Camminava stanco per viale Costituzione, teneva gli occhi bassi, ogni tanto guardava passare qualche macchina, gli sembravano tutte troppo veloci. Un passante urtò la sua spalla, pensò che non gli conveniva continuare a camminare a testa bassa in mezzo al marciapiede. Si appoggiò al muro di una palazzina e continuò ad avanzare, non mancava molto. La polvere di intonaco bianca gli volteggiava intorno alla testa e gli macchiava il giubbotto. Si accorse che il marciapiede stava per finire. Alzò gli occhi e gli venne in mente perché non lo avesse fatto prima; ogni cosa vedesse gli ricordava lei, Lidia, e in quel momento il suo sguardo incontrava ciò che più gliela faceva tornare in mente, lei aveva sempre adorato il teatro. Era stato proprio sotto la statua dell’ eroe dei due mondi che l’aveva incontrata per la prima volta. Era un pomeriggio di Gennaio e stava andando a vedere una rappresentazione di un autore di cui nemmeno ricordava il nome, a dir la verità non aveva nessuna voglia di andarci, ma cosa non si fa per il credito! Comunque era lì ad aspettare con altri studenti dello scientifico quando il suo sguardo cadde su una ragazza splendida, i cui capelli erano incorniciati dalla luce di un pomeriggio che già volgeva a sera, la stessa luce che in quel momento decorava le corolle dei fiori non ancora sbocciati. Sembrava una di quelle donne angelicate di quegli “stilcosisti”, ma era colpa sua se lui si sentiva così miseramente, lei amava un altro. Non era proprio un “altro”, a dire il vero, in quanto lui, con suo immenso rammarico, non era mai riuscito rivolgerle la parola, e conosceva il suo nome solo grazie a chi aveva avuto più coraggio di quanto lui ne avesse mai avuto. Non le aveva mai parlato, insomma, né quando la incrociava per i corridoi né quando le passava accanto all’ uscita da scuola. Si riprese dai suoi tristi pensieri, si girò di nuovo verso il marciapiede e vide qualcosa che non si aspettava. Su un muricciolo stava un gatto nero, in posa come una sfinge, una sfinge posta a guardia di una piramide di sabbia che l’ ultimo vento invernale aveva disperso nell’ aere. Restò a guardarlo sorpreso per qualche attimo, il gatto si era girato verso di lui e lo guardava fisso. Lo scrutava coi suoi occhi verde-gialli, che sembravano trapassarlo da parte a parte. Il giovane diede una veloce occhiata prima a sinistra, poi a destra e raggiunse rapido l’ altro lato della strada. Il felino non si lasciò sfuggire un suo solo movimento. Con un balzo forte e al contempo elegante il gatto si portò ai suoi piedi. Il ragazzo si accovacciò per poterlo guardare negli occhi, quei grandi occhi profondissimi. Gli accarezzò la testa gentilmente e quello rispose leccandogli un dito. Era strano che un felino si lasciasse avvicinare così facilmente da uno sconosciuto. Forse era felice, forse sentiva la primavera, nessuno può sapere cosa pensa un gatto. Il ragazzo si rialzò, non aveva più problemi a tenere alto lo sguardo, tutto gli sembrava più radioso. Si voltò. Il gatto aveva ripreso la sua posizione, come se non fosse accaduto niente, il suo manto e ogni cosa intorno riluceva, nella luce di quel giorno in cui, per la prima volta, aveva visto Lidia.