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Autore: Bliss Blake    06/08/2012    2 recensioni
La luce intermittente di un lampione illumina la figura di un ragazzo. La prima cosa che mi salta agli occhi è il sangue ai bordi della bocca. Immediatamente mi precipito da lui.
- Cos’hai? Stai male? -
Gli scosto i capelli dalla fronte e gli alzo delicatamente il viso per guardarlo meglio. Ha un livido violaceo sulla guancia destra e un taglio sul labbro superiore.
Nella borsa dovrei avere un fazzoletto di stoffa. Frugo in tutte le tasche e non appena lo trovo, corro a bagnarlo sotto il getto d’acqua di una fontanella lì accanto. Quando torno dal ragazzo, noto che mi sta fissando. Gli sorrido mentre gli tampono delicatamente le labbra con la stoffa umida.
- Lo sai vero che non è prudente per una ragazza andare in giro da sola a quest’ora? -
- Ma allora parli anche tu! Credevo che ti avessero mangiato la lingua! -
Lui ridacchia divertito.
- Non dovresti aiutarmi. Ho fatto a botte! Sono un bambino cattivo, io! -
- Ah si? -
- E già! In genere la fatina buona non aiuta i monelli come me! -
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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 26. Che se piangi tutte le tue lacrime, dopo il cuore ti diventa più leggero (prima parte)
 

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{ILARIA}

- Hai intenzione di piantarci in asso un’altra volta? Te ne voi andare di nuovo con questo stronzo e mollarci qui come se fossimo roba vecchia? -
La voce di Gabe è piena di disprezzo e giuro di non avergli mai sentito usare un tono del genere.
- Gabi, non è come pensi. Io… -
- Ah, non è come penso? E che ne sai di quello che penso eh? Che ne sai, mamma? -
- Ti prego tesoro, non fare così… -
L’ha chiamata mamma. A questo punto la situazione è molto più grave del previsto. La mamma avanza verso di lui ma io ho troppa paura che Gabriel possa fare qualche pazzia, così le afferro un braccio, trattenendola.
- Mama, no… - sussurro al suo orecchio, ma lei scuote la testa, sorridendo tristemente.
- Tu non sai nemmeno che significhi essere una madre! - rincara con cattiveria.
- Gabriel, adesso stai esagerando! Lascia che Lidia si spieghi - si intromette lui, fissandolo con quegli occhi grigi. Occhi che ti scavano nel profondo. Occhi familiari. Gabe scoppia a ridere.
- Ovviamente i due innamorati si difendono l’uno con l’altra. Mi fate schifo! Papà lo sa? -
- Cosa? - fa mamma scioccata e sull’orlo delle lacrime.
- Papà lo sa che quando lui è fuori per lavoro, tu ti porti in casa quel bastardo? -
- Gabe, no! - mi intrometto cercando di evitare l’irreparabile. Lui sgrana gli occhi, sorpreso.
- Tu… Tu lo sapevi? Tu lo sapevi e non hai detto niente? Quell’uomo ci ha rovinato la vita e tu non hai detto niente? -
Queste parole fanno male. Sono come sassi, come pugni. Sono dolorose e insopportabili. E vorrei piangere perché è una situazione così assurda!
- Ci ha rovinato la vita quando eravamo a Berlino. Adesso vuole rovinarcela anche qui! -
- Non è così! Non è assolutamente così! - grida mamma piangendo.
- No, non piangere. Non piangere Lidia, perché non ne hai il diritto! - fa lui stringendo i pugni.
- Se devi prendertela con qualcuno, prenditela con me! Sono io che l’ho convinta ad incontrarci. Lei nemmeno voleva… - e non fa in tempo a finire la frase che Gabe gli si fionda addosso, assestandogli un cazzotto dritto sul naso.
- Lascialo! - urla la mamma, stendendo le braccia in mezzo per afferrare Gabriel, ma lei è così piccola e minuta in confronto a loro due che non è tanto difficile spingerla indietro.
- Hans… - supplica quando l’uomo afferra Gabe da dietro e gli blocca la testa.
- Che diavolo sta succedendo qui? -
La voce di papà attira l’attenzione dell’uomo e Gabe, approfittando di quel suo piccolo momento di distrazione, gli assesta una gomitata in pieno stomaco, facendolo piegare in due per il dolore, infierendo poi senza pietà con calci, pugni e quant’altro.
- Tobias, fai qualcosa! Lo sta uccidendo! - lo implora la mamma, terrorizzata.
Papà annuisce e in un istante si precipita su Gabe, sollevandolo da terra e scaraventandolo con forza indietro.
- Stai bene? - chiede poi, aiutando l’uomo ad alzarsi.
- Che storia è questa? - urla Gabe rimettendosi in piedi.
- Tu, stai zitto e vedi di darti una calmata! - tuona a dir poco furibondo. - Questa volta hai davvero esagerato! -
Gabe si ritrae, come se fosse stato punto da qualcosa e scuote la testa incredulo.
- No che non sto zitto! Invece di cacciarli di casa, tu li difendi? Cristo santo, ma dove sono capitato? -
- Gabriel, ti ho detto di smetterla! Non osare più rivolgerti a tua madre in questo modo! -
- Quella non è mia madre! Questa volta avete chiuso per sempre! Non mi rivedrete mai più! -
- Gabi! - piange mamma, cercando di avvicinarsi, ma lui indietreggia.
- Hai preferito difendere lui! Hai preferito quello a tuo figlio! Mi fai veramente schifo. Io ti odio dal profondo del cuore e tu… - fa poi rivolgendosi all’uomo piegato accanto a papà - Ti auguro di fare la fine più terribile e dolorosa di questo mondo, pezzo di merda! -
- Non osare! Non osare mai più! Tu non sai niente! Non hai idea di niente! -
- No, Tobias… Non rimproverarlo. Va bene così. Mi dispiace solo per Lidia. Mi dispiace di aver rovinato tutto. Di nuovo -
E l’uomo piange. Piange come un bambino. E con lui piange anche la mamma. E Gabe non capisce.
- Si, esatto! Tu ci hai rovinato la vita! Se potessi, ti ucciderei con le mie stesse mani! -
E a questo punto non ce la faccio. Non posso continuare a tacere e lui deve sapere.
- Gabriel, lui è tuo padre! - urlo tra le lacrime.
Il viso di Gabriel diventa una maschera impassibile. Non piange, non ride, a momenti nemmeno respira. Scuote solo la testa, incredulo. Scuote la testa e mi fissa. Le lacrime mi bagnano le guance mentre cerco di trattenere i singhiozzi. L’ho fatto. Ho appena confessato un segreto che Gabe non avrebbe mai dovuto sapere, ma non ce la facevo più. Non potevo permettergli di continuare ad insultarli. Non potevo permettergli di continuare ad insultare la mamma. Non potevo tenere più per me quel segreto origliato tanto tempo fa…

 
Ilaria ha otto  anni la prima volta che vede quell’uomo nel vialetto di casa. È bello, con il suo cappotto nero, la pelle chiara e i capelli biondo cenere. Lei lo osserva dalla finestra ed è indecisa se chiamare o no la mamma.
- Ari? Cosa stai facendo? -
Ilaria si volta verso la madre.
- Mama, c’è un signore in giardino! -
- Come? - chiede la madre accigliata mentre la raggiunge alla finestra per controllare. L’uomo alza lo sguardo e sorride. La mamma ricambia il sorriso, facendogli cenno di entrare. Sembra leggermente imbarazzato mentre si accomoda sul loro divano e lo sembra anche la madre, ma Ilaria non ci bada troppo, impegnata com’è a scartare il pacco che il signore le ha portato.
- Ti somiglia molto… Ha i tuoi occhi -
- Si, ma il resto è di Tobias… -
E poi silenzio, finché la donna non si alza e lo lascia per qualche minuto da solo. Quando ritorna, ha qualcosa stretto al petto.
- Vuoi vedere le foto di Gabi? - chiede speranzosa. L’uomo annuisce, con le lacrime agli occhi.
- Si -
Dopo quella volta, ci sono state altre visite, che abitassero in Germania o stessero in Italia. A volte capitava che ci fosse anche il padre e Ilaria era costretta a restare in camera sua, perché la mamma diceva che loro due dovevano fare dei discorsi da grandi con il loro amico.
 
Ilaria ha undici anni. Ormai non è più una bambina piccola e capisce quando la mamma gli racconta una bugia o non vuole farle sapere determinate cose. Suo fratello è in campeggio e puntualmente, quando lui è fuori, si presenta l’uomo con il cappotto nero. Ma quel giorno c’è qualcosa che non va perché la mamma è più triste delle altre volte e il papà è molto agitato. Dalla cucina, le voci arrivano concitate e Ilaria, troppo curiosa di sapere cosa si dicono, entra di soppiatto nel salotto e si nasconde dietro al divano ad origliare.
- Credo sia abbastanza grande per capire… - sta dicendo l’uomo ma la mamma non è d’accordo.
- Non ne sono sicura, Hans. Potrebbe reagire male. Nemmeno mi parla più! - singhiozza la mamma.
- Hans, cerca di capire! - sospira il papà.
- Cosa c’è da capire? Sono malato. Non so se l’intervento andrà bene, né se le cure funzioneranno. Sto morendo, dannazione! Sto morendo Lidia! Vi prego, vi supplico, è mio figlio! Voglio solo vederlo. Tobias, ti prego! Potrebbe essere l’ultima… -
C’è silenzio poi, interrotto solo dal pianto della mamma.
- Domani - si arrende infine Tobias. - Domani Gabe torna dal campeggio. Devi solo guardarlo da lontano, però. Non deve ancora sapere che sei suo padre! -
A quelle parole, il cuore di Ilaria si spezza in tanti piccoli pezzi. Gabe non è suo fratello. Gabe non è suo fratello e lei ha paura che glielo portino via. È arrabbiata Ilaria, arrabbiata con quell’uomo che vuole prendersi il suo fratellino. E corre fuori, nel garage. Afferra le cesoie nella cassetta da giardinaggio del padre, si dirige alla macchina dell’uomo e gli graffia tutta la fiancata. Poi scappa via, rifugiandosi sotto al letto con il suo orsacchiotto preferito, quello che era di Gabriel e lui le aveva regalato affinché le facesse compagnia quando era da sola.

 
- Che cazzo stai dicendo, Ari? -
- Gabriel, lasciami spiegare - cerca di intromettersi la mamma, ma Gabe guarda me, come se nella stanza ci fossimo solo noi due, e lo fa con lo stesso sguardo di chi si è sentito tradito, per la seconda volta, da una delle persone a cui voleva più bene.
- Gabe io… - cerco di giustificarmi, ma lui scuote la testa sconvolto.
- Forse non è stato il modo migliore per scoprirlo, ma sono sicuro che se ci sediamo un momento e ne parliamo, tutto si sistemerà!  -
- Si, papà ha ragione! Sediamoci e parliamone… - faccio, annullando in pochi passi la distanza che ci separa e prendendogli la mano. Il suo braccio però rimane teso e la sua mano gli ricade pesantemente lungo un fianco.
- Gabriel, no! Non ci puoi fare questo! Noi siamo la tua famiglia! -
Gabe scoppia a ridere.
- Proprio una splendida famiglia, non c’è che dire. Per curiosità, per stare con la mamma fate a turno? -
La mano di papà è talmente veloce che nemmeno la vedo arrivare. Si sente solo un rumore sordo e Gabe cadere a terra con un labbro sanguinante.
- Papà, che hai fatto? - urlo precipitandomi da lui, ma Gabe mi allontana malamente, pulendosi la bocca con il dorso della mano.
- Voi non mi vedrete mai più! Mai più, avete capito? - comincia ad urlare.
- Perfetto, vai! Nessuno ti trattiene! Sei liberissimo di andare! -
- Tobias, non così… - comincia Hans, ma Gabe lo fulmina.
- Non… Non osare! Non sei mio padre e non lo sarai mai! -
- Sei ancora qui? La porta sai dov’è! Ma ricordati, se adesso te ne vai, per me sarà come se fossi morto! -
- Bene, allora considerami già sepolto! -



 
 
{ALEX}

Sono le tre del mattino e quel coglione non è ancora rientrato. Sua madre ha chiamato giusto quaranta volte nelle ultime due ore e dal suo tono di voce, credo che Gabe ne abbia combinata qualcuna delle sue. Non posso neanche chiamarlo al cellulare visto che è bello che scarico e abbandonato sul suo letto. Giuro che appena mi capita sotto mano, gliene do talmente tante che quando avrò finito, anche quella povera donna farà fatica a riconoscerlo. Butto giù un altro sorso abbondante di caffè mentre l’orologio segna le tre e un quarto. Eccheccazzo, ora è veramente troppo! Comincio ad allacciare le scarpe, quando sento la porta aprirsi e richiudersi subito dopo. Salto in piedi e mi fiondo nel corridoio.
- Gabriel! - chiamo, trovandomi faccia a faccia con quello che molto probabilmente dovrebbe essere il mio migliore amico. Molto probabilmente perché a momenti nemmeno lo riconosco. Evidentemente qualcuno deve aver avuto la mia stessa idea, battendomi sul tempo.
- Alex… - fa lui, guardandomi con nonchalance.
- Che cazzo hai combinato? - domando, fissandolo preoccupato.
- Niente… - si affretta a dire lui, superandomi ed entrando nella sua camere. Se spera di liquidarmi così, non ha capito un cazzo.
- Gabriel, la tua faccia potrebbe tranquillamente sostituire la bandiera della Francia, quindi non dirmi che non hai fatto niente! Non sono un imbecille! -
- Non sto affatto dicendo questo! -
- A me sembra proprio di si! -
Vado in cucina a recuperare del ghiaccio o quantomeno qualcosa di freddo per evitare che la sua faccia si gonfi peggio di com’è già. Quando ritorno, lo trovo davanti alle ante spalancate del suo armadio.
- Perché stai infilando dei vestiti nel tuo zaino? - chiedo rimanendo sulla soglia della porta con un pacco di piselli surgelati in mano.
Gabe non risponde, continuando a rovistare, alla ricerca di non so bene cosa. In tanti anni che lo conosco, giuro di non averlo mai visto comportarsi così. Deve essere sicuramente successo qualcosa di grave con i suoi.
- Metti questo sul viso o domani sarai inguardabile… -
- Sono già inguardabile, quindi fa nulla… -
- Da quando abbiamo ricominciato a fare a pugni? - sbotto indispettito dalle sue continue risposte secche che continuano a troncare ogni mio tentativo di conversazione.
- Me ne vado - dice alla fine, gettando lo zaino a terra e passandosi una mano tra i capelli.
- Che vuol dire che te ne vai? -
- Ho bisogno di starmene un po’ da solo… -
- Non puoi andartene proprio ora. Come farai con la scuola, l’esame e il resto? Vuoi perdere l’anno dopo tutti i sacrifici che hai fatto? -
Ok, lo so che detto da me, può risultare assurdo e ridicolo visto che della scuola non me n’è mai sinceramente fregato un cazzo, ma non posso permettergli di buttare nel cesso tutto quello che abbiamo recuperato. Lui scoppia a ridere divertito ma nel suo sorriso non c’è proprio nulla di divertente.
- Poi si vedrà… -
1 a 0 per Gabe, ma io non mi arrendo.
- E lei? - sbotto stringendo i pugni.
Lo vedo tremare leggermente. Forse ha funzionato. 1 a 1 per me.
- A lei cosa devo dire? - continuo, approfittando della sua reazione.
- Niente. Non ci metterà molto a dimenticarsi di me … -
Sospiro sconfitto.
- Proprio non vuoi dirmi cosa è successo? -
Lo vedo scuotere la testa, infilandosi lo zaino sulle spalle.
- Io vado allora… - dice, superandomi e avviandosi alla porta.
- Aspetta… - lo blocco, trattenendolo per una spalla.
- Mh? -
- Quando eravamo piccoli, ti chiesi cosa sarebbe successo se io non avessi più voluto essere arrabbiato, ricordi? - dico, fissandolo negli occhi.
- Certo che me lo ricordo, ma cosa c’entra adesso? - fa lui confuso.
- Tu dicesti che non sarebbe cambiato nulla, che saremmo rimasti amici lo stesso. Beh, la stessa cosa adesso voglio dirla io a te… Tu sei il mio migliore amico Gabe, non te lo dimenticare… -
- Non mi convincerai a restare utilizzando questa tecnica! -
- So benissimo che non cambierai idea. Voglio solo che tu sappia quanto sei importante per me… - confesso alla fine, abbracciandolo. Credo di non aver mai detto nulla di simile in tutta la mia vita ma, al diavolo! Lui, un po’ impacciato, ricambia l’abbraccio e ok, non è nostra abitudine lasciarci andare a simili dimostrazioni d’affetto, ma sento che potrei scoppiare a piangere da un momento all’altro. Peggio di una femminuccia. È lui a sciogliere l’abbraccio e a salutarmi con una vigorosa pacca sulla spalla.
- Mit Dir kann man Pferde stehlen - se ne esce lui.
- Vaffanculo! - dico, in tutta risposta seguendolo fuori.
- Stammi bene, Ale… - dice, infilandosi il casco e salendo in sella alla moto.
- Giuro su Dio che se non torni più, vengo a cercarti solo per farti il culo! -
Lui scoppia a ridere e dopo aver messo in moto, scompare nel buio della notte. Chiudo la porta dietro di me e mi ritrovo a fissare la sua camera in disordine. Sono solo. Di nuovo.



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{MILLY}


 

Il telefono della persona da lei chiamato potrebbe essere spento o momentaneamente non disponibile. La preghiamo di riprovare più tardi.

 

 

Interrompo la chiamata sbuffando. È più di un’ora che continuo a chiamare ma l’unica voce che mi risponde è quella della segreteria telefonica. Abbandono il telefono sul letto e mi sporgo dalla ringhiera del balconcino, respirando l’aria fresca a pieni polmoni. Ok, forse è uscito e ha lasciato il cellulare a casa oppure ha la batteria scarica e non se n’è accorto. Può capitare, no? Probabilmente sono troppo impaziente. Ho praticamente le farfalle che mi volano nello stomaco e la pelle d’oca. Forse dovrei lasciar perdere… Infondo, tra poco torno a casa. Potrei andare a parlargli di persona. E se non volesse più ascoltarmi? O non volesse più tornare con me?
- Milena? -
La voce della mia compagna di stanza mi riscuote dai miei pensieri notturni.
- Si? -
- Potresti aiutarmi a chiudere la lampo. Non ci riesco da sola… -
- Arrivo subito! -
Margherita (è questo il nome della mia compagna di stanza) è bellissima. Ha i capelli biondi e gli occhi verdi con delle ciglia lunghissime. Ha un fisico praticamente perfetto e delle mani molto curate. Mi avvicino a lei e, con un colpo secco, le alzo la cerniera del vestito. È verde scuro, come il colore dello smalto che ha messo mentre io, a momenti entravo  in simbiosi col cellulare.
- Ti ringrazio tanto, tesoro! - dice, facendomi l’occhiolino. - Visto che a quanto pare la linea telefonica stasera va e viene… - comincia poi, sbirciandomi dallo specchio davanti al quale è intenta a truccarsi. - Perché non vieni a fare due passi con noi? -
Devo dire che Margherita proprio non si arrende mai. Ha continuato a chiedermi di uscire tutti i giorni, ottenendo sempre un rifiuto dopo l’altro. Certo che sono stata proprio sgarbata e scortese con lei.
- Beh, se ti va di portarti dietro una musona come me, perché no… -
- Sul serio? - fa lei, girandosi di colpo e guardandomi incredula.
- S-si… -
- Oddio, che bello! Non posso crederci! - sbotta cominciando a saltellare sul posto, sbattendo le mani. - Allora dobbiamo assolutamente prepararti! Ci rimane pochissimo tempo! -
- Ehm, Margherita, sono appena le sette… - cerco di rassicurarla, ma lei si è già fiondata nella mia valigia alla ricerca di non so bene cosa.
- Appunto! Resta solo un’ora! Allora, tu vai a lavarti che al resto penso io! Non sai da quanto tempo desideravo mettere mano ai tuoi capelli! Oddio, tu mi stai rendendo felice, donna! Fila in bagno! -
Scoppio a ridere, prendendo degli asciugamani puliti e rifugiandomi sotto la doccia. L’acqua scorre giù in abbondanza mentre fisso le mattonelle bianche del muro. Si, ho deciso. Farò così. Mi presenterò a casa di Alex e gli chiederò di farmi parlare con lui. Dovrà ascoltarmi per forza, con le buone o con le cattive. Gli farò le mie scuse e se poi non dovesse andarmi bene… Beh, almeno ci avrò provato. E poi, devo anche chiedere scusa a Giorgio per come l’ho trattato l’ultima volta. Sono stata proprio una strega e lui certo non se lo meritava…
- Vestita così stai benissimo! - cinguetta Margherita applaudendo.
- Dici sul serio? -
- Assolutamente! Sono sicura che se il tuo ragazzo fosse qui, per paura di perderti ti incatenerebbe a lui! -
Scoppio a ridere, incredula.
- Io non sono come te, Margherita… -
- In che senso? -
- Nel senso che io non sono così bella! -
- E chi lo dice? Per me la bellezza non è mai stata solo una questione d’esteriorità. Per me una persona deve essere bella prima nell’anima e poi nel corpo e tu, fidati, sei veramente stupenda! -
A quelle parole mi pizzicano leggermente gli occhi. Nessuno mi aveva mai detto una cosa del genere. Do un’altra occhiata allo specchio e per una volta tanto si, mi trovo bella anche io.  

 

 

 

 

 

Mit Dir kann man Pferde stehlen: letteralmente è “con te si possono rubare i cavalli“, nel senso che è un amico importante che, nel bene e nel male, è con noi e vive con noi le nostre avventure.
 

 

 

 

  
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