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Autore: j_D    04/08/2012    0 recensioni
Salve! E' la mia prima storia e credo che sarà un disastro! Quello di cui voglio parlare è di un ragazzo di 17 anni, Marco, che vivrà un'esperienza un pochino strana, nella quale sarà principale un viaggio iniziato involontarialmente. La sua non è una vita tutta rose e fiori, ne una vita deprimente. Spero che vi piacerà e che la mia idea non sia già usata da qualcuno!
Genere: Avventura, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Camminare è sempre stato un bel passatempo. Fin dall’antichità i vari uomini primitivi camminavano per svagare. C’è chi cammina per respirare l’aria fresca della campagna invece dello smog de la città; c’è chi cammina per mantenersi in forma; c’è chi cammina per andare da qualche parte, o chi cammina per scomparire dal mondo. In ogni caso, chiunque cammina per fare qualcosa. Per fino riflettere si può unire al camminare. Scrittori, artisti, cantanti, filosofi camminano per avere un’idea, un’illuminazione. Si può camminare freneticamente, tranquillamente, zoppicando, e addirittura normalmente! La gente si accalca in compagnie diverse ed uguali allo stesso tempo solamente per camminare e parlare e sfogare e divertirsi. O cammina da sola per rimanere in silenzio ed ascoltare e fantasticare. Camminare, camminare, camminare. Marco non odiava camminare. Lo detestava. Preferiva rimanere seduto su una macchina che lo scorrazzasse avanti e indietro. Detestava lasciarsi scaricare dalla sorella Elena, che come al solito godeva quando al fratello succedeva uno sfortunato evento, e detestava farsi quei quindici minuti di cammino a piedi per tornare a casa. I suoi riccioli finivano davanti agli occhi, gli oscuravano la visuale, ma ci era abituato: a calcetto con gli amici finiva sempre che i suoi capelli gli finivano negli occhi e lui cadeva a terra. Proprio come adesso, con la differenza che invece di beccare il prato, beccava il marciapiede. Avesse visto quella maledetta panchina! Almeno però non si era fatto niente, solo pieno di polvere di strada. Risistemato il tutto, dai vestiti allo zaino, il prode Marco continuava a camminare. Il suo paese, o piccola città, era tranquillo e pacifico: i marciapiedi presentavano la sequenza di Albero-Panchina-Albero ogni tot metri. Gli alberi erano non troppo alti, non troppo carichi di foglie, legno bianco pallido, i rami sottili, comodi per quando il sole era troppo forte. Le panchine erano in assi verdi, modello classico, con le gambe in ferro nero. Vicino alle panchine c’erano i cestini per buttarci le carte, semplici, in ferro. E poi c’erano tanti negozi e negozietti, dalle salumerie alle macellerie, ai negozi di scarpe a quelli dei vestiti di marca, dai bar e circoli alle agenzie di viaggi…  Era un bel paese alla fin fine, i vecchietti sulle panchine a discutere dei tempi andati, i bambini a correre per andare a giocare con la palla, le signore e madri che facevano la spesa per la famiglia. Marco si sentiva a suo agio in quella calma di paese dimenticato dalle multinazionali e dai vari centri commerciali, smog e happy hour. In verità Marco adorava la calma. Preferiva stare chiuso nella sua camera a non sentire nulla, a leggersi un libro o a dormire pur di starsene almeno dieci secondi in pace. Chiuse gli occhi, immaginò di trovarsi su un’isola solo lui, lontano da tutto il mondo conosciuto e sconosciuto. Forse l’unica scocciatura era quello strano animale che lo stava molestando alla gamba. Riaprì gli occhi: Buddy gli si era attaccato al polpaccio. Buddy è un piccolo bulldog bianco, con qualche macchia marroncina in faccia e sul suo corpicino, con le zampe leggermente storte e la lingua sempre di fuori. Buddy non era nemmeno il vero nome del cane, perché era randagio, ma a Marco piaceva chiamarlo così. Quando il cucciolo di cane vedeva il ragazzo, si attaccava sempre al suo polpaccio sinistro.
<< Andiamo bestiolina! Molla! Molla!! Il femore è mio e non te lo lascio!!! >>
Ci voleva tatto con gli animali. E Marco ne aveva tanto con Buddy. Infatti lo prese e lo lancio via verso un vicolo cieco.
“I miei pensieri non dovrebbero essere interrotti così!” pensò il ragazzo. Ma non fece nemmeno un passo che il suo cellulare squillò. Numero sconosciuto. Strano, eppure il suo numero lo conoscevano in pochi, giusto i suoi amici e familiari.
<< Pronto >>
<< Salve! Siamo un’agenzia che si occupa di consegne a domicilio, dobbiamo testare il nostro prodotto… Lei dove si trova adesso? >>
<< Eh? Scusi ma che sta dicendo? >>
La voce al telefono era abbastanza grave e alquanto camuffata, Marco non l’aveva mai ascoltata prima.
<< Le ho chiesto dove si trova, perché la nostra azienda deve testare il nuovo prodotto per le consegne a domicilio! >>
<< Non eravate un’agenzia? >>
<< Si figuri! Noi ambiamo ad allargarci nel territorio! Ci stiamo sviluppando!!! >>
<< Ma non la capisco, cosa vuole? >>
“Ma perché diavolo gli sto dando ascolto?!?”
<< Mi deve ascoltare, è importante! Dove si trova adesso? >>
“Digli che sei in giro e non lo sai!”
<< Sono alla traversa di Via Roma 21. >> Fu la risposta del riccioluto. Forse la parola importante aveva fatto colpo.
<< Bene! Un nostro omino della pizza e delle consegne arriverà fra 5… 4… >>
<< Ma che diavo… WHOOOOO!!! >>
Un volo all’indietro per lo spavento. Seconda caduta in pubblico, terza della giornata. Un ragazzo era comparso all’improvviso davanti Marco, facendolo cadere con le chiappe a terra.
<< Sapevo che saresti rimasto a telefono pur non capendo chi era! Adoro le entrate a sorpresa!!! >>
Quello che parlava con una voce leggera e sinuosa e che sfoggiava un sorriso da ebete era Fabio, il migliore amico di Marco. Capelli sparati in aria, nerissimi, occhi verdi e piccoli, bocca grande, corpo più sviluppato di Marco, infatti era pochi centimetri più alto di lui, ma aveva delle braccia più grandi, così come le gambe e il busto. La palestra gli aveva fatto bene. T-shirt nera, jeans chiari e scarpe da ginnastica era il suo abbigliamento classico. C’è da dire che se era carino, era anche idiota. Ne era la dimostrazione l’entrata a sorpresa che aveva spaventato il compare.
<< Ti odio, lo sai? >>
<< Mi rendi orgoglioso quando dici così! Comunque oggi ho un grande progetto, riguarda noi due… >>
E nella testa di Marco partì un flashback, di quando lui e Fabio, provando a colpire un paio di gatti con dei palloncini pieni d’acqua, colpirono la vecchia Geltrude della casa di riposo.
<< Non ti preoccupare non riguarda i gavettoni… >> Disse Fabio.
“COME HA FATTO A LEGGERMI NEL PENSIERO!?! “
<< Finiscila di pensare ed ascolta! Ho pensato a cosa fare oggi. Ci sarebbe una partita di calcetto… >>
<< Sai come è finita l’ultima volta! >>
Per la cronaca, sconfitta 2 a 0, con i vari ragazzi che stavano in squadra con Marco che stavano subissando di colpe il povero riccioluto.
<< Ti porto a cavalluccio per una settimana. >>
<< Sai come accontentarmi. VIA! >>
Fabio caricò sulle proprie spalle il compagno e se lo portò via, verso casa sua. Dall’altra parte della strada un uomo con un cappello, sciarpa, impermeabile ed anfibi ai piedi, guardava la scena. Una vecchietta si avvicinò incuriosita all’uomo.
<< Signore non ha caldo? >>
<< Non mi rovini il mio momento di spionaggio! >>
La signora non sapeva cosa dire, e se ne andò, mentre l’uomo continuava a scrutare i due ragazzi.

…..

Ai giorni nostri, un ragazzo quando non ha nulla da fare va su internet a cercare dell’intrattenimento. Marco non era di meno. Cercava di tutto su internet: musica, telefilm, robacce stupide, video demenziali, siti porno. Anche lui la pensava come un dottore, ovvero che se scomparivano tutti i siti porno su internet sarebbe rimasto un singolo sito chiamato: Ridateci i Porno. In quel momento, Marco stava cercando qualche video su una persona che lo ha sempre divertito. Trovò quello che cercava e fece partire il contenuto. Bisogna dire che la stanza sua era stata tirata a lucido, probabilmente dalla madre, e che tutta l’immondizia che c’era prima era scomparsa. La porta era semi aperta, giusto per far passare l’aria. Appena il video partì, Marco si posizionò in piedi sul letto, con le braccia in modo da comporre una croce e la testa chinata a fissare a terra. Nel computer si poteva vedere un uomo in costume, biondo, occhi azzurri, molto muscoloso, stivaletti e ginocchiere, con un microfono in mano. Le sue parole erano le seguenti, con Marco che lo imitava nelle movenze, parlando usando la sua voce in playback.
“WELCOME TO RAW! IS! JERICHO! AND YOU STUPID JACKASS, WOULD YOU SHUT, THE HELL, UP!?! BECAUSE, AFTER TONIGHT YOU WILL NEVER… EVER… EEEEEEEEEEEEEEEEEVVVVEEEEEEEEEEERRRRRRRRRR! BE THE SAME! AGAIN!!!”
Marco era un fan di Chris Jericho, il noto wrestler, cantante rock, conduttore e via discorrendo. Lo imitava in tutto e per tutto, nel cantare, nei suoi discorsi al suo pubblico immaginario, nei suoi gesti. Era una pratica privata. Peccato che quella giornata era segnata dalla sfortuna: Marco sbiancò quando, sempre in posizione simile al wreslter, vide Elena con il suo cellulare filmarlo. Dalle casse del computer, non si sa quanto involontariamente, partì un: “HOLY SHIT!”.
<< No! Non lo fare! >>
<< Cosa? Metterti in ridicolo davanti a tutti i vari conoscenti? Naah, non sono così meschina. >>
<< Meno male… >>
<< Io sono una bastarda. Lo farò appena tu mi farai uno sgarro. >>
<< No, dai, farò tutto ciò che vuoi! >>
<< Adesso va meglio… Vediamo… >>
<< Elena, molla qua! >>
Una nuova voce interruppe fratello e sorella. Una voce da maschio adulto, familiare ad entrambi. Un uomo sui quarantacinque anni, capelli corti e brizzolati, un filo di barba, occhi castani, spalle larghe, camicia con le maniche accorciate per il caldo, pantalone con cintura e scarpe in cuoio e pelle. Il papà di Marco ed Elena, il signor Enrico.
<< Voi due, il pranzo è pronto. Elena dammi il cellulare! >>
Si sapeva far rispettare papà Enrico, che lavorava in caserma, nei carabinieri. Più che altro svolgeva lavoro di scrivania, compilava moduli, denunce, aiutava i vari ispettori e simili per le indagini ed ogni tanto lavorava sul “campo”. Un lavoro tranquillo il suo. La figlia, che ascoltava i genitori, consegnò il telefonino, a malincuore, ma sempre lo consegnò. Entrambi i ragazzi andarono giù, il padre però esitò un momento, e disse fra se e se:
<< Fammi vedere… Dio è proprio ridicolo Marco qui… Guarda come si muove male… Questo me lo salvo sul mio cellulare… Poi capisco da chi ha preso la mia piccola pazza… Hahahahaha! >>
Ed anche il padre scese giù. La mamma non era presente, aveva avvisato che faceva tardi all’ufficio, e preferiva rimanere lì. Per fortuna sia Elena e sia Enrico sapevano farci in cucina. Il pranzo, a base di spaghetti col sugo ed insalata di mare, fu molto apprezzato dal 17enne, anche se temeva che la sorella avesse potuto in qualche modo “avvelenarlo”. Quel momento in famiglia fu anche condito dalle varie bastardate che Elena riservava al fratello minore e alle risate che ne seguivano. Dalla finestra, anche se ben nascosto, si poteva vedere ancora lo stesso tizio di prima, quello che scrutava Marco e Fabio. Controllava la casa, il giardino e soprattutto il riccioluto.
<< E’ sicuro di sentirsi bene? >>
<< Ancora lei?!! Che fa mi segue?!?! >>
Di nuovo quella vecchia. Di nuovo cacciata via in malo modo. Cosa vuole questo tizio strambo da Marco?

Spazio autore: Ringrazio chi sta seguendo ancora questa stupida storia. Questa settimana non avevo tanta fantasia e penso si veda. Non volevo però che l'avventura partisse adesso e quindi ho fatto quest'altra introduzione di due personaggi. Spero vi sia piaciuto :D
  
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