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Autore: Lacus Clyne    03/08/2012    1 recensioni
Sono trascorsi sei mesi dalla caccia di Tom Culpeper al branco di Mercy Falls. L'inverno è tornato, e alle porte del Natale, Isabel torna a casa, nel gelido Minnesota. Una voce di lupo totalmente inaspettata e le sue speranze si riaccendono. Sam, Grace, Cole sono tornati? O è solo un miraggio dettato dal desiderio di rivederli?
Genere: Fantasy, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buongiorno!! Nuovo capitolo al volo... Isabel! <3

 

 

 

 

 

ISABEL

 

 

Non sapevo esattamente cosa aspettarmi. Anzi, avevo le idee piuttosto confuse, dopo aver parlato con Grace. Le ore passavano, e se volevo tornare a casa, dovevo sbrigarmi a raggiungere l’aeroporto. Tuttavia, non avevo più tanta voglia di farlo. Mi sentivo di nuovo stanca e svuotata. Tornare a casa avrebbe significato trascorrere il Natale (che già odiavo e che mi ero ripromessa di non festeggiare mai più dopo la morte di Jack) in qualche ristorante di lusso, attorniati da gente che passava il tempo chiacchierando stupidamente su inutili e dispensiosi progetti di vacanza, politica e sputando sentenze sul perché avessi deciso di prendermi un anno sabbatico dopo il liceo. Avevo fatto impazzire i miei, che avrebbero voluto vedermi frequentare con profitto Medicina o Giurisprudenza, ben intenzionata a seguire le loro orme. Medicina non mi dispiaceva, in realtà, tanto che avevo già avuto modo di studiare il manuale Merck, quando cercavo una spiegazione al perché la meningite non avesse contrastato il lupo che era in Jack, e oltretutto, non avevo di che lamentarmi sul profitto scolastico, sebbene non eccellessi come Grace. Tuttavia, era una sorta di rivincita personale, dal momento che i miei avevano vinto, allontanandomi da Mercy Falls. Certo, mi era costata l’isolamento, ma non intendevo dargliela vinta. Una volta, avevo detto a Cole che non conoscevo la differenza tra il non combattere e l’arrendersi. L’avevo imparata a mie spese, quando l’avevo mandato al diavolo senza pensarci due volte sol perché mi aveva chiamata “bambina viziata” e mi aveva chiesto di provare a fermare mio padre per permettere al branco di scappare. Quella sensazione era talmente forte e sgradevole che faceva male anche solo ricordare. Secondi, e poi interminabili minuti a rimuginare su quanto avessi sbagliato a dire a Cole di suicidarsi. Il cuore lacerato tra orgoglio e timore. Timore che era diventato paura, quando mia madre mi aveva avvisata che papà era in prima linea, come tiratore scelto. E poi la corsa disperata, a casa di Beck, e la presa di coscienza di essere arrivata troppo tardi. E ancora, una nuova speranza, la strada per il lago Knife. Ancora una corsa, l’arrivo nella radura. Parcheggiai il SUV sulla landa ghiacciata e scesi. Dire che si gelasse era dir poco, tanto che mi strinsi nel piumino. Avrei dovuto mettere qualcosa di più pesante, sentivo la morsa arrivare persino ai reni. Avanzai prudentemente, inquieta. Tutt’intorno, non si sentivano rumori che non fossero il fruscio del vento tra i rami spogli e il ticchiettio dei tacchi. Ma riuscivo a sentire altri rumori, ben più radicati ed echeggianti. Le pale degli elicotteri che si alzavano in cielo, i lupi che fuggivano, gli ordini urlati da Cole, che correva con loro incurante del pericolo, e la raffica di proiettili che cadeva dal cielo, abbattendo Beck e altri lupi. Voltai lo sguardo verso la strada e rividi la lupa bianca puntare verso il branco per impedire l’avanzata, e poi di nuovo Cole, che si trasformava e ingaggiava battaglia con lei. Non avevo mai visto niente del genere in vita mia. Uno scontro furibondo, all’ultimo sangue. E non avevo mai visto Cole battersi prima di quel momento. Determinazione, volontà ferrea, istinto di sopravvivenza. E quando sembrava aver avuto la meglio, una nuova raffica di proiettili era caduta dal cielo, lasciando accanto al cadavere esanime della lupa bianca quello di Cole. In quel momento, il mondo aveva smesso di girare. E poi, la voce di mio padre al cellulare, che mi intimava di levarmi di lì. Sollevai lo sguardo al cielo, così grigio e minaccioso.

Perché proprio Cole tra tutti i lupi? Perché quello a cui tengo? Già, non me n’ero resa conto fino a quel momento. Era sempre stato lui. Sin dal giorno in cui l’avevo trovato nudo sulle scale di casa mia. Sin da quando l’avevo visto ubriaco riverso sul pavimento in cerca del coraggio di farla finita. Sin da quando mi aveva rivelato che stava cercando una cura. Sin da quando mi aveva detto che non avrei mai lasciato che qualcuno provasse ad amarmi. Sin da quando avevo sentito la sua voce al telefono dirmi che io ero la prima persona che aveva avvisato di essere vivo. Cole era la persona più incostante che conoscessi. Il genio dall’intelligenza sconfinata, la rockstar con migliaia di fan che aspettavano solo il suo ritorno, il megalomane esibizionista dalle continue sorprese, il lupo dagli occhi umani. E io, cos’ero per lui?

Un fruscio tra i cespugli mi risvegliò da quei pensieri. Abbassai lo sguardo, cercando di focalizzare, scorgendo una sagoma scura che si muoveva. Era surreale come riuscissi a parlargli davvero soltanto quando era in quelle sembianze. Sapere che lui non poteva capirmi, in un certo senso era rassicurante. E sebbene non fossi il tipo di persona che parlava quando non poteva essere ascoltata, con Cole avevo scoperto che era facile.

“Sai Cole? In questi mesi, la sola cosa che mi ha dato il coraggio di non impazzire è stata la tua voce, l’ultima volta che mi hai chiamata. Ho trascorso giorni orribili credendo che tu fossi morto. Urlavo contro i miei genitori, li odiavo per quello che avevano fatto, molto più di quanto li avessi detestati fino a quel momento. Non avevano soltanto distrutto la mia vita, ma mi stavano privando delle sole cose che le davano un senso. Già, perché tu e quei lupi rabbiosi e infetti mi avete fatto capire che dopotutto, c’è del buono anche in una mela marcia. Una volta ti ho detto che non potevo stare con te perché eri tossico, e mi avresti trascinata nuovamente nel baratro da cui ero appena risalita. E tu mi hai chiamata “bugiarda” e mi hai detto che ci eravamo incontrati perchè eravamo entrambi in fondo a quel baratro. Avevi ragione, Cole. Avevi ragione su tutto. E questa cosa mi fa una rabbia tremenda, perché tu sei sempre stato in grado di vedere quel che io non vedevo. Tu mi hai mostrato la terza via, e non avevo capito che era quella che portava te, ma non posso percorrerla se tu non me ne dai la possibilità.” Alzai la voce. Non avevo bisogno che mi sentisse, ma dirlo era il solo modo che avevo per convincermi che una volta tanto, a parlare era il mio cuore. “Maledizione, Cole St. Clair, perché diavolo sei tu il solo che vorrei che provasse ad amarmi?!” La sagoma scura drizzò le orecchie appuntite e si voltò verso di me. Per un attimo provai un’insolita sensazione di sollievo, accanto alla consapevolezza di essermi arresa ai sentimenti che avevo cercato di reprimere, ma quando dai cespugli saltò fuori un lupo dal manto scuro, le mie ossa si bloccarono e il mio cuore ebbe un sussulto strano. Avvampai. Non era Cole. Ricordavo bene il lupo dal manto brunastro, ma soprattutto, i suoi occhi verdi, assolutamente umani. Gli occhi della bestia che avevo di fronte non lo erano. Al contrario, erano scuri e senza alcun brillio. Le sole cose che scintillavano erano le fauci scoperte, mentre ringhiava. Doveva essere qualche lupo spintosi da queste parti dopo che il branco era fuggito. Merda, avrei voluto che mio padre fosse con me in quel momento, per dirgli “Hai visto che hai fatto, papà?!”, ma c’eravamo solo io e quella bestia rognosa che non faceva altro che ringhiare e sbavare. Che meraviglia, dovevo diventare la cena di un lupo che per giunta non era umano part-time due giorni prima di Natale? Sorrisi istericamente a quel pensiero. Un bel regalo per la mia famiglia. Mi venne in mente la Mustang di Cole sul comodino, accanto alla croce. Avrei fatto un bel regalo anche a lui se fossi morta. Ma dopotutto, non dovevo avere rimpianti. Mi morsi le labbra, e all’improvviso fui sopraffatta dal ricordo della mia stanza, di Cole che si avvicinava e mi baciava come nessuno, neppure lui prima di allora, aveva mai fatto. Un bacio dolce come il ricordo di un bacio, le sue dita gentili che mi accarezzavano la guancia. Era così nitido e perfetto il ricordo di quella sensazione, che per un’istante ebbi l’impressione che stesse succedendo di nuovo. “Ti bacerei così, se ti amassi.”, mi aveva detto. Ma Cole non mi amava. Lui non amava nessuno che non fosse se stesso. Non importava quanto urlassi. Cole St. Clair non mi avrebbe mai amata. Fine della storia. Chiusi gli occhi e rimasi immobile, mentre una lacrima si formò nel mio occhio destro. La lasciai uscire senza protestare. “Non voglio più soffrire. Fa’ presto, fottuta bestia.” Mormorai. Ringhiò e sentii distintamente le sue zampe in movimento. Ma più chiaramente ancora, sentii levarsi un secondo ringhio, più potente e minaccioso, e il rimbombo di qualcosa che era stata colpita. E subito dopo vidi un flash, nell’oscurità dei miei occhi ancora chiusi. Casa di Beck. Sgranai lo sguardo di colpo. Un lupo grigio brunastro aveva attaccato il lupo dal manto scuro. Mi si mozzò il fiato in gola.

“Cole!” Esclamai.

Si voltò. I suoi occhi verdi incontrarono i miei. Umani. Umani e determinati.

“Tu…” balbettai, incapace di articolare una parola decente.

Scosse il muso affusolato, scoprendo i denti aguzzi. Sarei forse morta per mano sua? Cole non aveva alcuna capacità di controllo su di sé quando era un lupo. Non poteva avermi riconosciuta.

Il lupo dal manto scuro si era rialzato e fissava Cole rabbiosamente. Ma lui continuava a fissare me. Solo quando la bestia si lanciò all’attacco, azzannandolo alla gorgiera, Cole scattò e reagì. I miei muscoli si mossero. L’istinto di sopravvivenza ebbe la meglio. Riuscii a tornare al SUV e a ripartire. Tremavo, e non sapevo nemmeno dove dovessi andare. Avevo solo un pensiero in mente. Casa di Beck. Sicuro. 

  
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