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Autore: Ruth Spencer    05/08/2012    7 recensioni
Nonostante tutto, sapevo che l’irritazione sarebbe svanita entro poche ore. Le litigate sono all’ordine del giorno in un convivenza ed io abito con i miei quattro amici da ben due anni. Tanto basta per capire che gestire l’affitto, il chiwawa isterico della vicina e i due sposini della porta accanto che litigano una notte si e l’altra pure, non è certo uno scherzo.
Viviamo all’incrocio tra Caledonian Road e una strada di cui non ricorderò mai il nome, in un piccolo e malandato appartamento all’ultimo piano, sopra il negozio di videogame, dove io e Liam facciamo tappa fissa di sabato, a due passi dal giornalaio polacco e quel posto che tutti credevano un bordello, ma che invece non lo era.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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         La ragazza di Stratford

 
 
Lei non c’é.
Stento ancora a crederci. Fisso il sedile vuoto di fronte a me, nella speranza di vederla salire alla prossima fermata, mentre lo sferragliare del treno mi penetra fin nelle ossa e quando un ragazzo di colore con il cappello dei Red Socks e una canzone rap nelle cuffiette dell’Ipod si siede proprio su quel sedile vuoto, il suo sedile, non mi trattengo e gli rifilo un’occhiataccia.
Lui non ci fa caso e continua ad ondeggiare la testa al ritmo della musica.
Io invece, continuo a tormentarmi le mani, stritolato tra la grassona e il nonnetto di turno.
Mi sento morire. E tutto per una ragazza che neanche conosco.
Ripenso alla prima volta che l’ho vista salire su quel treno, alle otto in punto, circa tre mesi fa.
Quel giorno avevo discusso con Louis e gli altri per chi dovesse fare il bucato. Non era il mio turno, eppure tutti, per una ragione o per un’altra, non potevano assolutamente occuparsi della lavatrice ed io avrei fatto il bucato per la quinta volta di fila. Ero stufo. Così avevo protestato.
Era sfuggita qualche parolaccia, il classico ed immancabile “Faccio sempre tutto io!” e poi avevo sbattuto la porta e mi ero precipitato giù per le scale. L’ascensore era in eterno “fuori uso”.
Nonostante tutto, sapevo che l’irritazione sarebbe svanita entro poche ore. Le litigate sono all’ordine del giorno in un convivenza ed io abito con i miei quattro amici da ben due anni. Tanto basta per capire che gestire l’affitto, il chiwawa isterico della vicina e i due sposini della porta accanto che litigano una notte si e l’altra pure, non è certo uno scherzo.
Viviamo all’incrocio tra Caledonian Road e una strada di cui non ricorderò mai il nome, in un piccolo e malandato appartamento all’ultimo piano, sopra il negozio di videogame, dove io e Liam facciamo tappa fissa di sabato, a due passi dal giornalaio polacco e quel posto che tutti credevano un bordello, ma che invece non lo era.
Stranamente, l’irritazione aveva fatto presto e si era già esaurita all’uscita del palazzo, dove avevo salutato frettolosamente il portinaio e mi ero scontrato con il carrello della spesa di una signora anziana.
Comunque avevo deciso di non tornare all’appartamento. Sarei andato da solo all’università e avrei continuato a fingere di essere ancora infuriato. Stavolta l’avrei spuntata.
Quel giorno, ero sprofondato sul sedile più stancamente del solito, prendendomi più del dovuto spazio. Avevo tamburellato le dita sulla gamba, con fare distratto, mi ero guardato intorno annoiato e poi l’avevo vista entrare.
Ed era stata come una scarica elettrica.
Avevo bloccato le dita a mezz’aria ed ero rimasto immobile a fissarla.
Ricordo ancora quel cerchietto di tessuto rosso tra i capelli bruni e quegli occhi così grandi e scuri, ombreggiati dalle ciglia nere, il naso piccolo e arricciato, le labbra piene e lucide di burro cacao che di tanto in tanto si piegavano in un mezzo sorriso a chissà quale frase di Jane Austen in “Orgoglio e Pregiudizio” ; e quella gonna a portafoglio, sopra le parigine grigie.
L’avevo osservata per tutto il tempo, mentre leggeva, nascosto dietro il mio giornale gratuito, di quelli che distribuiscono sempre in metropolitana.
Poi l’avevo seguita con lo sguardo, in un silenzioso addio pieno di irragionevole rammarico, mentre raccoglieva la borsa colorata e scendeva a Stratford, tutta trafelata.
Avevo pensato di non rivederla più, eppure il giorno seguente, nonostante avessi vinto la trattativa per il bucato e fossi riuscito ad incastrare Zayn per il turno seguente, non mi ero recato con gli altri all’università. Ero uscito prima con una strana ansia addosso.
Avevo pensato di non rivederla più, eppure per la seconda volta, l’avevo vista entrare a Fulham Road e uscire a Stratford.
Perciò, anche il terzo giorno, mi ero svegliato qualche minuto prima, sicuro che non potesse accadere una terza volta e invece avevo subito individuato la sua chioma scura. Dalla crocchia disordinata le sfuggivano un paio di ciocche brune che correvano intorno al volto e giù per il collo, lungo e sottile. Lo smalto alle unghie era di un rosso ciliegia, lo cambia ogni giorno.
Ormai è diventata una strana abitudine, una routine, un appuntamento giornaliero col destino. Alle otto in punto, lei sale sul treno. Venti minuti dopo ne esce. Per tutto il tempo legge quel libro, ed io la sbircio da dietro i miei appunti di chimica che uso per ripassare la mattina. O per fingere di ripassare.
Mi sono domandato tante volte se non fosse il caso di rivolgerle la parola con una scusa qualsiasi, ma alla fine non ne ho mai avuto il coraggio.
Ed ora ho perso la mia occasione. Complimenti Harry!, mi dico acido.
Mi passo una mano tra i riccioli castani e sospiro.
Forse è solo malata. Domani tornerà e continuerà a leggere “Orgoglio e Pregiudizio”.
Mi riscuoto quando la voce registrata annuncia la mia fermata. Piccadilly.
Stamattina però è diverso. Non ho visto lei, la ragazza di Stratford, come la chiamo io.
I ragazzi non sanno nulla di lei. Ho preferito tenermelo per me, perché so per certo che mi prenderebbero in giro fino all’esaurimento.
Niall esordirebbe con un “Harry che prende un colpo di fulmine per una sconosciuta. Ti stai rammollendo, amico mio” e gli altri lo seguirebbero a ruota.
Perciò no. Ho già escluso a prescindere l’ipotesi di farmi aiutare da loro nella mia ricerca.
Seguo la scia di persone che esce dalla metropolitana e sbuffo impaziente, perché due ragazzini intralciano il passaggio.
Devio a sinistra e li sorpasso. Decido di accelerare definitivamente quando una scolaresca piuttosto rumorosa si blocca in mezzo alle scale per l’appello.
Così, schizzo a tutta velocità per la galleria e mi ritrovò fuori.
L’aria umida di Londra mi invade i polmoni e sbollisce un po’ del nervosismo di prima.
Mi stringo nella mia felpa di Jack Wills e arrivo ad una conclusione. Devo dimenticare quella ragazza e tornare alla mia solita vita. Sono stanco di speranze e vaneggiamenti. Ho bisogno di certezze.
Cammino a passo svelto, mentre la tracolla nera con i libri dell’università mi batte insistente su un fianco e all’improvviso la vedo che si china a raccattare i libri sparsi sul marciapiede.
-Stronzo- abbaia al tizio che le ha sbattuto a terra la borsa e che l’ha superata senza degnarla di uno sguardo.
Infila il manuale di letteratura inglese nella tracolla con un gesto di stizza e si alza per proseguire, ma ha dimenticato un ultimo libro. Mi avvicino e leggo il titolo sulla copertina sgualcita. Orgoglio e pregiudizio.
Subito il cuore accelera i suoi battiti. Il cervello va in tilt e non faccio in tempo a riflettere che già le corro dietro per restituirle il volume.
-Aspetta!- urlo per farmi udire. La raggiungo e le sventolo il romanzo a due centimetri dal naso, sfoderando il sorriso più accattivante che riesco a produrre in quel momento.
Probabilmente è più una smorfia per la fatica della corsa che un’espressione “da rimorchio”, ma mi devo accontentare. So per certo che ho dei capelli più spettinati del solito e le guance paonazze. Scopro che non mi importa. Voglio solo parlarle.
-Hai dimenticato questo- riesco a farfugliare dopo qualche istante di blackout mentale. Le porgo il libro dalla copertina consumata e lei lo afferra, quasi con gelosia e lo stringe al petto.
Poi mi rivolge un sorriso gentile. –Grazie, non sai quanto tengo a questo libro-.
In realtà lo so o lo immagino, ma non dico niente.
-Non c’è di che- rispondo. Infilo le mani nelle tasche dei jeans e aspetto. Non so ancora bene cosa sto aspettando, mi limito solo a guardarla. Il basco di cotone verde le dona. Cavolo se le dona!, penso tra me.
Lei si scosta la frangetta dagli occhi. Sembra a disagio.
-Vai alla Harrington?- chiedo speranzoso. E’ praticamente impossibile che frequenti la mia stessa università. L’avrei notata, mi dico. La curiosità però è una perfida tentatrice.
Mi guarda sorpresa, poi si fa diffidente. -Si…-mormora infine.
-Anche io. Sei nuova?-. Spero che il mio tono sembri innocente e assolutamente disinteressato. Non ci conto molto.
Lei annuisce.- Ho deciso di chiedere il trasferimento. Prima frequentavo le lezioni alla Brighton in Charlotte Street, ma molte mie amiche studiano qui e così ho pensato di cambiare-.
-Sono Harry, Harry Styles – le porgo una mano. Lei me la stringe con vigore.
-Annabeth Corry- si presenta. La stretta finisce, ma io non voglio offrirle una scusa per andarsene.
-Ti piace?- le domando di punto in bianco.
Lei è presa in contropiede. –Cosa?-.
-Il libro-.
-Oh,- sospira e per un attimo le scorgo negli occhi un’espressione sognante. –E’ la settima volta che lo leggo-.
Ci incamminiamo verso la Harrington, uno affianco all’altra.
-E perché ti piace tanto?-.
Ha un’esitazione prima di rispondermi. –Perché rispecchia perfettamente l’animo umano, i nostri errori, il giudicare dalle apparenze, una società piena di pregiudizi e l’orgoglio, un imperdonabile orgoglio che rischia di distruggere un amore-.
Svoltiamo a sinistra, poco lontano c’è l’Harrington University.
Un timido sole ha fatto capolino tra gli sbuffi di nuvole e ora illumina il marciapiede ancora umido di pioggia.
L’acqua delle pozzanghere brilla di una strana luce, dorata e avvolgente.
Gli altri passanti non sembrano farci caso. Camminano rapidamente, immersi nei loro pensieri, senza badare al resto.
Io però lo vedo. Londra oggi è diversa.
Mi volto a guardare Annabeth. Mi sta scrutando. –Dev’essere un bel libro- osservo e lo penso davvero.
-Lo è- dice lei in un soffio. Mi sorride e io non posso fare altro che imitarla.
Mentre ci avviciniamo alla Harringhton, ringrazio Jane Austen e il suo romanzo. E’ stata lei a farmi incontrare Annabeth.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Spazio autrice: Questo non è il primo racconto che  scrivo, ma è il primo che pubblico su un fandom ed è anche la mia prima fanfiction, perciò sono piuttosto emozionata!! Lo so, è una storia semplice, ma volevo vedere come me la cavavo, soprattutto perchè ho scelto Harry come voce narrante. 
Devo dire che mi sono molto divertita a mettermi nei suoi panni. Sicuramente vi sembrerà un Harry più impacciato del solito, ma io credo che in fondo non sia molto sicuro di sé.
Quindi mi farebbe taaaaanto piacere sapere cosa ne pensate, datemi consigli e siate spietate, ma non troppo xX.
Un bacio e alla prossima...speriamo :)


 
 
 
 
 
 
 
 
 
  

   
 
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