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Autore: Blackmoody    16/02/2007    7 recensioni
Imprecò di nuovo dentro di sé contro le nuvole che lo sovrastavano, rovesciandogli addosso la loro ira. E lui, a sua volta, covava una rabbia cieca contro di esse. Odiava la pioggia, quelle implacabili stille d’acqua che cadevano senza quasi far rumore. Erano piccole, leggere e letali, come proiettili. E il ragazzo le detestava con forza.
In una Tokyo "senza sole" – e forse senza speranza – s'intrecciano e scontrano quattro vite, quattro storie d'amore, morte e vendetta.
Enjoy the danger.
| incompiuta |
Genere: Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Cho Hakkai, Genjo Sanzo Hoshi, Sha Gojio, Son Goku
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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The LOST

The LOST

Life Of  Sunsheltered Tokyo

 

 

 

 

 

 

O9. I’m Gunnin’ Down Romance

 

 

 

Al risveglio, il mattino seguente, Hakkai ci mise un po’ per ricollegare in maniera logica gli avvenimenti della giornata appena trascorsa. Ci mise un po’ persino a ricordare perché mai, aprendo gli occhi, si fosse trovato davanti l’ordine impolverato della sua vecchia camera e perché non fosse al’Hotel. Guardò fuori attraverso le palpebre ancora pesanti di sonno, riconoscendo gli alberi e le finestre delle case vicine, scuotendosi pian piano; poi girò la testa verso la stanza e vide Gojyo, ancora addormentato al suo fianco: appariva così tranquillo e beato, arruffato tra coperte e lenzuoli sfatti e con i capelli cremisi spettinati, che il moro non potè impedirsi di sorridere e ridere sottovoce. Dei, come si sentiva felice!

Sembrava che il cuore dovesse esplodergli da un momento all’altro, balzargli fuori dal petto. C’era però, in quella contentezza, una punta recondita di ansia, un pensiero rivolto costantemente alla domanda “come la mettiamo adesso? “. Non che avesse mai avuto la reale intenzione di seguire gli ordini di Fujiwara, dacchè aveva conosciuto l’ispettore, ma ora la cosa si era concretizzata: ora era con il boss che doveva fare il doppio gioco.

E questo costituiva un ulteriore problema. Aveva sempre un debito nei confronti del clan. Gli era forse concesso metterlo da parte? Non era da lui.

Gojyo si mosse sul materasso, catturando la sua attenzione e distogliendolo, per fortuna, da quei ragionamenti che certo erano poco adatti ad un tale risveglio: goditi il presente, Hakkai, si disse. Goditelo almeno finchè non tornerai all’Hotel.

- Buongiorno – mugugnò il rosso guardandolo di sottecchi e tentando di sfoderare uno dei suoi soliti sorrisi da seduttore.

Il moro si chinò su di lui, sfiorandogli la fronte col proprio naso: - Buongiorno a te. Un caffè? – s’informò.

L’altro si mise a ridere e si puntellò su un gomito: - Se è come quello di ieri sera, fammene anche due – scherzò, allusivo.

Hakkai rispose alla risata e si alzò dal letto, andando come prima cosa a prendere un telo da bagno che si arrotolò attorno ai fianchi nudi; quindi lasciò Gojyo a finire di svegliarsi e si recò in cucina per preparare qualcosa che rassomigliasse ad una colazione normale. E l’ispettore, nel frattempo, mentre si passava una mano tra le ciocche impazzite e ascoltava i rumori della casa e della strada sottostante, pensò che doveva rivelare al compagno quanto sapeva delle sue attività connesse alla Yakuza, a tutti i costi. Meglio non avere segreti, giunti a quel punto.

Non affrontò subito l’argomento, però, quando Hakkai tornò in camera sorreggendo un piccolo vassoio con su due tazze di caffè fumante. Per qualche minuto mangiarono e bevvero in silenzio, scambiandosi occhiate, e andarono avanti così finchè Gojyo non gli posò una mano sul braccio, il volto serio: - Cosa racconterai al tuo capo, questa sera? – domandò. E il modo in cui pronunciò la parola “capo” non lasciava dubbi su quel che intendeva.

Il moro tossì appena, le dita contratte sul manico della tazzina: - Cosa vorresti dire, Gojyo? – ribattè, la voce bassa.

L’ispettore tolse la mano, continuando a fissarlo severamente: - Lasciamo perdere i sotterfugi, Hakkai. So per chi lavori e immagino molto bene il motivo per cui mi hai avvicinato, tre mesi fa. Ciò di cui non sono a conoscenza è quel che tu abbia riferito a Hiroki Fujiwara e quel tu abbia in mente di fare adesso. Comunque, sei libero di proclamarti mio nemico in via ufficiale – concluse con un mezzo sorriso.

- Come… da quanto lo sai? – boccheggiò Hakkai. Mentire gli sembrava stupido.

- Gli sbirri saranno stolti, ma non così sciocchi, credimi. Mi sono permesso di informarmi su di te, dopo averti conosciuto, poiché con i tempi che corrono è meglio non fidarsi troppo di chicchessia – spiegò – E ho scoperto particolari che ignoravo. Ammetto di averlo fatto anche perché mi interessavi già, principe – aggiunse sorridendo. Non si era dimenticato della battuta telefonica del giorno prima.

Hakkai esalò uno sbuffo che rassomigliava ad una minuscola risata, ma non disse niente. Quali particolari?

- Ho scoperto, ad esempio – proseguì Gojyo quasi leggendogli nella mente – che anni fa hai lavorato in polizia -

Bastò quello. Bastò, per mozzargli il respiro, per farlo irrigidire. Il passato alla ribalta, ecco cos’era. Non che lui lo avesse mai messo da parte, né cercato di farlo, questo no: ma gli faceva male risentirne parlare quando non era lui a volerlo. E il rosso dovette fare caso allo sguardo ferito che si era cristallizzato negli occhi chiari dell’altro, tanto che tornò a posargli una mano sul braccio, stavolta con più dolcezza.

- Mi dispiace. Ho toccato un tasto dolente, eh? – disse allora, carezzandogli piano la pelle.

Il moro scosse la testa: - Non scusarti, non ne hai motivo. Anche se purtroppo hai ragione – mormorò. Si sentiva a disagio.

Per un po’ sia lui sia Gojyo rimasero in silenzio, evitando di guardarsi negli occhi dal momento che sapevano perfettamente che avevano raggiunto un nodo fondamentale. Un nodo di svolta. Chi dei due avesse parlato per primo, adesso, avrebbe decretato buona parte di ciò che li aspettava.

Fu Hakkai a riaprire bocca, sorprendendosi leggermente: - Forse vorresti saperne di più, Gojyo? – chiese piano.

Il rosso scrollò le spalle, senza guardarlo: - Io sarei curioso, però se tu non te la senti… - rispose con un sospiro. Diamine, se era curioso. Sul dossier riguardante il moro, il plico di fogli che aveva rintracciato nell’archivio della sede, erano contenute ben poche informazioni riguardo ciò che era accaduto ad Hakkai durante il suo breve periodo come poliziotto; non vi era nemmeno scritto perché se ne fosse andato all’improvviso.

- Devo sentirmela – replicò questi, accostandosi al compagno – Credo sia giusto che tu sappia tutto di me, ormai -

E magari parlandone qualche fantasma, qualche ombra di quelle che gli albergavano dentro da anni, si sarebbero dissipate, sbiadite, o pur restando avrebbero acquistato un senso. Voleva fidarsi di Gojyo e voleva credere, anche, che almeno lui sarebbe riuscito a farlo stare meglio.

Perciò si ridistese sul letto, gli occhi verdi rivolti al soffitto e le braccia incrociate dietro la testa; avvertiva lo sguardo dell’altro su di sé, in attesa, e per chissà quale ragione stupida per un attimo si soffermò a pensare che avrebbe dovuto lavare le tazze del caffè, prima.

Ma poi prese un profondo respiro e cominciò a raccontare, a voce bassa, la storia che si portava sulle spalle da tanto, tanto tempo.

 

 

- Mio padre ha sempre avuto buone conoscenze in polizia. Ecco perché riuscii subito ad entrarvi per un periodo di prova quando avevo appena finito le superiori e iniziato l’università. Ero deciso a portare avanti entrambi gli impegni, soprattutto per non deludere i miei familiari… una di quelle idee inutili che ti vengono da ragazzo. Però lavorare in polizia mi piaceva moltissimo, nonostante all’epoca le mie mansioni si limitassero al lavoro d’ufficio. Il primo anno trascorse così, senza scossoni, che quasi non me ne resi conto. Ricordo che fui contento come una pasqua il giorno in cui mi comunicarono che, considerate le mie precoci capacità, avrei potuto partecipare attivamente a certe azioni; credo che ci fosse dietro la mano di mio padre, ma nessuno certo me lo venne a dire. Avevo vent’anni e m’importava solo di essere utile a chi mi circondava.

Per circa un mese mi allenai, imparando a sparare e affinando le mie conoscenze in fatto di arti marziali, e finalmente mi ritennero pronto. Ci furono alcune rapine, due casi di rissa violenta, persino un tentato omicidio, e andai anch’io con i miei compagni, a dare il mio contributo. Credo mi ritenessero una specie di “prodigio”, e in effetti me la cavavo già bene. E poi… poi saltò fuori quella faccenda, all’improvviso.

Un grosso giro di prostituzione e droga legato a potenti boss della Yakuza. C’era un bordello, ad Akihabara, che era stato individuato come il centro nevralgico di questa organizzazione, ed io venni mandato là per indagare sul campo. Probabilmente mi scelsero perché, a dispetto dell’ammirazione che suscitavo e della fiducia che riponevano in me, ero comunque il novellino, l’ultima ruota del carro. Se fossi finito male non sarebbe stato un problema trascendentale, ecco quello che di sicuro pensavano. Accettai, desideroso di togliermi quel ruolo scomodo di dosso. Ero diverso, allora… -

Hakkai fece una pausa, pensieroso. Ricordare questo era la parte più difficile. Ricordare il momento in cui l’aveva conosciuta.

- Ti confesso che ero teso come una corda di violino, quando misi piede nel locale. Si chiamava Hanamachi, la città dei fiori. Era stato costruito ad immagine e somiglianza delle case da thè dell’epoca Edo, e molte delle donne che vi lavoravano erano agghindate a mo’ di geisha… mi sentii quasi catapultato indietro nel tempo, immagina. Il piano era semplice: avrei dovuto comportarmi come un qualsiasi cliente e, con la scusa dell’alcol, raccogliere quante più informazioni mi era possibile, dalle ragazze e dagli altri avventori. Come vedi i miei compiti non sono cambiati troppo -

aggiunse con una risata asciutta. Gojyo non commentò nulla e aspettò che proseguisse, osservandolo attraverso le palpebre abbassate.

- E la vidi immediatamente. Non mi guardai nemmeno intorno per decidere su quale “geisha” ripiegare. Vidi lei, che serviva da bere in un angolo, e non capii più niente. Mi feci servire un cocktail forte, mentre pensavo a come avvicinarla, e quando fui abbastanza alticcio da non preoccuparmi mi diressi nella sua direzione. Non scherzo se ti dico che mi andò bene alla prima -

Era una ragazza della sua età, forse un paio d’anni di più, con un volto bello e armonioso e pallido ombreggiato dai ciuffi di capelli castani scuri che le sfuggivano dalla lunga treccia in cui erano stati raccolti; indossava un kimono cremisi e bianco, e si muoveva piano senza parlare molto.

Si chiamava Kanan Okazaki. Gli si presentò così, sorridendogli con riserbo e chinando il viso, le mani a ravviarsi le ciocche.

- Puoi immaginare cosa avrei dovuto fare, se tutto fosse stato normale. Avrei dovuto fingere di sedurla, farla parlare, magari portarmela a letto senza badarci particolarmente. Invece quella prima sera parlammo e basta, e parlammo un sacco, seduti su uno dei divani con l’aria leggera di chi si sta tentando a vicenda in modo da non destare sospetti. Scoprii dopo poco che lei era la figlia del boss del clan rivale di quello che controllava l’Hanamachi e che si era vista costretta a lavorare lì per garantire al padre un minimo di sicurezza: finchè lei avesse prestato servizio per loro, il suo clan non avrebbe corso grossi rischi. O meglio, fin quando ai più potenti fosse servito il loro appoggio. Io presi mentalmente nota di quel che mi veniva detto, sebbene non fossi completamente lucido, e mi azzardai persino a chiederle se sapesse il nome dell’uomo che si muoveva dietro all’intera vicenda e alla sua vita… in fondo, era quello il mio obbiettivo. Ma Kanan scosse la testa, mormorando di non averne idea, e ancora oggi non so dirti se fosse la verità o una menzogna per proteggersi. Comunque mi ritenni soddisfatto, perché la avevo conosciuta -

Gojyo seguitava a non fare commenti. Voleva sentire il resto della storia, convinto che ci fossero particolari importanti che erano sfuggiti allo stesso Hakkai, annebbiato dalla tensione e dai sentimenti che provava per la ragazza. E poi… sì, non faceva commenti perché un po’ l’immagine di lei lo infastidiva: non tanto perché era venuta prima di lui, quanto perché gli sembrava che il moro gli si fosse legato perché gliela ricordava.

Stessa identica situazione, o quasi. Stesso identico conflitto tra ciò che doveva e ciò che voleva fare, in base ai suoi sentimenti.

- Tornai a trovarla più e più volte, sempre meno con la scusa del mio lavoro di indagine. Ci furono anzi serate in cui non parlammo nemmeno, intenti com’eravamo a fare l’amore. La amavo in una maniera assurda, la desideravo, e in me si faceva via via più forte e insistente l’impulso di portarla via da quel posto e di liberarla da quel peso. Chi se ne importava di suo padre! mi dicevo. Sarebbe felice comunque, con me. Lo sarebbe di più, pensavo, e contemporaneamente mi pentivo per il mio egoismo. Nel frattempo il cerchio si stava stringendo attorno a noi: il mio ispettore capo, accortosi di qualcosa, mi mise in guardia, avvisandomi che se avessi continuato così avrebbero dovuto prendere seri provvedimenti; e vennero raddoppiati i controlli, sia su di me, sia su di lei, da parte di entrambe le fazioni. Furono uccisi un paio di membri del clan di Kanan, ci fu una sparatoria in cui rimasero feriti alcuni miei colleghi, l’Hanamachi divenne un vero e proprio punto d’incontro per passaggi di merce illegale.

Ci stava crollando tutto addosso. Lei aveva paura per suo padre e per sé stessa e per noi, io ero nervoso come mai ero stato fino ad allora, convinto di avere gli occhi dell’intero corpo di polizia puntati sulla schiena con sospetto. Ci avrebbero ammazzati, ne ero certo.

Perciò prendemmo infine la decisione di scappare. C’era della follia nella nostra agitazione, e forse se avessimo aspettato sarebbe andata diversamente. Ma volevo proteggerla ad ogni costo e volevo, anche, sfuggire a quel mondo in cui mi ero invischiato per mia volontà. Kanan non si convinse subito riguardo alla fuga, cedette dopo diversi tentativi, pur cedendo con decisione. Scappammo una notte d’aprile, mentre l’Hanamachi veniva circondato dai miei colleghi, pronti per la resa dei conti, e gli uomini del clan si apprestavano a far fuoco dall’interno e le donne urlavano.

Ci lanciammo in strada da una porta posteriore con le orecchie colme del rumore degli spari e delle voci, ed eravamo sicuri che in quell’inferno nessuno avesse badato a noi, che nessuno ci avesse visti, coperti dal buio. Ma non era così. Non era così –

Hakkai si alzò di scatto a sedere, le dita contratte sulla stoffa liscia del lenzuolo. Dei, se gli faceva male ricordare!

La corsa verso la macchina con due borsoni che sbattevano loro contro le gambe, la partenza isterica, Kanan che si voltava di continuo per controllare che nessuno li stesse inseguendo. Si ritrovarono fuori dalla città in un batter d’occhio: stavano già tirando un sospiro di sollievo quando si accorsero delle auto nere, indistinguibili, che li tallonavano a fari spenti. Non c’era luna, quella notte, il cielo era nuvoloso. E per quanto guardassero, né lui né lei seppero capire chi ci fosse dietro di loro. Hakkai accelerò e accelerò, ma quelli erano troppi e ogni volta li raggiunsero.

Tirarono fuori le pistole in un tratto aperto di strada, ancora più buio del precedente, e presero a sparare. Colpi maledettamente precisi. I vetri s’infrangevano con fragore, il veicolo sbandava, il moro non riusciva più a mantenere quel poco di calma che gli era rimasta. Kanan gridava.

Ma all’improvviso tacque e gli si accasciò inerte su una spalla; una macchina li aveva affiancati. Hakkai riuscì a vedere due sole cose prima che il nero vischioso di quella notte lo sommergesse: le sagome scure che miravano nella sua direzione, la prima.

E gli occhi stupiti di lei che lo fissavano, la bocca appena aperta, un rivolo di sangue che le colava in silenzio dalla tempia sinistra.

Ci fu uno scoppio, un bagliore, e poi più niente. Per un attimo pensò “sto morendo”. Con una certa speranza.

 

 

Quando terminò il racconto, il moro si abbracciò le ginocchia, posandovi la testa sopra, e Gojyo, sopraffatto, gli accarezzò la schiena nuda.

- Che cosa accadde, dopo? – mormorò. Forse non avrebbe dovuto insistere ancora, però…

Hakkai girò il viso per guardarlo: - Mi risvegliai in ospedale. C’erano i miei colleghi, mio padre, tutti sollevati nel trovarmi vivo ma delusi da ciò che avevo combinato. Nessuno mi diceva nulla di Kanan, nessuno parlava di quel che era successo sulla strada. Quando poi se ne andarono, ancora stizziti, persone che non conoscevo ne presero il posto. Uno di loro si presentò come Jonathan Rossini, vice-boss di un clan della Yakuza amico di quello del padre di lei, e mi assicurò di essere dalla mia parte. Mi rivelò che erano stati lui e i suoi a raggiungere il luogo dell’incidente e a portarmi in ospedale: mi avevano tirato fuori dalle lamiere, accorgendosi che respiravo ancora. Ma Kanan… - s’interruppe di nuovo.

- … era morta? – terminò per lui il rosso in un soffio.

- Sì. Lo era già quando ci trovarono, mi disse Rossini. Non era stato possibile salvarla –

Gojyo si mordicchiò il labbro inferiore: - Mi dispiace. E ti senti in colpa? Sei convinto di averla portata tu alla morte? –

Il moro scrollò le spalle: - All’inizio lo pensai. Ma presto capii che non era colpa di nessuno dei due, che non avremmo potuto evitare quella fine. Piuttosto provavo rabbia verso la Yakuza, che l’aveva uccisa, e verso i miei colleghi che non avevano saputo aiutarci, solo sospettare di me. Mio padre, poi… era capace unicamente di rinfacciarmi la mia immaturità e il fatto che non ero e non sarei mai stato un buon poliziotto, essendomi rivelato schiavo di sentimenti irragionevoli. In fin dei conti non aveva torto – rispose – Quindi avrei mollato tutto anche se Rossini non mi avesse proposto di lavorare per loro, entrando nel clan di tal Hiroki Fujiwara. Accettai, poiché dovevo loro la vita, ed accecato inoltre dal desiderio di trovare, presto o tardi, il suo assassino. Lasciai la mia famiglia, che si rifiutò di capire e che non mi ha contattato più se non in casi rarissimi.

Sono passati quasi cinque anni… -

- E il padre di lei? Sai dove sia finito? -

- Pare sia morto un anno dopo, circa. Ucciso o meno, questo lo ignoro –

- Capisco – concluse il rosso.

Adesso che era stato detto tutto, Hakkai si sentiva come svuotato, persino più leggero, nonostante la morsa che ancora lo stringeva. Gojyo sapeva chi era, cosa aveva fatto e perché era finito a fare la spia per conto della Yakuza, e poteva immaginare quale fosse il suo proposito reale.

La verità, comunque, era che non si trovava così male nel clan, per quanto poco legale fosse: lo avevano lasciato libero di muoversi come preferiva, senza osservarlo con malcelato sospetto, ricambiando, quando necessario, la fiducia con la fiducia. Eppure…

- Che cosa pensi di fare, allora? Ormai mi hai mostrato il tuo doppio gioco, principe – chiese Gojyo con un mezzo sorriso.

Eppure l’incontro con quell’uomo ironico dai capelli scarlatti lo aveva come risvegliato dal torpore in cui si era adagiato per quattro anni: non che avesse motivi per andare contro Fujiwara e Rossini e gli altri, col debito che aveva nei loro confronti, però non voleva più ingannarlo.

Dire che lo amava sarebbe stato eccessivo, ma si avvicinava pericolosamente a quel che provava.

- Se d’ora innanzi farò il doppio gioco non sarà con te, Gojyo – replicò serio.

Il tempo scorreva rapido, e Hakkai non poteva rimandare a lungo il momento di rientrare all’Hotel. Pertanto si rivestirono entrambi, e in silenzio risistemarono la camera e la cucina, ciascuno dei due immerso in riflessioni complicate, l’aroma del caffè ancora nelle stanze.

L’ispettore ripensava al racconto del moro, e più ci rimuginava più qualcosa gli suonava strano, una sensazione labile: c’era un punto oscuro che gli rodeva la mente con la sua importanza nascosta. Avrebbe indagato da solo sulla questione, senza farne partecipe il compagno.

Se c’era sotto quel che temeva, la cosa migliore era agire con cautela e scoprire le carte una volta che i dubbi si fossero chiariti. Gli venne da ridacchiare piano, all’idea che Hakkai era più simile a lui di quanto credesse: non era forse Gojyo, nel presente, il poliziotto che permetteva ai propri sentimenti di alterare i suoi doveri, esattamente come il moro aveva fatto con Kanan Okazaki? Come se tutto si volesse ripetere.

 

 

Si separarono sul tratto di marciapiede di fronte al cancello di casa, i visi e i capelli sferzati dal vento mentre si concedevano un bacio di saluto.

L’accordo era quello di rivedersi al più presto, come di consueto, se non più del solito, e la raccomandazione quella di stare bene attenti, adesso che il rapporto tra loro si era evoluto in modo pericoloso, a volerla intendere così. Hakkai entrò in macchina e mise in moto continuando ad agitare una mano in direzione del rosso, prima di partire. Gojyo rimase ad osservare l’auto che si allontanava e infine, quando questa scomparve dietro una curva, andò dalla parte opposta con passo rilassato, le ciocche infuocate che danzavano tra le folate fredde.

 

 

 

 

٭ Ninth Chapter Ends ٭

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice:

aaaah, oddei, scusatemi per il ritardo assurdo!! Ma ho finito ieri con gli esami di questo periodo, domenica scorsa c’è stato il Concerto d’Inverno e non sapevo veramente come riuscire a fare tutto… cosa che difatti non mi è riuscita ^^’’

Comunque, rieccomi qui. Altro capitolo incentrato esclusivamente su Gojyo e Hakkai e sul passato di quest’ultimo (giuro che ho finito coi flashback strappalacrime XD), che mi auguro di non aver trattato in maniera troppo sbrigativa. Oh, che le fans degli altri due non si disperino:

annuncio sin da ora che il prossimo li vedrà protagonisti assoluti… e chi ha orecchie per intendere intenda *risatina dietro al ventaglio*

Come al solito, fatemi sapere se questa “puntata” vi è piaciuta e, cosa altrettanto consueta, grassssie millerrime a tutte quante per i motivi che ben conoscete:

continuate a seguirmi, chè io ne sarò contenta e voi non rimarrete deluse (spero)!

Poipoipoi… oh, giusto, le curiosità musicali di turno:

||CC|| → il titolo del capitolo è preso dalla canzone Gunning down romance dei Savage Garden, che oltretutto mi sono ascoltata mentre scrivevo, assieme alla colonna sonora di Balla coi lupi e a Playing the angel dei Depeche Mode (più qualche song random, come Frozen di Madonna, Sky blue di Peter Gabriel, A beautiful lie dei 30 Seconds To Mars, Solo un sogno di Pacifico e Lucy di Anna “Nana + Blast”).

A risentirci al prossimo capitolo – che arriverà piuttosto presto! yours Black ~

 

 

 

 

 

  
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