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Autore: elektra30    06/08/2012    3 recensioni
Certe volte quel bambino gli ricordava troppo di troppe persone
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Nuovo personaggio | Coppie: Draco/Hermione
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Of daisies and stars N.d.T.: dopo mesi di latitanza forzata, rieccomi con un'altra traduzione, questa volta di elektra30. La storia, di cui potete trovare l'originale a questi link: LJ, FF.net, H&V, è stata scritta nel giugno del 2010 per il dracobigbang (visto che mi piaccione le cose sbrilluccicose e/o colorate il banner di partecipazione è stato prontamente piazzato qua sotto) ed è stata ispirata dal disegno di leochi.
Ogni commento e critica sono bene accetti dato che a questo giro di traduzione io e il congiuntivo abbiamo avuto qualche divergenza di vedute.

Alla prossima,
Luxlucis


 

Of daisies and stars

 

“Apeeee!”

Aveva intenzione di scacciare il pericoloso insetto ma l’angelo tra le sue braccia, le cui guance erano arrossate sotto la luce calda e rassicurante del sole, aveva allungato una mano per raggiungerlo.

“Non prenderla,” lo ammonì. “Ti pungerà.”

Il bambino si limitò a sorridere raggiante e a dichiarare, “Mi piacciono tantissssimo le api.”

Draco Malfoy cercò di non ridere e mantenere un’espressione severa mentre il bambino allargava le mani paffute nel tentativo di dimostrare quanto la sua passione per le api potesse essere grande. Allungò un braccio per scompigliare le ciocche bionde del figlio, notando le striature più scure con le quali erano mescolate. Tracce di impurità, rifletté, eppure così tanta perfezione.

“Le api sono dooolci!”

Draco alzò gli occhi al cielo. “Il miele è dolce, non l’ape. Mangi le api per caso?” I bambini di oggi!

Il bimbo in risposta tirò fuori la lingua. “Dooolce.”

Come il profumo di lei. Il delicato odore di margherite da cui era sempre avvolta.

Il ronzio che raggiunse il suo orecchio lo distrasse dai suoi pensieri: riusciva a sentire un paio di quei (maledetti) insetti posati sulle sue dita, a pochi millimetri dalla schiena di suo figlio. Esasperato, estrasse la bacchetta con la mano che aveva libera e formulò un incantesimo scudo su entrambi.

“Che hai fatto?” Il bambino stava osservando con curiosità un’ape sospesa sopra di lui, senza che riuscisse ad andare oltre. Cercò di raggiungerla con un dito, ma Draco interruppe immediatamente il suo tentativo continuando a camminare.

Mentre proseguiva riusciva ad avvertire contro la sua spalla la testolina muoversi e girarsi in ogni direzione. Gli venne da sorridere. Quel gesto per lui così familiare di innata curiosità non mancava mai di stringergli il cuore. Non importava quante volte l’avesse visto, lo emozionava ancora come l’improvviso fiorir di fiori, la luce naturale dell’alba o il tocco elettrizzante delle sue labbra. Si fermò all’improvviso, chiudendo gli occhi per godersi il ricordo.

Riesci ad immaginare quanto tu riesca a sorprendermi?

Si era sempre lamentata del fatto che lui possedeva tutto quello che avrebbe mai potuto desiderare. Non avrebbe mai potuto coglierlo di sorpresa perché i suoi riflessi da cercatore riuscivano sempre a prevenire ogni sua mossa, anche quando non usciva dai confini della sua mente. Aveva cercato di scacciare a furia di baci quella paura ogni notte che lei l’aveva manifestata, scostandole i soffici capelli castani e sussurrandole all’orecchio che nessuno avrebbe mai potuto fargli un regalo nel modo in cui lo faceva lei – con gioia ed onestà.

Proprio come il bambino che gli aveva dato; un diario di colori, odori e suoni. Che cosa c’era di più unico e bello?

“Papi?”

Draco spalancò gli occhi.

“Che fai?”

“Penso.” Disse con un sorrisetto.

“Dove andiamo?”

“Smettila di fare domande.” Sospirò Draco, soffocando una risatina esasperata mentre si faceva strada tra l’erba alta. Di tutti i tratti che avresti potuto trasmettere a nostro figlio…

Alla fine, quando raggiunse il suo posto – o forse il loro posto, suo figlio si voltò verso il prato ricoperto da margherite viola, con gli occhi che brillavano per la meraviglia. Occhi grigi e dalla forma a mandorla – una mescolanza sorprendente che non mancava mai di rendere Draco pensieroso ogni volta che se ne rendeva conto.

“Margherita!” esclamò il bimbo, rivolgendosi verso il campo color lavanda delimitato dal cielo azzurro.

“Perché non solo ‘fiore’?” mormorò Draco, con le labbra premute contro i soffici capelli dorati-

“Margherita viola,” fu la seria risposta. “Che bella.” Gli occhi del bambino sembrarono assumere una luce argentea prima che i bordi si piegassero in piccole rughe. Poi aprì la bocca, per aspirare meglio il profumo di fiori.

Draco lo fissò. Gli era passato il desiderio di ridere, sostituito da una familiare amarezza. Le pozze di argento luminoso che in quel momento lo guardavano avevano una sfumatura blu, non come il castano della mamma, che aveva sempre scherzavo dicendo che quegli occhi riflettevano l’aspetto delle innumerevoli storielle di Draco, a parte lei. Probabilmente però sapeva, così come lo sapeva lui, che quell’azzurro era lo stesso che aveva vegliato su di lui ogni notte quando era bambino. Gli stessi occhi azzurri che erano soliti piegarsi ai lati in sottili rughe come quelli di suo figlio, e che erano man mano sprofondati nell’oscurità, pieni di paura e di angoscia.

Sentì i muscoli della guancia irrigidirsi e si morse il labbro. Se solo – se solo sua madre avesse potuto vedere il nipote, così amato e coccolato. Se solo avesse potuto proteggerlo nello stesso modo in cui aveva fatto con Draco. Ricordi del suo ultimo anno a Hogwarts lo assalirono all’improvviso, tanto che fu costretto a scacciarli prepotentemente.

All’improvviso un movimento: il bimbo si stava agitando tra le sue braccia.

Draco aprì gli occhi per lasciare che il tepore del sole lavasse via i ricordi angosciosi. Si inginocchiò tra l’erba alta ed i fiori, mentre suo figlio si dimenava fuori dalla sua presa ed atterrava sullo stelo più vicino. Con due pugnetti paffuti, sradicò un fiore viola, per poi ruzzolare all’indietro per il contraccolpo. Sembrava sconcertato, mentre guardava suo padre e agitava gamba e braccia in modo scomposto. Un’espressione divertita attraversò lo sguardo di Draco, che protese le mani, per poi ritrarle quasi subito.

Il bambino doveva imparare che certe volte avrebbe dovuto rialzarsi da solo.

Così come era stato insegnato a lui. Ogni volta che si era trovato in ginocchio e dolorante di fronte alla spaventosa scrivania nello studio di suo padre non c’era mai stato nessuno a parte lui stesso ad insegnargli a raggiungere le gambe del tavolo e rialzarsi in piedi. Non c’era mai stato nessuno che lenisse il suo dolore, nessuno che lo sorreggesse mentre si trascinava in camera sua, senza quasi riuscire a vedere o a respirare. E quando si affacciava di nuovo l’alba, era un altro giorno che avrebbe dovuto affrontare da solo.

Cosa avrebbe dato per sapere che c’era un paio di braccia tese apposta per lui. Anche se fosse caduto. L’averlo saputo avrebbe reso la nuova alba un momento degno di attesa, invece dell’immagine immutabile che aveva imparato ad odiare. L’averlo saputo gli avrebbe fatto guardare con rispetto invece della solita amarezza il volto implacabile di suo padre tra i ritratti del Manor.

Era difficile eliminarli dai suoi pensieri. Non sapeva più nemmeno chi erano. Quando un giorno gli emissari del Ministero erano venuti ad arrestarli non sapeva nemmeno cosa fosse successo. Sua madre, piangendo, gli aveva sussurrato il suo arrivederci, mentre suo padre era rimasto sicuro di sé ed arrogante come al solito. Solo in seguito aveva scoperto che erano stati incarcerati per aver tentato un incantesimo di Magia Nera antico e proibito nella speranza di evocare l’anima di Voldemort. Sapevano quali sarebbero state le conseguenze, eppure aveva comunque deciso di andare avanti. Draco si chiedeva se lui era stato preso in considerazione nel loro bilancio tra rischi e benefici.

Amarezza, per lui, non significava solo il cuore spezzato. Il problema era che non sapeva nemmeno come si fosse rotto in primo luogo. Gli pareva che non fosse mai stato completamente intero e che tutta la sua vita si risolvesse nel tentativo di rammendarlo.

Quel giorno, come tutti gli altri anniversari della loro morte, aveva cercato una qualsiasi scusa per uscire di casa, ma del resto, lei gli suggeriva sempre di accompagnare loro figlio fuori. “Portalo a fare una passeggiata”, aveva detto con decisione e lui non se l’era sentita di rifiutare qualcosa a due paia di occhi supplici ed angelici.

Certe volte quel bambino gli ricordava troppo di troppe persone.

E lei lo sapeva.

Il bambino biondo, alla fine, si sollevò sulle piccola braccia grassottelle. Nel frattempo Draco aveva di nuovo proteso le mani in avanti, ma le ritrasse di nuovo mentre si sdraiava sull’erba con gli occhi chiusi, crogiolandosi al sole. Nel tempo aveva cominciato a desiderare la luce solare; il suo calore avvolgente lo faceva sentire più vivo del sangue che gli scorreva nelle vene.

“Viola!”

Qualcosa solleticò il naso di Draco, che corrugò la fronte ed aprì gli occhi, vedendo il sole luminoso – no era la margherita, un punto giallo circondato da una massa viola.  Nel tentativo di spostare quella pianta fastidiosa scorse suo figlio ridere allegramente, con le mani giunte nella più angelica delle pose. La sua innocenza (vera o presunta) lo fece sorridere ed inevitabilmente si trovò di nuovo a guardare la delicata preda tra le sue dita. Se avesse stretto anche solo di poco la presa sarebbe crollato, come una marionetta senza fili.

Macabra come immagine, ma era la stessa che lo aveva perseguitato per anni.  In passato sarebbe stato ridicolo insinuare che Draco Malfoy avesse paura di qualcosa. Era il resto del suo seguito che doveva temerlo – se non per il prestigio della famiglia, allora per il suo futuro reclutamento nell’esercito dell’Oscuro Signore.

Ma la verità era che ogni notte strisciava fino al suo letto nel dormitorio di Slytherin e tirava le coperte fin sopra la testa, per far in modo che nessuno vedesse la figura tremante al di sotto, che non riusciva a fermare le lacrime. Non c’era niente, niente che riuscisse a dargli forza, tranne la necessità di ostentare un maschera di fronte al resto del mondo.

Fino a che non aveva incontrato lei.

Draco lisciò i petali della margherita, sorridendo al ricordo di come lei lisciava le pieghe del suo vestito viola in estate, il viso illuminato da un sorriso radioso, in una scena strana ed inconsueta che lo aveva messo a disagio. Aveva desiderato scomparire da quel luogo, da quella situazione scomoda, dall’idea di star partecipando al matrimonio di Potter e della Weaselette e che era stato invitato! Per fare da tappezzeria per di più, aveva pensato sdegnoso. Tutti i presenti lo avevano ignorato e lui stesso aveva voluto nascondersi per la vergogna di essere lì presente solo grazie ad un gesto magnanimo di Potter. Stava quasi per mettere in atto la sua fuga quando l’aveva vista, seduta alla luce estiva, come una margherita appena fiorita.

Aveva avuto paura, ancora una volta, un pavido in tutto e per tutto. L’aveva lasciata agonizzante sul pavimento della sua casa ed in quel momento il suo essere così bella ed in salute era una vista quasi grottesca.

Lei però lo aveva chiamato; avrebbe dovuto scappare, ma le gambe rifiutavano di muoversi, poi, senza ragione, aveva fissato gli occhi in quelli di lei e per la prima volta si era accorto che erano di una sfumatura meravigliosa di castano. Li aveva sempre immaginati di un colore piatto ed insulso.

Non si era nemmeno reso conto di aver parlato a voce fino a quando lei non gli aveva risposto piano.

“Ci sono molte cose che devi ancora imparare, Malfoy.”

Guardando correre suo figlio, circondato dalla luce dell’innocenza e della gioventù, Draco si chiese se lei avesse immaginato la scena quando gli aveva detto quelle parole. Erano stati loro due ad avergli insegnato le lezioni che non aveva mai imparato durante la sua infanzia, lei in particolare gli aveva impartito quelle più dure da accettare e aveva superato le prove assieme a lui.

Quel pensiero fece riaffiorare un ricordo che aveva sempre fatto sorridere Draco. Quando era infuriata non c’era niente che potesse fermare il Granger Express, ma quella volta aveva fatto in modo di farla tacere per giorni interi.

“Ohi, e questa per che cos’era?” le aveva chiesto, furioso, quando l’aveva schiaffeggiato con violenza, lo  sguardo che lasciava trasparire tutta la rabbia e la delusione che provava.

“Mi avevi promesso che non avresti fatto danni! Come ti è venuto in mente di maledirlo?”

“Stavo cercando di essere onesto, cosa pretendevi che gli dicessi?” le rispose con un sogghigno, la voce fredda e nervosa. “’Grazie Rodolphus Lestrange per aver trascinato i miei genitori nello stesso abisso in cui eri bloccato e da cui non riuscivi a tirare fuori il tuo grassissimo culo?’”.

“So bene che eri arrabbiato, ma non c’era nessun bisogno di tirar fuori la bacchetta. Dovevi solo interrogarlo e sentire la sua versione dei fatti! Ora guarda che cosa hai fatto! Il Ministero ti ha bandito da qualsiasi altro lavoro!”

“Non ho bisogno che questo inutile Ministero mi dia un lavoro!”

“Oh, brutto idiota egoista! Che cosa hai detto quando hai chiesto il perdono? Tutti quei discorsi su rimettere insieme la tua vita. Non vuoi vivere con la tua rendita, non vuoi avere un lavoro normale, si può sapere che cosa vuoi?”

“Voglio solo una famiglia, è così difficile da capire? Maledizione, Granger, voglio solo una famiglia con te!”

Draco posò lo stelo della margherita a terra e alzò gli occhi al cielo, che in quel momento era venato da striature rosa ed arancioni. Il sorriso si spense in un’espressione cupa. Nonostante i colori meravigliosi era un triste ricordo della sua fuga per più di metà della giornata. Anche dopo essere diventato genitore era ancora così poco coraggioso, pensò mentre fissava il bimbo, che stava annusando un gruppo di margherite.

Avrebbe preso da me?

In tutta sincerità sperava proprio di no.

Le luminose scie infuocate che venavano il cielo scomparirono velocemente non appena il sole cominciò ad abbassarsi al di sotto dell’orizzonte, mentre una coperta color indaco cominciò ad avvolgere la campagna con la sua ombra. Intimorito, il bimbo trotterellò indietro tra le braccia di suo padre per cercare rifugio. Draco a quel punto gli passò una mano sui capelli per domarli, sogghignando ancora una volta mentre si rammentava della scena

“Papi?”

Draco chiuse gli occhi. Era stata un’idea di lei farsi chiamare così da suo figlio, invece del titolo aristocratico di ‘Padre’ ed ogni volta che si sentiva chiamare da quella vocina in quel modo un’ondata di calore lo attraversava.

“Si?”

“Dimmi ancora dov’è la mia stella.”

Draco tracciò il cielo con due dita, per cercare tra i puntini luminosi. Quando trovò quello che cercava, prese la manina nella sua e distese un dito per indicare la figura immaginaria.

“Guarda,” sussurrò “Quella è Scorpius.”

Ci fu un breve silenzio e Draco osservò gli occhietti meravigliati seguire la direzione del suo dito.

“Che bella. E dov’è la tua stella, papi?”

Draco sorrise ed indicò un altro punto. “Là.”

Un’altra breve pausa.

“Dov’è quella di mamma?”

Draco era perplesso, pensava che ormai, dopo tutte le volte in cui gli aveva posto solo due domande, il bimbo avesse imparato che non esisteva nessuna stella chiamata ‘Hermione’.

“Figliolo…”

Una risatina. “Lo so,” disse la vocina scherzosa.

Draco inarcò un sopracciglio. “Come?”

“Sei tu, papi. Me l’ha detto mamma.” Il bambino si strinse nell’abbraccio di Draco, non vedendo la luce che brillava negli occhi di suo padre.






   
 
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