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Autore: Lue    02/08/2012    3 recensioni
E sapevo benissimo di sembrare un idiota, con gli occhi spalancati, e le lacrime che scendevano e avrei voluto darmi un contegno perché ero un soldato, ma rimasi a bocca aperta, spaccato a metà tra la voglia di prenderlo a calci in culo fino ad ammazzarlo, e quella di sfiorargli gli zigomi e il collo e chiedergli dove sei stato e stringerlo a me per sempre.
Mi asciugai goffamente gli occhi con il dorso della mano, e ad un tratto mi sentii terribilmente piccolo e goffo nella mia vestaglia di lana.
Gli feci cenno di entrare e la porta si chiuse alle nostre spalle con un colpo secco.
Fuori aveva smesso di grandinare. Ma il bambino aveva iniziato a piangere.
“Shh, Hamish, stai buono”.
[Johnlock]
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes , Sig.ra Hudson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quello che non ti ho detto mai



"And I can't fight this feeling anymore
I've forgotten what I started fighting for
It's time to bring this ship into the shore
And throw away the oars, forever"
[Can't stop this feeling - Reo Speedwagon]

 

C’erano moltissime cose da fare, e sapevo di non poter pensare a me stesso ora che c’era un bambino di mezzo.
Se da una parte era impossibile associare Sherlock alla parola “padre”, dall’altra avevo la prova davanti ai miei occhi. E, voglio dire, era un bambino adorabile. Era sveglio e sapeva già dire qualche parola, capiva quando doveva andare in bagno e ci chiamava subito. La cosa strana era che usava lo stesso nome per entrambi: “Pa’”, anche se era evidente che fossi io quello di troppo. Mi costava ammetterlo, perché Sherlock non se lo meritava, ma era passata una settimana ed ero felice come non succedeva da tre anni. Sembravamo una famiglia.
Che pensiero sciocco, me lo levai dalla testa mentre Hamish cominciava a borbottare in una lingua incomprensibile, stringendosi al petto il teschio faticosamente conquistato.
Sherlock si sedette sulla poltrona di fronte a noi.
“Mycroft dice che è tutto pronto. Possiamo uscire”.
Negli ultimi due anni, da quando Mycroft era venuto a conoscenza della situazione, aveva lavorato parecchio: aveva individuato e eliminato i sicari assunti da Moriarty e altri elementi che sarebbero risultati pericolosi. Era stato meno difficile di quanto pensasse, stando a come diceva lui, perché coloro che erano stati fedeli a Moriarty erano stati spinti dalla paura più che dalla lealtà nei suoi confronti, e dopo la sua morte non avevano avuto alcuna ragione per perseguire il suo (insano) progetto.
“Beh, Mycroft ci ha messo due anni a capirlo, nonostante io abbia cercato di spiegarglielo più volte. Voleva essere certo che voi tutti foste al sicuro prima di fare qualcosa”, Sherlock abbassò la voce, “Questo è il motivo per cui non ti ho contattato, John. Stavo aspettando. Ma forse ho aspettato un po’ troppo”, abbozzò un sorriso timido.
Io alzai le spalle perché non volevo, e non potevo, dargli la soddisfazione di un perdono così immediato. Ma sfuggì un sorriso anche a me.
 
Il primo passo fu preparare la gente al ritorno di Sherlock senza suscitare l’assalto dei media e a questo proposito Mycroft si occupò personalmente di informare coloro che erano stati più vicini a me e a Sherlock.
Alcuni di loro (non più di quattro o cinque in realtà, compresi Lestrade e Mrs Hudson) accorsero a casa mia a trovarlo. Mrs Hudson si presentò una mattina, di buon’ora, trepidante e commossa. Gettò le braccia al collo di Sherlock, e guardò sorpresa me e Hamish che giocavamo sul divano con un coniglio di pezza.
“È suo figlio” dissi subito, perché non pensasse che eravamo tornati al lavoro rapendo un bambino.
Lo sguardo, dopo un attimo di stuporoso sgomento, che Mrs Hudson riservò a me e a Sherlock, ecco, mi colse di sorpresa. Era come se stesse cercando di rimproverare lui e volesse al contempo abbracciare me. Ero sicuro che non fosse sfuggito a Sherlock, e così concentrai l’attenzione su Hamish, colto di sorpresa dall’arrivo di Mrs Hudson. Strinse le dita al mio maglione e mi guardò incerto prima di lasciarsi andare tra le braccia protese della nostra antica padrona di casa.
“Pa’?”, mi sussurrò. Davanti ai suoi occhi chiari, mi si scaldò il cuore. Annuii, lasciando che Mrs Hudson lo prendesse tra le braccia.
“Somiglia a tutti e due però!”, commentò lei, accarezzandogli i capelli neri.
Sherlock alzò gli occhi al cielo e io ridacchiai.
“Per l’amor del cielo, Mrs Hudson, come può affermare che Hamish assomiglia a John quando…”.
“Lo so bene”, lo zittì lei, “che non può essere anche suo figlio. Ma ha… qualcosa, sembra più… ragionevole di te, Sherlock, mio caro”, decretò pensierosa.
Lui sbuffò.
“Ad ogni modo, presto anche tu, John, sarai suo padre a tutti gli effetti. Lì sul tavolo”, indicò un plico di fogli, “Ci sono i moduli per richiedere l’adozione di Hamish anche da parte tua…”.
Prego?”, mi strozzai con la mia stessa saliva dalla sorpresa.
“Ti chiama papà”, disse Sherlock con ovvietà, mentre io, paonazzo, cercavo di riprendermi dall’attacco di tosse, “E non può avere solo me come genitore. Se mi succedesse qualcosa?”.
“Ma così”, la mia voce era ancora roca, “Sembreremo una… famiglia”.
“Ma è quello che siete”, si intromise Mrs Hudson sorridendo e mostrandoci come Hamish le si era accoccolato addosso, addormentandosi.
Io lo presi in braccio e lo portai nel lettino. Rimasi a guardarlo per un po’. Mio figlio.
 
“Prepara la tua roba, John, domattina torniamo al 221B!”, esclamò Sherlock, appena Mrs Hudson se ne fu andata.
Io rimasi a fissarlo.
“Sherlock… no”, mi sedetti sul divano, “Tutto questo è… troppo. Il tuo ritorno, è successo tutto così in fretta che non mi sembra neanche vero!”.
“Non vuoi tornare in Baker Street con me?”, mormorò, colto di sorpresa.
“Certo che voglio…”.
“Ma?”, mi interruppe, “Qual è il problema?”.
“Ma non te lo meriti”, dissi tutto d’un fiato.
Lui alzò gli occhi al cielo in un riflesso incondizionato e si sedette sulla poltrona di fronte a me.
“Torniamo ancora qui?”, mi guardò negli occhi, “Ho fatto uno… sbaglio”, quella parola doveva essergli costata uno sforzo immane, “Mi dispiace di non averti contattato e di averti fatto soffrire, ma non posso più farci niente”.
“Non è per quello!”, esclamai esasperato, “Voglio dire, è anche per quello, naturalmente, ma tu hai fatto un figlio con quella donna, mentre io…”, la frase mi morì in gola mentre un lampo di comprensione attraversava gli occhi di Sherlock in un’espressione che avevo imparato a riconoscere.
“John…”.
“No, Sherlock, lascia perdere…”, mi alzai.
John”, si alzò anche lui e mi guardò negli occhi, “Ho bisogno che tu venga a Baker Street con me e Hamish, a vivere con noi. Come ho avuto bisogno di te ogni giorno da quando me ne sono andato. Pensaci su, posso dire a Mrsh Hudson di aspettare”, si fermò un secondo, “Vado a vedere come sta Hamish”, e si diresse verso la mia camera, dove avevamo sistemato il lettino.
E io pensai. Pensai tutto il pomeriggio e tutta la notte, ritrovandomi la mattina dopo stordito dal sonno. Ma continuai a pensare, pensai mentre salutavo Sherlock e Hamish prima di andare al lavoro, e mentre aspettavo la metropolitana e ogni volta che bevevo un caffè nelle pause.
Mi presi il tempo che io stesso mi ero negato da quando Sherlock era tornato, il tempo necessario per… capire. Mi chiesi se quello che credevo di provare per Sherlock derivasse semplicemente dal fatto che avevo pensato di averlo perduto per sempre, e la risposta arrivò immediata: no, non dipendeva da quello, era qualcosa i più profondo e radicato dentro di me. Dal momento in cui avevo creduto di non poterlo vedere mai più e avevo ammesso a me stesso di provare qualcosa di più che semplice amicizia non potevo tornare indietro, non potevo ignorare la rabbia ogni volta che pensavo che Sherlock era stato a letto con quella donna, e non potevo fingere di non avvertire un peso sullo stomaco ogni volta che mi chiedevo se lui l’avesse mai amata e voluta. Solo verso la fine della giornata, dopo l’ennesimo caffè, riuscii a sbrogliare il gomitolo che era diventata la mia vita. Rimanevano i due capi di un filo lunghissimo: l’inizio e la fine, restare o andare, osare o… Oppure? Qual era l’alternativa? Continuare a fingere, mesi, anni, e perderlo di nuovo con la consapevolezza che questa volta davvero non sarebbe tornato, e sapere che la colpa era stata solo mia, mia e della mia codardia, se non ero riuscito a realizzare nemmeno uno dei futuri che avevo sognato per noi?
No. Avevo rischiato di morire, tante volte, per portare in salvo dei compagni di reggimento, potevo benissimo sopportare l’idea di un rifiuto da parte di Sherlock.
Forse.






______




ciaaao a tutti! sono tornata!
non ci saranno più ritardi con l'aggiornamento, promesso :)
al prossimo (e ultimo) capitolo!
baci, Lu

   
 
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