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Autore: Katekat    06/08/2012    3 recensioni
Lo avevano guardato lottare e vivere e soffrire, senza mai smettere di risplendere.
Sapevano che sarebbe tornato. E loro sarebbero state lì a dargli il benvenuto.
Era quella la sua casa. Tra le stelle.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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E le stelle stanno a guardare 

 
 
 
 
 
"Mi domando se le stelle sono illuminate perchè ognuno possa un giorno trovare la sua."

Antoine de Saint-Exupéry



"Siamo tutti polvere di stelle."

André Brahic 




"Ho pena delle stelle 
che brillano da tanto tempo, 
da tanto tempo…
Ho pena delle stelle.
Non ci sarà una stanchezza 
delle cose, 
di tutte le cose, 
come delle gambe o di un braccio?
Una stanchezza di esistere, 
di essere, 
solo di essere, 
l’essere triste lume o un sorriso…
Non ci sarà dunque, 
per le cose che sono, 
non la morte, bensì 
un’altra specie di fine, 
o una grande ragione:
qualcosa così, come un perdono?"

Fernando Pessoa 






Gli aveva dato il nome della stella più luminosa del cielo.
Aveva scelto accuratamente, attentamente, amorevolmente un nome che si confacesse al suo primogenito, al rampollo dei Black, a colui che era destinato a perpetuare le gesta e l’onore della sua famiglia.
Gli avrebbe dato tutto. Gli avrebbe insegnato tutto quello che sapeva.
E lui sarebbe stato il miglior figlio che un padre potesse mai desiderare.
Sarebbe stato la luce dei suoi occhi.
Fu allora che gli venne l’idea.
Se doveva essere la luce degli occhi di suo padre, non poteva non avere il nome della stella più brillante che esistesse. Sirio.
Aveva preso in braccio il neonato dalla sua culla foderata di seta blu notte. Lo aveva guardato per un po’, con espressione grave e solenne. Il suo volto regale era impassibile e pieno di contegno come sempre, ma il suo cuore traboccava di gioia e orgoglio paterno.
“Il tuo nome sarà Sirius Orion Black.” Aveva sussurrato.
Prima di deporlo di nuovo nella culla, aveva sfiorato con un bacio leggerissimo la fronte del neonato addormentato, su cui già stava ritto un ciuffo ribelle di capelli nerissimi.
 
 
***
 
 
Nella Casata dei Black si tramandava da secoli una viscerale, insana passione per l’astronomia, come dimostrava il fatto che tutti i suoi componenti portassero il nome di una stella. Sebbene avesse solo tre anni, a Sirius non venivano risparmiate le lunghe lezioni di suo padre sulle costellazioni e le galassie. L’unica cosa, a dire il vero, che trovasse piacevole in lui. Le uniche occasioni in cui davvero lo ascoltava con curiosità e interesse, trovandosi suo malgrado rapito ed estasiato dallo spettacolo stupefacente dello sconfinato cielo nero, pulsante di stelle, i cui nomi aveva ben presto iniziato a ricordare, ripetendoli lentamente, a voce bassa, in un sussurro, tra sé e sé, lontano dalle orecchie di suo padre, quando era sicuro che nessuno potesse sentirlo.
Sirius sapeva da dove veniva il suo nome e quello di tutta la sua famiglia. Riconosceva le stelle più grandi e più belle. Era capace di rimanere ore e ore a guardarle, riempiendosi gli occhi della loro luce bianco-azzurra, così fredde, così distanti, così perfette nella loro algida bellezza. Così imperturbabili.
Erano fortunate… le miserie umane non le toccavano.
 
Più tardi, quando sarebbe stato più grande e le cose avessero iniziato a prendere una brutta piega per lui, Sirius avrebbe maledetto le stelle. Avrebbe lanciato loro urla silenziose, confidato loro tutta la sua tristezza, sfogato tutta la sua rabbia, ma quelle sarebbero rimaste uguali a prima, uguali a sempre, immutate, schernendolo come un sorriso inalterabile dal tempo.
 
 
***
 
 
Avrebbe mostrato centinaia di stelle, sfoggiando spavaldo la sua cultura in materia di astronomia, ad altrettante ragazze. Avrebbe dato loro appuntamento a mezzanotte in cima alla Torre di Astronomia, sfidandole ad affrontare il buio, il pericolo, il rischio per godersi una notte romantica sotto le stelle con lui. Si sarebbero sdraiati sulla pietra, il cielo spalancato sopra di loro, e si sarebbero sentiti persi per un attimo nella sua immensità, come astronauti nello spazio. Avrebbero perso tutti i punti di riferimento, non sarebbe più esistito né su né giù, né destra né sinistra, né nord né sud. E allora Sirius le avrebbe prese teneramente per mano e avrebbe sentito distintamente le loro piccole dita tremare mentre si allacciavano alle sue. Le avrebbe guardate negli occhi, con quel suo sguardo  così bambino e così adulto insieme, così scanzonato e così ferito allo stesso tempo, così forte e così fragile, così dolce e così duro, e avrebbe pronunciato le parole di sempre. E loro ci avrebbero creduto.
Tutte ci credevano. Era più forte di loro.
Nei suoi sette anni passati ad Hogwarts, la sua vera e unica casa, Sirius avrebbe portato centinaia di ragazze sulla Torre a vedere le stelle. Avrebbe ripetuto gli stessi gesti e detto le stesse parole a tutte loro.
Le avrebbe amate tutte, una per una.
Ma non si sarebbe mai innamorato di nessuna.
 
 
***
 
 
Una notte di Halloween avrebbe guardato le stelle. Ma non le avrebbe viste, perché la sua vista annegava in un mare di lacrime cocenti. Avrebbe comunque tenuto la testa alzata verso il cielo, gli occhi fissi su una motocicletta nera che diventava sempre più piccola mano a mano che si allontanava.
Il suo migliore amico era appena morto e quella motocicletta si portava via l’ultimo pezzetto di lui che gli rimanesse.
Sperava non per sempre.
 
 
***
 
 
Più tardi ancora...
Dalle sbarre della sua cella ad Azkaban, il cielo sembrava vuoto e nero come l’universo prima della Creazione. Il nulla totale. La disperazione assoluta.
Nemmeno un bagliore amico a confortare i pensieri di morte che turbinavano come foglie secche nella sua testa, sbattendo le ali come uccellini impazziti. Ogni giorno, si trascinava in ginocchio fino alla minuscola feritoia scavata nella gelida pietra stillante umidità, che troppo sarebbe stato chiamare finestra, e le sue dita scheletriche si attorcigliavano alle sbarre, graffiandole con le unghie. Come se si aspettassero che prima o poi avrebbero ceduto. E allora da quel minuscolo spazio il suo corpo, ridotto poco più di un fuscello, avrebbe potuto fuggire.
Se solo ci fosse stata una stella… La luna no, non osava sperare tanto.
Ma una piccola, piccolissima stella che gli desse un barlume di speranza….
Dov’erano finite le stelle?
Possibile che il Male fosse diventato così potente da salire così in alto, talmente in alto da spegnere le stelle?
 
Sirius guardava ogni notte fuori dal buco della sua cella, ma su Azkaban non risplendevano stelle.
 
 
***
 
 
Stava buttato a terra, sul suolo roccioso cosparso di morbida erba, accarezzato dal vento che batteva la cima di quella collina sperduta, lontano da qualsiasi traccia umana, lì dove nessuno avrebbe potuto trovarlo.
 
Era notte.
La sua schiena si era scavata un comodo giaciglio contro il fianco piumato di Fierobecco. Sentiva il corpo possente della bestia alzarsi e abbassarsi al ritmo regolare del suo respiro, cullando anche i suoi pensieri. Si sentiva il cuore gonfio di troppe emozioni represse.
Era libero. Libero dopo tredici anni di cattività.
Libero ma costretto alla fuga, a nascondersi come il criminale che non era.
C’era una sola persona che avrebbe voluto uccidere, che aveva avuto a portata appena pochi giorni prima e che- consapevolmente- aveva lasciato andare. La persona che gli aveva rovinato la vita, la persona che lui aveva perdonato e che lo aveva giocato per la seconda volta.
 
Peter. Amico mio.  

L’avrebbe voluto morto, non lo negava, perché gli aveva portato via la cosa più cara che avesse mai avuto, prima di Harry. Questo faceva veramente di lui un assassino? Probabilmente sì. Desiderare un omicidio equivale a commetterlo…
 
Non sapeva spiegare come si sentisse precisamente, in quel momento. C’erano la frustrazione e la rabbia e la ribellione che gli suscitavano il sapersi ricercato per qualcosa che non aveva fatto e che gli impediva di godersi appieno la libertà. Gli impediva di sentirsi completamente uomo. Ma, dall’altra parte, c’era l’ebbrezza selvaggia del vento nei capelli, il profumo così pulito dei fili d’erba che si arrotolavano intorno alle sue dita contratte, il sospiro silenzioso della notte.
 
E c’erano le stelle.
Dopo così tanto tempo, continuava a provare sentimenti contrastanti verso di loro, risentimento e ammirazione. Gli ricordavano altrettante cose belle e brutte della sua vita.
Automaticamente, i suoi occhi cercarono i punti più luminosi in quella lavagna nero ardesia. Con compiaciuto stupore, si rese conto di ricordare a memoria tutti i loro nomi. Ecco l’inconfondibile W di Cassiopea, e poi Cefeo, e le due Orse, che facevano da corteo alla Stella Polare.
Conosceva il nome di quegli astri, uno per uno.
In quel momento non riusciva a restare arrabbiato ancora a lungo con il mondo.
Per quella notte almeno  Sirius fece pace con la vita. E con le stelle.
 
 
***
 
 
Non aveva memoria dei suoi ultimi istanti di vita, stranamente.
Non aveva memoria del volto acceso di gioia malvagia di Bellatrix, né del modo in cui il proprio corpo si era sollevato, come privo di peso, le braccia spalancate, ed era caduto, fluttuando dolcemente come una piuma, dietro il velo nero.
 
Ma ricordava perfettamente il dopo.
Era stato come risucchiato da un tunnel nebuloso, luminosissimo, fatto di vento e di nulla. Gli era sembrato di udire voci intorno a lui, voci che si mescolavano e si fondevano, a volte più alte, a volte più basse, in una melodia cristallina.
Si era sentito veramente in pace, forse per la prima volta da che fosse nato.
Il suo corpo era stato sollevato dal respiro sbarazzino del vento su, su, sempre più su, fino alla volta celeste e oltre… era assurto là dove non aveva mai sperato di arrivare, là doveva aveva tanto pregato di arrivare, tra le lacrime di rabbia e disperazione, nel buio senza tempo di Azkaban.
E, una volta arrivato, aveva sentito che quel posto gli apparteneva. Come se ci abitasse da sempre. Come se non se ne fosse mai allontanato. Come se il suo cuore vi avesse sempre dimorato. Come se le sue radici non se ne fossero mai staccate.
E aveva sorriso, pur sapendo di non avere più delle labbra o un corpo materiale.
La sua anima aveva sorriso. Perché aveva capito una cosa. Da quel momento Harry non sarebbe più stato solo. Avrebbe vegliato dall’alto su ogni suo respiro, avrebbe teso l’orecchio con ansiosa preoccupazione ad ogni battito del suo cuore, avrebbe pianto con lui per ogni suo dolore e avrebbe festeggiato con lui per ogni sua gioia. Gli sarebbe stato vicino come mai aveva potuto essere durante la sua vita mortale.
Harry lo ignorava, ma paradossalmente gli sarebbe stato molto più accanto da morto di quanto fosse mai stato da vivo. Sarebbe stato con lui ad ogni passo, lo avrebbe accompagnato ad ogni bivio, lo avrebbe guidato in ogni scelta, avrebbe scacciato i mostri dai suoi sogni finchè non fosse diventato abbastanza grande per farlo da solo.
 
E anche allora avrebbe continuato a fare la guardia per lui.
Avrebbe visto i suoi figli, e i figli dei suoi figli.
E un giorno- il più tardi possibile sperava, ma sapeva che quel giorno sarebbe arrivato- lo avrebbe riabbracciato.
 
Ma in attesa di quel giorno non sarebbe stato solo. Oh, no. Nel momento in cui era arrivato lì- a casa- aveva visto un cervo trotterellargli incontro.
L’avrebbe riconosciuto tra mille.
 
Ti ho aspettato tanto, Sirius.” Gli aveva detto.
 
Ora sono qui, James.” Gli aveva risposto.
 
Poi non c’era stato più bisogno di parole.
 
Ora come allora, oggi come in passato e per sempre.
Un grosso cane dal pelo irto e un elegante cervo dalle corna rigogliose.  
Ramoso e Felpato erano tornati a correre insieme.
Tra le stelle. 
 
 
 
 

Fine
  
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