Sweet Disposition
Terzo
capitolo: I won't let you go
Doremì
corrugò la fronte stranita, volgendo il suo sguardo
in direzione delle amiche che avevano la stessa espressione
stampata in viso, ancor più
scettiche e preoccupate per lei, esaminandola con attenzione per capire
qualcosa. Dal canto suo la rossa fece spallucce, facendo capire che non avesse idea di cosa
avesse fatto per
essere chiamata in presidenza urgentemente.
Storse la bocca alienata, dirigendosi, sotto lo sguardo incuriosito dei
suoi
compagni, fuori dalla palestra.
Trasse un lungo
sospiro una volta arrivata davanti alla
porta di presidenza, il cuore le cominciò a tamburellare
fortemente; aveva un
bruttissimo presentimento. Titubante
bussò alla porta, aprendola ,una volta sentito
il cenno di entrare,
ritrovandosi davanti tutta la commissione d'insegnanti osservarla in
modo
alquanto strano per i suoi gusti. Arcuò fortemente il
sopracciglio vermiglio
scettica, scoccando un'occhiata prima da una parte e poi dall'altra
verso gli
insegnanti, finché la sua attenzione non fu catturata dalla
preside Yuki
Hashimada. Yuki Hashimada era una donna sulla quarantina, alta
abbastanza,
dallo sguardo austero, i lunghissimi capelli color mieli legati in una
crocchia
e gli occhi di un
castano scuro che
mettevano molte volte soggezione. Nel naso teneva degli occhiali
trasparenti e
la bocca tinta di
rosso esaltava le
sue carnose labbra.
“Harukaze
“la chiamò, il tono serio, sistemandosi gli
occhialini sul naso, osservando la giovane in maniera ermetica
“ Ti starai
chiedendo sicuramente il motivo per cui io ti abbia chiamato qui,
giusto?” le
chiese mantenendo quel tono severo. Doremì annuì,
leggermente agitata; sentiva
sempre più vicina quella brutta sensazione che aveva
avvertito prima di entrare
lì dentro. Deglutì amara, ascoltando con molta
attenzione ciò che le stava per
dire la preside Hashimada. Hashimada socchiuse lievemente le palpebre,
togliendosi gli occhiali, fece un lungo respiro, cercando di capire
quale fosse
il modo più adeguato per dare una notizia che avrebbe
stravolto totalmente la
ragazza.
“Ecco...come
dire..” proferì , cercando di essere
più
delicata possibile “ Ha chiamato tua madre...e...Harukaze tuo
padre ha avuto
un'incidente e adesso si trova in ospedale, mi spiace “le
comunicò tutto ad un
fiato, lanciandole un'occhiata comprensiva, addolcendo un po' il viso
severo.
Doremì
pietrificò all'istante. Sbarrò i suo grandi occhi
magenta e aprì la bocca per dire qualcosa, ma
non uscì alcun suono, non avendo ancora
carburato la gravità della
situazione; nella sua testa riecheggiarono le parole “ padre
“ e “ospedale”,
percependo solo in quel momento la
situazione, il fiato le si mozzò. Non proferendo nemmeno una
parola, lo sguardo
vuoto e sgomento, si fermò ad guardare le persone che la
circondavano con
cipiglio apprensivo, cercando di dar un minimo di sostegno alla ragazza
che si
trovava in una situazione delicata.
“Io devo
andare...” disse solamente Doremì, lo sguardo
assente, uscendo di corsa dalla stanza con le lacrime che le stavano
cominciando a rigar il viso, lasciando la preside e gli insegnanti
più
preoccupati che mai.
Doremì
cercò di arrivare il più presto possibile
all'ospedale, ma per sua sfortuna quel giorno il traffico era tanto,
facendola
in quel modo imprecare di brutto che uno scaricatrice di porto le
faceva un
baffo, sotto lo sguardo perplesso del taxi sta. Batté i
piedi nervosamente,
mordicchiandosi le labbra talmente forte da sentir il sapor del sangue
sulla
bocca.
“ Non si
potrebbe velocizzare?” chiese stizzita al taxista,
torturandosi una ciocca che le era ricaduta in viso.
“ Lo vede
pure lei signorina che c'è traffico, di certo non
posso scavalcare le macchine” le rispose tranquillamente,
facendola in questo
modo innervosire più di quanto lo era.
“Si, ma io
non posso ritardare! C'è mio padre che lotta tra
la vita e la morte! Se morisse io non potrei nemmeno dargli l'ultimo
saluto
perché sono bloccata qui!” scoppiò
disperata, in procinto di una crisi di
nervi, mentre delle
stille salate le
scendevano, senza che lei se ne accorgesse, nel viso pallido.
“ Mi
spiace signorina, ma non posso fare nulla “ le disse
solamente,
facendo spallucce suscitando la ferocia della rossa
all'insensibilità di
quell'uomo. Decise di fare l'unica cosa possibile più
appropriata: scese dal
taxi, lasciò
una piccola mancia e corse
all'impazzata verso l'ospedale.
Con il fiatone,
rossa in viso, salì le scale che la
portavano nel reparto “ Rianimazione “
avviandosi verso il centro informazioni, dove c'era una
giovane ragazza
dai capelli neri che sistemava delle scartoffie.
“ Mi
scusi...sa dirmi in che stanza è il signor
Harukaze?”
gli domandò ansimante
per la corsa,
arricciando il naso.
“ Lei
è una parente?” le domandò a sua volta
l'infermiera,
osservandola.
“ Si, sono
la figlia” rispose Doremì, allarmata
più che mai,
battendo nervosamente i piedi a terra.
“ E' la
504, in fondo a destra “ l'informò l'infermiera,
indicandole il corridoio, sorridendole.
“
Grazie” s'affrettò a dirle correndo più
che mai verso
quell'agognata stanza.
Deglutì
amaramente una volta giunta davanti a quella stanza,
le sue gambe cominciarono a tremare e il suo cuore a scalpitare sempre
più
forte; un senso d'angoscia s'impossessò del suo corpo. Con
un groppo alla gola
aprì la stanza e
s'arrestò di
colpo. Quello che
vide la trafisse
definitivamente: suo padre coricato su quel letto bianco e triste, una
mascherina davanti alla bocca, gli occhi allegri e dolci chiusi, non
sapendo se
si fossero riaperti più; accanto a sé il rumore
della macchinetta che segnava i
suoi battiti, le linee verdi che si alzavano e abbassavano a seconda di
quei
battiti, che, purtroppo erano stabili. Dalla parte opposta alla
macchinetta
c'era seduta sua madre che stringeva saldamente le mani del marito, la
testa
chinata, gli occhi lievemente arrossati, sentì i singulti di Pop, seduta
in un angolino della stanza
con in mano un piccolo fiore di margherita. Doremì a passi
lenti si avvicinò
alla madre, ignara
della presenza della
figlia, e le mise
una mano sulla sua
spalla, facendola voltare lentamente, ritrovandosi davanti un viso
stanco e
pallido e la bocca crepata che si increspava in un fiacco sorriso.
“ Sei
arrivata “ le sussurrò debolmente, appoggiando la
mano
libera su quella della rossa che la osservava demoralizzata.
“Si, ho
fatto il prima possibile” le comunicò angustiata,
guardando prima il padre, per poi avvicinarsi e sedersi accanto alla
sorella
che continuava a singhiozzare, abbracciandola. Al momento era lei
quella a dar
conforto, ad essere forte, anche se non risultava per niente semplice.
Sospirò,
sconfortata, stringendo sempre più stretta a sé
Pop che si lasciò andare
finalmente in un pianto liberatorio. Rimasero in silenzio per tutto il
tempo,
sperando che l'uomo si risvegliasse il più presto possibile.
Doremì in
quell'arco di tempo pensò a tutto ciò che il
padre era per lei, cioè una figura
da seguire, dolce, caparbia e severa, ma allo stesso tempo divertente e
buffo,
caratteristica quest'ultima che aveva preso da lui. Le riaffiorarono
violentemente quei ricordi legati a lui e a lei: la prima volta che
l'aveva
portata a pescare, essendo una sua grande passione, con scarsissimi
risultati di
entrambi, il primo rimprovero serio che ebbe da lui, la loro prima cena
insieme
da soli, il primo regalo che le fece per il suo compleanno e altri
ricordi, sia
belli che brutti. Un nodo alla gola ebbe solo a ripensar tutto questo e
che,
molto probabilmente altri bei ricordi non ci sarebbero più
stati.
All'improvviso il
ticchettio della macchinetta dei battiti
cardiaci si fece sempre più forte e le linee verdi
oscillavano a diventar
sempre più dritte, e questo significava solo una cosa: suo
padre stava per morire
se non avessero fatto qualcosa al più presto.
Doremì
senza farselo ripetere due volte, corse a chiamare
immediatamente il dottore che per sua fortuna trovò vicino alla porta.
“ La
prego, faccia il possibile! Lo salvi” lo supplicò
la
giovane, la voce incrinata, mentre sua madre e Pop piangevano a dirotto
osservando l'uomo in coma.
“
Certo” le sorrise il medico prendendo dei ferri e
mettendoli sul petto dell'uomo cercando in tutti i modi di salvarlo, sotto gli
sguardi avviliti della
famiglia che pregava con tutta la forza possibile.
Doremì si
morse il labbro inferiore forte, sentendo nella
bocca il sapor rugginoso del sangue, i pugni stretti lungo i fianchi,
soffocando delle lacrime...Non poteva succedere, non doveva accadere,
ma l'urlo
straziato di sua madre, lo sguardo affranto del medico, le lacrime
interminabili di sua sorella, la linea verde retta della macchinetta le
fece
capire che tutto ciò che stava per accadere era vero; non
avrebbe mai più
potuto parlare con suo padre. Il cuore le si mozzò, una
forte lancia le
trafisse brutalmente lo stomaco. Spalancò i grandi occhi
vermigli sconvolti,
lentamente uscì dalla stanza, fissando a vuoto il pavimento,
si accasciò a
terra appoggiandosi alla porta e prese dalla tasca della gonna della
divisa il
cellulare
“ Ho
bisogno di te! “ disse con la voce che le tremava,
mentre delle copiose lacrime scendevano funeste sul cereo viso.
♥♥♥
Aiko camminava
avanti e indietro in riva al fiume,
preoccupata per Doremì, la quale dopo esser stata in
presidenza era
scomparsa definitivamente; l'aveva
chiamata al cellulare ma nulla, il cellulare
era staccato, era passata da casa sua, ma nessuna traccia, nemmeno dei
suoi.
Chiamò Hazuki chiedendo se fosse passata di lì,
ma nemmeno l'ombra, e ciò fece
allarmare anche la castana .
“ Dove
può essere andata? C'è qualcosa che non mi
quadra”
esclamò Aiko, piegando le labbra in una smorfia e
picchierellando l'indice alla
bocca meditabonda.
“ Non ne
ho la più pallida idea, tra l'altro mi sembra anche
strano che non risponda alle nostre chiamate, di solito risponde subito
“
aggiunse Hazuki, sospirando demoralizzata rimanendo in silenzio, un
silenzio
che durò una decina di minuti finché a spezzarlo
fu la blu:
“ Ma
certo!” esordì, battendosi una mano sulla fronte
“ Come
ho fatto a dimenticarmi!” aggiunse, pimpante mentre uno
sguardo interrogativo
si stampava nel viso di Hazuki.
“
Cosa?” le domandò stranita, accigliando lo sguardo.
“ Non
abbiamo cercato al lavoro. A quest'ora dovrebbe essere
lì, l’uso dei cellulari è vietato durante
il lavoro!” la informò Aiko sicura,
sorridendole. “ Andiamo” aggiunse mentre si
dirigeva verso il Cafè dove
lavorava Doremì, seguita
da Hazuki.
Una volta arrivate
scrutarono con attenzione il
“Cafè” in cerca dell'amica, sotto lo
sguardo sgomento della clientela, fino al momento che un bel riccio biondo si
presentò davanti a loro con un
sorriso delineato in volto.
“Salve,
sono Keita, posso esservi utile?” chiese il giovane
mantenendo quel sorriso , un sorriso così radioso e bello
che fece arrossire
non poco le due.
“ Ecco...
noi cercavamo Doremì, per caso è qui?”
tagliò
corto Aiko, osservandosi intorno, corrugando la fronte.
“
Doremì?” ripeté Keita, strabuzzando gli
occhi “ Voi siete
le sue amiche? Oggi non è venuta, ed il capo è
infuriato con lei. E' sempre in
ritardo, ma stavolta credo che abbia esagerato” rispose,
incrociando le braccia
al petto, scuotendo la capa dorata esasperato.
“ Si,
siamo le sue amiche. Io sono Aiko e lei è Hazuki, piacere
di conoscerti “ le presentò Aiko, porgendogli la
mano cordialmente cosa che
fece anche la castana.
“ Mm
“ mugolò la blu, arcuando lievemente le labbra
“ Non è
a scuola, non è al lavoro, non è a casa, dove
diavolo potrebbe essere?”
rifletté, la mano messa al mento,
allarmata.
“ Vuoi
dire che Doremì è scomparsa?”
esclamò Keita
sbarrando gli occhi, iniziando
a temere realmente per la sua amica,
facendo in questo modo spaventare
ancora di più le due ragazze che gli stavano di fronte.
“ Deve
esserle successo qualcosa, ne sono sicura!” disse
tutto ad un tratto Hazuki,
la voce
spezzata, cercando di reprime, inutilmente, le lacrime che le stavano
scendendo
in viso. Aiko deglutì amara. Un sospiro afflitto
uscì dalla sua bocca. Scosse
la testa, cercando di toglierle dalla mente i
brutti pensieri che la sua testa stava cominciando a
partorire.
“ Dobbiamo
fare qualcosa! Chiamiamo la polizi...” ma non
finì la frase che lo squillo del suo cellulare la interruppe:
“
Pronto?” rispose, prendendo il cellulare dalla tasca dei
jeans “ Nobuko-chan ,cose c'è? Calma,
così non capisco nulla” aggiunse un po'
stizzita, sotto lo sguardo stranito e incuriosito della castana e del
riccio. “
Cosa?” urlò a voce talmente alta che
metà della clientela si voltò verso di
lei, esterrefatta “
Non ci posso
credere! Devo andare, ci sentiamo per tenerci aggiornate!”
concluse chiudendo
la conversazione, mettendo il cellulare nella tasca dei jeans.
Alzò la capa blu
in direzione dei due di fronte a lei che aspettavano impazientemente e
turbati qualche
delucidazione; Aiko
strizzò gli occhi, prima abbassandoli, poi sollevandoli
verso i due ragazzi.
“Doremì
è all'ospedale” comunicò tutto ad un
fiato,
mordendosi il labbro nervosa, facendo sbiancare di colpo i due.
“ Dobbiamo
andare, Hazuki!” le intimò seria, la voce grave,
prendendo per il braccio
l'amica, ancora sconvolta per la notizia.
“ Non ci
posso credere. Tranquille, spiegherò tutto al capo
e presto vi raggiungerò!” le cercò di
tranquillizzare il biondo, andando verso
il suo capo per spiegargli tutta la situazione, mentre Aiko e Hazuki
correvano
più non posso per prendere un taxi che le avrebbe portate il più breve
tempo possibile all'ospedale.
Doremì
fissava con sguardo apatico dalla
piccola finestrella della stanza, la madre e
la sorella accasciate nel letto dov'era stato pochi minuti prima di
morire, suo padre,
singhiozzando e
sfogando tutta la loro disperazione,
stringendo fortemente quel lenzuolo che emanava ancora l'odore
dell'uomo. Tremò
all'istante; piccoli singulti strozzati uscirono dalla sua bocca ,
mentre
impugnava strettamente la stoffa della sua gonna. Il mondo le era
crollato in
un solo attimo, così veloce, imperioso, che non le aveva
dato nemmeno il
tempo di metabolizzare
concretamente ciò che stava succedendo, ciò che
era successo; una realtà
parallela. Sì, pensò che si trovava in una
dimensione parallela- brutta e
brutale- e questo era solo l'inizio di un incubo. “ Illusa
“ le ripeteva una
vocina nella sua testa, bruta e
selvaggia. Un sospirò oppresso uscì dalla sua
bocca, osservando oltre la
finestrella della stanza, la sorella e la madre dormire profondamente,
stanche
e distrutte.
Davanti al
distributore, cliccò il bottoncino del caffè
amaro, ne sentiva la necessità, anche se solitamente non le
piaceva così tanto
il caffè; aveva quel sapore amaro che odiava totalmente.
Aspettò che il liquido
scuro scendesse tutto nel bicchiere, per poi prendere il bicchiere e
portarselo
alla bocca; una smorfia di disgusto si formò nel suo viso,
al sapor così forte
e schifoso del caffè, infatti più che
caffè sembrava acqua con scarsissimo
aroma di caffè. Gettò il bicchiere semi-pieno nel
cestino accanto al
distributore, per tornare dalla madre e dalla sorella.
“
Doremì” la chiamò una voce familiare
affannata, facendole sollevare
la testa , ritrovando davanti
a sé tutte le sue amiche, le quali la
guardavano preoccupate e tristi per quello che le era appena successo.
D'istinto la rossa, senza farselo ripetere due volte, si
gettò nelle loro
braccia sfogando
tutto il dolore che
aveva addosso con inesauribili lacrime,
facendo in questo modo pianger anche loro per una serie interminabili di minuti.
“Momoko,
Onpu voi che ci fate qui? Non dovevate essere in
America e a Tokio? “ domandò Doremì
alle amiche, una bionda dagli occhi color
smeraldo e una dai capelli viola e gli occhi del medesimo colore, una
volta
smesso di piangere.
“ Beh,
ecco mio padre è stato trasferito per lavoro
nuovamente qui, e io volevo farvi una bella sorpresa...”
rispose Momoko con un
po' d'accento americano, osservando rammaricata la rossa, soffocando a
stento
delle lacrime.
“Io ero
qui per via del lavoro, e beh, anch'io volevo farvi
una bella sorpresa...ma purtroppo, una volta incontrate, per puro caso
Aiko e
Hazuki, la sorpresa l'abbiamo avuta noi, una spiacevole
sorpresa” intervenne
Onpu, amareggiata, accarezzando una guancia a Doremì,
dolcemente.
“Già...”
mormorò la rossa, abbassando lo sguardo “ Grazie
di
cuore ragazze, per esserci in un momento così delicato della
mia vita” le
ringraziò abbracciandole nuovamente, riprendendo a piangere,
facendo commuovere
le amiche.
“ Le
amiche servono a questo, no?” le disse Aiko, abbozzando
un dolce sorriso, staccandosi lievemente dall'abbraccio, per poi
asciugarsi le
lacrime con il braccio. Doremì ricambiò il
sorriso, lasciandosi ancora un po'
coccolare e consolare dalle sue più care amiche, il dono
più prezioso che
poteva avere al momento. Di nascosto una figura osservava la scena con
sguardo
assorto, un piccolo sorriso delineò il suo volto.
“ Il mio
compito qui è finito” mormorò tra
sé incamminandosi
verso l'uscita dell'ospedale.
♥♥♥
Erano passati
già tre mesi dalla morte del padre e tutto era
radicalmente cambiato: sua madre non era riuscita a superare del tutto
la
prematura scomparsa del marito, a
buttar
via tutto ciò che gli apparteneva, anche le cose
più superflue, o almeno quelle
che pensava lei prima della sua morte, come ad esempio le canne da
pesche e
mille riviste riguardante l'argomento; gli ricordavano lui, era un
modo, almeno
era quello che pensava, per stargli accanto e averlo sempre con
sé. Il sorriso
le era scomparso definitivamente, aveva smesso perfino di dar lezioni
di piano,
nonostante non navigassero nell'oro, gettandola in uno stato inerte da
cui era
difficile uscire. Pop invece era diventata chiusa e taciturna, non usciva più
con i suoi amici, preferiva
stare rinchiusa in casa ,in camera sua a disegnare, e,
per
il primo mese senza sua padre, non volle andare a scuola.
Insomma la
casa era devastata. L'unica a reggere le redini di quella casa in quel periodo
così complicato fu Doremì,
anche se con molta difficoltà; era
una
cosa più grande di lei dover affrontare tutto
ciò, doveva farsi forza e far
reagire la sua componente familiare, dopo quel terribile lutto. Per sua
fortuna, aveva delle amiche fantastiche che l'aiutarono nel periodo
più “
cruento” della sua vita, sostenendola, incoraggiandola e
stando sempre più
vicine a lei. Sospirò avvilita, guardando la madre seduta
nella poltroncina a
dondolo, cucire passivamente, prima di uscire e dirigersi a scuola,
dove
l'aspettavano Aiko, Momoko, trasferitasi tre mesi prima e capitando
nella
stessa classe delle amiche, e Nobuko, come ogni mattina.
“ Good
morning, Doremì-chan “ cinguettò Momoko allegra, andandole
incontro sorridendo.
“ Buon
giorno, Momo-chan, ragazze “ rispose calma la
magenta, facendo un segno con la mano alle altre due ragazze,
dirigendosi verso
l'atrio del liceo quando
videro che li
davanti c'era una gran confusione di studenti che urlavano qualcosa, in
particolar modo le fanciulle. Le quattro si guardarono per un secondo
stranite,
cercando di capire cosa stesse succedendo, facendosi spazio tra gli
altri
studenti. Doremì si fermò di colpo, facendo
sbattere in questo modo le sue
amiche dietro di sé, guardando la figura che le si trovava
davanti pavoneggiarsi
con fare sbruffone. Ridusse gli occhi magenta a due piccole fessure, non appena questi si
scontrarono con degli
occhi blu esterrefatti. Una vena cominciò fortemente a
pulsare nella testa
della fanciulla. Non si era minimamente fatto sentire dopo quel giorno,
neanche
una chiamata per chiarire, o almeno per sapere come stava. Se ne stava
lì a
fare il galletto con le ragazze, senza preoccuparsi minimamente della
situazione grave in cui si trovava, almeno per quel che riguardava lei.
Scosse
la testa, indignata, lanciandogli uno sguardo torvo, facendo deglutire
dolorosamente
il ragazzo, per poi allontanarsi da lì. Kotake si fece largo
tra la folla per
poter chiarire una volta per tutte con Doremì, ma per sua
sfortuna venne
fermato da una Aiko furiosa.
“ Dove
credi di andare? Lascia stare Doremì, hai fatto abbastanza
“ sentenziò cruda la Aiko, allungando le braccia,
cercando in questo modo di
bloccargli il passaggio, scrutandolo truce per aver fatto soffrire
l'amica
molto. Kotake trasse un respiro e con un gesto veloce
spintonò Aiko, facendola
cadere a terra, ignorando bellamente le proteste di quest'ultima,
andando a
raggiungere la rossa, la quale si trovava di fronte al campetto di
calcio della
scuola.
« E non
volermi male adesso che non ti
riconosco… »
“
Doremì “ la chiamò, respirando
affannosamente per la corsa
“ Senti...”
“ Cosa
vuoi?” tuonò acida,
senza nemmeno rivolgergli lo sguardo, osservando con
cipiglio
infastidito il campetto davanti a sé.
“Dobbiamo
parlare, Doremì “ dichiarò il fanciullo
serio,
posando le sue grandi mano sulle spalle della rossa, facendola voltare
bruscamente, trovando il suo sguardo accigliato.
“ Ah,
adesso ti viene tutto ad un tratto la voglia di
parlarmi! “ sbuffò la ragazza con tono sarcastico,
guardandolo torva “ Te lo
dico fin da adesso, è una gran perdita di tempo “
aggiunse indispettita,
incrociando le braccia al prosperoso seno. Se c'era una cosa che non
era
cambiata in lei, era la cocciutaggine pensò il giovane,
scrollando il capo
esasperato.
“ Oh,
Kami! Vuoi una buona sapere la ragione per cui non ti
ho risposto?” le chiese alzando la voce,
strattonandola un po', mentre i loro sguardi ardenti,
desiderosi,
infuriati, nervosi, disperati si incrociavano cupidamente. Un brivido
percosse
le loro schiene.
“ No, non
è più una cosa che mi riguarda. Ho un quadro
abbastanza chiaro su questo. “ gli rispose mordace,
fissandolo severamente negli occhi,
colpendo in pieno centro il giovane, scostandosi sgarbatamente dalla
sua presa.
“ No, tu
non hai per niente...tu menti!” ribatté Kotake,
mordicchiandosi il labbro nervoso, afferrandola per il polso che subito
la
rossa schiaffeggiò, infastidita.
“ Pensala
come vuoi, sono stanca di te “ gli disse con tono
piatto “ Non
sei cambiato affatto, sei
il bambino stupido delle elementari, solo cresciuto in
altezza!” aggiunse
graffiante più che mai “ Ah, in una cosa sei
cambiato: sei diventato un emerito
STRONZO!” concluse gridando talmente forte che fece scappare
dei piccoli uccelli
appollaiati nell'albero accanto al campo, girando i tacchi, lasciando
il
ragazzo più deluso che mai.
“Coglione,
ecco cosa sono” bofonchiò tra sé ,
tirando un
calcio a un sassolino.
Angolo
Autrice:
Ehilà,
chi non muore si rivedere. Si, lo so, sono in un
mostruoso ritardo, ma come ben sapete ho avuto -esami fino alle fine di
luglio-
maledetta sessione estiva-.—quindi il tempo per me
è stato minimo. Devo dire
che questo capitolo è stato un parto, e come al solito, non
mi convince, e
doveva essere tutt’altro, a parte alcune parti. Che dire?
Beh, ve l’avevo detto
io che le cose sarebbero peggiorate da questo capitolo e sarebbero
diventate
più ANGST! Ok, vi dico solo che il padre di
Doremì non doveva morire, era un
altro personaggio, ma alla fine ho optato per lui perché mi
serviva per il
proseguimento che vorrei dare alla storia, soprattutto per quel che
riguarda la
maturità di Doremì ;).
Sono tornati altri
due vecchi personaggi, certo, in un
contesto tragico, ma vabbè ci stava…si,
pensiamola così, ma la cosa che vi
starete chiedendo, perché lo so che lo state facendo,
anch’io l’avrei fatto, e
chi è la misteriosa figura nascosta? Hihihihi, lo scoprirete
solo vivendo…no
scherzo, si scoprirà molto più avanti, ma sono
accettate delle scommesse XD.
Passiamo tuttavia al
rapporto che più vi interessa,ovvero
Doremì e Tesuya: inizialmente doveva essere diverso, ma
ascoltando “ Broken
Strings” forse il titolo del prossimo cap, mi è
uscito tutto questo; adoro far
litigare in modo così drammatico le coppie, si, è
come mi sento io al momento
u.u, e poi, diciamocela tutta Doremì ha le sue buone ragioni
u.u Tuttavia vi
posso anticipare che dal prossimo capitolo la loro relazione
subirà qualche
cambiamento, non dico né in positivo né in
negativo, a sorpresa. Detto questo
fatemi sapere se ci sono altre coppie che volete vedere, che vi
piacciono..c ercherò
di accontentare tutti;).
Intanto ringrazio le
undici persone che hanno messo la ff
nelle seguite *-*, nelle ricordate, preferite ecc, grazie di cuore. So
che sono
ripetitiva, ma vorrei sapere cosa vi ha spinto a metterla, mi farebbe
piacere
sapere, come sapere se sto capitolo fa schifo, o bello, o
strano..insomma ci
siamo capiti, un bacione e si spera presto perché
anch’io ho bisogno di vacanze
e di un meritato riposo.
Un bacio,
alla prossima^-^