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Autore: allegretto    05/08/2012    2 recensioni
Progetto nato nel giro di una notte grazie ad un sogno, e che coinvolge persone reali come in una specie di gioco di ruolo. In uno scenario apocalittico i ragazzi devono imparare a cavarsela da soli e a mettere in pratica le loro qualità e capacità, mentre fatti inspiegabili accadono intorno a loro.
Trama: In una notte spariscono tutti gli adulti o quasi. Rimangono solo bambini, ragazzi, giovani e qualche adulto, come la sottoscritta. L'ambientazione è Genova, principalmente Sampierdarena, ma non è detto. Il nemico non è ben identificato, all'inizio. E' successo qualcosa di irreparabile e si dovrà capire come e cosa è accaduto.
Storia scritta da me, ma con l' ausilio di DarkAngel90, MaikoxMilo e Michywinchester e con il betaggio delle stesse.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quinto Capitolo

 

C'è una forza motrice più forte del vapore, dell'elettricità e dell'energia atomica: la volontà”

Albert Einstein

 

 

Ignari dei drammatici avvenimenti accaduti alla Fiumara nella notte, la mattina dopo Fede, Antonio, Daniele ed io raggiungemmo Simone, strenuo difensore del negozio di tabaccheria di via G.B. Monti e la sorella di Antonio, Desirée, nonché fidanzata del ragazzo. Avevano perfino messo delle barricate davanti alle vetrine, aiutati dalla cugina di Simone, Giada, appena undicenne e dagli altri due cuginetti più piccoli, erano riusciti ad allestire un posto di ristoro attrezzato e pronto per ogni emergenza". Insomma due sedicenni niente male!

“Ciao Simo, come è la situazione?”, esclamò Antonio, entrando nel bar, annesso alla tabaccheria e abbracciando sua sorella.

“Ehi, Antonio. Tutto calmo. Stanotte ho sentito sparare ma qui non è venuto nessuno, per fortuna!”, esclamò il ragazzo. “Volete un po' di caffè? La bombola del gas è piena. Mio padre l'aveva appena sostituita”, ci chiese. Non rifiutammo, anzi, ci avventammo sopra quelle tazzine come se fosse stato nettare divino. Addirittura a me preparò il cappuccino, usando un marchingegno a pile, e andai, per dieci minuti, in estasi!

Dopo esserci rifocillati con alcuni biscotti, iniziammo a discutere su come rifornire quel negozio e renderlo una base di riferimento per tutti i ragazzi della zona.

“Nella curva qua sotto c'è un camion fermo. Ha la chiave inserita. Gli ho dato ieri sera un'occhiata e penso di essere in grado di portarlo su. Se ci riesco, potremmo usare quello come veicolo per rifornire il negozio. Che ne dite?”, esclamò Simone.

“Direi ottima idea”, risposi io e anche gli altri annuirono.

“Magari se lo fai tu e non un adulto non ti dicono niente i militari...”, esclamò Antonio.

“Direi allora di fare così oggi: Antonio ed io iniziamo a svuotare il supermercato dalle scalette, Simone tu fai partire il camion qui sotto e cerchi di portarlo davanti al magazzino così lo carichiamo. Claudia e Desi iniziano a guardare nei palazzi qui intorno se ci sono bambini o ragazzi e li conducono qui. Diamo loro qualcosa da mangiare e poi decidiamo se rimandarli a casa o scovare un posto sicuro dove metterli. Magari troviamo qualche adulto che si è salvato”, spiegò Federico. Poi si girò verso Daniele e gli chiese:” Tu vieni con noi o vai con Claudia?”

“Non so, magari vado con Simone e gli do una mano. Poi quando abbiamo portato da voi il veicolo, raggiungo loro”, esclamò lui, incerto.

“Ok, perfetto”, esclamò Simone.

“Va bene, Diamoci da fare”, esclamò Antonio, voglioso di fare qualcosa di utile.

“Delle ragazze hai notizie, Claudia?”, mi chiese poi Desirée, mentre le davo una mano a spostare delle casse.

“No, non ancora. Devo usare la rice-trasmittente ma devo farlo con un po' di spazio intorno libero se no non prende. Da casa non ci sono riuscita. Ora, mi metto là fuori”, dissi, indicando la strada “e provo a chiamarle”, le risposi.

Dieci minuti più tardi iniziai la mia personale battaglia con le onde corte. In piedi in mezzo alla via, provai più volte a chiamare Francesca sul canale che le avevo indicato la sera prima. I nomi in codice erano tutti un programma, o meglio facevano riferimento a più serie televisive di cui quasi tutti eravamo appassionati.

“ SteveMcGarret da BobbySinger...cambio...?”, dissi nel ricevitore dell'apparecchio.

Udii solo una serie di scariche elettrostatiche e niente più. Riprovai più volte senza successo.

Forse non prendeva dentro al centro commerciale. Sperai che Francesca uscisse fuori dal complesso con la trasmittente in modo che si collegasse da sola. La lasciai accesa e la agganciai alla cintura dei pantaloni e mi avviai con Desirée a fare il giro dei palazzi. Iniziammo dal mio. Prima la scala dove abitavo io, partendo dall'alto.

“C'è nessuno? Sono Claudia. Abito nella scala. State tutti bene? Nel bar qui vicino c'è un po' di caffè latte caldo e dei biscotti per tutti”, ripetei alla noia.

Al quarto piano mi rispose un bambino. Lo conoscevo. Mi aprì piano la porta e quando mi vide mi si buttò tra le mie braccia. Era spaventato.

“Ok, piccolo. Tranquillo. Ci sono qui io. Tua sorella dove è?”, gli chiesi.

“Di là. Sta leggendo un libro di fiabe”, rispose lui, sollevato.

“Mamma? Papà?”, gli chiesi, entrando in casa.

“Non ci sono. Sono andati via ieri mattina!”, rispose lui. “Sara! Sara! Vieni qui. Guarda c'è Claudia!”, gridò, rivolto alla sorella che arrivò subito.

“Andiamo giù a fare un po' di colazione. Poi vediamo cosa fare. Se tornare qui o trovare un'altra sistemazione”, gli dissi io. “Magari Luca fammi vedere la tua stanza. Riempiamo un zaino per te e uno per tua sorella con abiti comodi e un cambio di biancheria. Ok?”, dissi al ragazzino.

Poi rivolta a Desi, le dissi: “Dai un'occhiata in casa e prendi delle coperte, cuscini e delle borse grandi per mettercele dentro”

“Luca, prendete delle medicine particolari, tu e tua sorella?”, chiesi, all'improvviso.

“Mia sorella è asmatica. Si, sono in bagno. Stamattina gliel'ho fatta prendere io la pastiglia”, disse lui con orgoglio.

“Bravo, Luca. Proprio bravo!”, esclamai io, sorridendogli.

“Desi, svuota anche l'armadietto dei medicinali e mettili in busta con il cognome che trovi sulla porta”, dissi alla ragazza. “Guarda anche se trovi dei documenti con i nomi dei bimbi e dei genitori e mettili anch'essi in una busta”.

“Ok”, disse lei. “Certo che se fossimo di più, sarebbe meglio. In due non è che possiamo fare molto”, aggiunse Desi, sconsolata.

“Già, bisognerebbe che ci fosse anche qualcuno giù al bar per fare mangiare tutti 'sti bambini. Non credo che la cugina di Simone, per quanto in gamba a sufficienza, possa reggere l'ondata. E sicuramente qualcuno che possa darci una mano qui...”, dissi, mentre finivo di riempire due zaini dei bimbi.

Desi portò giù i bambini al bar e li lasciò là, mentre Giada dava loro del latte caldo con delle brioches.

Quando tornò indietro, io avevo trovato degli altri bambini e rifacemmo la stessa procedura di prima. Nello svuotare sistematicamente edificio dopo edificio, ci accorgemmo che non c'era solo il problema dei bambini, già grandicelli per sapersi gestire da soli ma non in grado di andarsi a cercare il cibo e trovare un riparo sicuro in autonomia, ma anche la questione di tutti quei cani, gatti, conigli e altri animali domestici lasciati nelle case. Ci sarebbe voluta un'altra squadra di volontari....

Nel radunare tutti i bambini e ragazzini della via, mi tenni tutti quelli che avevano più di undici anni. Gli altri dovevano tenere a bada i più piccoli. Li facemmo sedere sulla scalinata di fronte al mio palazzo a recitare tabelline con una ragazzina. Lì per lì non mi venne in mente altro da fargli fare.

Mentre stavo mangiando un panino, sentii lo sferragliamento familiare del 59 che arrancava su per la salita. Rimasi sconcertata per un attimo e poi iniziai a correre verso il mio portone perchè pensai fosse pericoloso l'avvicinarsi di quel particolare veicolo. Forse non era un autobus ma qualche veicolo militare. Poi sentii urlare. Erano voci di gioia. Mi girai a guardare e rimasi a bocca aperta quando vidi al volante Simone che urlava come un dannato e Daniele che saltava su e giù come un forsennato. Era veramente un 59, un autobus piccolo, adatto a risalire le stradine collinari di Genova. Era un veicolo molto vecchio però. Dove diavolo lo avevano scovato, mi chiesi, mentre mi avvicinavo a loro. Comunque avevano ragione a essere così contenti. Guidare 'quel coso' su per quella stradina così ripida, non era normale per un sedicenne e il suo istruttore, quasi ventenne.

Quando parcheggiò il veicolo in mezzo alla strada, tutti i bambini gli corsero incontro e ballarono e gridarono come se fosse arrivato il Messia! In effetti era così. Era stipato fino all'inverosimile di scatole, bottiglie d'acqua, pacchi di pasta, piatti e bicchieri di plastica, latte Uht, e altro ancora. Facemmo una catena umana. Dal mitico 59 fino al negozio di Simone. Così ogni bambino aveva un incarico e non si annoiava neanche.

"Dove lo avete trovato?", chiesi a Daniele, quando scese dal trabicolo.

"Diamine, non c'era nulla che andasse. Siamo andati giù fino in via Carlo Rolando. Abbiamo provato ogni macchina. veicolo a due, quattro ruote ma niente. Solo un scassata Panda si è messa in moto", spiegò Daniele a me e agli altri.

"Tra l'altro ora vado giù a prenderla. Poi a Simone è venuto in mente di provare nella rimessa degli autobus. Abbiamo scartato i mezzi più nuovi perchè era chiaro che non si sarebbero messi in moto. Lui cercava qualcosa che fosse vecchio di più di trentanni. E poi nell'angolo più remoto del deposito lo abbiamo visto!", continuò il ragazzo, infervorato nel discorso.

"Tutto impolverato e sporco. Gli abbiamo un po' pulito i vetri davanti. Abbiamo spillato un pò di benzina dagli altri e riempito il serbatoio e cercando nei vari cassetti della segreteria, abbiamo anche trovato le chiavi. Quando si è messo in moto, siamo saltati dalla gioia", concluse, raggiante Daniele.

"Come avete fatto a venire su? Quell'affare ha le marce?", chiesi, ancora stupita dall'immane impresa.

"Si, per ben due volte abbiamo rischiato di andare a sbattere contro altre macchine o contro un muro. Poi dal supermercato, Federico è salito su e, grazie al suo anno di patente e senza farci domande, ha fatto manovra per accostarsi al piccolo parcheggio dell'emporio. Infine abbiamo iniziato a caricare gli scatoloni", esclamò Simone che si era avvicinato a noi.

"Cavolo, venire su, è stato un parto plurigemellare! Non so ancora come abbiamo fatto. Quel cambio è rigido come un bastone cementato. Mi sono quasi slogato una spalla...", disse, poi, massaggiandosi la zona dolorante.

"Ce la fai ad andare giù di nuovo?", chiesi io, preoccupata.

"Si, penso di si. Semmai guiderà Daniele", rispose lui, perdendosi l'occhiata piena di scetticismo dell'amico più grande.

"Sono sicura che lui ne sarà all'altezza!", esclamai io, sicura.

Quando l'antiquato 59, sparì oltre la curva per andare a raccogliere un altro carico, Desi ed io tornammo al nostro lavoro.

Intorno all'una decisi di provare a usare di nuovo la rice-trasmittente. Iniziavo a preoccuparmi. Non avevo margine per andare giù. Dovevamo trovare una sistemazione a tutti quei bambini e il tempo stringeva.

“SteveMcGarret da BobbySinger...cambio...”, esclamai nell'apparecchio.

Lo ripetei un paio di volte ma non ricevetti risposta.

“Chi è SteveMcGarret?”, mi chiese Antonio che si era avvicinato a me.

“Sto cercando di mettermi in contatto con Francesca ma non riesco a farlo. Managgia a 'ste scatole!”, esclamai al culmine della tensione, dando un colpo alla trasmittente.

“Probabilmente non prenderà giù o non riusciranno a farle funzionare”, replicò lui, prendendo in mano l'aggeggio.

“Marco mi aveva detto che sapeva usarle”, ribattei io, guardandomi intorno, indecisa sul da farsi.

“Vedrai che si faranno vivi. Stai tranquilla”, mi disse lui, calmo. “Senti, tutti questi bambini dove li mettiamo stanotte? Li rimandiamo nelle loro case o cosa?”, chiese poi, guardando i bimbi mentre davano una mano a sistemare i viveri nel negozio e cantare una filastrocca che aveva insegnato loro Desirée.

“Bella domanda, Antonio. Proprio una bella domanda!”, esclamai, sbuffando. “Non ne ho la minima idea”, aggiunsi poi. “Certo sarebbe la soluzione migliore quella di rimandarli nelle loro case ma ci sono troppi pericoli e ho paura che andrebbero a girare di notte”, conclusi io, andando verso il bar.

Quando entrai, vidi Federico e Daniele che finivano di stipare i pacchi di pasta su un ripiano. Erano stravolti. “Ragazzi, andate su a casa mia a darvi una pulita e a riposarvi un po'. Non reggerete a lungo con quel ritmo”, esclamai.

“Tra qualche ora scatterà il coprifuoco e ci potremo riposare”, replicò Federico, spostando con un piede uno scatolone ricolmo di lattine di pelati.

“Appunto, il coprifuoco!”, dissi, pensierosa. “Vado un attimo su a dare un'occhiata al piccolo zoo! Mi farò venire un'idea su come e dove sistemare tutti 'sti bambini”, aggiunsi, prendendo del latte a lunga conservazione, del caffè e delle confezioni di brioches, prima di uscire dal negozio e avviarmi verso il mio portone.

In casa trovai cani e gatti acciambellati gli uni vicini agli altri e rimpiansi nuovamente di non avere più alcun mezzo per scattare loro una foto. Artù, uno schnauzer nano, tutto nero e appartenente a Michela, stava sul fianco sdraiato intorno a Daisy, appartenente a Federico, una Yorkshire molto intelligente e di buona indole. Intorno a loro il mio micione bianco, Mr Churchill, Asia una gattona bella pasciuta di Marta e Juliet, una micetta dal pelo grigio-bianco, assai vivace che dormiva sul maglione del suo padrone accanto alla sua 'sorellina' canina Daisy.

Diedi loro da mangiare e passai un po' di tempo a fargli le coccole. Il pensiero delle ragazze alla Fiumara mi portò dalla finestra prima e poi sul poggiolo. La vista che si godeva dal mio palazzo era mozzafiato. Si poteva osservare quasi tutto il quartiere, il porto, il centro commerciale e addirittura il simbolo di Genova: la Lanterna. Fui assalita da un'ondata di malinconia. Non sapevo dove fossero finiti i miei familiari, i miei amici, le persone a me care e sentivo il peso di tutti quei bambini e ragazzi che contavano su di me, mentre in quel momento me ne sarei andata in cima a una montagna per fuggire da tutto quel caos e mistero. Dire che ero terrorizzata era un eufemismo ma non potevo esternare quel sentimento con loro. Dovevano credere nella speranza, dovevano avere la volontà di trovare una soluzione ed io rappresentavo la loro àncora di salvezza.

Mentre sfogavo a calde lacrime la mia frustrazione, colsi un movimento in basso. Un pezzo di tessuto nero mi riportò alla dura realtà. Sotto il mio palazzo si estendeva un grande spazio occupato da un convento di suore le quali gestivano una scuola materna ed una elementare. Un grande giardino completava l'area. Quel lembo scuro non poteva essere altro che un pezzo di velo di una tonaca. Forse avevo trovato una soluzione. Misi il guinzaglio ad Artù e a Daisy e andai giù. Nel portone incontrai tre ragazze, mie ex-allieve e anche loro erano venute a cercarmi.

“Sapevamo che non ci avresti lasciato da sole”, esclamò Ilaria, abbracciandomi.

“Che piacere Ila!”, dissi, veramente contenta di vedere quella ragazza così minuta ma assai tenace e coraggiosa. “Cosa ti ha dato la sicurezza che non fossi stata portata via?”, le chiesi, mentre abbracciavo anche Valentina e Claudia, sorella di Marco.

“Abbiamo saputo da un gruppo di ragazze che sono state stamattina alla Fiumara che su da queste parti c'è un gruppo che ha organizzato una sorta di resistenza con l'aiuto della loro insegnante!”, rispose Ilaria che si era abbassata per accarezzare i due cagnolini.

“E chi poteva essere se non tu, Cla?”, esclamò Valentina, con un'espressione divertita ma allo stesso tempo sollevata, dipinta sul volto.

“Oddio, resistenza è una parola grossa”, sorrisi, imbarazzata. “Stiamo radunando un po' di bambini, togliendoli dalle case e dando loro qualcosa da mangiare”

“Fidati, questa parola ha dato molta fiducia a tanti ragazzi sbandati che girano per strada. Non sono abituati a vivere così e anche se sono passate neanche quarantotto ore da quello che è successo, è come se per loro fosse passata un'intera era geologica”, replicò Claudia, degna sorella di Marco.

Le sue parole mi rattristarono ma al contempo mi diedero nuova carica.

“So che avete organizzato un posto di soccorso giù alla Fiumara. Le ragazze che abbiamo incontrato stamattina hanno detto che ci sono centinaia di bambini piccoli giù”, esclamò Valentina, amica dall'infanzia di Ilaria, alta, castano chiaro, dolce con i bambini ma che sapeva tenere testa ai prepotenti.

“Queste ragazze ne venivano dal centro commerciale?”, chiesi loro.

“Si, avevano dato una mano ma cercavano una farmacia perché molti bambini hanno la febbre alta. Queste stavano cercando anche qualcuno che avesse nozioni mediche ed è per quello che le abbiamo viste dall'ospedale”, spiegò Ilaria.

“Claudia, tu hai notizie di tuo fratello?” chiesi all'altra ragazza.

“No, volevo andare giù a vedere. Mi aveva detto che sarebbe poi venuto su in giornata ma non l'ho ancora visto”, rispose lei, ansiosa.

“Allora, ragazze, fate una cosa. Andate giù alla Fiumara e date il cambio a Francesca, Michela e Marta che sono giù da ieri pomeriggio, così vengono su e si danno una rinfrescata e dormono un po'. Dite anche a Marco di venire qui. E' più vicino e più sicuro”, spiegai, mentre cercavo nelle mie tasche un pezzetto di carta e una matita per scrivere i nomi in codice per la trasmittente. “Cercate di organizzare dei turni in modo di dare tempo a tutti di riposarsi. Vorrei però che almeno che voi due, Ilaria e Claudia, tornaste su domani e trovaste qualcuno che vi sostituisca perché ho bisogno di organizzare una squadra di recupero animali. Nelle case ne abbiamo trovato molti e non possiamo lasciarli là. Moriranno e potrebbero scatenare delle epidemie. Dobbiamo trovare una sistemazione anche per loro”, aggiunsi poi, con fare concitato.

“Come rimaniamo in contatto?”, chiese Valentina. “Cavolo, mi ero appena comprata il cellulare nuovo”, aggiunse, poi, sconsolata, tirando fuori il telefonino ormai inutilizzabile.

“Abbiamo le rice-trasmittenti. Ora ti faccio vedere come funzionano”, le dissi, tirando fuori l'apparecchio e spiegandole come parlare, che tipo di linguaggio usare e soprattutto ribadendo più volte di azionarlo all'esterno.

Ne consegnai uno a lei con la lista dei codici, spiegandole che avrebbe dato il cambio a Francesca ed eleggendola così capo del presidio alla Fiumara nelle sue ore di competenza. Lei rimase sorpresa ma non disse nulla. Sapevo che ce l'avrebbe fatta. Era un leader nato tanto quanto l'altra ragazza, solo che non lo sapevano ancora di esserlo.

Dopo aver visto andare via le tre ragazze, andai verso il bar. Erano state organizzate delle partite di calcio lungo la strada che portava a casa di Marta, perciò i bambini giocavano ed erano spensierati. Solo i più grandicelli avevano quel tipico sguardo spento e spaurito di chi ha capito che la situazione è cambiata in peggio e potrebbe peggiorare ancora di più.

“Anto, Fede, Dani, ho trovato una soluzione!”, esclamai, entrando nel bar. L'aroma del caffè appena fatto mi inebriò e per un attimo dimenticai tutto. Come un automa mi fiondai sulla tazzina che mi veniva offerta da Simone, che oltre a essere un grande appassionato di autobus e treni, era anche un ottimo barista.

“So dove dormiranno i bambini stanotte e dove staranno per un po'!”, dissi, dopo aver bevuto quel concentrato di forza e azione che era la caffeina per me.

“Bene. E dove, donna dalle mille risorse?”, mi chiese Federico, curioso e al tempo stesso divertito, mentre teneva in braccio la sua cagnolina e la accarezzava con sommo piacere.

“So che la soluzione non vi piacerà ma credo sia l'unica possibile....”, dissi, ben sapendo quanto a loro stessero antipatiche le monache e i conventi in generale. “La scuola sotto il mio palazzo. Prima ero sul poggiolo e ho visto, per una frazione di secondo, una suora. Gli edifici hanno ambienti grandi, ha una cucina e l'edificio, dove un tempo c'era il collegio, ha sicuramente tante stanze”, aggiunsi, trionfante.

“Per Giove, hai ragione!”, esclamò Daniele. “Quando li sbologniamo là sotto?”, chiese, poi, ansioso di liberarsi dalla marmaglia.

“Prima dovremo vedere se ci lasciano entrare, poi se acconsentono e poi...”, iniziai a spiegare ma fui interrotta da alcune urla.

“I camion. I camion. Stanno venendo su”, sentimmo alcuni ragazzi gridare nella strada.

“Claudia! Antonio! Andate.... Se vi vedono qui, vi portano via”, esclamò Federico, rientrando nel bar, dopo che era uscito per vedere cosa stava succedendo.

Uscimmo fuori e di corsa raggiungemmo il portone. Con gran fatica raggiunsi il mio piano e poi ci chiudemmo in casa. Le finestre del mio appartamento non davano sulla strada, per cui non riuscimmo a vedere nulla di quanto stesse succedendo giù. Avrei voluto osservare, avrei voluto studiare quei militari che avevo già spiato il giorno prima. Mi erano apparsi diversi dai soliti soldati che avevo visto in passato. Anche qui il mio sesto senso, la mia vocina interna mi continuava a dire che quelli non erano quello che volevano far sembrare. Dovetti desistere dal desiderio di andare giù fino al portone per colmare la mia curiosità.

Un'ora e mezza dopo fummo raggiunti da Daniele e Federico, i quali ci diedero il via libera per poter di nuovo muoverci in libertà. “Cosa hanno fatto?”, gli chiesi, mentre mi preparavo per scendere.

“Hanno controllato i documenti dei più grandi. Ci hanno detto di portarli sempre appresso e di non dimenticarli perché chi non ce li ha, verrà portato via”, rispose il ragazzo.

“Hanno anche voluto vedere i documenti di Simone in relazione al bar, se veramente fosse stato dei suoi genitori o no. Pensa, gli ha offerto il caffè ma loro non l'hanno voluto. Erano una decina. Accaldati e stanchi, a mio avviso. Ma nessuno di loro ha manifestato una pur minima volontà di bersi quel liquido nero così invitante e a me è parso proprio strano!”, esclamò Federico, mentre liberava i due cani dal guinzaglio.

“Dobbiamo organizzare un rete di sentinelle, lungo la strada per evitare che succeda di nuovo”, esclamò Antonio.

“Si, credo tu abbia ragione e sicuramente dovrai addestrare un po' di ragazzini a usare la balestra e l'arco, così da tenerli occupati e pronti a ogni evenienza. Te la senti, Anto?”, esclamai io, guardandolo sicura del suo assenso.

“Si, assolutamente si. Stare fuori è pericoloso per noi e credo che, come incarico, mi piacerà sicuramente. Con i ragazzini ci so fare, no?”, chiese lui, cercando l'approvazione.

“Preferirei che tu ci dessi una mano qui”, esclamò Federico “ma mi rendo conto che abbiamo bisogno anche di un certo livello di difesa. Purtroppo non possiamo farne a meno!”, aggiunse Federico. Anche Daniele fu d'accordo.

Stavamo uscendo dal bar per andare giù dal convento delle suore, quando sentii gracchiare la radio.

“BobbySinger da SteveMcGarret...cambio...”, sentii in lontananza la voce di Francesca.

“Avanti SteveMcGarret, qui BobbySinger...cambio...”, esclamai, sollevata.

“Stiamo per metterci in movimento verso Charlie Papa....cambio...”, disse la voce che andava e veniva ma che si riusciva a percepire senza grosse difficoltà.

“Charlie Papa libero e disponibile...vi aspettiamo....cambio..”

“SteveMcgarret in movimento con DeanWinchester e Camusdell'Acquario...cambio...”

“Roger, SteveMcGarret. BobbySinger, quando arrivate andate da Bravo Alpha Romeo, chiudo”, dissi io.

“Roger, BobbySinger. SteveMcGarret, chiudo”, replicò Francesca, chiudendo il contatto.

Giunti davanti alla grande porta verde del passo carrabile all'esterno del convento, iniziammo a bussare. Dapprima in modo discreto e poi, via via, sempre più insistentemente.

“E dove sono andate a rifuggiarsi, quelle tipe....”, mormorò Daniele, scocciato.

“Andate via.....andate via....ci avete già controllato”, esclamò una vocina, ad un certo punto.

Federico mi fece segno di parlare. Forse ero l'unica che la potesse convincere ad aprirci la porta.

“Sorella, la prego, abbiamo tanti bambini e non sappiamo dove metterli. Per favore, ci faccia entrare così le spieghiamo la situazione”, dissi, cercando di essere calma ma convincente allo stesso modo,

Attendemmo ancora un paio di minuti e poi il grosso portone verde si aprì un pochino, lasciando intravedere una suora molto giovane, dalla carnagione olivastra.

“Tutti gli adulti sono stati portati via. Come fa, lei, ad essere ancora in giro?”, mi chiese, poi, incerta.

“Sono rimasta a casa. Non sono andata a nessun punto di raccolta e nessuno mi è ancora venuto a cercare”, risposi io. “E' sola?”, chiesi, poi, cercando di sbirciare dentro nel cortile.

“Un'altra consorella, giovane quanto me e una molto anziana che siamo riuscite a nascondere”, rispose lei.

“Possiamo allora portare giù i bambini? Promettiamo che vi riforniremo di cibo e quant'altro vi servirà ma non sappiamo dove metterli stanotte. Lasciarli in casa da soli è pericoloso!”, esclamò Federico, concitato.

“Quanti sono?”, chiese un'altra suorina, appena sopraggiunta. Anch'essa di origine indiana, come tutte le suore giovani di quel convento e sicuramente anche degli altri.

“Più di un centinaio...”, risposi io. “Sono quasi tutti sopra i cinque anni. I più piccoli sono alla Fiumara”, aggiunsi.

Le due suorine si guardarono un attimo e poi, all'unisono, esclamarono: “E sia. Portateli giù. Però non sappiamo dove metterli. Non abbiamo letti a sufficienza....”

“Per questa notte si arrangeranno su coperte e piumoni vari. Domani mattina partiremo alla volta di Decathlon a Campi a prendere sacchi a pelo e tende”, esclamò Daniele e la sua decisione mi stupì non poco, visto che era stato sempre un ragazzo schivo e poco amante delle azioni azzardate. Pensai che avevo sempre avuto un Indiana Jones a portata di mano e solo ora lo scoprivo...

Anche Federico era rimasto esterefatto dalla presa di posizione del suo amico ma sapeva che era l'unico modo per risolvere quella situazione. Come avrebbero fatto, lo avrebbero sicuramente affrontato quella sera in casa mia.

Il convento delle suore divenne così la nuova localizzazione per i bambini e a capo di ciò fu posta Desirée che con la sua esperienza di capo scout era perfettamente in grado di gestire tutti i problemi derivanti da quell'incarico. Inoltre quella struttura era perfetta per poter immagazzinare tutte le scorte possibili che riuscivamo a trovare e abbastanza difendibile in caso di attacco.

Iniziammo così a fare la spola tra la via sotto casa mia e il convento per accompagnare giù tutti i bambini. Sarebbe stata una serata molto lunga e faticosa ma lo spirito era buono e la volontà tanta e questo mi soddisfece non poco!

  
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