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Quando scesi dall’aereo, il
ricordo dell’ultima volta che ero stata a Milano mi investì come uno tsunami,
ferendomi terribilmente. Era stato Michele a portarmici,
chiedendomi di accompagnarlo poiché doveva tenere un concerto nella Grande
Metropoli italiana. Allora tra noi non era ancora nato niente di che, ma io ero
già confusa e cercavo di capire cosa provassi nei suoi confronti. Quei giorni,
nonostante facesse male ricordarli, erano stati divertentissimi: nel backstage
della manifestazione a cui Michele aveva partecipato, avevo reincontrato
il mio amico Nicola, cantante dei Linea 77, e conosciuto Babaman,
uno dei miei tanti idoli. Era stata un’esperienza fantastica e ora ci tornavo
perché la mia migliore amica abitava là e io non ero sicura di poter tornare in
Toscana. Probabilmente mio padre aveva venduto la casa prima di partire a
Londra e prima di scoprirlo avevo dovuto trovare una sistemazione temporanea.
Immersa nei miei pensieri, mi
avviai verso l’uscita e salii sul primo taxi a disposizione, dicendo
l’indirizzo all’autista.
Mi accasciai sul sedile e
osservai i claustrofobici grattaceli milanesi ammassati l’uno sull’altro. Non
rimasi turbata da quell’ambiente, poiché Londra era ancora peggio di Milano da
quel punto di vista. Quando ci imbottigliammo nel traffico, notai che ci
trovavamo vicino a Piazza del Duomo e il ricordo del concerto di Michele mi
schiaffeggiò ancora una volta con tutta la sua potente crudeltà. Mi venne in
mente la dedica che mi aveva fatto prima di cominciare a cantare ‘Ulisse’. Era
stato emozionante assistere a tutto quello spettacolo e in quel momento, mentre
l’autista ripartiva, fui certa che non avrei mai dimenticato niente che fosse legato
ai Faithless.
L’auto si fermò e io scesi,
porgendo una banconota da venti sterline all’autista.
Lui mi lanciò
un’occhiataccia.
Inizialmente non compresi
cosa ci fosse che non andava, poi sgranai gli occhi, mortificata.
“Mi scusi, io… sono appena tornata da Londra e…
avevo fretta, non ho pensato di…”
Il tizio mi sorrise
sarcastico e mi congedò con un gesto della mano. “Vada, non si preoccupi. La
prossima volta mi dovrà il doppio.”
Stordita, scesi dalla
macchina e la osservai mentre si allontanava, scomparendo nel traffico
milanese.
Dio, come avevo potuto non
ricordarmi di cambiare le sterline in euro? Mi maledissi un centinaio di volte,
mentre mi infilavo nell’androne del palazzo in cui abitava Anna. Presi
l’ascensore e schiacciai convulsamente il tasto numero 8, per poi appoggiarmi
con la schiena contro la parete metallica e sospirare.
Le porte si aprirono dopo un
lungo minuto e, barcollando, mi trascinai fuori, avviandomi verso
l’appartamento della mia amica. Vi giunsi e suonai il campanello, lasciando andare
il trolley e sistemandomi distrattamente i capelli con una manata.
Pochi istanti dopo Anna mi
aprì e mi si fiondò addosso, stringendomi forte a sé. “Oh, Elisa! Quanto mi sei
mancata!” disse.
Ricambiai l’abbraccio e
sorrisi, mentre qualche lacrima di gioia sgorgava dai miei occhi.
“Fatti guardare!” Mi afferrò
per le spalle e mi fece allontanare, per poi squadrarmi dall’alto in basso.
Posò le iridi nocciola sul mio viso e mormorò: “Non piangere, tesoro. Vieni,
entra. Ci mettiamo comode e mi racconti tutto, ti va? Vuoi qualcosa da bere?”
prese a domandare, trascinandomi letteralmente dentro casa.
Mi fece sedere sulla piccola
poltrona in vimini che si trovava in un angolo della cucina e trasportò il mio
bagaglio fuori dalla stanza. Poco dopo riapparve e prese ad armeggiare con un
bollitore di metallo.
La osservai e sorrisi.
“Allora? Vuoi un tè?”
Scossi il capo. “Dimentichi
sempre che odio quella bevanda.”
Anna si batté una mano sulla
fronte e ridacchiò, mettendo comunque a bollire l’acqua. “Allora l’inglese sono
io, a quanto pare” osservò, voltandosi nella mia direzione.
Risi e le feci una
linguaccia.
“Caffè?” chiese ancora.
“Sì, diamine! Un
bell’Espresso!”
La mia amica si mise
all’opera e io mi guardai intorno, notando l’arredamento modesto ma comunque
accogliente; tutti i mobili erano di legno chiaro, mentre le pareti color pesca
ospitavano qualche quadretto rappresentante astrattismi.
Una domanda mi occupò
improvvisamente la mente e mi voltai di scatto verso Anna, trovandola
appoggiata con la schiena contro il frigorifero, intenta a fissare la piccola
caffettiera rossa.
“Anna.”
“Sì?”
“Vivi ancora da sola, vero?”
domandai.
La mia amica sorrise, ma non
distolse lo sguardo dal punto che stava osservando.
Cosa mi stava nascondendo?
Non è che forse…
“Sai, in realtà…
Giorgio si è trasferito da me circa un mese fa.”
Cosa? Io non ne sapevo
niente! E ora stavo deliberatamente invadendo i loro spazi, proprio nel momento
in cui Anna e il suo ragazzo avevano appena intrapreso un’esperienza importante
come la convivenza.
“Ma Eli,
non ti preoccupare!” si affrettò ad aggiungere, notando la mia espressione dopo
aver sollevato il viso. Mi si avvicinò e proseguì: “Tu sei e sarai sempre la
ben venuta a casa mia, perciò smettila di pensare di arrecare disturbo.”
Spalancai la bocca per dire
qualcosa.
“Non essere sorpresa, ti
conosco” dichiarò, con tono divertito.
Intanto la caffettiera e il
bollitore presero a rumoreggiare nello stesso istante, come se si fossero messi
d’accordo.
Sorrisi ad Anna e lei si
affrettò a spegnere tutto e a versarmi il liquido nero che tanto amavo in una
tazzina.
“Ecco a te!” disse,
posandomela accanto assieme alla zuccheriera color porpora, abbinata alla
caffettiera. “Ben tornata a casa.”
“E così sei fuggita da Londra
per amore” riassunse Anna, mentre stavamo accoccolate sul divano.
Le avevo appena raccontato
ogni singola cosa e lei era stata ad ascoltarmi con attenzione e comprensione,
come se ci fossimo viste appena il giorno precedente.
“Sì.” Le posai la testa sulla
spalle e lei mi avvolse in un abbraccio.
“Sei sicura di aver compiuto
la scelta giusta?”
“Sinceramente non lo so.
Cioè, per i ragazzi è meglio così, ma è logico che io soffra per la drasticità
del mio gesto. Ho tagliato i ponti in quattro e quattr’otto e ora mi sento
vuota.” Ero sincera, con Anna era inutile fingere.
“Capisco. Sono d’accordo con
la tua scelta, Elisa.”
Annuii. “Lo immaginavo.”
“Per come ti conosco, non
saresti stata in grado di scegliere.”
Chiusi gli occhi e sospirai.
“Già. Sono una bambina.”
Anna ridacchiò, tirandomi una
ciocca di capelli. “Sì, sei la mia bambina.”