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Autore: Blackbird_    05/08/2012    4 recensioni
Liverpool, 1961. Quattro giovani Beatles sono di ritorno dalla loro avventura tedesca. Ad attenderli non solo i loro vecchi amici, ma anche un turbine di novità. L'enorme successo sorprende tutti quanti, anche Ray e Sun, le due piccole "mascottes" della comitiva liverpooliana.
Dal Secondo Capitolo:
“Magari così trovate un nuovo manager che vi farà fare qualche provino per le etichette discografiche, no?” aggiunse Sun. George annuì sorridente e tornò a guardare gli altri. “Non sarebbe affatto male un provino, magari è la volta buona che sfondiamo sul serio” ammise. Come se fosse stato il cucciolo di un qualsiasi animale iniziai a carezzarlo sulla testa. “Sfonderete sicuramente e magari diventerete famosi in tutto il mondo e cambierete la storia della musica e…” “Frena, frena Ray!” mi interruppe lui ridendo “non starai correndo un po’ troppo?”.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Domani non ricorderemo niente.
Quelle quattro parole mi rimbombavano in testa ad un volume assordante. Di certo non mi aiutavano a superare il tremendo mal di testa post sbronza. E di certo non mi aiutavano a non ricordare niente sul serio.
Ogni istante della sera precedente era stampata nitidamente nella mia mente, come fosse una fotografia. Come in una polaroid i ricordi sfocati si erano fatti più chiari col passare del tempo.
Mi alzai faticosamente dal letto e raggiunsi la cucina a tastoni. Ancora barcollavo. Presi due biscotti al cioccolato da dentro la credenza e mi buttai a peso morto su una sedia, sgranocchiando. Come ogni volta che finivo per bere così tanto, mi maledissi, promettendo a me stessa che non avrei mai più bevuto in una tale quantità. Sapevo benissimo che non avrei mai mantenuto quella promessa, ma cercare di auto convincersi a rispettarla mi dava un motivo in più per riprendermi.
Sentivo ancora in bocca il sapore della birra, tanto che il biscotto che mangiucchiavo pur di tapparmi un po’ lo stomaco mi fece nausea. Finii di mangiarlo, faticosamente, e riposai il suo compagno nella scatola. Guardai l’orologio, erano appena le dieci. Erano passate appena cinque ore da quando ero rientrata a casa, eppure mi sembrava un’eternità.
Le speranze di dimenticare le ultime vicende della serata erano totalmente vane. Rivedevo nei miei ricordi ogni momento trascorso all’interno del locale. Ero ancora talmente sbalordita dal comportamento di Paul da credere, per un momento, di aver sognato tutto. Le immagini oniriche del nostro saluto davanti casa mia erano terribilmente nitide. Non poteva essere un sogno. L’alcool non era riuscito ad intaccare nessun particolare, li aveva, anzi, amplificati all’ennesima potenza. Non ero certa di voler davvero dimenticare tutto quello che fosse successo anche se, probabilmente, sarebbe stata la cosa migliore.
In passato non mi ero mai sbilanciata a pensare a come sarebbe stato il mio primo bacio. Il mio totale antiromanticismo non me lo aveva mai permesso. Non avevo mai nemmeno immaginato di essere in grado di vedere tutto così rosa. Ritrovandomi a sorridere come una completa idiota scrollai la testa per togliermi dalla testa quei pensieri così infantili. Era stato tutto un gioco, non dovevo dare troppo peso a tutto ciò che era successo.
Il trillo del campanello di casa mi fece sussultare, distogliendomi dai miei pensieri. Mi portai pesantemente alla porta, cercando di stilare una lista di possibili visitatori. I miei erano a lavoro quindi cancellai a priori ogni loro amico. Forse era la vicina che aveva bisogno dello zucchero, o del sale, o di chissà cosa. Oppure era un poliziotto che veniva ad arrestarmi per aver bevuto pur non avendo ventun'anni. Oppure... "Richard?!" affermai sorpresa aprendo la porta. Mi squadrò da capo a piedi, sorpreso anche lui di trovarmi ancora in tenuta da notte. "Cosa ci fai qui?" domandai, lasciandolo sull'uscio. Anche la migliore educazione inglese va a farsi benedire dopo una nottata alcolica. "Posso entrare?" mi chiese cortesemente, cercando il più possibile di passare sopra il fatto che fossi in camicia da notte. Gli feci cenno di accomodarsi e richiusi la porta alle sue spalle. "Dobbiamo andare ad accompagnare gli altri al negozio di Epstein, te ne sei dimenticata?" tornò pacatamente al discorso, dopo che gli ebbi offerto una tazza di te che rifiutò con garbo. Mi ero dimenticata di una delle cose più importanti decise la serata precedente. Forse Paul aveva ragione dicendo che avremmo scordato tutto, una volta passata la notte.
"Dio, hai ragione! A che ora era l'appuntamento con gli altri?" risposi agitata. Ringo, facendo il finto tonto, posò lo sguardo sull'orologio appeso sulla parete della cucina. "All'incirca un'ora fa, Ray" sorrise, facendomi sentire ancora più in colpa. Anche la mia puntualità inglese era andata a farsi benedire. "Cazzo, Richard, e tu me lo dici così?" corsi in camera mia per potermi preparare nel minor tempo possibile. "Gli altri dove sono?" chiesi al mio amico che, impassibile, mi fissava, appoggiato al ciglio della porta, mentre io ero occupata a svuotare l'armadio, alla disperata ricerca di qualcosa da mettermi. "Sono tutti qui sotto ad aspettarti, in realtà" rispose, tranquillo. "Perché sei salito tu, allora, e non Sun?" mi sfilai la camicia da notte dalla testa, rimanendo praticamente nuda davanti al mio amico. Questi, dopo aver assunto una faccia pressoché sconvolta per via della mia indifferenza nello spogliarmi di fronte ad un ragazzo, si voltò dalla parte opposta per non vedermi. "Sai, credo che Sun sia lievemente in collera con te per quello che è successo ieri sera" affermò, fissando il muro di fronte a sé. "Lievemente in collera? Cosa le ho fatto? Non ho passato la serata con lei, lasciandola sola con un provolone come te?" domandai ironica, fingendo che quello fosse tutto ciò che ricordassi della serata precedente. Attendendo una risposta da Ringo terminai di vestirmi, gli diedi una botta sulle spalle e corsi in bagno. "Non credo che la piccola Sun abbia apprezzato più di tanto ciò che è successo ieri sera fra te e il Macca" mi rimproverò seguendomi come un segugio fino in bagno. "Paul è questione chiusa per lei, perché dovrebbe pesarle ciò che è successo ieri sera? Poi è stata una cosa per gioco, niente di serio" mi giustificai mentre mi infilavo le scarpe e mentre mi avvicinavo al lavabo per potermi lavare i denti. "Anche il farsi riaccompagnare a casa e continuare qui, sotto casa tua, era un gioco?" "Sotto casa mia?" finsi di non capire. Sbuffando Richard fece cadere il discorso. In silenzio mi guardai allo specchio, diedi una velocissima sistemata ai capelli ribelli e mi misi il cerchietto per domarli. "Sono pronta" affermai soddisfatta.
Seduti sugli scalini del mio portone, tutti con una sigaretta in mano, i Beatles mi attendevano impazienti. Con loro anche Ted e Sun che, appena mi vide, mi liquidò con un cenno della mano. Erano tutti troppo spenti per essere una band che si apprestava a firmare una sottospecie di contratto col loro primo manager ufficiale. "Buongiorno a tutti! Scusatemi per il ritardo" pronunciai entusiasta salutando uno per uno i ragazzi. "È un'ora che ti aspettiamo, pensavamo non arrivassi più" disse Pete, preoccupato. Dalla faccia non sembrava particolarmente provato dalla nottata precedente. "Cosa ti è successo?" continuò, gettando la cicca a terra. "Amnesia alcolica" mi giustificai scrollando le spalle. Lanciai un'occhiatina fugace a Paul: sembrava non aver colto la mia allusione.
"Ragazzi vogliamo stare a cincischiare per tutta la mattina? Brian vi aspetta" ci interruppe Sun, seccata. Come improvvisamente svegliati da un torpore sconosciuto, tutti si alzarono e si avviarono verso il negozio di dischi di Epstein. "Te l'avevo detto che era arrabbiata con te" mi sussurrò all'orecchio Richard, per poi allungare il passo ed avvicinarsi a Pete per fare due chiacchiere. Mi scrollai nuovamente nelle spalle e raggiunsi George, impegnatissimo ad accendere un’altra sigaretta, in sostituzione a quella che aveva gettato a terra nemmeno mezzo minuto prima. "Agitato?" chiesi sorridente. "Non sai quanto" rispose quello aspirando avidamente una boccata di fumo. "Ma non dirlo agli altri" il suo sguardo, un misto fra l'eccitato e il terrorizzato, mi lasciò di stucco. "Sarò muta come un pesce" lo rassicurai cucendomi la bocca. Un suo sorriso, anche solo accennato, mi riempì di gioia. "Oggi poi non dovrete fare niente di che, non c'è bisogno di essere così tesi" il mio amico, in tutta risposta, mi abbracciò affettuoso, scompigliandomi i capelli che avevo domato con tanta difficoltà.
Continuando a parlottare allegramente con Geo notai, con la coda dell'occhio, Sun che rideva e scherzava con John. Ogni tanto mi lanciava qualche occhiatina veloce, come a voler controllare che io l'avessi notata. A che gioco stava giocando? Era davvero così rancorosa da volersi vendicare per una cosa talmente stupida? Finsi di non curarmi troppo di lei, ma dentro stavo letteralmente bruciando di rabbia. Non poteva capire, non aveva il diritto di comportarsi così nei miei confronti. Non aveva il diritto di sfoderare le sue migliori armi e utilizzarle contro di me, sfruttando i miei punti deboli. Odiavo ammettere che il mio tallone d'Achille fosse così evidente.
"Ma ti stai frequentando con qualcuno e non ce l'hai mai detto?" domandò curioso George, distogliendomi dai miei pensieri. "Harrison ma cosa vai dicendo? La sbronza di ieri ti ha lasciato qualche postumo" risposi divertita. In realtà non potei fare a meno di chiedermi da quale imput scaturisse un quesito simile. E Richard come faceva a sapere che, una volta sotto casa mia, io e Paul ci eravamo baciati nuovamente? Geo si scrollò nelle spalle e continuammo a proseguire verso il negozio di dischi in silenzio. Ringo, Pete e Paul erano impegnati in un discorso infinito riguardo al metodo che Pete aveva per suonare la batteria. Ted, Sun e John ridevano a crepapelle per una battuta che non avevo sentito. Guardai George che, pensieroso, continuava a camminare tenendo un braccio sulla mia spalla. Ero contenta di ritrovarmi a fare il viaggio con lui. La sua indole riservata e silenziosa era tutto ciò di cui avevo bisogno quella mattina. Quella mattina che era già iniziata così male.
Dopo una manciata di minuti arrivammo finalmente al negozio di dischi Epstein. Era assolutamente il più fornito di tutta Liverpool in quel settore. Io e Sun ci addentravamo spesso fra quegli scaffali, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo o, il più delle volte, per il puro gusto di stare lì dentro e respirare l'odore dei vinili. Entrammo; il campanello alla porta trillò allegramente non appena fummo tutti dentro e l'avemmo chiusa alle nostre spalle. Sembrava non ci fosse nessuno. George mi lasciò e raggiunse i suoi tre compagni che, titubanti, si avvicinarono al bancone. Noi quattro accompagnatori, al contrario, ce ne restammo in disparte. I componenti della band iniziarono a rumoreggiare: chi tossiva, chi spostava una pila di dischi, chi batteva i piedi a terra. Erano troppo in imbarazzo per chiamare Brian. Il loro metodo, in ogni caso, funzionò. Da una porticina dietro al bancone sbucò Brian, con in mano una grossa pila di vinili da catalogare e sistemare negli scaffali. “I famosi Beatles nel mio negozio” sostenne compiaciuto, sorridendo, appena notò gli unici clienti presenti in negozio in quel momento. Poggiò il suo carico sul bancone, attendendo una mossa da parte dei ragazzi. “Oh, ciao Ted” disse infine, notando il fratello della mia amica. Un cenno della mano del fratello della mia amica bastò come risposta. “Ve l’avevo detto che aveva una cotta per me” sostenne sussurrando Teddy, indietreggiando impercettibilmente. “E’ semplicemente un ragazzo educato, non vuol dire che sia un deviato” lo rimproverò Ringo.
Durante il battibecco a voce flebile fra i due, i quattro della band si avvicinarono al bancone ed iniziarono a chiacchierare amichevolmente con il giovane Epstein. Dalle loro risate sembravano essersi sciolti, e ne ero assolutamente felicissima. Non riuscendo ad ascoltare i loro discorsi iniziai a dare un’occhiata fra gli scaffali del negozio. Sun, al contrario delle nostre abitudini, non mi seguì, ma anzi restò a conversare col fratello e l’amico come se io non fossi minimamente presente. Sbuffai, ma continuai a perlustrare quei dischi che, ormai, conoscevo a memoria.
Non contai il tempo che restammo lì dentro ma mi sembrò un’eternità. Stare lì dentro praticamente da sola era assolutamente noiosissimo. La testa, poi, ogni tanto riprendeva a vorticare, ricordandomi degli errori alcolici della sera precedente. Ricordandomi di tutti gli errori della sera precedente. Errori?
Quando i ragazzi salutarono entusiasti Brian capii che era arrivato il momento di uscire. Li seguii all’esterno del negozio, in silenzio. La pioggia battente che aveva cominciato a scendere durante la nostra pausa all’interno dell’esercizio non fece affatto diminuire l’entusiasmo generale. John, Paul, George e Pete erano vistosamente emozionati. Sprizzavano gioia da tutti i pori, non sembravano nemmeno gli stessi ragazzi che, poco prima, erano entrati nel negozio di dischi. Le proposte di luoghi adatti a poter festeggiare fioccarono ma, date le pessime condizioni meteorologiche, decidemmo di passare il resto della mattinata a Mendips, la casa di John. Prendemmo il primo auto, scendendo a Penny Lane, e raggiungemmo di corsa l’abitazione. La pioggia, più simile a nevischio per temperatura e consistenza, non risparmiò nessuno di noi. Entrammo in casa completamente fradici, ma almeno eravamo finalmente al caldo.
John, da bravo padrone di casa, ci fece accomodare in salotto. La zia era uscita per delle compere e per questo trasse un bel sospiro di sollievo. Sistemati lì, liberi da ogni genere di disturbo, iniziammo a gioire finalmente per l’accordo fra i Beatles e il loro nuovo manager. Tutti e quattro erano rapiti dai modi di fare e di ragionare di Brian che, da come raccontavano, era già pieno di idee e di agganci per riuscire a farli sfondare. Erano sicuri che le conoscenze di Brian li avrebbero aiutati ulteriormente e il loro ottimismo era letteralmente alle stelle. Vederli felici, soddisfatti del loro lavoro e proiettati positivamente verso il futuro non poteva che rendermi felicissima e orgogliosa di loro. Io, Sun, Ted e Ringo, con le nostre domande e il nostro orgoglio nei loro confronti, non facevamo che incrementare la loro eccitazione.
Sebbene Sun continuasse a non calcolarmi nemmeno, per un attimo dimenticai tutto quanto, trascinata com’ero da quell’ondata di allegria e di novità. Mi scoprii più volte intenta a fissare Paul, pur sovrappensiero. Era un riflesso più che incondizionato, spesso non me ne rendevo nemmeno conto. Sperai solamente che il mio atteggiamento ‘sconsiderato’ non venisse notato da nessuno.
“La risposta è no” mi disse John con un sorrisetto quando ci incontrammo in corridoio. Io ero di ritorno dal bagno, dove avevo tentato di sistemare i capelli zuppi, lui dalla cucina, dove aveva posato i bicchieri ormai vuoti del tè che ci aveva offerto poco prima. Gli schiamazzi degli altri provenienti dal salotto erano assordanti, era difficile che ci sentissero. “Cosa vai blaterando?” chiesi, ignorando l’allusione che, secondo lui, avrei dovuto cogliere. “Se ciò che ti stai chiedendo è se Paul si ricorda di ieri sera stai tranquilla che la risposta è no” mi rispose, alzando le spalle, fingendo indifferenza. Credevo, speravo, che anche lui non ricordasse nulla. E invece, a quanto pareva, nemmeno con lui l’alcool aveva un effetto amnesico. “Non sono affari tuoi, John. E comunque non mi stavo chiedendo proprio un bel niente” mentii. “E allora perché non fai che fissarlo da quando sei uscita di casa?”. Colpita e affondata. “Ora mi controlli anche?” dissi, sperando di deviare in qualche modo il discorso. “Da quando in qua ti piace il Macca, Reb? Ero convinto che fossi io il tuo preferito” “Tu il mio preferito? Ma non dire sciocchezze, Lennon” replicai repentinamente. “Perché stai arrossendo, allora?” sghignazzò. Mi sentii avvampare. Portai le mani sul viso per nascondere il mio vistoso imbarazzo. “Sei un egocentrico” lo attaccai. Scrollò le spalle, totalmente disinteressato ai miei insulti. Scocciata e vulnerabile feci per avviarmi verso gli altri. La mia fuga disperata venne fermata dalla sua mano che, ferma, teneva il mio braccio. “Sei pregato di lasciarmi” “Ray, sono serio: non voglio che tu stia male per lui”pronunciò in un soffio. I suoi occhi erano terribilmente sinceri, talmente tanto che per un attimo m’incantai a fissarli, senza pronunciare parola. Arrossii nuovamente, ma stavolta non mi preoccupai di nasconderlo, stordita com’ero. “Grazie” balbettai infine. Con un sorriso mollò la presa e fui nuovamente libera. “Ma so cavarmela anche da sola” conclusi acidamente, tornando in me. Mi avviai finalmente verso il salone. “Non ti smentisci mai, eh?” mi chiese mentre mi allontanavo a grandi passi.


“Disturbo?” domandò Sun. La sabbia ancora bagnata dalla pioggia della mattina aveva attutito i passi della mia amica, rendendoli talmente silenziosi da permetterle di spaventarmi con le sue parole. Ero in spiaggia; ero sola, fino ad un attimo prima. Il freddo di dicembre era pungente, ma il mare in tempesta era uno spettacolo mozzafiato. L’enormità della distesa d’acqua di fronte a me era, in quel momento, l’unica cosa più grande delle novità che mi stavano assalendo in quegli ultimi giorni. Mi sentivo così piccola ed impotente davanti a tutto ciò. “Siediti pure” le risposi, atona, battendo su Stump a pochi centimetri da dove ero io. Ero sorpresa di vederla lì, nonostante il mio tono di voce non lo dimostrasse. “Devo dirti una cosa” pronunciò, senza rispondermi. Abbandonai per un attimo la visione del mare per guardarla negli occhi. Sembrava arrabbiata, nervosa, ferita.
“Perché mi hai fatto questo?” entrò subito nel discorso. “Questo cosa?” domandai.
“Ray, davvero, non c’è bisogno che mi prendi in giro. Ti conosco troppo bene per credere alla storia dell’amnesia alcolica, anche perché so benissimo che a te l’alcool non fa questo genere d’effetto. Quindi ora smettila di prendermi in giro e rispondi sinceramente alla mia domanda: perché mi hai fatto questo?”.
Scossi la testa sotto il suo occhio vigile.
“Io non ti ho fatto proprio un bel niente, Sun. Perché pensi che sia stata una cosa contro di te?” “Perché di tutta la gente che esiste sulla faccia della terra tu proprio con Paul ti sei dovuta andare a baciare? Cazzo, Ray, sai bene quanto io ci sia stata male, quanto mi piacesse” sbottò.
“Mi sembra che sia stata proprio tu a dirmi che non provi più interesse per lui” dissi, in un momento di infantilità. “Dovresti sapere meglio di me che quella era una frase per autoconvincermi di ciò. Io non potrò mai perdere l’interesse per Paul, è stata la mia prima cotta!”. Prese fiato. “Chissà da quanto ti piaceva, ed io non me ne sono mai accorta. Da te non mi sarei mai aspettata una cosa del genere, davvero, ti credevo un’amica sincera. Pensavo stessi dalla mia parte. E invece appena ti sei trovata la strada spianata verso di lui, senza me in mezzo, sei subito corsa a prendertelo”.
“E’ stato un gioco, solo uno stupido gioco. E di certo non sono stata io a cominciare. Non farei mai nulla che ti potesse far male, Sun, lo sai” “Ma lo hai fatto!” sbraitò sedendosi finalmente al mio fianco. Come una molla mossa da un istinto incondizionato mi alzai in piedi, per poterla vedere negli occhi.
“Io non ho fatto un bel nulla, come faccio a fartelo capire?” continuai, iniziando a spazientirmi. Lei non sapeva un bel niente di quello che era successo la sera prima, ogni tentativo di farla ragionare, in quel momento, era vano. “Lui e John stavano cercando di proteggermi da un maniaco, dovevano convincerlo in qualche modo che ero impegnata e…” “E quello sotto casa tua?”. La mia faccia sorpresa e sconvolta la soddisfarono. “Come...” “La tua vicina di casa è uscita mentre noi eravamo davanti al tuo portone ad aspettarti. Ha visto i ragazzi e ha chiesto chi di loro fosse il tuo fidanzato, dato che la mattina verso le cinque ti aveva visto davanti casa mentre ti ci stavi baciando. Miope com’è non ha visto la faccia del tuo ‘fidanzato’ ma io di certo non sono stupida. Paul ti ha accompagnato a casa, non ci sono molti dubbi sul fatto che era lui”
“CAZZO!” fu il mio unico commento. La faccia di Sun divenne paonazza, gli occhi iniziarono a farsi lucidi. Ciondolò la testa in segno di disappunto, lasciando che i suoi bei ricci si scompigliassero. “Ti credevo mia amica” si ripeté. “Sun tu sei la mia migliore amica. Non volevo ferirti, né tantomeno era mia intenzione litigare con te per un motivo così stupido!” “Stupido? Questo sarebbe un motivo stupido? Ray mi hai spezzato il cuore. E non lo dico per dire. Vederlo con Dot è occhei, ci ho fatto l’abitudine, è la sua ragazza. Sapere di Barbara era accettabile. Sentire di tutte le altre anche, so benissimo che quel ragazzo è un don Giovanni. Ma vederlo e immaginarlo con te, bè, fa male”.
“Cosa avrei dovuto fare? Eravamo ubriachi entrambi, non ho mai preso l’iniziativa. Mi sono semplicemente mossa di conseguenza a ciò che ha fatto lui!” “Non avresti dovuto farlo! Scansarsi non è difficile, anche se sei ubriaca” “Non sai di cosa stai parlando, non è come pensi tu” “Ah già, scusa, io sono la cretina che ancora non ha mai baciato nessuno. Giusto, io sono la bimbetta inesperta della situazione, non posso capire queste cose”
“Ma cosa stai dicendo? Non ho mai detto una cosa del genere!” urlai. “Ma la stai pensando, lo so che è così”.
Cercai di calmarmi. Urlare e sbraitare non aveva senso. Eravamo entrambe troppo confuse.
“Stai sragionando, Sun. Io ti voglio bene. Ho baciato Paul e ora la cosa fa male anche a me, quindi non hai nessun diritto di farmi sentire ancora peggio rigirando il coltello nella piaga. Lui, in ogni caso, non ricorda nulla, quindi di certo non potrai più vederci fare certe cose. Ora, per favore, cerca di tornare in te”.
“Tornerò in me, col tempo, forse. L’unica cosa che so ora è che non voglio più nella mia vita” “Sei impazzita?” “Assolutamente no. Non voglio più parlarti, né vederti”.
Si alzò in piedi, si sistemò il vestito e si avviò verso casa, passando per la spiaggia. Io, dal canto mio, rimasi lì, paralizzata. Una lacrima silenziosa scese giù per la mia guancia, mentre le permettevo allontanarsi in modo così prepotente dalla mia vita.
Avrei dovuto sapere prima cosa sarebbe stato un bacio. Ora mi ritrovavo senza la mia migliore amica. Il mio complice era vittima di amnesia alcolica, e di certo non avrebbe mai immaginato di essere la causa di una separazione simile. Non m’importava nulla di Paul, non avevo mai desiderato stare con lui né tantomeno baciarlo. Ma era successo, ed ora era arrivato il momento, per me, di pagare le conseguenze.




Eccomi finalmente! Scusate per la lunghissima attesa ma fra connessione zero e ispirazione altalenante ho avuto qualche problemino a scrivere.
Chiedo perdono in anticipo per ogni genere di errore ma questo capitolo è stato scritto interamente fra le 2 e le 3 di svariate sere, quindi magari la stanchezza può aver giocato qualche scherzetto eheh
Ringrazio tantissimissimo tutti i recensori di questa storia: well, thank yooou. Leggere i vostri pareri mi da sempre una carica in più!
Spero di poter tornare ad aggiornare presto, voi nel frattempo ditemi che ne pensate :D
With Love From Me to You.
   
 
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