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Autore: xjulesbottle    04/08/2012    0 recensioni
'The house will kill you'. Con gli occhi sbarrati tornai a casa e mi rifugiai sul divano in soggiorno, ma quando poggiai lo sguardo sul tavolino trovai una lettera. La aprii, e dentro, scritto con lettere rosse, trovai la stessa frase. 'The house will kill you'.
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Non ho mai pensato ad una vita diversa da quella che ho, o anzi, che avevo. Ho sempre pensato a ciò che avevo e ciò che avrei voluto avere, ma mai a cosa non avrei ottenuto con un po' di impegno. Non sono mai stata una ragazza matura, non sono mai stata nemmeno dolce o gentile con qualche altro essere se non con me stessa. Per me esistevo SOLO io, i miei interessi, i miei bisogni, gli altri erano solo delle pedine nel mio scacchiere. La mia vita era perfetta: avevo amiche perfette, una casa perfetta, dei genitori perfetti, vacanze perfette, vestiti perfetti. Insomma, tutto sembrava girare nel verso giusto, finché non accadde quel maledetto incidente. Eravamo una famiglia ricca e rispettabile, formata da me, mia madre e mio padre. Tre persone che esteriormente sembravano una famiglia unita e compatta, ma che all'interno non si conoscevano l'uno con l'altra. Potevamo incontrarci nei corridoi della nostra enorme villa di mare e guardarci chiedendoci 'chi sei?'. Tutti amavano la nostra famiglia e tutti sognavano di essere nostri amici, 'popolarità' era il nostro secondo nome. Quella sera la famiglia della mia amica Erika aveva dato una festa, invitando tutte le famiglie agiate della città, compresi, ovviamente, noi. Quella sera avevo indossato il mio vestito preferito, quello verde di pizzo comprato insieme ad Erika e che lei mi invidiava, perché a me stava terribilmente da Dio, mentre lei sembrava un dirigibile, mi ero truccata leggermente concentrandomi soprattutto sulle labbra, e avevo indossato le mie Louboutine nere. Avevo incrociato mamma in corridoio e avevo notato di sfuggita come era vestita, stesso per mio padre. Non mi interessava molto di loro, come ho già detto esistevo solo io. Ci eravamo infilati in macchina e avevamo percorso quei 2, 3 km senza dire una parola, senza guardarci, o farci un complimento sui vestiti. All'ingresso ci eravamo tutti separati, e io avevo passato l'intera serata con Erika, Aurora ed Isabella a spettegolare e bere vino rosso. Avevo deciso di rimanere lì quella sera perché c'era Andrea, il ragazzo che mi piaceva, e volevo mi notasse, volevo spendere tutte le mie forze in quella missione. Avevo detto al cameriere di dirlo ai miei genitori e mi ero nascosta dietro una pianta, per riuscire ad acciuffare Andrea non appena lo avessi visto. L'ultima volta in cui vidi i miei fu di sfuggita, mentre lasciavano la villa di Erika sulla nostra stupenda BMW. Tutto ciò che ho saputo su di loro, dopo, è che si erano schiantati contro un muro. La nostra perfetta BMW aveva un problema ai freni e papà non è riuscito a fermarsi. Tutto ciò che ho saputo di loro, dopo questo, è che si trovavano all'obitorio. Non riuscii a piangere quando mi dissero quelle cose, non riuscii neanche a muovermi. Avevo lo sguardo perso nel nulla, tutto ciò che dissi fu: Portatemi a casa. E quando varcai la soglia di casa mia, della mia perfetta casa, tutto mi cadde addosso. Mi buttai in ginocchio a terra, in lacrime, singhiozzando e sperando che nessuno mi sentisse. Mi trovarono il giorno dopo accovacciata lì dove ero caduta, con lo sguardo vuoto e gli occhi gonfi. 'Victoria, stai bene?' volevo urlare di no, che non stavo bene e che non erano domande da fare, e invece no. Le mie corde vocali erano paralizzate. Riconobbi che era mia zia Adele a farmi quella domanda, e poi ad abbracciarmi e a dirmi 'Andrà tutto bene'. Al funerale non riuscii a fare niente, a dire niente, sembravo un vegetale vestito di nero. Dopo qualche giorno passato a casa di Erika, mia zia ebbe il coraggio di chiamarmi e dirmi che sarei andata a vivere lì. Mi riportarono a casa per fare le valigie e prender tutto ciò che mi serviva dalla casa che poi sarebbe stata venduta. Avevo un'eredità milionaria e non potevo neanche usarla, e mi sarei trasferita in Svizzera. L'ultima sera in Italia la passai con le mie amiche e altri ragazzi, compreso Andrea, ad ubriacarmi e urlare contro la luna. Ero persino riuscita a limonare con Andrea, ma poi la vodka mi tornò su in un conato di vomito, e così vomitai ingenti quantità di alcol sulle sue scarpe. Inutile dire che se ne andò incazzato con me. Il primo giorno in Svizzera fu una disperazione totale. Mia zia Adele abitava in una casa stranissima in campagna, circondata solo da alberi e campi. Non c'erano vicini, non c'era la piscina, non c'era niente di ciò che avevo sempre avuto. Mi sembrava di esser stata catapultata in 'Heidi' e che non trovassi la via d'uscita. La zia mi aveva indicato la mia stanza e io avevo chiuso la porta dietro di me, continuando ad osservarla. Sembrava la stanza delle bambole: il letto era a baldacchino bianco, alto e morbido, con delle coperte a fantasia floreale, le pareti erano completamente bianche con qualche quadro che le abbelliva, i mobili erano in legno bianco. Posai il borsone e le altre valigie a terra e mi incamminai verso la finestra. Sul davanzale troneggiavano dei vasi con delle petunie che profumavano un sacco, e si sposavano bene con l'arietta fresca. Vicino la casa c'era un laghetto circondato da pini. Decisi di sistemare ogni cosa al posto e di cercare di cominciare una nuova vita lontano da tutto. Non ero più la Victoria che faceva shopping a Milano tutti i giorni, che andava tutti i sabati da Starbucks a Londra, o Parigi, o Madrid. No, ero una nuova Victoria, almeno fino al giorno del mio diciottesimo compleanno. Dopo di ché avrei avuto tutta la mia eredità, essendo figlia unica, e avrei vissuto in pace e tranquillità. Non appena ebbi finito tutto ciò che avevo da fare scesi al piano inferiore. Mia zia era sul divano e stava dormendo, mentre mio zio era in giardino a spaccar un po' di legna. Mi avvicinai a quello strano uomo, giusto per dirgli che andavo a fare un bel giretto in giro. L'unica risposta che ottenni fu un cenno con la testa, così mi incamminai verso il lago. Era davvero un posto molto rilassante, e l'acqua era limpida e fresca. Mi voltai a destra e poi a sinistra, e mi accorsi di un sentiero di campagna che portava chissà dove. La mia solità curiosità mi assalì, e non potei far altro che seguirla. Iniziai a camminare su quel sentiero e a guardarmi attorno, alla ricerca di una qualsiasi forma di vita. Tutto ciò che volevo fare era trovare un amico che avesse due braccia, due gambe, due orecchie, la capacità di parlare e soprattutto un cuore per potermi capire e voler bene. Ma niente, nessun albero, piantagione, cane, gatto, serpente che incontrai su quel sentiero sembravano corrispondere alla descrizione del mio amico ideale. Così, delusa, decisi di tornarmene indietro. A testa bassa calciavo qualsiasi tipo di sasso che mi veniva davanti, e pensavo a cosa avrei fatto dopo l'estate. Mi mancavano solo due anni per finire e non volevo per niente al mondo lasciare la mia scuola, ma non avrei avuto un posto in cui stare a Milano. Con la testa piena di pensieri non mi accorsi che ero già arrivata al lago, dove trovai mia zia, strapreoccupata. -Dove sei stata? -A.. fare una passeggiata? L'ho detto allo zio. -Lo sai che mi hai fatto preoccupare? Eh? -Nno. Scusa. -Vieni, c'è la cena. Ti ho preparato un sacco di cose buone, sei quattro ossa. -Oh, grazie. Entrammo nel salone, che somigliava anch'esso ad una stanza delle bambole, e ci sedemmo al grande tavolo di legno scuro, pieno zeppo di roba. C'erano le patate bollite, zuppa, carne e persino tre tipi di pesce. -Prendi ciò che vuoi, non far la schizzinosa. Annuii, poi mi sporsi per prendere un po' di patate e un po' di broccoli. Gettai una quantità che a me sembrava infinita di patate e broccoli nel mio piatto, poi presi la brocca con l'acqua e ne versai un mezzo bicchiere e iniziai a mangiare. Mia zia mi guardava stupita e in attesa che prendessi un po' di carne e pesce e il resto. Appena finii la mia cena, presi il mio piatto, le mie posate e il mio bicchiere e li portai in cucina, cosa che non avevo mai fatto, poi feci per salire le scale, ma la zia mi chiamò. -Dimmi. -Victoria, non mangi nient'altro? -No, perché, dovrei? -Ehm, hai mangiato si e no 1/4 del tuo piatto. -Oh, ma io sto bene così. Senza ringraziare o dire altro salii le scale, e mi chiusi in camera. Tutto ciò che volevo in quel momento era sentire il rumore delle posate e dei piatti giù in cucina, la governante filippina passare il lucido con l'aspirapolvere in sala da pranzo e il rumore della BMW che usciva dal vialetto, invece tutto ciò che potevo sentire era il rumore dell'acqua del lago, che forse esisteva solo dentro me, qualche uccellino cinguettare su un ramo e il rumore dello zio che saliva le scale scricchiolanti. Mi buttai sul letto e afferrai il mio iphone. Non c'era campo. Non potevo far altro che star lì e dormire, oppure fuggire dalla finestra, percorrere di nuovo la strada polverosa e finire chissà dove. Decisi che per quella sera potevo restare lì, a voltarmi e rivoltarmi sul letto in attesa che la luce del sole mi svegliasse.
  
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