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Autore: roxrox    02/08/2012    1 recensioni
E se la leggenda di Paul Is Dead non fosse solo una leggenda? Cosa potrebbe essere successo se nel 1966 Paul fosse davvero morto e fosse stato sostituito?
Genere: Generale, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: George Harrison, John Lennon , Paul McCartney , Ringo Starr
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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8 novembre 1966

Rebecca sospirò, seduta sul letto insieme alla sua migliore amica. Non c’era altro da fare, e lo sapeva, ma voleva che fosse Rita a rendersene conto da sola, o quella decisione avrebbe distrutto la sua vita. Doveva essere brutale: le avrebbe fatto male, e probabilmente Rita dopo quella sera l’avrebbe odiata per sempre, ma sapeva di doverle forzare la mano.
- Dunque, ricapitoliamo la questione: aspetti un bambino, e hai diciassette anni. Jeremy, il pervertito sconsiderato tuo coetaneo che ti ha messa incinta, dice di non potersi accollare un figlio perché è troppo giovane, perchè vuole studiare e diventare uno stimato avvocato come quel debosciato di suo padre, a cui ovviamente non vuole raccontare di averti “disonorata”. Oh, non guardarmi così, non ti ho mai nascosto quello che penso di lui e della sua famiglia! E, tra le altre cose, sarebbe capace di dire, se tu decidessi di scavalcarlo e chiedere aiuto ai suoi, che sei andata andata anche con altri e che quindi il figlio potrebbe benissimo non essere suo, anzi, che non lo è sicuramente. E, nella sua infinita ipocrisia, non vuole che tu abortisca, nemmeno adesso che è diventato legale e sicuro per te e non devi più andare dalla mammana che c’è a St Helens, perché il bambino è una vita e merita di essere vissuta; sulle tue spalle, ovviamente, perché lui se ne lava le mani. Ah, e ovviamente negherà anche davanti ai tuoi genitori, e stamattina quando avete litigato ti ha anche dato della puttana e della arrampicatrice sociale, che hai tentato in tutti i modi di circuirlo e che ti sei fatta mettere incinta apposta per farti sposare e mantenere da uno più ricco di te. I tuoi genitori al momento non ne sanno nulla, e temi che tuo padre ti riempia di botte o, peggio, che ti cacci di casa nel momento stesso in cui lo scopre. Ho dimenticato qualcosa? –
Rita la guardava con gli occhi sgranati, da cui scendevano lacrimoni enormi, le mani a pugno premute sulla bocca in un gesto di orrore. No, Rebecca non aveva dimenticato nulla, ma sentirsi sbattere in faccia la verità in quel modo faceva male, troppo male. Si ripiegò su se stessa, poggiando la fronte sulle ginocchia, e gemette in una maniera talmente disperata che la sua amica si sentì salire le lacrime agli occhi.
Le ricacciò indietro con forza: no, non era lei che doveva piangere!
- Coraggio – la abbracciò, non riusciva più ad essere crudele con lei – Le soluzioni ci sono, ma devi essere tu a decidere. E devi farlo qui e ora –
- Io… io lo so cosa devo e cosa voglio fare… ma… -
- No. Niente “ma”. Vuoi tenere questo bambino? –
La risposta di Rita, una via di mezzo tra uno sbuffo e una risata disperata, era abbastanza eloquente, ma Rebecca voleva di più.
- Allora, lo vuoi tenere? Sì o no? –
- No –
- Ne sei sicura? –
- Sì - Rita ricominciò a piangere – Ma come faccio? Come arrivo in città? Non ho nemmeno la macchina! Cosa dico ai miei genitori? –
- Non gli dici nulla. Ascolta cosa faremo: io ho la macchina e la patente, e i miei genitori questa settimana sono in ferie. Digli che vieni a dormire da me, così poi stanotte andiamo in ospedale e domani pomeriggio potrai tornare dai tuoi genitori a cose fatte, e non sapranno nulla –


- Accidenti! – imprecò Rebecca nel buio – Adesso che diavolo è successo? –
Scese dalla macchina per l’ennesima volta e le girò intorno, ma non aveva idea del perché si fosse improvvisamente fermata, spegnendosi e rifiutandosi di riaccendersi. La benzina c’era, o almeno così era indicato sul cruscotto, ma era l’unica cosa che fosse in grado di controllare.
Scosse la testa. Era inutile, non sarebbe ripartita.
- Qui non si può far nulla –
- Oh cielo, Rebecca – gemette Rita dal sedile del passeggero – E adesso cosa facciamo? Siamo a metà strada, ci metteremo un’eternità a tornare indietro… -
Rebecca sospirò. C’era una sola cosa da fare.
- Chi ha parlato di tornare indietro? – sorrise – Va bene, la macchina è andata, ma le nostre gambe no. Cammineremo fino in città, in un paio di ore sono sicura che ci arriveremo, troveremo un autobus che ci porterà in ospedale e domani mattina prenderemo il treno per tornare. Su, vieni! – e ostentendo una sicurezza ed una serenità che non provava, aiutò l’amica a scendere dalla macchina e si avviarono a piedi.


- Basta! Basta! BASTA! Non vi voglio più vedere! –
Paul McCartney uscì dallo studio di registrazione sbattendo la porta. Lo raggiunse attutita la voce di Ringo, che ancora urlava:
- Bravo, vattene! Comportamento maturo, complimenti! –
Paul non lo ascoltò. Salì in macchina e mise in moto immediatamente. La sua fedele Aston Martin rossa si infilò in strada e partì velocissima, obbedendo alla volontà del suo autista, che premeva sull’acceleratore con tutto il proprio peso, cercando nella velocità lo sfogo a tutta la sua rabbia e la sua frustrazione.
Rallentò solo dopo parecchi chilometri, quando si accorse di essere uscito dalla città e di essere finito in campagna, in strade prive di illuminazione e strette. D’accordo che era nervoso, ma non voleva ritrovarsi in uno di quei campi solo perché aveva litigato con gli altri.
Chissà poi dove diavolo era finito… Le stradine di campagna al buio sembravano tutte uguali, ma era abbastanza sicuro di aver svoltato a sufficienza per essere di nuovo in direzione di Liverpool. Non ne era sicurissimo, però…
La sua attenzione venne attratta da due figure che camminavano sul ciglio della strada. Avvicinandosi ulteriormente, si accorse che erano due ragazze sole; non era certo dell’ora, ma era sicuro che fossero passate abbondantemente le tre del mattino, e si domandò se quelle due non fossero “passeggiatrici”, anche se sembrava che fossero parecchio lontane da qualunque possibile cliente.
Avvicinandosi, si accorse che non avevano assolutamente l’aria delle donne di strada; anzi, sembravano smarrite…
Obbedì ad un istinto e, avvicinandosi, rallentò e si affiancò a loro, allungandosi per abbassare il finestrino dalla parte del passeggero:
- Ehi, ragazze – le chiamò – Tutto bene? –
Gli parvero entrambe esauste. La biondina, in particolare, sembrava non riuscire più a stare in piedi.
- Sì, grazie – gli rispose sostenuta l’altra, capelli mori e sguardo fiero – Non abbiamo bisogno di nulla –
- Dove state andando a quest’ora del mattino lungo una strada deserta? –
- Non sono affari suoi. Vada per la sua strada, che noi andremo per la nostra –
Paul fu sorpreso di sentirsi apostrofare così, e gli fu evidente che la pochissima luce aveva impedito alle due ragazze di riconoscere il loro interlocutore.
Improvvisamente la bionda si voltò e si chinò, appogginadosi le mani sulle ginocchia. La sua amica la sostenne e le tirò indietro i capelli. Il rumore fu inequivocabile: la ragazza stava vomitando.
- Forse lei potrà anche andare per la propria strada – ricominciò Paul non appena la situazione parve migliorata – ma la sua amica non sembra stare molto bene. Andiamo, vi accompagno io, ovunque vogliate andare. Anche se preferirei accompagnarvi in un ospedale. Non sono molto pratico di queste stradine, ma credo che ce ne sia uno poco distante, appena dentro il confine del centro abitato di Liverpool. A piedi ci mettereste una vita, io vi ci posso portare un meno di un quarto d’ora… -
La ragazza esitò, poi guardò l’amica: era pallidissima, sembrava stesse per svenire.
- D’accordo – si chinò ed afferrò una pietra piuttosto grossa – ma io mi siederò dietro, e se ti azzardi a fare anche un solo passo falso, giuro che ti ammazzo come un cane –
- Va bene, va bene – sollevò la sicura – Salite –
Le due ragazze entrarono in macchina; la bionda, sedutasi davanti, non appena appoggiò la testa al sedile si laciò andare ad un sospiro di stanchezza e di sofferenza.
- Grazie – disse soltanto, voltando appena la testa per guardarlo mentre metteva in moto. Nel buio era solo una sagoma scura, ed era impossibile vederne i lineamenti.
Si avviarono nel silenzio, fino a che Paul lo trovò troppo pesante per i propri gusti:
- Allora, posso sapere quali sono i vostri nomi? –
- Io mi chiamo Rita – rispose quella accanto a lui – e lei è la mia amica Rebecca –
- Il mio nome è Paul, piacere di conoscervi. Cosa vi porta su questa strada così deserta e persa nel nulla? –
- Potremmo farti la stessa domanda – ribattè Rebecca, ancora scontrosa. Paul scoppiò a ridere:
- Avete ragione! Beh, la mia storia è parecchio semplice: ero… a casa di un amico, eravamo in quattro, abbiamo litigato per una sciocchezza e sono venuto via furibondo. Sono montato in macchina e ho guidato il più velocemente possibile per farmi passare il nervoso, prendendo direzioni e strade a caso, fino a che non mi sono accorto di essere finito in aperta campagna. Quando vi ho incrociato stavo tornando indietro –
- Come vorrei – sospirò Rita – che la nostra storia fosse così semplice e lineare… -
- Rita… - la ammonì Rebecca – Non sappiamo nemmeno chi sia questo, non credo che sia il caso di sbandierare la tua situazione ai quattro venti –
- Tranquilla – sorrise Paul – non voglio sapere a tutti i costi gli affari vostri, soprattutto se si tratta di cose delicate; se è un problema per voi parlarne, allora non voglio sapere nulla. Guardate, queste sono le prime case di Liverpool, tra poco più di cinque minuti siamo arrivati all’ospedale, come vi avevo promesso, se preferite possiamo anche trascorrerli in silenzio –
In quel momento incrociarono un camion, e le luci dei fari illuminarono l’interno dell’abitacolo, strappando un urlo a Rita.
- Oddio, oddio, oddio – esclamò, agitatissima – McCartney! Tu sei Paul McCartney! – si voltò improvvisamente verso la sua amica, dando un colpo al braccio di Paul, che teneva il volante.
- Ehi! – protestò lui, dopo aver ripreso il controllo del mezzo – Attenta, o finiamo fuori strada! –
- Rebecca, è Paul McCartney! Quello dei Beatles! – urlava Rita, senza nemmeno averlo sentito – Oddio, oddio, oddio! –
- Per l’amor del cielo, stai calma! – la richiamò Paul, ma lei era troppo agitata e continuava a muoversi a scatti e a urlare frasi sconnesse.
Paul era talmente preoccupato che i continui colpi di lei lo mandassero fuori strada, che non si accorse del semaforo che diventava rosso, e prosegì la sua strada nell’incrocio.
Un clacson fu l’ultima cosa che sentì, prima dell’urto.


- Dannazione! – esclamò Frank, saltando giù dall’abitacolo del camion, cercando di capire nella penombra dei lampioni che danni avesse il proprio mezzo – Cosa diavolo gli ha preso, a questo? Passare a tutta velocità con il rosso, ma è…? – si interruppe, vedendo le conseguenze dell’incidente sull’auto che aveva colpito: si era schiantata contro un albero piantato sul marciapiede, il guidatore aveva sfondato il parabrezza con la testa, che aveva evidentemente poi sbattuto contro l’albero, in una posizione innaturale, ed ora era accasciato su quel che rimaneva del cofano, le gambe sul volante piegate in un angolo opposto a quello che avrebbero dovuto avere; la portiera dalla parte del passeggero era spalancata, e un corpo di donna ne era stato sbalzato fuori per metà, riverso sulla strada in una macchia di sangue che si stava allargando velocemente.
- Oddio… - esalò, spaventatissimo.
- Che è successo? – la voce di una signora anziana arrivò dalla finestra di una casa che affacciava sull’incrocio.
- Signora! – gridò allora Frank, molto vicino al panico, correndo verso la macchina – Chiami immediatamente la polizia ed una ambulanza! E in fretta! – avvicinandosi, gli fu fin troppo evidente sin da subito che per il guidatore non ci fosse nulla da fare, la torsione del collo non lasciava alcuna speranza, quindi non pose attenzione a lui, ma si chinò sulla donna riversa sulla strada; un gemito uscì dalle sue labbra quando si accorse di quanto fosse giovane, e che il cuore non batteva più.
Percepì un innaturale calore e si voltò verso il motore. Dalla apertura distrutta del cofano fuoriusciva del fumo: l’auto stava per prendere fuoco.
Si rialzò per allontanarsi, quando scorse una figura sul sedile posteriore: un’altra ragazza era a bordo di quell’auto!
Non poteva lasciarla lì, se l’auto si fosse incendiata per lei non ci sarebbe stato nulla da fare… sempre se era ancora viva…
- Signorina! Signorina! – iniziò a chiamarla e a battere furiosamente contro il finestrino, ma la ragazza non diede segni di vita. Il fumo diventava sempre più denso, doveva fare in fretta. Afferrò un pezzo di lamiera e lo sbattè contro il vetro finchè non si infranse; si allungò all’interno dell’auto finchè riuscì ad afferrarla, ed iniziò a tirarla verso di sé. Fu una fortuna che fosse così magra, così che potè estrarla senza troppa fatica dal finestrino rotto.
La prese in braccio e si allontanò velocemente, raggiungendo il proprio camion prima che l’auto prendesse davvero fuoco.
Si sedette sul bordo del marciapiede, tenendo la ragazza sempre tra le braccia, e sospirò di sollievo quando si accorse che respirava, anche se a fatica.
Dopo pochi secondi sentì una sirena che si avvicinava.

  
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