Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Kim WinterNight    02/08/2012    3 recensioni
Grace riuscirà a recuperare un rapporto che sembra ormai concluso per sempre?
Tra una figuraccia e l'altra, la protagonista andrà alla ricerca di un modo per riconquistare la fiducia di un vecchio compagno di giochi.
Leggete e ditemi che ne pensate, mi farebbe piacere.
Grazie!
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Jemy'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Quel giorno faceva tremendamente caldo, poiché l’estate incombeva con tutto il suo furore sul paesino.

Grace Andrews sbuffò e accese il ventilatore, posizionandolo al centro della sua stanza, in modo che lo spostamento d’aria raggiungesse il suo letto accostato alla parete. Si stese e si accorse di non averlo rifatto quella mattina. Certo, era stata troppo impegnata a sfaccendare a destra e a manca, racattando indumenti da piegare e sistemare nei cassetti.

Chiuse gli occhi e pensò a ciò che l’attendava quel pomeriggio. Era da un bel po’ che non vedeva la sua amica Elizabeth e finalmente sarebbero uscite insieme per raccontarsi le novità e farsi due risate.

Grace conosceva Elizabeth dai tempi delle superiori anche se le due non erano mai state in classe insieme, poiché la sua amica era un anno più grande di lei. Perciò le due si limitavano a percorrere insieme i pochi metri che le separavano dalla scuola e spesso Elizabeth la aiutava quando la giornata era troppo grigia per permetterle di camminare autonomamente per strada. La ragazza era stata sempre comprensiva con Grace e questo fece sì che le due legassero tantissimo fin da subito.

Ora stavano per reincontrarsi dopo che Elizabeth era riuscita a passare brillantemente l’ultimo esame del suo secondo anno di università e avrebbero festeggiato l’avvenimento a dovere.

Grace afferrò il cellulare e controllò che ora fosse. Siccome erano circa le diciassette, decise di alzarsi e andare a prepararsi.

Non appena si avviò verso il bagno, sbatté la coscia sullo spigolo del letto e imprecò dal dolore.

Poi scoppiò a ridere.

Ormai si era abituata ad essere ricoperta di lividi a causa della sua malattia e quell’avvenimento era ormai abituale per lei.

Si fece una doccia fresca, si vestì e attese che Elizabeth passasse da lei per uscire.

Quando il campanello suonò, Grace sobbalzò e si diresse all’ingresso per aprire, mentre suo padre cantava a squarciagola sopra le note di una famosissima canzone di Bob Marley.

La ragazza sorrise e aprì, trovandosi di fronte la sua amica che la incitava a raggiungerla.

Grace, come da rituale ogni volta che non si vedevano da tempo, la travolse e la stritolò in un abbraccio da orso che scatenò una richiesta di pietà da parte di Elizabeth.

“Mi stai strozzando!” fece infatti, cercando di ritrarsi.

Grace rise sonoramente e le diede un colpo sul braccio. “Non rompere, non ti va mai bene niente.”

Elizabeth la incenerì con lo sguardo e, sebbene Grace non avesse colto visivamente quel gesto, fu certa che l’avesse compiuto.

“Muoviti” borbottò Elizabeth con tono fintamente irritato.

La padrona di casa afferrò la borsa che aveva posato sul marmo accanto al portone e grido: “Pa’, sto uscendo!”

Intanto Bob Marley cantava ‘Jammin’ e Grace fece lo stesso mentre chiudeva la porta, ricevendo un’altra occhiataccia dalla sua amica, che però sorrideva.

Mentre percorrevano il vialetto che conduceva alla strada, Grace continuava a cantare, incurante di chi potesse sentirla.

La sua amica sollevò gli occhi al cielo e sospirò, per poi ridacchiare. “Sei esaurita, abbiamo capito.”

“Pensa per te” rispose l’altra, ridendo.

Le due rimasero in silenzio per un po’, finché non arrivarono alla fine della via in cui risiedeva la famiglia Andrews.

“Allora, dove andiamo?” domandò Grace, per poi inciampare nel gradino di un marciapiede. Rise e attese la risposta dell’altra ragazza.

“Al parco!” esclamò lei, sicura di sé.

Grace lo sapeva, infatti la domanda era stata più che altro retorica.

Durante il tragitto le due scherzarono e si presero in giro a vicenda, mentre Grace notava l’abbigliamento di Elizabeth, illuminato dal caldo sole del pomeriggio. La ragazza indossava un paio di jeans stretti, una canotta nera abbastanza scollata e un copri spalla azzurro.

“Sei fissata con il blu, eh? Non esci di casa senza qualcosa di blu!” osservò Grace, dandole una manata sulla schiena.

Elizabeth si allontanò da lei e le imprecò contro, mentre lei rideva a crepapelle.

“Sempre delicata Grace” le fece notare l’amica, cercando di massaggiarsi la parte dolente.

“Scusa, scusa!”

Così, tra una battuta e l’altra, circa venti minuti più tardi, raggiunsero il parco comunale e decisero di andare direttamente al chiosco a prendere qualcosa da mangiare e da bere.

Lizzie, cosa prendi?” chiese Grace, appoggiandosi al bancone.

Intanto Elizabeth era intenta a snocciolare con lo sguardo i vari tipi di gelato presenti nel cartello appeso al muro.

“Ditemi!” fece una donna grassoccia dall’interno del bar.

Grace si fece subito avanti. “Una porzione di patatine e una bottiglietta d’acqua naturale. Lizzie?!”

L’altra si avvicinò e indicò alla barista una sorta di granita al caffè.

“Ti chiamo quando sono pronte le patatine. Nome?”

“Grace.”

“Okay, a dopo.”

Dopo aver ritirato il resto, le due andarono a sedersi ad una tavolo di plastica rossa poco distante dal chiosco e Elizabeth cominciava a mangiare il ghiaccio al gusto di caffè.

Grace era impaziente di mangiare le sue patatine perché stava morendo di fame, tuttavia le chiacchiere di Elizabeth riuscirono a distoglierla da quel pensiero.

“Sai, un giorno ero in pullman con delle colleghe ed è salito un ragazzo che si è seduto in un sedile vicino al nostro. Indovina cos’abbiamo fatto?”

Grace fece spallucce. “L’avete salutato?”

“No. Abbiamo fatto commenti sconci su di lui per tutta la durata del viaggio. E pensa che se n’è accorto, visto che sembrava a disagio” raccontò Elizabeth, mescolando la granita ormai sciolta con la cannuccia.

“No, ma dai! Davvero?” gridò Grace, attirando l’attenzione di tutte le persone presenti nei tavoli accanto al loro.

L’amica la ammonì storcendo la bocca e lei poté vederla perfettamente. “Sì, ma non urlare. Poi pensa, abbiamo continuato a fare apprezzamenti anche dopo che lui è sceso. Stavamo ridendo come delle matte.”

Grace rise sonoramente, mentre l’altra ragazza consumava il liquido presente nel suo bicchiere.

“E com’era questo tipo?”

“Carino. Insomma, normale.”

“Normale?”

“Bel fisico, capelli scuri. Gli occhi non li ho visti” spiegò Elizabeth, sistemandosi meglio sulla sedia.

Intanto Grace si guardò intorno cercando di capire se riusciva a riconoscere qualcuno dei suoi compaesani, ma come al solito non ci riuscì. Notò l’abbigliamento di alcune persone, udì le loro voci ma non fu in grado di distinguere i lineamenti dei loro visi, seppur non ci fosse chissà quale distanza tra lei e quella gente.

Vide tre ragazzi avviarsi al chiosco, uno dei quali spiccava per la sua incredibile altezza rispetto agli altri due.

Poco dopo la donna del bar gridò il suo nome, facendo sì che tutti i presenti si accorgessero di lei ed Elizabeth che si dirigevano a ritirare le patatine.

“Ciao” le salutò un ragazzo.

Grace riconobbe in lui lo spilungone che avava intravisto poco prima camminare a pochi metri dal suo tavolo.

Sapeva chi era.

Era Jeremy Pherson, il suo vecchio compagno di giochi, quello che si era allontanato da lei a causa di un suo errore.

Grace rimase interdetta e si sentì sprofondare in un mare di imbarazzo.

“Ciao” risposero lei ed Elizabeth all’unisono.

Poi Grace si allungò per ricevere il cartone dalla barista e fuggì letteralmente a gambe levate da quel luogo.

Lizzie” piagnucolò con un tono che ricordava una bambina di due anni.

L’altra fu irritata da ciò e, scocciata, le chiese: “Che c’è?”

Grace non rispose e le due si andarono a sedere su una panchina di cemento poco distante, accanto ad un gruppo di bambini che sfrecciavano in bicicletta e a piedi, gridando come ossessi.

Lizzie” ripeté, utilizzando sempre lo stesso tono.

“Piantala” tagliò corto la sua amica, irritata, mentre le rubava una patatina.

L’altra prese a mangiare convulsamente, mentre si sentiva ribollire dalla vergogna per essersi ritrovata Jeremy di fronte dopo tutto quel tempo.

Il ragazzo, infatti, non abitava più nel paese, ma si era trasferito in Africa con la famiglia e tornava a trovare i suoi amici e parenti almeno una volta all’anno.

Grace si chiese come mai nessuno le avesse detto che Jeremy era rimpatriato, visto che in quel piccolo centro abitato le voci correvano in fretta, troppo in fretta.

Parlò a Elizabeth della sua sensazione di disagio e del calore che l’aveva pervasa nel vederlo così dannatamente bello, alto e diverso da come l’aveva visto l’ultima volta. E poi la sua voce… calda, profonda. In essa, tuttavia, la ragazza riconobbe il timbro che l’aveva sempre caratterizzata fin dall’infanzia, seppur ormai il ragazzo avesse vent’anni.

“Allora,” attaccò Elizabeth, “sono la dottoressa Elizabeth Carlsson e ora le farò un’analisi psicologica in base a quello che mi ha appena raccontato a proposito di Jer…

Shh!” la ammonì Grace, guardandosi intorno per cercare di capire se lui fosse nei paraggi.

“Tranquilla, non c’è. E’ seduto dall’altra parte del parco con i suoi amici.”

Grace sospirò.

“Dicevo: sono la dottoressa Elizabeth Carlsson e…

Bla, bla, bla, abbiamo capito. Parla!” la interruppe l’altra.

Elizabeth la fulminò con gli occhi, poi si atteggiò a psicologa e assunse un’aria professionale che poco si addiceva al suo viso da bimba troppo cresciuta.

A Grace venne da ridere.

“Secondo me ci sono due opzioni.”

“Ossia?”

“Uno: provi rimorso per il fatto di averlo trattato ingiustamente anni fa e vorresti che le cose fossero andate diversamente.”

L’altra incrociò le gambe, sedendosi di lato sulla panchina. “Mmh… non so, forse…

“Due: hai sempre avuto una cotta per lui e l’hai inconsciamente repressa.”

“Cosa?” strillò Grace, sgranando gli occhi.

Elizabeth disse: “Potrebbe essere, no?”

“No!” gridò ancora l’altra, mentre si sentiva nascere sulle labbra un sorriso idiota ed ebete che lasciava poco all’immaginazione.

“Guarda che su quel sorriso voglio il copyright, l’ho inventato io quando credevo che ‘tu-sai-chi’ non mi piacesse” le fece notare Elizabeth, ridacchiando.

Grace le colpì un braccio e lei gemette dal dolore.

“Te lo meriti, stronza.”

Le due ragazze continuarono a fare congettive sul motivo della reaziono di Grace nell’aver visto Jeremy, finché non decisero di avviarsi verso casa.

“Prima di rientrare passiamo sotto casa sua?” propose Grace, saltellando sul marciapiede con fare demenziale.

“Cosa? Ma tu sei fuori di testa!” la apostrofò Elizabeth, mentre si fermava per levarsi un sassolino dal sandalo.

“Ti prego!”

Il tono di Grace fece irritare ancora la sua amica, poiché era sempre il solito da bambina stupida che lei odiava.

Uff, e va bene. Che palle che sei” borbottò.

Grace esultò e le due continuarono a camminare tra una battuta e l’altra.

Una volta giunte all’inizio della via in cui i Pherson venivano a stare durante le loro brevi rimpatriate, le due ragazze rallentarono senza smettere di parlare.

“Il benessere si trova dove mi trovo io” vaneggiò Grace, con tono solenne.

Stavano facendo un discorso sulle condizioni sociali e lavorative, ma le due non riuscivano comunque ad essere del tutto serie.

Elizabeth infatti rise. “E questa cos’era, una massima di qualche filosofo squattrinato?” fece con tono ironico, sghignazzando.

Intanto erano appena entrati nel raggio di casa Pherson, che rimaneva direttamente sulla strada e aveva un giardino nella parte posteriore.

“No, Lizzie, è il mio nuovo slogan di libertà.”

Elizabeth rise e prese a stappare una bottiglietta d’acqua che aveva comprato al parco prima che se ne andassero.

In quel momento Grace udì la profonda e calda voce di Jeremy provenire dal passaggio che collegava il giardino alla strada.

Sobbalzò e d’istinto colpì con il dorso della mano un punto appena sotto le costole di Elizabeth che, avendo iniziato poco prima a bere, sputacchiò l’acqua che le andò di traverso.

“Maledetta acqua!” imprecò, tossicchiando mentre Grace era balzata in avanti e stava praticamente andando in iperventilazione.

“Oddio, oddio, oddio!” continuava a ripetere, cercando di camminare il più possibile sul ciglio della strada, per evitare di finire sotto ad una macchina.

“Ma sei scema?” la rimproverò Elizabeth, raggiungendola.

Lizzie!” fece lei con il tono che la sua amica cominciava a detestare all’inverosimile.

“Piantala! Ricordati che so come ucciderti senza lasciare tracce.”

“Solo perché hai seguito medicina legale non credere di poterti liberare così facilmente di me!” Detto questo, Grace prese sotto braccio Elizabeth mentre si accorgeva che la luce del sole stava pian piano diventando scarsa.

Poi scoppio a ridere ripensando alla scena che lei e la sua amica avevano appena vissuto. Non riuscì a fermarsi e rise finché non giunsero ad una piccola piazzetta vicino a casa Andrews.

Rimasero un po’ là sedute, mentre Grace si domandava se Jeremy avesse visto o sentito qualcosa, ma non se ne preoccupò troppo. Quel pomeriggio era stato divertentissimo ed era solo questo che contava.

Ad un certo punto una macchina si fermò per qualche minuto là vicino e Grace gridò: “Alborosie!” Diede un ceffone sul braccio destro di Elizabeth che cominciò a lanciarle ogni tipo di imprecazione, mentre controllava se le fosse rimasto qualche livido.

“Ma sei cre…

“Quel tizio in macchina aveva una canzone di Alborosie! Te ne rendi conto?” continuò a strillare, agitandosi in maniera eccessiva.

Elizabeth non la stava a sentire e continuava ad esaminarsi il braccio.

Lizzie, devo scoprire chi è che ascolta Alborosie in paese!”

“Ma smettila, sei una deficiente! Mi hai fatto male!”

Ma… Alborosie!”

L’altra ragazza sospirò e si alzò. “Andiamo, ti accompagno a casa.”

Così le due si avviarono e Grace si appoggiò nuovamente alla sua amica.

“Allora ciao, ci sentiamo.”

“Ciao Lizzie, grazie. Mi sono divertita.”

“Anche io” disse l’altra, sorridendo, per poi avviarsi verso casa sua.

Quando Grace si richiuse la porta alle spalle, fu certa che non si sarebbe facilmente dimenticata di quella serata con Elizabeth.

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Kim WinterNight