Ogni commento e critica sono bene accetti dato che a questo giro di traduzione io e il congiuntivo abbiamo avuto qualche divergenza di vedute.
Alla prossima,
Luxlucis
Of daisies and stars
“Apeeee!”
Aveva
intenzione di scacciare il pericoloso insetto ma l’angelo tra le sue braccia,
le cui guance erano arrossate sotto la luce calda e rassicurante del sole,
aveva allungato una mano per raggiungerlo.
“Non
prenderla,” lo ammonì. “Ti pungerà.”
Il
bambino si limitò a sorridere raggiante e a dichiarare, “Mi piacciono tantissssimo
le api.”
Draco
Malfoy cercò di non ridere e mantenere un’espressione severa mentre il bambino
allargava le mani paffute nel tentativo di dimostrare quanto la sua passione
per le api potesse essere grande. Allungò un braccio per scompigliare le
ciocche bionde del figlio, notando le striature più scure con le quali erano
mescolate. Tracce di impurità,
rifletté, eppure così tanta perfezione.
“Le api
sono dooolci!”
Draco
alzò gli occhi al cielo. “Il miele è dolce, non l’ape. Mangi le api per caso?” I bambini di oggi!
Il bimbo
in risposta tirò fuori la lingua. “Dooolce.”
Come il
profumo di lei. Il delicato odore di margherite da cui era sempre avvolta.
Il ronzio
che raggiunse il suo orecchio lo distrasse dai suoi pensieri: riusciva a
sentire un paio di quei (maledetti) insetti posati sulle sue dita, a pochi
millimetri dalla schiena di suo figlio. Esasperato, estrasse la bacchetta con
la mano che aveva libera e formulò un incantesimo scudo su entrambi.
“Che hai
fatto?” Il bambino stava osservando con curiosità un’ape sospesa sopra di lui,
senza che riuscisse ad andare oltre. Cercò di raggiungerla con un dito, ma
Draco interruppe immediatamente il suo tentativo continuando a camminare.
Mentre
proseguiva riusciva ad avvertire contro la sua spalla la testolina muoversi e
girarsi in ogni direzione. Gli venne da sorridere. Quel gesto per lui così
familiare di innata curiosità non mancava mai di stringergli il cuore. Non
importava quante volte l’avesse visto, lo emozionava ancora come l’improvviso
fiorir di fiori, la luce naturale dell’alba o il tocco elettrizzante delle sue
labbra. Si fermò all’improvviso, chiudendo gli occhi per godersi il ricordo.
Riesci ad immaginare quanto tu
riesca a sorprendermi?
Si era
sempre lamentata del fatto che lui possedeva tutto quello che avrebbe mai
potuto desiderare. Non avrebbe mai potuto coglierlo di sorpresa perché i suoi
riflessi da cercatore riuscivano sempre a prevenire ogni sua mossa, anche quando
non usciva dai confini della sua mente. Aveva cercato di scacciare a furia di
baci quella paura ogni notte che lei l’aveva manifestata, scostandole i soffici
capelli castani e sussurrandole all’orecchio che nessuno avrebbe mai potuto
fargli un regalo nel modo in cui lo faceva lei – con gioia ed onestà.
Proprio
come il bambino che gli aveva dato; un diario di colori, odori e suoni. Che
cosa c’era di più unico e bello?
“Papi?”
Draco
spalancò gli occhi.
“Che
fai?”
“Penso.”
Disse con un sorrisetto.
“Dove
andiamo?”
“Smettila
di fare domande.” Sospirò Draco, soffocando una risatina esasperata mentre si
faceva strada tra l’erba alta. Di tutti i
tratti che avresti potuto trasmettere a nostro figlio…
Alla
fine, quando raggiunse il suo posto – o forse il loro posto, suo figlio si
voltò verso il prato ricoperto da margherite viola, con gli occhi che brillavano
per la meraviglia. Occhi grigi e dalla forma a mandorla – una mescolanza
sorprendente che non mancava mai di rendere Draco pensieroso ogni volta che se
ne rendeva conto.
“Margherita!”
esclamò il bimbo, rivolgendosi verso il campo color lavanda delimitato dal
cielo azzurro.
“Perché
non solo ‘fiore’?” mormorò Draco, con le labbra premute contro i soffici
capelli dorati-
“Margherita
viola,” fu la seria risposta. “Che bella.” Gli occhi del bambino sembrarono
assumere una luce argentea prima che i bordi si piegassero in piccole rughe.
Poi aprì la bocca, per aspirare meglio il profumo di fiori.
Draco lo
fissò. Gli era passato il desiderio di ridere, sostituito da una familiare
amarezza. Le pozze di argento luminoso che in quel momento lo guardavano
avevano una sfumatura blu, non come il castano della mamma, che aveva sempre
scherzavo dicendo che quegli occhi riflettevano l’aspetto delle innumerevoli
storielle di Draco, a parte lei. Probabilmente però sapeva, così come lo sapeva
lui, che quell’azzurro era lo stesso che aveva vegliato su di lui ogni notte
quando era bambino. Gli stessi occhi azzurri che erano soliti piegarsi ai lati in
sottili rughe come quelli di suo figlio, e che erano man mano sprofondati
nell’oscurità, pieni di paura e di angoscia.
Sentì i
muscoli della guancia irrigidirsi e si morse il labbro. Se solo – se solo sua
madre avesse potuto vedere il nipote, così amato e coccolato. Se solo avesse
potuto proteggerlo nello stesso modo in cui aveva fatto con Draco. Ricordi del
suo ultimo anno a Hogwarts lo assalirono all’improvviso, tanto che fu costretto
a scacciarli prepotentemente.
All’improvviso
un movimento: il bimbo si stava agitando tra le sue braccia.
Draco
aprì gli occhi per lasciare che il tepore del sole lavasse via i ricordi
angosciosi. Si inginocchiò tra l’erba alta ed i fiori, mentre suo figlio si
dimenava fuori dalla sua presa ed atterrava sullo stelo più vicino. Con due
pugnetti paffuti, sradicò un fiore viola, per poi ruzzolare all’indietro per il
contraccolpo. Sembrava sconcertato, mentre guardava suo padre e agitava gamba e
braccia in modo scomposto. Un’espressione divertita attraversò lo sguardo di
Draco, che protese le mani, per poi ritrarle quasi subito.
Il
bambino doveva imparare che certe volte avrebbe dovuto rialzarsi da solo.
Così
come era stato insegnato a lui. Ogni volta che si era trovato in ginocchio e
dolorante di fronte alla spaventosa scrivania nello studio di suo padre non
c’era mai stato nessuno a parte lui stesso ad insegnargli a raggiungere le
gambe del tavolo e rialzarsi in piedi. Non c’era mai stato nessuno che lenisse
il suo dolore, nessuno che lo sorreggesse mentre si trascinava in camera sua,
senza quasi riuscire a vedere o a respirare. E quando si affacciava di nuovo
l’alba, era un altro giorno che avrebbe dovuto affrontare da solo.
Cosa
avrebbe dato per sapere che c’era un paio di braccia tese apposta per lui.
Anche se fosse caduto. L’averlo saputo avrebbe reso la nuova alba un momento
degno di attesa, invece dell’immagine immutabile che aveva imparato ad odiare. L’averlo
saputo gli avrebbe fatto guardare con rispetto invece della solita amarezza il
volto implacabile di suo padre tra i ritratti del Manor.
Era
difficile eliminarli dai suoi pensieri. Non sapeva più nemmeno chi erano.
Quando un giorno gli emissari del Ministero erano venuti ad arrestarli non
sapeva nemmeno cosa fosse successo. Sua madre, piangendo, gli aveva sussurrato
il suo arrivederci, mentre suo padre era rimasto sicuro di sé ed arrogante come
al solito. Solo in seguito aveva scoperto che erano stati incarcerati per aver
tentato un incantesimo di Magia Nera antico e proibito nella speranza di
evocare l’anima di Voldemort. Sapevano quali sarebbero state le conseguenze,
eppure aveva comunque deciso di andare avanti. Draco si chiedeva se lui era
stato preso in considerazione nel loro bilancio tra rischi e benefici.
Amarezza,
per lui, non significava solo il cuore spezzato. Il problema era che non sapeva
nemmeno come si fosse rotto in primo luogo. Gli pareva che non fosse mai stato
completamente intero e che tutta la sua vita si risolvesse nel tentativo di
rammendarlo.
Quel
giorno, come tutti gli altri anniversari della loro morte, aveva cercato una
qualsiasi scusa per uscire di casa, ma del resto, lei gli suggeriva sempre di
accompagnare loro figlio fuori. “Portalo a fare una passeggiata”, aveva detto
con decisione e lui non se l’era sentita di rifiutare qualcosa a due paia di
occhi supplici ed angelici.
Certe
volte quel bambino gli ricordava troppo di troppe persone.
E lei lo sapeva.
Il
bambino biondo, alla fine, si sollevò sulle piccola braccia grassottelle. Nel
frattempo Draco aveva di nuovo proteso le mani in avanti, ma le ritrasse di
nuovo mentre si sdraiava sull’erba con gli occhi chiusi, crogiolandosi al sole.
Nel tempo aveva cominciato a desiderare la luce solare; il suo calore
avvolgente lo faceva sentire più vivo del sangue che gli scorreva nelle vene.
“Viola!”
Qualcosa
solleticò il naso di Draco, che corrugò la fronte ed aprì gli occhi, vedendo il
sole luminoso – no era la margherita, un punto giallo circondato da una massa
viola. Nel tentativo di spostare quella
pianta fastidiosa scorse suo figlio ridere allegramente, con le mani giunte
nella più angelica delle pose. La sua innocenza (vera o presunta) lo fece
sorridere ed inevitabilmente si trovò di nuovo a guardare la delicata preda tra
le sue dita. Se avesse stretto anche solo di poco la presa sarebbe crollato,
come una marionetta senza fili.
Macabra
come immagine, ma era la stessa che lo aveva perseguitato per anni. In passato sarebbe stato ridicolo insinuare
che Draco Malfoy avesse paura di qualcosa. Era il resto del suo seguito che
doveva temerlo – se non per il prestigio della famiglia, allora per il suo
futuro reclutamento nell’esercito dell’Oscuro Signore.
Ma la
verità era che ogni notte strisciava fino al suo letto nel dormitorio di
Slytherin e tirava le coperte fin sopra la testa, per far in modo che nessuno
vedesse la figura tremante al di sotto, che non riusciva a fermare le lacrime.
Non c’era niente, niente che riuscisse a dargli forza, tranne la necessità di ostentare
un maschera di fronte al resto del mondo.
Fino a
che non aveva incontrato lei.
Draco
lisciò i petali della margherita, sorridendo al ricordo di come lei lisciava le
pieghe del suo vestito viola in estate, il viso illuminato da un sorriso
radioso, in una scena strana ed inconsueta che lo aveva messo a disagio. Aveva
desiderato scomparire da quel luogo, da quella situazione scomoda, dall’idea di
star partecipando al matrimonio di Potter e della Weaselette e che era stato invitato! Per fare da tappezzeria per di più,
aveva pensato sdegnoso. Tutti i presenti lo avevano ignorato e lui stesso aveva
voluto nascondersi per la vergogna di essere lì presente solo grazie ad un
gesto magnanimo di Potter. Stava quasi per mettere in atto la sua fuga quando
l’aveva vista, seduta alla luce estiva, come una margherita appena fiorita.
Aveva
avuto paura, ancora una volta, un pavido in tutto e per tutto. L’aveva lasciata
agonizzante sul pavimento della sua casa ed in quel momento il suo essere così
bella ed in salute era una vista quasi grottesca.
Lei però
lo aveva chiamato; avrebbe dovuto scappare, ma le gambe rifiutavano di muoversi,
poi, senza ragione, aveva fissato gli occhi in quelli di lei e per la prima
volta si era accorto che erano di una sfumatura meravigliosa di castano. Li
aveva sempre immaginati di un colore piatto ed insulso.
Non si
era nemmeno reso conto di aver parlato a voce fino a quando lei non gli aveva
risposto piano.
“Ci sono
molte cose che devi ancora imparare, Malfoy.”
Guardando
correre suo figlio, circondato dalla luce dell’innocenza e della gioventù,
Draco si chiese se lei avesse immaginato la scena quando gli aveva detto quelle
parole. Erano stati loro due ad avergli insegnato le lezioni che non aveva mai
imparato durante la sua infanzia, lei in particolare gli aveva impartito quelle
più dure da accettare e aveva superato le prove assieme a lui.
Quel pensiero
fece riaffiorare un ricordo che aveva sempre fatto sorridere Draco. Quando era
infuriata non c’era niente che potesse fermare il Granger Express, ma quella
volta aveva fatto in modo di farla tacere per giorni interi.
“Ohi, e
questa per che cos’era?” le aveva chiesto, furioso, quando l’aveva
schiaffeggiato con violenza, lo sguardo
che lasciava trasparire tutta la rabbia e la delusione che provava.
“Mi
avevi promesso che non avresti fatto danni! Come ti è venuto in mente di
maledirlo?”
“Stavo
cercando di essere onesto, cosa pretendevi che gli dicessi?” le rispose con un
sogghigno, la voce fredda e nervosa. “’Grazie Rodolphus Lestrange per aver
trascinato i miei genitori nello stesso abisso in cui eri bloccato e da cui non
riuscivi a tirare fuori il tuo grassissimo culo?’”.
“So bene
che eri arrabbiato, ma non c’era nessun bisogno di tirar fuori la bacchetta.
Dovevi solo interrogarlo e sentire la sua versione dei fatti! Ora guarda che
cosa hai fatto! Il Ministero ti ha bandito
da qualsiasi altro lavoro!”
“Non ho
bisogno che questo inutile Ministero mi dia un lavoro!”
“Oh,
brutto idiota egoista! Che cosa hai detto quando hai chiesto il perdono? Tutti
quei discorsi su rimettere insieme la tua vita. Non vuoi vivere con la tua
rendita, non vuoi avere un lavoro normale, si può sapere che cosa vuoi?”
“Voglio
solo una famiglia, è così difficile da capire? Maledizione, Granger, voglio
solo una famiglia con te!”
Draco
posò lo stelo della margherita a terra e alzò gli occhi al cielo, che in quel
momento era venato da striature rosa ed arancioni. Il sorriso si spense in
un’espressione cupa. Nonostante i colori meravigliosi era un triste ricordo
della sua fuga per più di metà della giornata. Anche dopo essere diventato
genitore era ancora così poco coraggioso, pensò mentre fissava il bimbo, che
stava annusando un gruppo di margherite.
Avrebbe preso da me?
In tutta
sincerità sperava proprio di no.
Le
luminose scie infuocate che venavano il cielo scomparirono velocemente non
appena il sole cominciò ad abbassarsi al di sotto dell’orizzonte, mentre una
coperta color indaco cominciò ad avvolgere la campagna con la sua ombra.
Intimorito, il bimbo trotterellò indietro tra le braccia di suo padre per
cercare rifugio. Draco a quel punto gli passò una mano sui capelli per domarli,
sogghignando ancora una volta mentre si rammentava della scena
“Papi?”
Draco
chiuse gli occhi. Era stata un’idea di lei farsi chiamare così da suo figlio,
invece del titolo aristocratico di ‘Padre’ ed ogni volta che si sentiva
chiamare da quella vocina in quel modo un’ondata di calore lo attraversava.
“Si?”
“Dimmi
ancora dov’è la mia stella.”
Draco
tracciò il cielo con due dita, per cercare tra i puntini luminosi. Quando trovò
quello che cercava, prese la manina nella sua e distese un dito per indicare la
figura immaginaria.
“Guarda,”
sussurrò “Quella è Scorpius.”
Ci fu un
breve silenzio e Draco osservò gli occhietti meravigliati seguire la direzione
del suo dito.
“Che
bella. E dov’è la tua stella, papi?”
Draco
sorrise ed indicò un altro punto. “Là.”
Un’altra
breve pausa.
“Dov’è
quella di mamma?”
Draco
era perplesso, pensava che ormai, dopo tutte le volte in cui gli aveva posto
solo due domande, il bimbo avesse imparato che non esisteva nessuna stella
chiamata ‘Hermione’.
“Figliolo…”
Una
risatina. “Lo so,” disse la vocina scherzosa.
Draco
inarcò un sopracciglio. “Come?”
“Sei tu,
papi. Me l’ha detto mamma.” Il bambino si strinse nell’abbraccio di Draco, non
vedendo la luce che brillava negli occhi di suo padre.