Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Eryca    02/08/2012    5 recensioni
Era colpevole di aver donato tutta la sua anima alla musica.
Non c’era persona più colpevole di lei.
Era colpevole anche in quel momento, mentre tutti sapevano ciò che stava per accadere, ma nessuno aveva il coraggio di dire nulla o muovere anche solo un muscolo.
C’era musica nell’aria, lei la sentiva.
Loro la sentivano.
Vita.

****
C'è Anne, con i suoi demoni del passato e la sua maschera perenne. Ha un sogno.
C'è Davide, con la sua purezza d'animo. Ha un sogno.
C'è Matteo, con la sua spavalderia e il suo disinteresse. Ha un sogno.
C'è Riccardo, con le sue dipendenze, le sue paure e le sue bugie. Ha un sogno.
Un sogno.
Hanno tutti lo stesso sogno.
La musica.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

7.

Perdersi

 

 

 

 

 

They know how to break all the girls

Like you

And they rob the souls of the girls

Like you

And they break the hearts of the girls

 

 

Hole – “Awful”

 

 

 

 

 

 

 

Non aveva bisogno di un uomo.

Poteva sentirsi donna anche senza un essere del genere opposto, che non sarebbe servito a nulla, se non a procurarle una serie di fastidi sui vestiti da indossare, la ceretta da prenotare e le unghie da smaltare.

Non aveva bisogno di un uomo, perché era una donna del ventunesimo secolo, fiera ed orgogliosa, che si sarebbe trovata un lavoro ed un alloggio in città, avrebbe fatto musica e si sarebbe divertita; un compagno sarebbe servito solo ad opprimerla, toglierle quella libertà che aveva tanto sudato per ottenere, per cui lottava da quando era solo una bambina.

Non aveva bisogno di un uomo perché le avrebbe fatto male.

Ma il punto non era il desiderare o meno un uomo nella sua vita, perché sapeva benissimo di poter vivere da sola, come aveva sempre fatto, spensierata e svampita in compagnia del suo migliore amico, Matteo.

Non era un maschio in generale, ciò che voleva.

Era Davide.

Non riusciva a smettere di osservare tutti i gesti involontari del suo corpo, il modo in cui si scompigliava i capelli con la mano destra, lo strizzare gli occhi ogni cinque minuti e quel sorriso senza barriere.

Il fatto che il chitarrista non avesse paura ad esporsi, a mostrare sé stesso alle persone, era una cosa che aveva affascinato l’introversa Anne fin dal primo istante, rendendole impossibile perdersi una sola parola di ciò che il ragazzo diceva.

La cosa bizzarra era che riusciva ad apparire estremamente misterioso, nonostante non facesse alcuno sforzo per nascondere il suo animo alla gente; era spontaneo, sincero in tutto ciò che faceva, dal sorridere gioiosamente allo scrivere musica.

Era una cosa che la mandava in bestia, forse perché ne era invidiosa, lei che si era creata uno scudo protettivo, in modo che nessuno potesse guardare dentro di lei; aveva messo tutta la dedizione del mondo per oscurare la sua vera personalità, per essere una persona che non era, infossando tutti i suoi sentimenti, timorosa che qualcuno potesse ferirla di nuovo.

E ora si presentava quel ragazzo un po’ cresciuto, con gli occhi brillanti e colmi di sincero affetto, a sconvolgerle ogni certezza.

L’ironia della vita.

«Tutto bene, Annegata?» si rese conto che Riccardo era comparso al di sopra della sua spalla, intento a scrutare ciò che lei stava osservando.

Da qualche giorno a quella parte, il batterista aveva iniziato ad affibbiarle dei soprannomi senza senso, che si collegavano al suo nome di battesimo.

“Annegata” doveva essere la sua ultima invenzione.

«E tu, Riccardodioso?» lo fronteggiò beffarda «ti comporti in modo strano, ultimamente.»

Il ragazzo sgranò gli occhi improvvisamente, in un'evidente confessione del fatto che stava nascondendo qualcosa, per poi scrollare le spalle, sperando di risultare indifferente.

Non ci cascherebbe neanche il più idiota degli idioti, amico.

Non aveva potuto fare a meno di notare l’elettricità che sembrava essersi creata tra Ricca e Matteo, che cercavano in tutti i modi di starsi alla larga, eppure sembravano attrarsi a vicenda, come due poli opposti di una calamita.

«Il tuo segreto è al sicuro con me» concluse il batterista voltandosi.

Anne rimase di stucco, il panico si era appena impossessato di lei, mentre cercava una soluzione al quel casino; a cosa si stava riferendo Riccardo?

«Quale segreto, imbecille?» gli urlò dietro, ottenendo la reazione desiderata: il ragazzo compì quei pochi passi che lo aveva portato lontano da lei, andandole ad un centimetro dal viso, la puzza di alcol che invase le narici di Anne.

Dio, Ricca, perché ti sballi perennemente?

Doveva esserci qualcosa di tormentato, nell’animo del batterista, per indurlo a cercare sempre la perdita del controllo, dei sensi, del tempo.

«Non dirò a nessuno che sbavi guardando il nostro piccolo Davide.»

Cazzo.

Si ritrovò a ridere istericamente, gesticolando in modo nervoso, in cerca di una delle sue tante battute taglienti che riuscivano sempre a fare centro; ma sembrava esserne a corto, perché rimase impalata come una stupida a guardare quel ragazzo dall’oscena cresta verde.

«Lo guardo cercando di capire come può essere una persona così…» Bella? Affascinante? Solare? «brutta, ecco.»

Nella vita ne aveva dette a marea di bugie, non era una di quelle brave ragazze che dicevano sempre la verità e sorridevano al mondo, anzi, faceva parte della fetta di donne che riuscivano ad ingarbugliare fatti per girare le situazioni a loro vantaggio. Ma non aveva mai  ̶  mai  ̶   detto un’idiozia simile a quella.

Non era neanche credibile, pensò, perché Davide poteva avere un centinaio di difetti, ma l’essere brutto non rientrava nella lista. No, di certo.

Forse fu per quello che Ricca scoppiò in una di quelle risate che riusciva solo a lui ad emettere, forti e rumorose, che ti facevano vergognare di essere in un pub pieno di gente(,) in sua compagnia.

La barista, Marta, si voltò per cercare la fonte di tutto quel frastuono e sorrise scuotendo la testa, non appena si accorse che era solo un’altra delle stramberie di Riccardo.

«Ne ho sentite tante su Davide» riuscì a dire tra un risolino e l’altro «ma nessuno aveva mai osato dire che è brutto, Annebbiata.»

Quella conversazione non stava portando a nulla di buono e lei non aveva nessuna intenzione di rivelare ciò che aveva nell’animo al batterista; non perché non gli andasse a genio o avesse qualche tipo di problema con lui, ma Anne non si esponeva. Mai.

E l’unica persona che era sempre stata in grado di sondarle il profondo, nonostante lei lo infossasse sempre più giù, era stato Matteo, con cui aveva condiviso anche le lacrime.

Quel luogo era diventato troppo piccolo, troppo affollato, troppo caldo. Non riusciva più a guardare dentro agli occhi di Riccardo, perché si sentiva esposta, alla sua mercé e non poteva semplicemente far vedere quanto fosse debole.

Non rispose al ragazzo, ma si voltò e prese a sgomitare tra la gente, cercando di farsi strada in mezzo a quella ressa di uomini ubriachi e puzzolenti, donne svestite e cameriere indaffarate.

Cozzò con una ragazza ossigenata che la squadrò dall’alto in basso; se fosse stata in condizioni normali l’avrebbe fulminata con un’occhiataccia, ma non aveva più il controllo di sé stessa.

Persa.

Dove cazzo era Matteo, quando serviva?

Aprì la porta di legno marcia e non appena sentì l’aria sfiorarle il viso respirò di nuovo, facendo uscire tutta la tensione dai suoi polmoni. Si accostò al muro del piccolo vialetto stretto in cui sorgeva il Porto di Città ed estrasse una sigaretta del pacchetto che teneva in tasca.

Si era lasciata prendere dal panico non appena qualcuno aveva osato metterla al muro, lasciandola senza alcuna via d’uscita. Sapeva benissimo perché aveva avuto quell’esagerata reazione, ma continuò a far finta di non saperlo, mentre faceva un altro tiro dalla sua Lucky Strike.

Non poteva permettersi di apparire fragile. Doveva essere quella ragazza risoluta e cocciuta, con la passione per il rock e gli anfibi neri. Se non avesse tenuto quell’aria strafottente sul volto, allora sarebbe finita di nuovo male.

«Non devi nasconderti a me, Anne. Io so tutto.»

Scacciò dalla mente gli incubi che infestavano le sue notti, per scompigliarsi i capelli con la mano destra, in un evidente gesto di impazienza.

Non riusciva più a convivere con quel dolore.

Ci aveva provato, aveva tentato di nascondere quel buco nero, che però era solo aumentato minacciando di inghiottirla nella sua oscurità; c’erano giorni, in cui Anne non riusciva neanche a respirare, talmente le faceva male e sentiva il fiato scomparire, così doveva aggrapparsi alla sua forza di volontà, alla sua fama di sopravvivenza.

Il passato non si poteva cambiare, ne era consapevole, ma avrebbe tanto voluto poterlo cancellare.

Persa.

«Vaffanculo!» esclamò tirando un calcio ad una lattina di birra scadente, per non pensare alla morsa che le aveva preso lo stomaco.

«Non dovresti essere così volgare, Anne.»

Quella voce.

Davide se ne stava a pochi passi da lei, una nube di mistero avvolta intorno a lui e la sigaretta accesa, penzolante tra le sue labbra a donargli quell’aria da straccione.

Anche la sua presenza nell’ombra la impauriva, quella sera, così si lasciò andare a terra, rimanendo seduta sul marciapiede umido e i mozziconi di sigaretta, pensando che non era poi tanto differente da quella spazzatura: usata e gettata via, come un fazzoletto sporco, una carta straccia senza alcun valore.

La cantante udì dei passi e un calore inaspettato alla sua sinistra, segno che il chitarrista si era appena seduto vicino a lei, tenendole compagnia in quello schifo; Davide non poteva sapere cosa significasse, che si fosse seduto tra l’immondizia insieme a lei, ma Anne dovette mettere tutta sé stessa per trattenere le lacrime: la stava accompagnando nella sua fogna interiore.

«Non credo sia bello stare seduti tra le sigarette spente.» mormorò la ragazza, con una voce debole e sottile, che non si avvicinava neanche lontanamente a quella sicura della Anne di sempre.

Ma la Anne di sempre era solo una maschera.

«Appunto.» sussurrò convinto, guardandola negli occhi. «Non è bello in compagnia, figurati da soli.»

Anne non poté che rispondere al sorriso che era apparso sul volto di lui, sincero e luminoso, in grado di accendere il mondo, di far sembrare quella merda un po’ meno dolorosa.

Non le chiese niente, nonostante sapesse benissimo che qualcosa non andava; rimase in silenzio, a fumare la sua sigaretta, la coscia che sfiorava quella di lei, facendole ricordare che non era da sola.

Rimasero zitti a scrutare dentro i loro abissi.

Persa.

 

 

 

****

 

 

 

 

 

Davide non sapeva dire con certezza per quanto tempo rimasero in silenzio.

La pioggia aveva preso a cadere rovinosamente, in quella Torino a cui non interessava che fosse estate e faceva scendere l’acqua comunque.

Anne non aveva accennato ad entrare al riparo, era rimasta accucciata su quel lurido marciapiede, le mani strette alle ginocchia e il viso impassibile di chi sta nascondendo un tormento infinito.

L’aveva vista correre fuori dal pub, il viso sfigurato dal terrore e la fretta di chi ha il fuoco alle calcagna; non aveva voluto lasciarla sola in quelle condizioni, chiaramente pietose, così era uscito per tenerle compagnia nell’agonia.

Anche se aveva rispettato le sue volontà, non poteva di certo negare che la curiosità lo stava attanagliando: avrebbe desiderato con tutto sé stesso conoscere le pene interiori della cantante.

 Si ritrovò a seguire con gli occhi la linea curva della sua mascella, per poi soffermarsi su quella bocca di fragola, che aveva l’aria di essere morbida come le nuvole, come i sogni. Gli sarebbe piaciuto così tanto posare una mano sulla sua guancia, seguire con il dito i contorni delle sue labbra, per constatare quanto potesse essere liscia la sua pelle.

Perso.

Le persone si fermavano solamente alla Anne strafottente, forte, sicura di sé stessa, che non aveva problema a dirti le cose in faccia, anzi, non aspettava altro che  lanciarti una delle sue frecciatine per farti sentire piccolo ed umiliato; ma era lui a vederla piccola ed impaurita, una bambina che giocava  a fare l’adulta per scappare da una sofferenza che la stava facendo perdere.

Avrebbe voluto prenderla tra le braccia e mormorarle che andava tutto bene, che avrebbe potuto volare sulle ali del vento per sempre, se solo l’avesse voluto.

Perso.

Gli faceva così tanta tenerezza, con quei suoi occhi pieni di lacrime represse, per non apparire sensibile ai suoi occhi. Ci metteva così tanto impegno a sembrare una dura, pensò Davide, che ti faceva pensare a quale dovesse essere il motivo di tanto sforzo.

Il suo trucco nero diceva di starle alla larga, perché era una ragazza con gli attributi, che non aveva alcuna paura di dirtene quattro; ma i suoi occhi tristi raccontavano mille storie drammatiche, di dolori in sospeso e solitudine.

«Just take this song and you’ll never feel left all alone.» canticchiò improvvisamente Davide, sperando che la ragazza capisse il messaggio di quelle parole.

Prendi questa canzone e non ti sentirai sola.

Incontrò gli occhi azzurri di Anne e ci scorse dentro il mare di emozioni che stava cercando con tutta sé stessa di sotterrare, per continuare a far finta che tutto andasse bene, che l’unica cosa importante nella sua vita era la musica.

«I’m on my way, home sweet home.»

Anne riprese la canzone, senza smettere un attimo di incatenargli gli occhi con i suoi, in una silenziosa richiesta di aiuto, che Davide non poteva non afferrare. Doveva fare qualcosa per quella bambina, perché avrebbe voluto essere lui il motivo per cui i suoi occhi sarebbero tornati a sorridere e le sue labbra a risplendere.

Quella canzone conteneva un messaggio di condivisione, che valeva più di un centinaio di parole, utili solo a far sentire tutti a disagio e fuori luogo.

Perso.

La vide prendere in mano il cellulare, mentre il silenzio tornava a regnare in quella notte malinconica.

«Matteo è già a casa, si scusa per non avermi aspettata, ma non mi ha trovata.»

Quindi sarebbe dovuta andare a casa, da sola, con quella paura che le si poteva leggere nelle iridi?

No, cazzo, no.

Cercò un centinaio di buoni motivi per non proporle ciò che aveva in mente, ma non ne trovò neanche uno: non aveva alcuna intenzione di lasciarla vagare in solitudine per le vie malfamate di Torino.

Sembrava una preda perfetta per qualsiasi malvivente, senza più la sua faccia tosta e l’aria da donna vissuta, che l’avevano abbandonata.

«Ti accompagno io.» non era una domanda, ma una semplice constatazione. Non propriamente un ordine, ma un invito senza via d’uscita.

La ragazza inarcò un sopracciglio, in cerca di una proposta, non di un obbligo; ma non poteva di certo accontentarla.

Sarebbe andata in macchina con lui, senza storie, in modo che nessuno avrebbe potuto ferirla ulteriormente. Era già piena di cicatrici, non poteva permettersi di vederla ancora più sfigurata.

«E mi offri una sigaretta.» scherzò, senza però essere realmente divertita.

Il chitarrista sbuffò teatralmente, estraendo dal pacchetto una Marlboro rossa, per poi porgerla alla ragazza, che la aspettava con espressione vittoriosa.

Sembrava essersi rasserenata da quando gli aveva detto che non l’avrebbe lasciata a piedi per tornare a casa; era evidentemente impaurita, ma Davide ne ignorava il motivo.

Le tese la mano, aiutandola ad alzarsi da quello schifo in cui erano rimasti seduti per un tempo indefinito; probabilmente puzzavano come due senzatetto.

«E Riccardo?» mormorò allarmata, mentre salivano nella vecchia Uno color diarrea, comprata di seconda mano ad uno di quei concessionari in cui nessuna persona sana di mente metterebbe mai piede.

«Lo accompagnerà Marta, come ogni sera in cui è fatto.»

Cazzo, il suo amico stava davvero prendendo una brutta piega con quella droga; aveva cercato di parlargliene più volte, ma sembrava dover dimenticarsi di un dolore che gli prendeva lo stomaco.

Erano settimane che andava avanti a mele, e quando mangiava un pasto completo, Davide lo sentiva vomitare in bagno.

Aveva un serio problema di dipendenza dalla cocaina.

Si sedette sul sedile del guidatore e fu una strana sensazione avere Anne accanto, pronta a farsi portare ovunque da lui, incline  ̶  se solo gliene avesse data l’occasione  ̶  a fidarsi di lui.

Non fu una di quelle scene in cui il rombo del motore spezzò il silenzio, facendo sembrare Davi un vero uomo: il silenzio fece di nuovo da sfondo ad una situazione emotiva, mentre la macchina partiva dolcemente, cullandoli.

Non avevano alcun bisogno di azioni adrenaliniche o selvagge, perché il chitarrista sapeva che Anne aveva bisogno di tranquillità, di essere rassicurata, proprio come una bambina che avesse appena fatto un brutto sogno.

Bambina mia, ti cullerei fino a che non ti addormenteresti…

Perso.

Continuò a tenere gli occhi puntati sulla strada, perché se avesse dato uno sguardo alla sua destra non avrebbe resistito all’impulso di fermare l’auto e fare sua la cantante, lì su due piedi.

Si figurò l’immagine dei suoi folti capelli ricci aperti a ventaglio, mentre la teneva ferma sotto il suo peso, chiusa in una morsa alla quale non sarebbe potuta scappare; avrebbe preso a baciarla con passione, ma allo stesso tempo dolcemente, per farle sentire tutto l’affetto di cui aveva bisogno.

‘Fanculo, Davide! Concentrati sulla strada.

Quel collo…

Cosa non avrebbe fatto per toccare la sua pelle candida, anche solo per un istante, giusto per il gusto di poter sentire tutta quella morbidezza sotto le sue dita.

Passò il resto del viaggio a fissare con sguardo spiritato la strada, cercando di non dare importanza ai movimenti impercettibili della ragazza, che continuava ad avere quell’aria impaurita.

Quali sono i tuoi demoni, Anne?

«Guarda, è quel complesso in fondo alla strada.» mormorò con voce flebile «Mia mamma mi ammazzerà, questa volta…»

Davide non vide l’ansia di essere sgridata dai genitori nei suoi occhi, ma l’amarezza causata da qualche ricordo, da qualche incubo represso e messo a tacere, tornato a ruggire più forte che mai; se si concentrava riusciva a sentirlo, quel leone dentro Anne, e doveva essere arrabbiato.

Perso.

Perché stava prendendo tanto a cuore la questione di quella ragazzina? Avrebbe dovuto interessarsi solo di come cantava, delle sue prestazioni sul palco, non del perché sembrava essere morta dentro.

Non riusciva a guardare dentro a quegli occhi tristi, gli faceva male vedere quanto dolore contenessero; poteva scorgere le spine che infestavano le sue piante rigogliose, gli artigli scalfire quell’anima pura e renderla sofferente.

Anne, compariamo le nostre ferite e vediamo quale delle due è più profonda.

«Beh, allora… ci vediamo per le prossime prove, eh?» balbettò non appena la portiera della sua macchina venne aperta da Anne, intenta a scendere.

Era così bella, quando abbandonava per qualche istante la sua maschera personale.

«Certo.»

Si fermò un attimo, sembrava voler dire qualcos’altro; rimase ferma con la bocca semi aperta, l’aria di chi sta lottando con sé stessa, cercando di mormorare qualche ringraziamento, forse.

Non ne sarebbe stata capace, Davide lo sapeva bene, così la precedette.

«Prego, Anne.»

La ragazza sfoderò un sorrisino sghembo, e se non fosse stato per quegli occhi piangenti, sarebbe assomigliata ad una bambina. Una bambina pestifera.

La guardò aprire la porta del cancelletto, per poi fermarsi sulla soglia e alzare la mano in segno di saluto, lo sguardo un po’ imbarazzato; Davide increspò appena le labbra, ricambiando.

Quella serata era stata una rivelazione, una serie di eventi che lo avevano mandato in corto circuito totale, pensò mentre faceva manovra per riprendere il corso principale.

La sua testa era scombussolata, aveva preso a roteare, come se fosse ubriaco.

E in effetti, un po’ ubriaco lo era.

Ubriaco di Anne.

 

Perso.

 

 

 

****

 

 

 

Questo capitolo è qualcosa di davvero intimo per me; scriverlo mi ha iniziata in un percorso di uccisione delle mie paure. Quindi, devo ringraziare ancora una volta Aniasolary per avermi sostenuta in questa battaglia.

Ma ancora di più, devo tutto alla mia beta-reader, che non smette mai di stupirmi, Lavisvampita; tra l’altro vi consiglio caldamente la sua storia, Hereafter, perché è davvero una chicca.

 

Eryca.

 

 

 

 

 

 

 

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Eryca