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Autore: TheLastPhoenix    01/08/2012    3 recensioni
Cosa sarebbe successo se Katniss Everdeen non avesse avuto la possibilità di impedire a sua sorella, Primrose, di partecipare ai 74° Hunger Games?
Come cambierebbe il destino della Ghiandaia Imitatrice priva dei segni indelebili dei giochi della fame e dell'affetto del ragazzo del pane?
Come cambierebbe il futuro dei 12 Distretti di Panem?
Una storia raccontata dagli occhi di Peeta nell'arena degli Hunger Games e da quelli di Katniss nel Distretto 12.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Primrose Everdeen, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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CAPITOLO 5 - Katniss

Cammino tra le vie del Distretto 12 senza sapere dove sto andando. Nella testa rivivo gli ultimi istanti passati con Prim e il ragazzo del pane. I loro volti e le loro voci si susseguono in continuazione senza mai fermarsi. Cammino pensando solo a loro, isolandomi completamente da ciò che mi circonda. All’improvviso calpesto qualcosa di morbido che scompare subito da sotto i miei piedi facendomi cadere a terra. Mi guardo attorno confusa come se mi fossi risvegliata violentemente da un incubo. Vengo colta dal panico quando non capisco subito dove mi trovo, ma lentamente riconosco le rozze case del Giacimento ricoperte dalla loro solita patina di cenere. Senza volerlo sono arrivata fino a casa e scopro che la cosa che mi ha fatto inciampare è Ranuncolo. Lo vedo a pochi passi da me, con una smorfia di dolore sul suo muso, soffiarmi contro per poi scomparire in mezzo ad uno dei cespugli ai lati della strada. Decido che è arrivato il momento di sbarazzarmi definitivamente di quel gatto rognoso. Mi rialzo e mentre raggiungo il punto in cui è sparita quella bestiaccia vengo attirata da uno strano rumore provenire da dentro casa. Qualcuno sta piangendo. Sento il suo respiro farsi sempre più corto, rotto da piccoli singhiozzi ripetuti. Immediatamente ripenso alle notti in cui venivo svegliata da quel singhiozzare e capisco subito chi è che sta piangendo.
    — Prim — urlo correndo verso la porta. Forse mi sono svegliata veramente da un incubo? Forse mi sta aspettando! Afferro la maniglia, ma non faccio in tempo a girarla che la porta si apre da sola. Non è lei. Vedere mia madre comparire mi stringe il cuore. Prim è andata via per sempre. Accetta la realtà. Mi ripeto nella testa, ma senza effetto. Sento tutto il dolore accumulato fino ad ora uscire fuori senza che possa fare niente per fermarlo. Incomincio a correre via verso l’unico posto in cui posso essere me stessa, i boschi. Non voglio che qualcuno mi veda in questo stato. Sento la voce di mia madre chiamarmi, mi dice di tornare indietro. Come potrei vivere in quella casa piena di ricordi amari?
Immersa nel silenzio degli alberi verso le mie lacrime, urlando la mia sofferenza. Oltre a Prim penso a mio padre. É come ritornare indietro nel tempo. Riprovo lo stesso senso di solitudine, ma ora fa più male sapendo che tutto quello che ho fatto per proteggerla è stato inutile. Sapendo che forse era destino che rimanessi per sempre sola. Il mio sguardo si posa sulle bende tinte di rosso del sangue delle gamba destra. Sento nella mia testa risuonare la risata sgradevole del Pacificatore di guardia al Palazzo di Giustizia. Ride di me e di quella ferita che non mi ha permesso di salvare Prim. Colma di rabbia incomincio a colpirla con i pugni come se potesse far smettere quella voce arrogante, ma questa si fa sempre più forte fino a trasformarsi in una risata sibilante con lo stesso accento di Effie Trinket. Ora sento gli abitanti di Capitol City ridere del mio dolore fino a farmi male la testa.
    — BASTA — urlo disperata tappandomi le orecchie con le mani pieni di sangue. Il bosco prende improvvisamente vita, con conigli e scoiattoli che scappano via nelle tane spaventanti dal mio grido, per poi tornare il silenzio tra gli alberi e per sino nella mia testa.
Le ore passano lentamente e quando arriva il tramonto ho smesso da un bel po di versare lacrime. D’istinto mi alzo e incomincio a dirigermi verso casa, ma l’idea di vivere il resto della mia vita senza Prim mi stringe il cuore. Passerà, mi dico nella testa. So che la sofferenza passerà con il tempo, ma non voglio dimenticare. Non voglio che il suo viso scompaia come quello di mio padre. Cambio direzione e mi dirigo verso valle. A sole già inoltrato raggiungo uno dei posti preferiti da mio padre quand'era ancora vivo, un lago immerso nei boschi con un piccola costruzione in cemento, ancora in piedi da diverso tempo, vicino alla riva. Mi avvicino alle sponde sabbiose, tolgo lo stivale della gamba destra e la immergo per intero provando un leggero sollievo quando la ferita viene a contatto con l’acqua fresca. Sciacquo via dalle mani il sangue che nel frattempo si è seccato per poi lavarmi dal viso le lacrime piante. Con il calar della notte il dolore si attenua. Non curante degli animali feroci rimango sulla riva accovacciata, con le gambe strette al busto, a fissare il chiarore della luna sul lago senza pensare a nulla. Lentamente sento le palpebre farsi sempre più pesanti fino a quando cedo alla stanchezza e mi addormento con la testa appoggiata sulle ginocchia. Prima di lasciarmi andare completamente ripenso al ragazzo del pane e al suo bacio, arricciando le labbra in cerca di quel calore in questa fresca notte.
Una dolce calura sul viso mi sveglia delicatamente dal mio sonno. Apro debolmente gli occhi, ma li richiudo subito accecata da sole. 
É già mattina inoltrata. A fianco a me noto immediatamente un piccolo cestello, di quelli intrecciati con la paglia, con alcune foglie di quercia in cima a proteggere il suo contenuto. Al suo interno scopro una moltitudine di bacche bluastre accompagnate da un piccola e tiepida pagnotta. Sarà stato Gale a lasciarmelo. Lui è l’unico che conosce questo posto oltre me. Non tornando più a casa, mia madre gli avrà chiesto di cercarmi. Ripenso a come mi sono comportata ieri con lui. Siamo sempre stati una coppia affiatata, pronti ad aiutarci a vicenda e proprio nel momento del bisogno lo scacciato via senza permettergli di aiutarmi. Sono stata stupida a dare la colpa a lui per quello che è successo a Prim. Spero che delle semplici scuse bastino per non perdere il mio compagno di caccia. Ricordandomi solo ora di non aver toccato cibo per un giorno intero inghiotto in pochi istanti le bacche riempiendomi la bocca di polpa fresca. Anche se affamata esamino per qualche istante la pagnotta. Scorro le punta delle dita sulla la superficie rugosa e inspiro affondo il suo profumo.
    — 
É dalla panetteria! — esclamo a bassa voce ripensando a Peeta Mellark. Affondo i denti nel impasto morbido pensando al significato del suo gesto. Non ho mai avuto a che fare con lui dopo quel giorno d’inverno di quattro anno fa. Infatti ieri è stata la prima volta che gli ho rivolto la parola. Allora perché mi ha promesso di proteggere Prim? Perché mi a baciata? Cerco una risposta fino a quando giungo ad un unica spiegazione che mi lascia sorpresa. Forse prova qualcosa per me. Perché mai un ragazzo di città dovrebbe interessarsi ad una ragazza come me? E se anche fosse, perché non ha mai provato a parlarmi? Alla fine decido di non pensarci più visto che ora non ha più importanza. Tra meno di una settimana inizieranno i giochi e quando sarà nell’arena scoprirò veramente le sue intenzioni anche se sarà troppo tardi.
Dopo aver finito il mio pasto scarno slego le bende e controllo le condizioni della ferita. Come pensavo i pugni di ieri hanno peggiorato la situazione. Oltre alla carne non ancora rimarginata è comparso un enorme livido violaceo che mi compre metà gamba. Ripenso a mia madre e al suo sguardo affaticato dopo avermi curata. Sento un pizzico di rancore per essere scappata via all’improvviso. Ieri stava piangendo, sarà ripiombata nello stesso mondo buio di quando morì mio padre? C’è solo un modo per scoprirlo. Rifascio come meglio posso la gamba, raccolgo il fragile cestello e mi dirigo verso il Giacimento.
Raggiungo il Distretto molto lentamente, un po’ per la ferita e un po’ per i miei timori, ma quando arriva il momento mi faccio coraggio ed entro in casa. Nella penombra della cucina vedo mia madre scattare in piedi dalla sedia in cui stava e venirmi subito incontro. Non faccio in tempo a dire nulla che ricevo senza preavviso uno schiaffo sulla guancia destra. Non sono mai stata picchiata da lei e tanto meno da mio padre e per questo la guardo stupita del suo gesto, ma poi noto le borse sotto gli occhi e le rughe marcate sul suo volto. Non sarà riuscita a chiudere occhio stanotte per colpa mia?
    — Scusami. Pensavo di aver perso anche te — dice abbracciandomi forte a sé. Dev'essere stata dura per lei vedersi scomparire due figlie in un unico giorno. Solo ora mi rendo conto di essere solo un’egoista. Non ho creduto in Prim, ho rifiutato l’aiuto di Gale ed ho abbandonato mia madre. Ho deluso tutti quelli a cui tengo.
    — Mi dispiace — dico con un filo di voce sentendomi arrossare gli occhi dai sensi di colpa.
    — Ora è tutto apposto. Ti preparo un bagno e dopo ti controllo la ferita. Ok? — mi dice facendomi un leggero sorriso. Le faccio un cenno con la testa sollevata di vedere che questa volta non si è lasciata.
Nella vecchia tinozza di legno che usiamo come vasca, lavo via dal mio corpo il sudore mischiato al sangue della ferita. Quando vedo mia madre incominciare a lavarmi i capelli la lascio fare sentendo, ora più che mai, il suo bisogno. La gamba, pur essendo peggiorata, necessita solo di qualche giorno di riposo per guarire, mi rassicura mia madre rifasciandomela con delle nuove bende. Mi vieta di sforzarla più del dovuto e di stare a riposo. Sentendomi priva di forze per fare qualsiasi cosa seguo il suo consiglio e, soffocata dal caldo estivo, mi butto sul mio letto. Passo l’intero il pomeriggio creando degli otto sul tessuto rugoso del materasso cadendo in uno stato quasi vegetativo dove l’unica cosa che ti sprona è la voglia di girarmi dall’altra parte. Ci sono alcuni instanti in cui sento la disperazione attanagliarmi facendomi versare qualche lacrima per poi ritornare a fissare il nulla.
Quando arriva la sera vengo aiutata da mia madre a sedermi a tavola, anche se non ho tanta fame. Esamino il mio piatto. Contiene una brodaglia marrone dalla quale spunta qualche foglia di basilico. Non avendo cacciato, questo è il meglio che mia madre ha potuto fare. Dopo qualche cucchiaiata un rumore metallico rompe il silenzio della cucina. All’improvviso la tv si accende da sola come tutte quelle nel Distretto quando siamo costretti a guardarla. L’inno di Panem incomincia a risuonare e sento lo stesso avvenire nelle altre case del Giacimento.
    —
É la sera delle sfilate — mi ricorda mia madre. Me ne ero dimenticata. Oggi i venti quattro tributi di Panem sfileranno per l’intera Capitol City, trainati da cavalli e vestiti per l’occasione dai loro stilisti. Un’immagine di Prim nuda ricoperta di sola cenere mi balena in testa. Spero proprio che il suo stilista non sia amante del nudo, come accaduto qualche anno fa per il Distretto 12. Mi tiro un po’ su di morale e finisco in pochi istanti tutto la cena mentre lo stemma di Panem scopare per lasciare il posto al solito commentatore dei giochi, Cesar Flickerman un uomo sempre sorridente e dalla stravagante capigliatura tinta ogni anno di un diverso colore. La telecamera li passa in rassegna uno ad uno quando escono in strada. Osservo i loro volti pensando che uno di loro potrebbe uccidere tra qualche giorno mia sorella. Vengo attirata dalla ragazza del Distretto 11. Mi ricorda Prim nel suo aspetto minuta e fragile. Purtroppo è stata anche lei vittima degli Hunger Games come mia sorella. All’improvviso un forte boato costringe mia madre ad abbassare la tv e capisco solo dopo alcuni istanti il perché.
    —Quelle sono... fiamme? — esclamo stupita vedendo Prim vestita con un tuta attillata nera adornata da un manto e una corona in fiamme. Leggo sul volto di mia madre il mio stesso senso di sorpresa. Sembra un vestito creato apposta per lei con i suoi capelli biondi e occhi azzurri che risaltano con le sfumature del fuoco che indossa. Lo stesso vale anche per Peeta Mellark. In un primo momento si trova spaesato, ma poi prende confidenza e incomincia a salutare la gente sugli spalti. Vedo rivolgere la parola a Prim, notando solo ora che i due si stringo per mano. Questa non risponde, ma si limita a sorridere. Il suo sorriso fa riaccendere qualcosa dentro di me, qualcosa che pensavo di aver perso quando ho saputo della sua nomina. La voglia di non arrendermi. La trasmissione finisce con il discorso del Presidente Snow e dopo l’inno di Panem la cucina ripiomba nel silenzio. Ora si respira in diverso clima in casa. Aver visto di nuovo Prim ci ha rassicurato un po’ anche se non toglie il fatto che abbia i giorni contati, ma sta notte cerchiamo di dimenticarlo.

Come il resto del Distretto dopo qualche minuto ci ritroviamo ognuna nel proprio letto. Mi addormento ripenso a Prim e alla sua apparizione spettacolare. In mezzo a quella gente ci sarà sicuramente qualche sponsor che possa aiutarla nell'arena. Dato che chiunque può inviare un dono ai tributi nell'arena anche se mi trovo nel Distretto cercherò in tutti i modi aiutarla. Durante la notte mi sveglio e d'istinto cerco Prim alle mie spalle, ma ovviamente non la trovo. Cerco di riprendere sonno, ma senza riuscirci.
    —Non riesci a dormire? la voce di mia madre mi coglie quasi di sorpresa, mi volto verso di lei e le faccio cenno di si con il capo. Vedo farmi gesto di sdraiarmi a fianco a lei. Senza pensarci mi alzo e mi distendo al suo fianco. Ora va meglio. Sento la sua mano delicata sistemarmi i capelli nello stesso modo in cui faceva Prim. Colta dalla stanchezza mi addormento velocemente tra lei sue carezze, consapevole che, pur avendomi portato via mia sorella, oggi ho ritrovato mia madre.

   
 
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