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Autore: Ortensia_    01/08/2012    5 recensioni
[ IN SOSPESO ]
La calma di casa Vargas verrà improvvisamente sconvolta, quando Feliciano riuscirà a convincere Lovino ad adottare una bambina.
Una bambina particolare, però.
«Se proprio vuoi un bambino facciamo qualcosa di buono e non adottiamo uno di questi casinisti qui sotto, porca puttana.»
Feliciano si sorprese delle parole del fratello: dunque lo aveva convinto?
Gli rivolse un sorriso allegro, grato che avesse acconsentito davvero «veh, qualcosa di buono? Ad esempio?»
Senza alcuna esitazione, Lovino, aprì il cassetto della scrivania ed estrasse un opuscolo sui paesi dell’Europa dell’Est, sbattendoglielo sulla faccia.

[Accenni Itacest]
Genere: Commedia, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bielorussia/Natalia Arlovskaya, Nord Italia/Feliciano Vargas, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Oh! Voi dovete essere i coniugi Vargas!» un uomo nerboruto, con il cranio pallido lasciato visibilmente scoperto da quei pochissimi capelli brizzolati rimasti intorno alla testa ed un paio di baffi folti e bianchi, sotto il naso importante, accolse i due italiani a braccia aperte, esibendosi in un ottimo italiano, nonostante il forte accento slavo.
«E lei deve essere il direttore.» Lovino strinse la mano all’uomo dal sorriso magnanimo, ma provò solo disgusto nell’osservare i suoi abiti che, nonostante fossero eleganti, parevano logori e vecchi.
«Venite, vi faccio fare un giro dell’istituto!»
Istituto o prigione?
Lovino aveva già notato quanto fosse stretto il corridoio principale, con l’intonaco bianco ingiallito dal tempo, le tubature metalliche a tratti scoperte, a causa di alcune crepe fin troppo profonde.
Lui e Feliciano si erano organizzati per bene, e dalla decisione presa la domenica, erano riusciti a costruire una piccola tabella di marcia, per poi partire per Minsk il mercoledì mattina, molto presto, in modo da arrivare lì di pomeriggio ed incontrare i bambini.
Tutto il resto dell’istituto, comunque, si presentava da sé: ogni cosa era stata abbellita e migliorata per l’occasione, per la visita di due aspiranti genitori, ed era evidente.
Certo, avevano tutto: stanze, mensa, aule di informatica e tematica, un giardino ben curato in cui i bambini potevano giocare, bagni tirati a lucido, ma chi gli assicurava che quelle stanze non rimanessero sovraffollate e soffocanti per tutto l’anno? Che quella mensa non avesse del cibo orrendo e di scarsissima qualità? Che quelle aule non stessero cadendo a pezzi e che non fossero fornite neppure di Internet? Che quel giardino ben curato non fosse in verità utilizzato solo dal personale, e che quei bagni non fossero sempre sporchi e venissero ripuliti solo per far buona impressione agli esterni?
Lovino storse il naso a quel pensiero, e proprio in quel momento, il direttore, si voltò verso di loro con un sorriso sornione.
«Direi che possiamo andare dai bambini.»
Ed allungò improvvisamente il passo, ma tornò a fermarsi poco dopo, con un’espressione confusa in volto.
Il meridionale la notò subito, e non poté che capire: guai in arrivo.
«Sa, è un po’ emozionata all’idea di vedere i bambini!» calcò quella frase con una risata nervosa, e Feliciano rivolse subito un’occhiata ad entrambi: che credeva Lovino? Non era facile starsene con le lenti scure in un posto chiuso, con quella lunga parrucca castana a pizzicargli le guance appena tinte di cipria, stretta sotto al fazzoletto bianco ad adornargli la testa. Per non parlare di quel vestito a balze bianche e rosate, lungo fin oltre alle ginocchia, che Lovino gli aveva quasi infilato con la forza.
Lovino si atteggiava da boss della situazione, ma era logico: a lui non era toccata la parte della moglie.
Per fortuna, per ciò che riguardava le scarpe, il Signor Vargas aveva optato per delle ballerine semplicissime: con i tacchi la copertura sarebbe certamente saltata.
« È una gran bella donna, me lo lasci dire.
Magari un po’ alta e troppo riservata, ma una gran bella donna.»
Il direttore annuì convinto, tornando poi sui suoi passi, lasciandosi alle spalle un italiano piuttosto sconcertato, che subito andò a ripescare con uno strattone la sua attuale signora, impegnata a sbirciare oltre una porta.
«Feliciano, per favore, già stai attirando l’attenzione con il tuo silenzio, vedi di non fare qualche cazzata …»
«Volevo solo salutare quei bambini, ora che sono arrivata fino a qui penso sia mio diritto-»
«Ma senti come ti sei calato bene nella parte, ora parli pure al femminile …
Bah, comunque che credi? Questi bambini non sapranno una parola di italiano!»
Quando il direttore udì quelle parole, non poté che voltarsi ed ammonire il meridionale.
«Molti italiani vengono qui, e molti dei nostri bambini sanno coniugare perfettamente i verbi nella vostra lingua, perché gli insegniamo regolarmente l’italiano.
Hanno perfino un’insegnante madrelingua. Dovessero esserci problemi nella comunicazione fra voi ed il vostro bambino, o la vostra bambina, potreste perfino chiedere aiuto a lei.»
Lovino rimase in silenzio, alquanto innervosito dal fatto che il direttore avesse appena demolito la sua sicurezza, ma se il bambino che avrebbero adottato sapeva già un po’ di italiano, era comunque una scocciatura in meno per loro.
Fu qualcun altro che parlò al posto suo.
«Veh~ allora potrò parlarci senza problemi~?»
Il direttore si immobilizzò davanti alla porta, aggrottando appena la fronte, mentre Lovino sembrò incenerire con lo sguardo quell’idiota di suo fratello, che con vestito e parrucca pareva ancora più scemo, ora che aveva trovato il coraggio di guardarlo meglio.
«Ovviamente.
Vi lascio soli con loro ora, sono infondo al corridoio, nell’ultima stanza a destra.»
«Grazie.
Vieni id- eh-! Vieni tesoro, andiamo a vedere i bambini!» e il meridionale non poté che stringere i denti, spalleggiato dal minore, nella speranza che quella penosa messa in scena stesse andando in porto.

«Sei proprio un idiota!»
«D-dovevo dire qualcosa, Lovi!»
«Potevi limitarti a versetti idioti, non a quello, ca-»
«Lovino, non davanti ai bambini!»
Quando il settentrionale pronunciò quella frase, le parole, anzi, le parolacce, morirono sulle labbra del meridionale, che deglutì appena, quasi come se si trovasse davanti ad un giudice penitenziario, piuttosto che ad un branco di bambini fra i cinque e i sei anni, solamente desiderosi di affetto.
Per loro veder già litigare due possibili genitori non doveva essere stato molto piacevole, visto che se ne stavano raccolti timidamente in gruppo ad osservarli intimoriti.
«Mhpf, guarda quante testoline bionde, ricordano tanto i crucchi, di certo non avrai problemi a scegliere, eh?» il maggiore rivolse un acido commento al fratello, che però, senza dargli ascolto, si era già avvicinato ai bambini, alcuni dei quali avevano già iniziato a ridere e tirargli le balze del vestito.
Era ovvio che Feliciano fosse quello più adatto ad avvicinare i poppanti, quindi il meridionale avrebbe lasciato la scelta finale a lui, perché in quanto a Lovino Vargas il “saperci fare con i bambini” non era nel suo DNA, e probabilmente non ci sarebbe mai stato.
Mentre Feliciano se ne stava chinato a ridere, in mezzo a quelle testoline bionde piene di brio e voglia di affetto, Lovino se ne rimase con la schiena aderente alla porta, senza osservare alcun punto preciso nella stanza: si sentiva quasi soffocare.
Un bambino.
Era pur sempre una decisione importante, e per quanto Feliciano fosse affettuoso e potesse donargli amore, non avevano esperienza, e lui, invece, non sarebbe mai stato all’altezza di nulla, neppure dell’affetto.
D’un tratto, però, notò qualcosa, o meglio qualcuno, che gli ricordò terribilmente un bambino brontolone ed ozioso, separato dal fratello fin dall’infanzia, e cresciuto da una persona che non era né una madre, né un padre.
Aveva i capelli un po’ più lunghi delle altre bambine, lisci, probabilmente ben pettinati per l’occasione, e di un bianco argenteo, se ne stava girata di spalle ad osservare la piccola finestrella presente nella stanza, e ora che Lovino le si avvicinava, poteva notare il vestito di pizzo bianco e quel grande fiocco lilla fra i capelli, a tenere giù la frangetta sottile e precisa.
Nessun biondo cenere, nessun biondo paglierino, grazie a Dio.
Era completamente diversa da tutti gli altri: non era in cerca di affetto, non era minimamente incuriosita dalla loro visita, ne si stava facendo due risate attaccata al vestito di Feliciano.
Il meridionale trovò un po’ di coraggio e si sedette vicino a lei.
Era probabile che fosse sfigato e che quella lì non sapesse per davvero una parola di italiano, visto che per un po’, fra loro, vi fu solo silenzio.
«Sono proprio degli idioti se pensano di trovare l’amore così facilmente.» e invece no. L’italiano lo sapeva, e anche bene.
Lovino le rivolse una rapida occhiata, vedendola gonfiare appena le guance, evidentemente imbronciata.
«E voi anche. Siete degli idioti se pensate di farla franca, si vede che siete due uomini.»
«Eh-?» il meridionale rimase senza parole, poi scosse appena la testa, come a volersi riprendere: scoperti da una bambina alta come un nano da giardino.
«Come-?»
«I peli.» le labbra rosee della piccoletta si contrassero in una smorfia, mentre alzava appena il braccio sinistro e si indicava sotto l’ascella.
Lovino sospirò innervosito: avrebbe pensato dopo a sgridare la sua moglie pelosa.

«Piuttosto, come ti chiami?» lasciatosi alle spalle l’imbarazzo di essere stato scoperto, le pose quella domanda cercando di mantenere la calma: se li aveva scoperti un’insignificante bambina, allora il direttore …?
La bambina alzò le spalle, continuando a guardare la finestra «mi chiamano tutti “Bielaje”, per via dei capelli e della pelle.»
«Bel nome di merda.»
Lo vide alzarsi, ed allontanarsi subito: che problema aveva? Voleva dire “bianca”, era un normalissimo nomignolo.
Normalissimo, anche se lei non lo aveva mai sentito suo.
Quando sentì la porta della stanza chiudersi, la sua testolina, parve scattare in avanti, e a capo chino, ancora imbronciata, si ritrovò a pensare che anche questa volta nessuno avrebbe accettato di volerle bene.

«Come si chiama la bambina con i capelli più lunghi e più chiari?»
Il direttore alzò appena il capo, aggrottando la fronte confuso.
«Bielaje?»
«Sì, lo so che la chiamate Bi- così, ma voglio sapere il suo nome vero.»
«Cosa? Le ha parlato?» il direttore parve piuttosto sorpreso, e dopo qualche attimo aprì uno dei cassetti della scrivania, cercando con le dita tozze fra gli archivi giallastri.
«Allora, suo padre è morto di overdose quando la madre era al terzo mese di gravidanza, in quanto a questa, aveva problemi con l’alcool ed è morta qualche giorno dopo la sua nascita, teoricamente il suo nome è … ah, eccolo qui.» il direttore estrasse un foglio ingiallito, adagiandolo sulla superficie della grossa scrivania «Natasha.»
«Mh, grazie.» Lovino fece per uscire, quando il direttore lo chiamò.
«Signor Vargas, non penserà di adottare quella lì, eh? È una peste, e non parla con nessuno …»
«Con me ci ha parlato.» e senza rivolgere più attenzione al direttore, si congedò.

Quando l’italiano tornò a sedersi vicino a lei, sobbalzò appena: come mai era tornato indietro?
«… Ti piace “Natalia”?»
La bambina gli rivolse un’occhiata inespressiva «se non hai niente di meglio da proporre …»
«Lovi?» Feliciano si avvicinò ai due, sorridendo e subito salutando la bambina con la mano «sono tutti così carini …» quando però vide la piccoletta voltare il viso paffuto dall’altra parte, senza che ricambiasse il suo saluto, aggrottò appena la fronte «veh, tranne lei-»
Pareva perfino esserci rimasto male, Feliciano.
«Probabilmente le fai paura.»
«Eh? M-ma-»
«Ti avevo detto di fare la ceretta da tutte le parti.» il maggiore parve incenerirlo con lo sguardo.
«Ma fa male!»
«Beh, vedi di stare fermo con le braccia, idiota.»
Sentendo quella bizzarra conversazione, Natalia, era confusa, sì, ma pensò che quei due, in verità, dovessero volersi un gran bene, e non importava davvero che fossero due uomini, due donne, o un uomo ed una donna: voleva solo che qualcuno la portasse via di lì, anche solo per un giorno.
Lovino si alzò nuovamente e, seguito dal fratello, lasciò la stanza.
«Allora?»
«Me lo devi dire tu, Lovi.»
«In che senso?» si fermarono a metà corridoio, comprendendo ci fosse ancora molto da discutere, prima di comunicare la loro decisione al direttore.
«Nel senso che … è la prima volta che ti vedo parlare con un bambino.»
«Sì, ma quella lì non è tenera e dolce come vuoi tu.»
«Non lo è perché forse è più timida degli altri. Lo diventerà quando ci conoscerà meglio, veh~»
Lovino doveva cogliere al volo quell’occasione: effettivamente, quella piccoletta, gli sembrava la cosa migliore dentro quella stanza, l’ideale che potesse capitargli, e non poté che costringere nelle mani del fratello tutti i documenti, falsi e non, per concludere l’accordo.
«Vai. Chiedi di Natasha.
Intanto io vado a prenderla.»
E mentre dava le spalle al fratello, tornando verso la stanzetta, pregò che quei documenti falsi, quel plico di menzogne fra le braccia della sua signora pelosa, bastasse per convincere il direttore.
Probabilmente sì: chissà perché aveva l’impressione che bastasse pagare per portare un bambino via di lì. Non importava chi fossi tu, ma quante banconote potevi sborsare.

«Ehi peste, vieni qua!»
Stava parlando con lei?
La bambina si voltò confusa, e quando vide l’italiano farle cenno di raggiungerlo, sulla porta, si alzò e lo raggiunse in un attimo: era umiliante anche per lei, aver detto che trovare l’amore era impossibile, ma inseguirla così, non appena le era stata data occasione di ottenerne almeno un po’.
«Avete scelto me?»
«Dispiaciuta?»
No, per niente.
Quando l’italiano la prese -molto poco delicatamente- fra le braccia e se la mise in spalla quasi più come fosse un sacco di patate, la bambina si ritrovò subito a scalciare «s-sì! Non mi piacete!
Non mi piacete per niente!»
Lovino doveva redigere una piccola rettifica nella sua testa: che sapessero bene l’italiano, era soltanto uno svantaggio per le sue orecchie.

«Lei è proprio una bella signora, sa?»
«A-ahn-» Feliciano balbettò appena, spiazzato dai complimenti evasivi del direttore.
«Già, è proprio una bella signora, ma non dimentichi che è sposata.»
«Oh! Ci ha interrotto sul più bello! Ahah!» il direttore rise nervosamente, incalzato dal meridionale.
«Quanto starete qui? Siete in albergo?»
«Sì, fra una settimana gliela riporteremo.»
Sapevano bene quanto fossero lunghe le fasi burocratiche: per ora la bambina poteva rimanere con loro solo per pochi giorni e in occasione delle festività.
«Che nome metto?»
«Natalia-!»
Tutte e tre si sorpresero di quel bofonchiare oltre la spalla del Signor Vargas, e il direttore annuì attonito.
«Allora ci vediamo fra una settimana.
Arrivederci!»
«Arrivederci.»
Natalia, ovviamente, se ne rimase in silenzio, e anche Feliciano, che si limitò ad afferrare velocemente i documenti, sotto lo sguardo confuso del direttore.
«Ah sì, se prima era emozionata, ora è sul punto di commuoversi, non si preoccupi!» e ricambiò le parole di Lovino con un sorriso magnanimo.

«Bella signora tua sorella, brutto coglione.»
Non appena furono sul vialetto di ghiaia che collegava l’entrata dell’istituto al cancello nero, il meridionale brontolò nervoso.
«Lovino, calmati.»
«Ah! Calmati un cazzo!»

La piccola bielorussa aveva già capito una cosa: avrebbe imparato tante belle parole, visto che almeno la metà di quelle che uscivano dalla bocca del meridionale le erano totalmente sconosciute.


E dopotutto, il nome che Lovino le aveva dato, le piaceva davvero.
   
 
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