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Autore: Yuki Kiryukan    06/08/2012    4 recensioni
Rebecca Jane Callaway si è appena trasferita col padre a Dallas. Mentre si prepara ad affrontare il primo giorno alla sua nuova scuola, si è già abituata all'idea di trascorrere i prossimi anni che l'attendono nella noia e monotonia totale.
Solo in seguito capirà quanto sbagliate fossero quelle previsioni.
Solo dopo aver scoperto la verità sulla sua stessa esistenza.
Solo dopo aver intrecciato la sua vita a quella di Zach Hudson ed al suo, loro, segreto.
Dal cap 15:
"Che cosa stiamo facendo, Zach?" gli chiesi sulle labbra "Tutto questo non ha senso"
Lui si allontanò lentamente da me. Era serissimo "Deve averne per forza?"
"Noi dovremmo ucciderci" gli ricordai, per quanto doloroso fosse anche il solo pronunciare quella frase.
"E questo chi lo dice?" sembrava irritato. Si ostinava a non voler guardare in faccia la realtà.
Deglutii, mentre una lacrima mi rigava la guancia " Il nostro sangue"
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cursed Blood - Sangue Maledetto'
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                                                                    Inquietudine                                          
 

          
 
 
   << Allora… Lì ci sono le varie aule, di là i laboratori, passando per di qua invece, sali le scale, giri a destra e ti trovi la palestra. Sai, dall’esterno non si vede, ma abbiamo anche il campo di football! Bello grande pure! Devi uscire dalla palestra per accedevi però! E il capanno degli attrezzi è immediatamente alla sinistra! >>

D’accordo…avevo rimosso tutte quelle informazioni nel giro di pochi nanosecondi.

Dopo essere andata in segreteria a consegnare i moduli d’iscrizione, ero stata affidata ad una ragazza, il quale nome credevo fosse Amelia, che avrebbe dovuto farmi fare il giro dell’istituto.

  << “Sei Rebecca Jane Callaway vero?”>> mi aveva detto sorridente  <<  “Amelia Sound! Ma puoi chiamarmi Amy”! >> si era presentata << “Vieni, che ti faccio fare un giro!” >>

E dopo aver fatto diverse volte su e giù tra i vari piani,  ci ritrovavamo in mezzo a corridoi quasi deserti, dove delle persone, che dovevano essere professori, giravano qua e là, rivolgendoci occhiate curiose. Probabilmente mi sbagliavo, ma a giudicare dalle espressioni che assumevano guardandomi, mi sembrava di scorgere nei loro occhi un messaggio fin troppo chiaro: Che diavolo ci fa una ragazza come lei qui?

Beh, nemmeno io volevo trovarmi in quel posto!

Sbuffai, e tornai a concentrarmi sull’architettura dell’edificio. L’interno non era così male, sembrava una normale scuola. I corridoi con gli armadietti di metallo,  le pareti tappezzate di avvisi e comunicazioni, i laboratori, le aule…

Tutto…normale.

Eppure, sentivo impressa sulla pelle, la sgradevole sensazione di inquietudine che si ostinava a non volermi abbandonare da quando avevo varcato il cancello d’ingresso.

Continuavo a guardarmi intorno senza dire nulla, e Amelia mi diede un'energetica  pacca sulla spalla.   << Stai tran-qui-lla! >> esclamò sorridendomi, e  scandendo bene le sillabe  << Ti abituerai presto a questo posto! Quando impari a conoscerlo ti rendi conto che non è così male come sembra! >>

Le rivolsi il miglior sorriso che riuscì a fare, che probabilmente doveva assomigliare più ad una smorfia, ma quelle sue parole non mi fecero sentire meglio.

Per niente.

“Non è così male”… Avevo la netta sensazione di dover scoprire ancora molto di quel posto…e non della sua architettura…

Ma di molto più profondo…

Stavo per chiederle qualcosa, ma fui interrotta da un brusio fastidioso. 
Vidi Amelia sospirare   << Mmh… i corridoi si stanno popolando… >> annunciò.

Il mio cuore accelerò i battiti.

Poi, troppo in fretta per i miei gusti,  cominciò la battaglia contro la marmaglia di studenti, che mi rivolgevano degli sguardi curiosi ed indagatori.

Evidentemente li i nuovi arrivati erano cosa rara….

E in seguito, fu solo un susseguirsi frenetico di bisbigli e occhiate d’intesa fra di loro. E l’oggetto di tanto movimento ovviamente ero io.

Ebbi il presentimento che avrei conosciuto mezza scuola ancora prima di metterci piede. O che loro avrebbero conosciuto me. La cosa non era molto diversa.

Mentre li osservavo passarmi davanti, notai qualcosa.

Impossibile non notarla.

I loro sguardi non erano curiosi, no. Erano…minacciosi.

Rughe di disappunto corrucciavano le fronti pallide di tutti gli individui che ci affiancavano, o che ci camminavano parallelamente, sia maschi che femmine.

I primi, con le mani strette a  pugno, ci rivolgevano sguardi di sfida, come se non sperassero altro che azzuffarsi con noi in una violenta rissa. Mi sembrava addirittura di scorgere con orrore l’adrenalina che brillava nei loro occhi solo al quel pensiero.

Rabbrividii in particolar modo nell’incrociare lo sguardo glaciale di un biondo che teneva un pacco di sigarette stretto in mano, e che sembrava sul punto di stritolare.

Le seconde invece, alcune sbattevano le ciglia con disappunto, altre le vidi mordersi il labbro inferiore, colorato di un rosso acceso. Altre ancora si morsicavano le unghie smaltate.

Mi irrigidii. Decisi di distogliere lo sguardo, e fissai dritto davanti a me. Forse mi stavo facendo solo un sacco di paranoie, anzi, molto probabilmente era così.

Le inutili paure che si creava la “nuova arrivata”. Voltai lo sguardo ad Amelia, che affiancava la mia sinistra e deglutii sgranando gli occhi.

Anche lei aveva dipinto sul volto un ghigno che non riuscii a decifrare. Il luccichio nei suoi occhi mi fece rabbrividire. Anche lei sembrava sul punto di saltare addosso alle persone che ci circondavano.

Le labbra erano contratte in una smorfia, stirate in una linea sottile,  ma sembrava digrignare i denti sotto di esse.

La tipica espressione di un predatore che ha avvistato la preda. Sembrava proprio che l’unica cosa che li trattenesse entrambi dallo scannarsi a vicenda, fosse la mia presenza.

Un brivido mi attraversò al colonna vertebrale. La sensazione di inquietudine si rafforzò e avvertii il crescente bisogno di allontanarmi da li, ed anche in fretta, prima di soffocare sotto il peso di quell’aria carica di tensione.

  << I-io… >> balbettai. Accidenti, dovevo riprendere il controllo  << Credo che tornerò in segreteria… >>

Amelia si voltò verso di me, ed io, incapace di sorreggere il suo sguardo, preoccupata che si accorgesse della mia inquietudine, lo distolsi, fingendomi occupata a rovistare all’interno della mia borsa nera.  << Credo di avere altri moduli da dover consegnare… >>continuai con voce insicura.

Sperai con tutta me stessa che non si fosse accorta dal mio turbamento.

Lei alzò le spalle  << Come vuoi. Ti accompagno >>

  << Non serve! >> mi affrettai a dire, alzando improvvisamente lo sguardo.

Mi scrutò con aria perplessa, poi rivolse lo sguardo intorno a noi, e di nuovo i suoi occhi assunsero uno strano luccichio.  << Sei sicura? >> mi chiese con uno strano timbro di voce, tornando a puntare gli occhi scuri sui miei, contrariamente chiari  << Sai ritrovare la strada? >>

  << Si! >> mentii. In realtà non avevo idea da che parte andare, ma tutto pur di andarmene da quel posto che si stava facendo ogni secondo più teso per una ragione  che non riuscivo ad immaginare.

Mi studiò ancora per qualche secondo, poi scrollò le spalle  << Va bene >>  acconsentì infine << Ci vediamo a lezione. Ho confrontato i nostri orari. Abbiamo letteratura insieme come prima lezione >>

  << Certo  allora ci vediamo a lezione >> acconsentii con un cenno dei capo, prima di riposizionarmi la borsa in spalla, e cominciare a dirigermi a passo svelto alla mia sinistra.

Non feci più di tre passi, che Amelia mi richiamò subito dopo << Rebecca >>

Mi fermai di scatto e deglutii nel voltarmi, mente il mio ritmo cardiaco galoppava senza sosta   << …Si? >>

Incontrando il suo sguardo, ebbi l’amara impressione che avesse capito tutto.  Ma lei mi sorrise, come se nulla fosse, mettendosi le mani sui fianchi  << La segreteria è da quella parte >> mi indicò le scale sulla destra.

Divenni paonazza dalla vergogna. Che razza di stupida. Stupida, stupida e stupida.

Mi maledissi ancora e tornai sui miei passi.

  << Sei sicura di saperla ritrovare? >> continuò Amelia alzando un sopracciglio senza perdere il sorriso, che tuttavia aveva assunto una strana piega.

  << Si, si… >>mugolai con la testa bassa << Mi ero solamente confusa con le scale che stanno dalla parte opposta… >>

Che scusa ridicola.

  << Ah, si… >> accordò lei con un cenno del capo.

  << Allora a dopo >> la salutai, e sgattaiolai per le scale più in fretta che potei.

Le scesi con gran foga, saltando diversi gradini, e rischiando più volte di inciampare. Nel mio percorso incrociai diversi studenti, ma non ebbi il coraggio di alzare lo sguardo su di loro.

Chissà in che modo mi stavano guardando…

Ok, forse ero davvero troppo paranoica, ma non riuscivo a far rallentare il ritmo del mio cuore, tantomeno l’inquietudine che avevo impressa sulla pelle.

Percorsi diversi corridoi, e svoltando l’angolo, mi ritrovai all’esterno. Imprecai. Possibile che non ci fosse una qualche insegna che servisse per orientarsi?

Rivolsi un’occhiata all’orologio nero appeso alla parete sopra di me e sospirai; mancavano ancora quindici minuti all’inizio delle lezioni.

Ovviamente, il fatto che avessi ulteriori moduli da consegnare era un balla, ma adesso sorgeva il problema di non sapere dove si trovasse l’edificio est, dove dovevo seguire la mia prima lezione.

Impallidii solo al pensiero di dovermi rimettere in pari col programma…

Scossi la testa. A quello avrei pensato dopo. Preoccupiamoci di seguirle le lezioni…

Probabilmente passando per l’esterno sarei riuscita ad orientarmi meglio. Uscii nel giardino e mi guardai intorno. Le pareti di vetro mostravano solo i lunghi corridoi ora affollati da studenti, poi con grande sollievo, riconobbi la strada che avevo fatto all’entrata e mi ritrovai a sorridere.

Da li sapevo che strada fare per raggiungere la segreteria. Mi sarei  fatta spiegare dove si trovasse l’edificio est e mi sarei anche fatta ridare una pianta dell’istituto, dato che quella che mi era stata consegnata in precedenza era rimasta nelle mani di Amelia, che l’aveva utilizzata per indicami in che settore dell’edifico ci trovassimo durante la nostra ronda.

Decisa sul da farsi, continuai il mio tragitto finché non inciampai e caddi contro il terriccio come un sacco di patate.

Non ne potevo davvero più. Ancora un po’ e sarei impazzita sul serio. Imprecai in modo isterico, non sapendo bene contro chi scagliare le mie maledizioni:  Se ci fosse mai stato in Dio lassù, doveva sicuramente avercela in modo particolare con me, quel giorno. 

Mi voltai indietro, per vedere in cosa avessi inciampato e…non potei evitare di imprecare ancora!

Inizialmente non riuscii nemmeno a formulare un pensiero , ma sicuramente, quello che vidi mi lasciò senza parole.

Un ragazzo…

Ero andata a inciampare contro un ragazzo, calpestandolo letteralmente!

Come diavolo facevo a sapere che un ragazzo giacesse lì?!

Era disteso a terra su un fianco, quasi in posizione fetale, con il volto coperto dalle braccia muscolose. La gambe erano rannicchiate sul busto, ed indossava dei jeans sgualciti e scoloriti.

Ero letteralmente basita. Lo osservavo con occhi sgranati. In quella posizione così inusuale sembrava essere un cucciolo abbandonato…davvero molto malconcio e dolorante.

Per qualche secondo non riuscii a muovermi. Che diavolo ci faceva un ragazzo mezzo-morto nel giardino scolastico? Possibile che nessuno se ne fosse accorto prima?!

Quando infine, decisi ad azionare i muscoli, gattonando, mi avvicinai a lui, osservandolo con attenzione, per accertarmi di un piccolo, grande particolare.

Era vivo?!

Sperai con tutta me stessa di si. Ci mancava soltando il ritrovamento di un cadavere per rallegrarmi la giornata!

Mi concentrai sul suo petto, che, in modo flebile, vidi che si abbassava e si rialzava.

Involontariamente, tirai un lungo, molto lungo, sospiro di sollievo. Poi, osservando attentamente,  notai qualcosa che mi fece sobbalzare dal puro terrore.

La camicia sgualcita che indossava era sporca di sangue.

  
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