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Autore: thestarsareout    04/08/2012    7 recensioni
Storia di cinque personaggi le cui vite si intrecceranno, sotto la guida dell'innovativa tecnica psicologica della dottoressa Roth. Saranno presenti molti conti: con i sentimenti, se stessi e i propri pensieri, il mondo e le proprie aspirazioni. Ah, beh, e poi c'è quel barattolo che cambierà le loro vite.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo I - Accettazione.

 

«E’ il suo turno Marcus.»

La terapista, munita di un largo e accomodante sorriso, porse all’uomo il barattolo contenente i bigliettini.

In risposta ricevette un’alzata sarcastica di sopracciglio «Non parteciperò a quest’assurda pagliacciata.» Puntualizzò deciso «Sono qui soltanto perché la mia addetta stampa pensa sia un’ottima promotion.»

«Ora le dirò ciò che faremo, Marcus: prenderà un bigliettino, leggerà ad alta voce l’obiettivo che le sarà assegnato e come da accordi, sin da domani, provvederà a raggiungerlo.» Si premurò di precisare, in modo che il suo atteggiamento non contagiasse, con effetto domino, gli altri pazienti presenti.

«La prossima settima ho un’importantissima…»

«A quanto pare no.» Smentì riacquistando il suo iniziale sorriso «Ho parlato con la sua segretaria e ha detto che una vacanza le farebbe piuttosto bene, dal momento che non usufruisce delle ferie dall’anno scorso.» Così chiuse l’argomento, riavvicinandosi con il barattolo.

«Pensavo che tutto ciò dovesse durare solo poche sedute.» Borbottò mentre introduceva la mano in pesca del bigliettino.

«Infatti!» Confermò. «Questa sarà l’ultima seduta collettiva, per il resoconto della settimana prenderemo appuntamenti individuali.»

«Non sarà troppo giovane per quest’incarico?» Insinuò cinico, mentre le sue dita sceglievano il pezzetto di carta.

«Non troppo per capire che nessuno di voi sta facendo progressi.» Comunicò «Ad esempio, lei è ancora strenuamente ancorato allo stadio di accettazione.»

«Che per quanto ne so, è l’ultimo.»

«Nel suo caso è il primo caro Marcus dunque, dovendo ancora passare dal via, le mancano ben cinque stadi.»

 

Marcus.

No, sono Marcus Cevelant.

Ambito ricco scapolo.

Che fosse dannato quel giorno in cui aveva preso un appuntamento con il direttore della Banca Centrale.

Martedì, aveva detto lui, ma diamine, i contrattempi l’avevano costretto a posticipare a Mercoledì e..

Bam!

Un pazzoide –ovvero un enorme contrattempo- aveva costretto la sua segretaria a spostare ogni singolo appuntamento del pomeriggio, perché lui era rimasto bloccato lì.

E non era finita, perché la sua morte lo stava costringendo a perdere molto più tempo.

Riguardò il bigliettino: completare l’ultimo livello di Final Fantasy XIII.

Lo accartocciò con rabbia: aveva affari molto più importanti a cui pensare.

Agguantò il suo Blackberry, ma non premette il due delle chiamate rapide ma il cinque.

Il tuuu irritante si prolungò per molto, prima che qualcuno si degnasse a rispondere.

«Signor Cevelant?» Quella voce –che si limitò ad un sussurro- gli punzecchiò ancor di più i nervi.

«Abigail, perché sento solo dei mormorii?» Chiese stizzito.

«Perché Raelene mi ha proibito di rispondere quando leggo il suo nome sul display, ma io ho pensato: è sempre il mio capo, no? Anche se Raelene dice che…»

«Okay, Okay Abigail, sei stata brava. Ora prendi l’agenda e…»

«Signor Cevelant!» Tuonò una voce femminile, facilmente attribuibile alla sua efficientissima assistente che avrebbe dovuto –al più presto-  licenziare.

 «Lei per una settimana non sarà il nostro capo e la povera Abigail» Era certo che le avesse lanciato un’occhiata di rimprovero, subito dopo averle strappato di mano il cellulare «Deve considerarsi sollevata dall’incarico.»

Dettava legge, quella strega.

«Al mio ritorno ti licenzierò.» Sbraitò fuori di sé.

«Sì, dice sempre così» Sorrise, sì, sentiva il suo sorriso «Ma è troppo intelligente per licenziare la sua migliore assistente.»

Ed era dannatamente vero.

La piccola Raelene si era presentata al suo cospetto tantissimi –o almeno così gli sembravano- anni orsono, ed era proprio come la si poteva immaginare se menzionata in un libro.

Con capelli spesso indomabili, inevitabilmente rossicci, e occhi così verdi da perderti in un bosco di abeti nella stagione invernale.

Un verde deciso, quasi quanto il suo carattere, denso e ombroso.

La descrizione dei suoi caratteri principali, nella patente o in un sito d’incontri, avrebbero fatto pensare ad una sventola.

Ma quando entrò da quella porta cigolante, con uno zaino stracolmo in spalla, gli sembrò una ragazzina sperduta: il giorno del suo diciottesimo compleanno, invece di soffiare delle allegre candeline, impertinente chiedeva di lavorare per lui e, nonostante avesse il viso smunto, il corpo magrissimo e quella cascata di capelli che, avvolgendola completamente, la facevano apparire ancor più minuta, già emanava quel nonsoché di selvaggio e coraggioso, che l’avrebbe accompagnata per tutti gli anni a seguire.

In verità non c’era materialmente spazio per un assistente, ma lui aveva ugualmente pubblicato un annuncio, sperando in un compagno d’idee con il quale condividere oneri e onori del suo progetto.

Ma quando, dopo esser trascorsi ben undici giorni –sì, li aveva contati- durante i quali neanche un’anima pia si era fatta viva, la porta cigolò rivelando quella figura malconcia, si rese conto che non era nella posizione di essere troppo schizzinoso.

Aveva speso quasi tutti i suoi risparmi –no, tutti i suoi risparmi- per comprare quell’appartamento/alloggio decrepito, che contava due stanze e un bagno striminzito. Sperava che la sua impresa sarebbe decollata al più presto, ma quel presto sembrava molto molto lontano.

E il suo progetto, beh, era un progetto abbastanza indefinito.

Era bravo a investire, ma non su se stesso.

La sua vera e propria fortuna era stata che Raelene fu in grado di intuire come ciò avrebbe potuto volgere a loro favore.

 

Amava il suo lavoro.

Amava ciò che faceva, come lo faceva e quanta gioia potesse restituirgli.

Scegli un lavoro che ami, e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua, disse Confucio.

Gli orientali avevano sempre avuto un pizzico di saggezza in più, rispetto a tutti i comuni e materialisti mortali.

Così in quel momento, nonostante sarebbe dovuto andare in un qualche negozio di giocattoli o godersi la vacanza forzata, non poteva fare a meno di leggere quelle cartelle una ad una, prendendo diligentemente appunti e figurandosi mentalmente lo show.

Si sentiva in pace con se stesso e, ogni volta che prendeva dalla ventiquattr’ore un nuovo caso, provava un senso di soddisfazione.

Quando sentì delle chiavi girare nella toppa pensò, in una frazione di secondo, a dei ladri.

Perché no? In fondo in quel periodo ci sguazzava nelle rapine.

La cosa sorprendente fu che rimase calmo, non individuò febbrilmente alcuna possibile arma a portata di mano e diede un altro lungo sorso di Romanée-Conti, versato nel bicchiere con abbondante generosità da una bottiglia molto speciale del 1945, che si era aggiudicato  per non sapeva –e non voleva sapere- quanti mila franchi svizzeri nel corso di un’asta dedicata ai grandi vini a Ginevra.

Quando delle ciocche rosse iniziarono ad esaltare il contrasto cromatico con la porta bianca, capì che l’ufficio –senza lavorare- era stretto anche per lei.

Ma -tanto per seguire il filo delle reazioni strane- la sua comparsa lo stizzì ancor di più del ritrovarsi davanti un coglione con una calzamaglia in testa.

Intanto perché quella pazza era capace di bruciare tutti i fascicoli se li avesse visti e poi –grazie al suo subconscio- temeva un giudizio sull’ammasso di vestiti gettati alla rinfusa in camera da letto.

Belinda, la governante, proprio quel giorno era di riposo: vacanza anche per lei.              

Ma comunque non ci sarebbe stata occasione di entrare in camera da letto, dunque che restasse pure allibita dall’arredamento della casa.

Dopo che la loro società era decollata, la prima spesa che quasi dimezzò il suo patrimonio fu proprio l’acquisto e il mobilio dell’ appartamento, che gli avrebbe scongiurato l’ennesima scomoda notte sul materasso dello studio. 

La scelta dell’ubicazione era stata semplice: facilmente raggiungibile ma riservata.

Così si ritrovava ad avere una splendida vista, dalla veranda, del quartiere più in della città.      

La questione arredamento, risultò un tantino più complicata: deciso a far da solo, dopo aver declinato tutte le offerte d’aiuto della popolazione femminile mondiale, si ritrovò costretto a lasciare un bel gruzzoletto dal giornalaio per fare incetta di tutte le riviste di arredamento disponibili sul mercato.

Era stato poi difficile –e costoso- seguire tutti i dettami di ogni pagina, ma il risultato l’aveva lasciato estasiato –ma, a quanto vedeva, non solo lui- e pago degli sforzi: era riuscito a rendere accogliente –nonostante fosse un single incallito- una casa che un arredatore esperto avrebbe trasformato –con tutte quelle nuove trovate hi-tech- in uno stabile senz’anima.

Raelene si avvicinò al divano sul quale era comodamente sdraiato, squadrandolo attentamente.

No, non lui: il divano.                   

«Salotto Privilege di Casa più Lusso, vero?» Fece una smorfia, continuando ad avvicinarsi per poi sfiorare con le dita il bracciolo più distante. «Divani di due, tre posti e poltrona, tutti con rivestimento in pelle e base in radica di noce di Persia.» Sospirò, mentre di sfuggita notava anche l’ulteriore accostamento: mobile contenitore, tavolino centrale e tavolino laterale. «Ecco l’asso nella manica che ti ha permesso di rifiutare l’aiuto di tutti.»

«Non avrei mai fatto entrare dei miei dipendenti o degli sconosciuti a casa mia.» Ci tenne a precisare lui «E comunque, tu non mi hai offerto nessun aiuto.» Ricordò reprimendo un moto di stizza.

«Questo perché ho un Salotto Geo a casa mia –liberamente ispirato a pagina tredici di Casa Idea- e non sarei stata la persona più indicata: ti sembro bionda

Marcus alzò gli occhi al cielo, sperando che lei non ricominciasse con la storia delle bionde.

«A proposito di dipendenti in casa mia, la chiave che ti ho dato è una chiave per le emergenze.» Puntualizzò, inarcando un sopracciglio.

«Infatti.» confermò irritata «Questa è un’emergenza.»

Fu solo in quel momento che si accorse della grossa busta che nascondeva con la mano sinistra dietro il corpo.

«Cosa mi hai portato?» Sbuffò «Il kit completo per una buona dipartita?»

«Per una buona partita, semmai» corresse ridendo scacciando via –come con l’involucro del pacco- la sua patina composta «Ecco una Playstation III.»

Aveva sicuramente chiesto consiglio al suo giovane nipote Lucas, per procurarsi quell’armamentario in così poco tempo ma lui, a differenza del bambino, non aveva iniziato a saltellare allegramente.

«Te lo puoi scordare.» Avvisò perentorio, eliminando qualsivoglia inizio di spiegazione «Sono in vacanza, non basta?»

«Faremo così: io chiuderò un occhio e lascerò che quei fascicoli rimangano incolumi nella tua ventiquattrore, tu ascolterai ciò che devi sapere ed inizierai a giocare

«Hai quasi lo stesso cipiglio della dottoressa.» Mugugnò l’uomo, maledicendo –per la trentasettesima volta giornaliera- quel mercoledì della malora.

«Beh, prima di correre a salvarti, abbiamo a lungo discusso il tuo caso» confessò «E chissà perché eravamo entrambe convinte che l’ultima cosa che avresti fatto sarebbe stata attenerti a ciò che avresti dovuto fare.»

«Hai controllato, quando ti avevo chiesto di farlo, se sia una vera dottoressa?» ricordò sviando il discorso.

«No.» Puntualizzò «Perché mi fido.» Fece un’altra delle sue smorfie «Ecco, la fiducia è un’altra cosa sulla quale dovresti lavorare.»

«Ma queste non sono informazioni riservate? Esiste ancora il segreto professionale?»

«Marcus, queste sono informazioni che chiunque potrebbe dedurre dal tuo comportamento» scosse la testa «In ufficio ci chiediamo quando inizierai a pretendere notizie dettagliate sulla vita del fattorino che consegna il pranzo.»

«Divertente

«No, non direi.» Sbuffò.

 

«Inizio ad accennarti qualcosa –o almeno, quello che ho capito- di ciò che mi ha spiegato Abigail.»

«Pensavo ti avesse aiutato Lucas.» Disse sorpreso, chiedendosi come mai non sapesse nulla della passione di una sua dipendente per questi giochi.

«Lucas infatti ci aiuterà, ma solo al momento del gioco effettivo.» Chiarì  «Dovrebbe essere qui da un momento all’altro.» Guardò preoccupata l’orologio.

«Perché non Abigail?»

«Perché, Signor non avrei mai fatto entrare dei miei dipendenti o degli sconosciuti a casa mia, Abigail prova profonda soggezione –come ti sarai reso conto- nei tuoi confronti e non riesce a giocare se in tensione.»

Rispose con un borbottio, prevendendo un lunghissimo pomeriggio.

«Per quanto riguarda i titoli precedenti, non preoccuparti, ognuno è una storia a se e non c’entra niente con i suoi predecessori. Anche se – a detta di Abi- conoscere i vecchi titoli sarebbe meglio, ma non per la trama, per lo stile di gioco. Comunque ogni capitolo, e questo Final Fantasy ne è la prova, ha sempre delle innovazioni di gioco, di stile di combattimento e di tanto altro.» Fece un sospiro, cercando di ricordare le informazioni più importanti «Storia e trama sono molto più lunghe di qualsiasi altro gioco e, come se non bastasse, il gioco è pieno di missioni secondarie che portano al suo completamento non prima di settanta-ottanta ore. Ovviamente con anche solo venti o meno potresti finire la trama principale, ma –a quanto pare- il bello di Final Fantasy è l'immensità del suo mondo pieno di sorprese, dettagli e soprattutto stupore.» Scoccò un occhiata perplessa indirizzata alle sue stesse parole e poi, dedicando un altro sguardo preoccupato alle lancette, proseguì. «Arrivata a questo punto, ero troppo confusa per capire appieno la trama, da quel che ricordo è uno strano mix di amore, politica, religione, predestinazione, conflitti e –sì, sembra assurdo- crescita personale. Lo scopo è quello di vivere la storia di sei protagonisti, affrontando lungo la  strada enigmi e combattimenti che li renderanno sempre più forti, e quindi capaci di affrontare nemici più pericolosi.»

Uno scampanellio alla porta la fece sussultare, impedendole di realizzare ciò che il suo sermone le aveva suggerito: che razza di cura era quella?

Quando la rossa –oh sì, fai pure come se fossi a casa tua- aprì la porta, un ragazzino di soli dieci anni spuntò baldanzoso, dirigendosi –quasi come conoscesse esattamente dove fosse ubicata la nuova Playstation III- verso lo schermo della tv Full HD, dilungandosi poco ad osservare il costoso ingresso.

I bambini avevano fiuto solo per i giochi: era stato e sarebbe stato sempre così.

Per collegare tutto ci mise –sorprendentemente- pochi minuti e gli rivolse la parola solo quando –inserito il Blue Ray- aveva già il joystick in mano, pronto a mostrare il suo mondo.

«Ci troviamo a Cocoon, un mondo dove le persone vivono in tranquillità, protetti dai fal’Cie. Però, questo paradiso viene sconvolto da un misterioso contagio organizzato da un fal’Cie corrotto, venuto dal terribile mondo di Pulse, per conquistare la popolazione di Cocoon e piegarla così al suo volere. La venuta di questo terribile nemico porta il Sanctum, massimo organo governativo di Cocoon, a organizzare uno spostamento di massa per evitare la diffusione di questa maledizione.» Si fermò un attimo, dandosi pena di controllare se l’adulto lo stesse seguendo «Allora gli abitanti di Cocoon organizzano delle rivolte nel tentativo di difendere la vita dell’intera comunità. Conosceremo sei personaggi diversi, come Lightning, Snow e Sazh che, nonostante combattono per ragioni diverse, saranno degli eroi del popolo tentando di far finire la guerra.» Fece un sospiro, prendendo tutta l’aria che aveva consumato parlando continuamente senza fermarsi un attimo.

Marcus lanciò un’occhiata contenuta –ma disperata- alla sua assistente e sperò che quella serata finisse il più presto possibile. 

«Dov’è che siamo?» chiese, stropicciandosi stanco gli occhi.

«Cocoon» Ricordò, con una nota di rimprovero, Lucas. «Questo gioco non è caratterizzato da scontri a turni ma da combattimenti in tempo reale, dove, sfruttando le proprie barre ATB…» Fece un cenno verso lo schermo, mentre lui si dilettava in un giro di prova «…Si possono attaccare i nemici in libertà. Come vedi hai il controllo di un solo personaggio, mentre gli altri si muovono per conto loro, a volte ti seguono a volte ti stanno davanti. Il combattimento si attiva ogni volta che ti imbatti in un mostro, e coinvolgerà anche tutti quelli vicino: se sarai abbastanza bravo da prenderli di spalle…» mosse velocemente le mani sul joystick «…Potrai riempire le barre della catena…»

 

Parecchi involtini primavera, riso saltato alla cantonese, gamberi al curry e germogli di bambù con funghi stufati dopo, avendo saggiamente sfruttato il servizio take away del ristorante cinese del centro, entrambi con un buon vino -offerto prodigalmente dalla fornitissima cantina di casa Cevelant- si stavano finalmente rilassando, seduti l’uno accanto all’altro sul divano.

Con i piedi appoggiati sul costoso tavolino, ridacchiavano ricordando le pessime performance dell’uomo clamorosamente sconfitto da un bambino.

«Tu dovresti finire Final Fantasy, non Lucas.» Rimproverò Raelene.

«Beh, non è specificato nella terapia come si debba raggiungere l’obiettivo» Ragguagliò furbo, mostrando il suo rinomato sorriso da squalo. 

«Sei sempre il solito!» Accusò con ilarità la ragazza, abbracciandosi gli addominali per le continue risate.

Gli erano mancati questi momenti, si ritrovò a pensare Marcus.

Quando, circa sette anni prima, si era presentata alla sua porta e –per pietà- le aveva ceduto il suo posto sul divano –cosa che procurò a lui diversi mesi di insopportabile mal di schiena- non aveva mai e poi mai creduto che potesse andar a finire così.

Il suo conto in banca era di cinquecentosettantadue dollari e giornalmente galoppava verso un triste doppio zero, così un’assistente totalmente gratis –tranne che per vitto e alloggio- gli faceva comodo, in barba se fosse stata una ragazzina!

In quei mesi, che precedettero la –ancora allora- inarrestabile ascesa, loro si riscoprivano ogni giorno legati sempre più a doppio filo: la cosa era stata piuttosto inevitabile, dal momento in cui entrambi avevano tagliato i ponti con la loro famiglia e sentivano ben palpabile quel senso di solitudine che quando ti invadeva era difficile da debellare. Ma da quando, piano piano, il conto in banca era lievitato –con un guadagno che ammontava a 53 dollari al secondo- le responsabilità, ovviamente, erano centuplicate.

Come le attenzioni delle riviste, dei mass-media, e i giornalieri tracolli nervosi.

Nonostante il conto –ed i meriti- fossero in comune, lei ufficialmente preferiva essere l’assistente e così, in ufficio –con il contegno che era solita darsi- era raro sentirla ridere e i momenti privati diminuivano sempre più, con la stanchezza che li sfiancava e i vari inviti ad aste, meeting e ricevimenti che lo coinvolgevano continuamente data la sua non recente entrata nella classifica degli scapoli d’oro.

«Sai, ho guardato il fascicolo di Jack Langert…» Disse divenendo improvvisamente seria, come accadeva ogni volta che si parlava di lavoro.

Gli ci vollero alcuni istanti per riagganciarsi al discorso: la sua mente aveva fatto una lunga digressione in ricordi e pensieri e il vino, certamente, non aiutava.

«E così hai lavorato…» Punzecchiò fingendosi arrabbiato.

«Beh, qualcuno deve pur non battere la fiacca!» Si scusò risoluta, scoppiando per l’ennesima volta a ridere.

Il vino la rendeva più bella, considerò spontaneo.

Poi scosse la testa, come per riordinare i pensieri.

«Dimmi di questo Langert…» Spronò, interessato, cercando una posizione più comoda su quel divano dal quale ormai non si alzava da ore.

«Il suo Secret Whish è la regia: sì, vorrebbe diventare un regista di successo.» Spiegò, recuperando dalla ventiquattrore alcuni fogli «Mentre giocavate, ho controllato anche il materiale multimediale che ha allegato: sono degli ottimi lavori, ovviamente solo cortometraggi realizzati con l’impiego di scarse apparecchiature, ma credo che anche il dipartimento sarà della mia stessa opinione.»

«Perfetto, hai già recuperato tutti i nostri contatti?» Lo squalo iniziava a mostrare i denti.

«No, perché volevo proporti un’idea, balzana ma credo d’effetto.» Si schiarì la voce, anche lei in trepidazione «Guardando gli altri fascicoli, mi sono imbattuta in Candice, Candice Lowe, il cui Secret Whish è il grande schermo. Però, dando un’occhiata al suo portfolio, è chiaro come lei non abbia abbastanza esperienze per spuntarla in quest’ambiente e, soprattutto, conoscenze: fa parte di un’anonima compagnia teatrale della Virginia dalla quale è destinata a ruoli di bassa lega e risalto. Era chiaramente visibile, però, la scintilla nel suo ultimo personaggio teatrale, perciò vorrei darle un’occasione. E’ una ragazza davvero bellissima, e credo che potrebbe iniziare a farsi conoscere intanto per la sua avvenenza e, nel frattempo, fare un po’ d’esperienza cinematografica…»

«Così vuoi combinare gli eventi…» Dedusse Marcus, interrompendola.

«Esatto, e stavo in particolare pensando ad una pubblicità: per Jack, abituato ai cortometraggi, sarà una passeggiata e, con l’ottima troupe e attrezzatura a sua disposizione, ne verrà un capolavoro che lo renderà celebre sul mercato. Per quanto riguarda Candice, lei avrà l’importante opportunità di farsi un’idea del mondo della cinepresa e comunque far conoscere il suo volto a tutti i consumatori, passando nei teleschermi ogni ora.»

«Vincono entrambi.» Ne dedusse soddisfatto.

«E potrebbe nascere una storia d’amore, o comunque potremmo manovrarla…» Aggiunse lei, conscia di come il pubblico sbavasse letteralmente per quelle cose.

«Per quanto riguarda il loro passato?»

Quella era la parte più importante, essendo proprio quella che apriva lo show di Secret Whish.

Infatti, a inizio diretta, il presentatore raccontava le vicende antecedenti all’intervento del programma televisivo, dunque spesso storie di tenacia e caparbietà, di giovani o anziani –non c’era alcun limite d’età- che avevano lottato strenuamente –ma il più delle volte senza alcun risultato- per i loro sogni. Nella seconda porzione di Secret Whish, l’ospite entrava in studio e parlava di sé, delle sue passioni e rinunce, di come avesse quasi perso la speranza. Nella terza, partiva un filmato che mostrava come Secret Whish lo avesse aiutato attivamente a raggiungere i propri sogni, come gli avesse dato quella chance che nessuno gli avrebbe mai dato ma, sottolineando sempre la sostanziale predestinazione dell’ospite al successo. La quarta parte era la più seguita anche se, a dirla tutta, quando andava in onda il programma lo share era predominante e continuo: a quel punto l’ospite lavava i suoi panni in pubblico. Ovvero, sputava fuori tutto ciò che in quegli anni –che talvolta erano davvero tanti- si era tenuto dentro alimentando il rancore. Dunque una lista dettagliata di tutte le persone che l’avevano ostacolato, di come l’avevano ostacolato e l’avevano fatto sentire non all’altezza dei suoi sogni. Il più delle volte era la famiglia, poi gli insegnanti, il datore di lavoro e così via. L’ospite era ben lieto di prendere parte attiva alla quarta porzione, come già pattuito da contratto: era qualcosa liberatorio e rinfrancante, e dava una sferzata di vita ad un ego che era stato troppo a lungo maltrattato. D’altra parte gli spettatori ci andavano a nozze, insomma: chi non avrebbe voluto godersi uno sfogo pubblico? Erano attratti sia dalla curiosità che dalla speranza di, un giorno, stare al suo posto.

Così ricevevano quotidianamente migliaia di fascicoli provenienti da tutte le parti del mondo, in cui svelavano i propri sogni nel cassetto sperando di essere scelti.

«Candice è francese ma vive in Virginia dall’età di tredici anni, quando scappò di casa.» Informò, andando poi a spulciare l’altro dossier «Jack… Jack fa tre lavori pur di permettersi di affittare le attrezzature…»

«Scadenti…» Ricordò.

«Sì, appunto.» Confermò, alzando un sopracciglio.

«E’ una grande, ottima idea.» Si complimentò, lasciandosi trasportare dall’entusiasmo, per poi abbassare rauco la voce. «Davvero bella.» Ribadì, allungando il braccio appoggiato allo schienale del divano per sfiorarle il viso.

Aveva la pelle morbida e, per un secondo soltanto, pensò di poterlo fare.

Beh, a dire il vero avrebbe potuto farlo, sedurla, dal primo istante in cui l’aveva vista.

Un venticinquenne vs una diciottenne: sarebbe stato un gioco da ragazzi.

Lui sarebbe anche potuto essere insicuro sulle proprie capacità intellettive e manageriali ma, per quanto riguardava quelle fisiche, era più che conscio della sua impeccabile forma, dei capelli biondi –che gli avevano regalato numerosi punti bonus per scalare la classifica degli scapoli d’oro- e degli occhi azzurri.

Ma non l’aveva fatto.

Perché -per la prima volta- qualcuno l’aveva guardato con fiducia e rispetto e l’aveva considerato adulto.

E responsabile.

Così si era dato da fare, non rimpiangendo mai –neanche per un secondo- l’entrata nella sua vita di Raelene.

Il suo era l’unico compleanno che ricordava e, quell’anno, avrebbe fatto qualcosa di spettacolare.

Voleva scoprire qual era il suo Secret Whish e realizzarlo.

No, non avrebbe rovinato tutto.

 

 

 

Ecco il secondo capitolo e la trama che si fa più definita. 
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