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Autore: FairySweet    03/08/2012    1 recensioni
Perché ora? Perché proprio in questo momento? Che aveva fatto di male a Dio per ritrovarsi incastrata in un mondo che non le apparteneva più?
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cristina Yang
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Burke 23                                                                                                 Ricordami perché ...







Un sorriso delicato, incorporeo, continuava  a seguire con lo sguardo quelle linee sul monitor, dei movimenti, i movimenti che sentiva fino in fondo all’anima.

Accanto a sé come sempre Daniel, il suo sorriso, la meraviglia dipinta nello sguardo mentre lentamente si rendeva conto che quel bambino era davvero lì e poi Burke a pochi passi da loro, un enorme sorriso a colorargli il volto e gli occhi traboccanti di gioia “È davvero bellissimo”  sorrise tornando a concentrarsi sul monitor “Allora dottoressa, siamo in perfetto orario” esclamò il ginecologo ridacchiando “Il peso è buono e a quanto vedo anche il caratterino, non sta fermo un minuto” “Lo deve vedere quando guardo le partite” ribatté Den senza staccare un secondo gli occhi dallo schermo “Diventa matto per gli Yankee , credo che diventerà un giocatore, una mezz’ala forse o magari ...” Burke scoppiò a ridere e lo stesso fece lei “Che c’è?” “Non so nemmeno che nome avrà e pensi già ad iscriverlo alla lega pulcini” il medico annuì divertito “Se ha preso da te mangerà tonnellate di frutta e anche tante schifezze” “D’accordo, va bene”  esclamò Burke raggiungendola “Sarà un giocatore di rugby che adora le ciliegie e avrà una mamma chirurgo ok?” le posò una mano in viso ridacchiando “E se ha preso dalla mamma sarà anche discretamente bello”  “Discretamente?” sussurrò ripulendosi il ventre “L’unica cosa che lo salva è il fatto di essere uomo. Se fosse nata donna probabilmente, quando sarebbe uscita di casa per incontrare gli amici, le sarei corso dietro ogni volta, soprattutto se prendeva da te il fisico”  sbuffò riallacciando la camicetta, Den era troppo impegnato a parlare con il medico per darle retta e parlare con Burke non risultava nemmeno troppo folle “Ricordami ancora perché non sto sbagliando” mormorò legando i capelli “Perché quello che hai dentro è un bambino. Perché tuo marito non capisce ma io si, Daniel si e tu anche”  le sorrise avvicinandosi “Tornerà indietro Scheggia, lo farà, presto o tardi riavrai tuo marito ma ora, ora hai accanto una persona che in questi mesi ha imparato a conoscerti, che vuole prendersi cura di tutti e due senza secondi fini, è sincero Scheggia” la mano di Den la trascinò improvvisamente lontano da Burke, dal suo sorriso “Nascerà tra due settimane, giorno più giorno meno” “Cosa?” balbettò confusa cercando di concentrarsi su di lui “Tuo figlio nascerà tra due settimane quindi meglio se ti sbrighi a scegliere un nome” scosse la testa ridacchiando “Ora devo fare una sostituzione di valvola” afferrò il camice dal lettino “Ehi, voglio vederti riposata questa sera chiaro?” non rispose nemmeno, si limitò ad annuire “Non sto scherzando Lidy, ti vengo a controllare ogni mezz’ora” ma la porta era già chiusa e la sua risata cristallina già lontana.



Ma che cavolo di idea aveva avuto? Arrivare fino a Seattle e per cosa? Per incontrare il marito della sua migliora amica? Per quale motivo? Per farlo tornare da lei? No, non era per quello che aveva attraversato mezzo paese ma semplicemente, per quel bambino.
Lidy aveva ragione, Seattle era davvero cupa e triste, piena di nuvole e senza sorrisi o forse, era lui troppo abituato alla sua vicinanza per vedere i sorrisi nel cemento grigio.
Non era stato difficile raggiungere casa sua, ancora meno suonare il campanello ma trovarsi davanti l’uomo che si sarebbe preso cura di quel bambino, di lei era massacrante “Lei è il dottor Hunt?” sorrise appena annuendo “Sono Daniel Hopkins, il primario della Mayo” “Cristina sta bene?” fu l’unica domanda che il cervello riuscì a formulare.
Den annuì sorridente seguendolo in casa “Si, lei sta bene” “E allora perché è qui?” domandò confuso “Per questo” tra le mani una busta di carta “Questo è tuo figlio” il cuore a mancare un battito mentre con mani tremanti sfilava quelle foto scure “Sta bene, ha davvero un bel caratterino e si, nascerà tra due settimane. Lidy sta bene e  ...” “Lidy?”  scoppiò a ridere alzando una mano in segno di scusa “Cristina, lei sta bene. La chiamo Lidy perché è diminutivo di melodia” ma lo sguardo confuso di Owen lo costrinse a parlare di nuovo “Trovo che sia fantastica dottore. Tua moglie è un portento, e non ti parlo solo di talento no, ti parlo di quella luce che risplende quando sorride, quando scherza parlando con quel bambino che nemmeno ha mai visto. È diversa, cambiata, credo cambiata in meglio ma non penso avesse molto di cui vergognarsi. Lei è perfetta così, lo vedi quando opera, quando è talmente concentrata su quello che fa da non rispondere, è melodia pura e per questo la chiamo Lidy, perché per me è melodia” “Lo so” sbottò gelido “È mia moglie, so com’è, mi sono innamorato di lei per questo” “E allora perché la punisci?” una domanda secca, diretta, piantata nel vuoto alla velocità della luce “Io sono qui davanti  a te, ti ho portato le foto di tuo figlio, ti sto pregando di renderla felice anche se vorrei essere altrove, lontano da qui, però sto facendo questo” gli occhi piantati nei suoi “Lo sto facendo perché tua moglie ha talmente tanta paura di essere odiata da te da starti lontano. È innamorata di te, lo sarà per sempre ed è giusto così, non pretendo niente da te perché nemmeno ti conosco però una cosa voglio dirtela” strinse più forte le chiavi della macchina “Se decidi di entrare nella vita di quel bambino e poi vai via, se la fai soffrire di nuovo ti farò del male con le mie mani” “E credi che questo mi spaventi? Credi che venire qui e minacciare sia spaventoso? Tu non hai la minima idea di quello che è successo tra noi!” “No ma so quanto basta e ti dico solo quello che penso. Lei non merita di soffrire ancora e se non può proteggerla il ricordo a cui è ancora legata allora lo farò io” non rispose, non si mosse nemmeno.
Restò semplicemente immobile ad osservare quell’uomo abbandonare la sua vita esattamente com’era venuto, in silenzio.
Le mani continuavano a tremare stringendo più forte quei pezzi di carta, tornare da lei per cosa? Per farle ancora del male? Per fingere che il suo tradimento non fosse mai accaduto? E poi quello schiaffo dato solo per colpa della rabbia? Non le avrebbe mai fatto del male, l’avrebbe protetta sempre e si sarebbe preso cura di lei, era questo che aveva promesso a sé stesso quel giorno e ora, tutto quello che riusciva a fare, era restare immobile mentre i cocci di quel giuramento si infrangevano contro la sua stupida rabbia.
Sapeva che quella era la sua maledizione, pensare continuamente a lei, alle sue labbra, al suo sorriso, al calore di quel corpo e alla bellezza delle ore passate con lei, quella era la sua condanna, e  forse, era proprio per questo che  non trovava la forza di staccarsene, di lasciarla andare, perché farlo voleva dire rinunciare alla vita stessa.
  
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