire: lassù c'è la mia stella. È mia, è parte di me. E mi sento meglio.”

“Contento tu...” borbottò Sirius.

“Tra poco capirai.” assicurò l'amico, battendogli la mano sulla spalla. “Piuttosto, non cercavamo la cucina?”

 

IX

Quella notte Sirius credette di non poter vedere mai più le stelle. Aveva occhi solo per le sue stelle personali, quelle che riusciva a vedere quando non ce n'erano altre.

Ma quelle stelle si erano spente per sempre, lui fissava solo i gusci vuoti.

La luce, la brillantezza era sparita per sempre dagli occhi di James, non ce n'era più, non ce ne sarebbe stata mai più.

Alzò gli occhi al cielo in un urlo silenzioso, e maledisse in cuori suo Sirio, che se ne stava lì ferma.

Maledì anche la costellazione della Pentola, che era caduta prima di lei.

Sirio non poteva prendere al volo la Pentola, era troppo piccola, troppo lontana, troppo inutile.

La costellazione della Pentola non brillava più, anzi, Sirius non riusciva più a trovarla.

Era caduta, era sparita.

E in quel momento seppe che non l'avrebbe rivista mai più.

 

X

Ad Azkaban non si vedevano le stelle, mai.

Solo adesso che era uscito le rivedeva per la prima volta.

Più che altro la rivedeva, perché ce n'era solo una. Forse era la luce della città, forse le nuvole...

“Perché? Perché tu e non io?” pianse Sirius rivolto a quella stella.

“Forse è la sua, forse è la stella di James.” pensò. In fondo, era una qualsiasi. Cosa gli aveva detto James? “Se sono giù, se sono triste, mi basta guardare il cielo e dire: lassù c'è la mia stella. È mia, è parte di me. E mi sento meglio”. La stella era parte di James, e James era parte della stella!

“Sei tu?” chiese, esitante. “non mi hai abbandonato?”

E poi fu sicuro di essere impazzito, perché non era possibile che una stella gli avesse fatto l'occhiolino.

  
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