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Autore: Lils_    06/08/2012    3 recensioni
La Settantesima Edizione degli Hunger Games è ormai conclusa ed è stato decretato un vincitore: il suo nome è Annie Cresta, Tributo dal Distretto 4.
All'apparenza Annie è riuscita a sconfiggere i suoi avversari, ma in realtà l'arena ha sconfitto lei.
Cosa è accaduto davvero durante i Giochi?
“Non ci dovrai tornare mai più, Annie.” le dice Finnick. Colto da un’improvvisa ispirazione aggiunge “Raccontami com’era. Raccontami tutto. Così saremo in due a portare questo peso, d’accordo? Proveremo a dimenticare insieme.”
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Finnick Odair, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3
Alleati
 







Una fastidiosa sensazione mi accoglie il mattino dopo. C’è qualcosa che mi sgocciola sulla faccia, qualcosa di freddo e bagnato. Bagnato. Apro gli occhi di scatto, e una grossa goccia d’acqua mi plana sulle labbra. Apro la bocca e mi lecco le labbra avidamente. Poi, striscio fuori dal mio rifugio e scoppio in una risata liberatoria. Sta piovendo. Anzi, no, sta letteralmente diluviando.
Grosse gocce cadono a terra con dei sonori schiocchi ed io mi ritrovo con le braccia e la bocca spalancate, ignorando il dolore e curandomi solamente dell’acqua fresca che mi scivola giù per la gola.
Parecchi minuti dopo, una volta che mi sono dissetata completamente, striscio di nuovo nel rifugio e recupero la borraccia che incastro strategicamente in modo che si riempia, mentre io mi tolgo gli abiti sporchi di terra e impregnati di sudore, rimanendo in biancheria, e mi pettino i capelli fradici con le mani. Ripulisco gli abiti meglio che posso e poi mi rintano di nuovo nel mio rifugio. Oggi non offrirò alcun spettacolo a quelli di Capitol City. Ho tutte le intenzioni di rimanere tutto il giorno rintanata sotto la siepe, osservando la pioggia cadere, ascoltando il rombo dei tuoni e provando a pensare positivo per la prima volta qui nell’arena.
La pioggia è la cosa migliore che mi sia capitata da quando sono qui, probabilmente. O per lo meno, se la contende con il primo dono che mi è stato recapitato da Finnick.
Cerco di tenermi occupata tentando di creare dei recipienti con gli arbusti della siepe. Durante l’addestramento Finnick mi aveva mostrato come intrecciare l’erba per creare delle ciotole, in aggiunta ai pochi nodi che avevo imparato a fabbricare a casa. Provo a riprodurre uno di quei recipienti, ma il risultato è deludente, così mi limito a lavare le lattine che contenevano il cibo e che fortunatamente ho portato con me, e a riempirle d’acqua. Il loro coperchio era a pressione, così le richiudo con quelli.
Verso metà mattina smette di piovere, e lungo la via del mio rifugio si è creato un vero e proprio pantano. Se non voglio rimanere intrappolata dal fango, è meglio che mi rimetta in marcia. Mi rivesto, con i vestiti semi asciutti e decido di mettermi alla ricerca del cibo. Non credo proprio infatti che gli Strateghi decidano di farci piovere bistecche dal cielo, così mi toccherà arrangiarmi.
Cammino a lungo, leggermente più rilassata di ieri ma sempre in guardia. Lancio sassolini di fronte a me, per far scattare eventuali trappole, e anche sulle pareti di siepi. Ma non accade mai nulla. Probabilmente, sono gli Strateghi a decidere se far scattare o meno le trappole. E di certo non le sprecano per dei sassi.
Quando sta per calare la sera, realizzo che non troverò mai del cibo. A meno che io non voglia avventurarmi alla Cornucopia, ma i Favoriti l’avranno sicuramente scelta come loro base, e non ci tengo proprio ad avere un altro incontro ravvicinato con loro.
Così gironzolo ancora un po’ senza una meta, cercando di decidere dove sistemare il mio rifugio, e rimuginando sul da farsi, quando lo vedo. Un bagliore, in lontananza. Mi acquatto veloce tra i cespugli, cercando di passare inosservata. Voglio vedere chi è il genio che accende un fuoco quando sta calando la notte.
Quando mi avvicino abbastanza, capisco che è un ragazzo. Sta facendo scaldare qualcosa sul tiepido fuocherello che è riuscito ad ottenere e a quanto pare non ha alcuna paura degli eventuali pericoli che comporterebbero una fuga veloce, dato che tutte le sue cose sono sparpagliate attorno a lui, senza un ordine preciso. Se ne sta seduto a gambe incrociate, la testa incassata nelle larghe spalle.
Mi avvicino ancora un poco, e vedo che sta facendo scaldare una specie di zuppa di fagioli, ancora nella sua scatola. Penso all’unica lattina di cibo che mi è rimasta, e al tozzo di pane ormai raffermo, e decido di agire. Non c’è spazio per la compassione nell’arena.
Mi avvicino a lui silenziosamente finché non è a portata di tiro e gli punto la lancia contro la schiena, abbastanza perché ne senta la pressione sulla pelle.
“Non muoverti oppure ti trapasso da parte a parte. Dammi il tuo cibo e potrei anche pensare di risparmiarti la vita, per ora.” Dico cercando di sembrare il più minacciosa possibile.
“Annie?” replica il Tributo, e, in effetti, sono un po’ stizzita, perché avrebbe dovuto mettersi a tremare implorandomi di non ucciderlo. Evidentemente non sono un granché con le minacce. Ma per lo meno ho capito chi è il Tributo tanto stupido da segnalare a chiunque la sua posizione accendendo un fuoco. L’unico che non deve temere i Favoriti, essendone uno lui stesso.
“Brandon?” replico allora, mentre lui si volta a guardarmi. Ha gli occhi chiari tipici del nostro Distretto, e i capelli biondi che gli conferiscono un’aria fin troppo angelica. Lui di angelico non ha un bel niente. Occhieggio la spada che tiene accanto a se e che ha un’aria davvero letale e improvvisamente mi sento un po’ ridicola con la mia misera lancia.
“Sapevo che te la saresti cavata. Mi sei sembrata un tipo sveglio fin da subito.” Dice Brandon squadrandomi da capo a piedi e io sono presa un po’ in contro piede. Sì è per caso dimenticato che stiamo partecipando agli Hunger Games e si suppone che dovemmo combattere tra noi, invece che stare a discutere del tempo? Non mi premuro di fornirgli una risposta, così lui si rimette ad armeggiare con il suo fuoco, ed io sposto il peso da un piede all’altro, a disagio. Che dovrei fare ora? Ucciderlo? Non mi sembra molto corretto. Lo so che non dovrei farmi questo tipo di scrupoli, che ci può essere un solo vincitore, ma dopo tutto viene dal mio stesso Distretto e ucciderlo mi sembrerebbe una carognata. Non che mi sia mai stato troppo simpatico, però.
“Sei a corto di cibo?” domanda lui a un certo punto, e io annuisco.
“Mi sorprende visto la tua partenza lampo verso la Cornucopia, l’altro giorno. Pensavo che ti fossi rifornita per bene. Io ero ancora sulla mia piattaforma quando tu eri già corsa via. Ho dovuto faticare un bel po’ per procurarmi tutto questo.” Dice lui indicando con  un gesto circolare della mano i due zaini sicuramente carichi di provviste e le armi. Non ho bisogno che definisca esplicitamente il termine “faticare”. Probabilmente metà dei Tributi caduti nel bagno di sangue sono stati uccisi per mano sua. Lo aggiro circospetta, ponendomi di fronte a lui. “Lo sai che stai praticamente sventolando ai quattro venti la tua posizione?”  me ne esco alla fine.
“Fredda è veramente disgustosa questa roba.” Replica lui sfacciatamente.
“Dovrei ucciderti.” Sbotto stizzita.
“Allora perché non lo fai?”
Esito, cercando una risposta. Già, perché non lo faccio? Piantargli la lancia nella gola sarebbe così facile ora. Non farebbe nemmeno in tempo ad avvicinarsi alla sua spada. Allora perché non mi muovo? Forse perché ho bisogno di lui vivo.
“Saresti più utile da vivo che da morto.” Dico infine, abbassando la lancia.
Lui mi lancia un sorrisetto di trionfo “Alleati?”
“Ho paura di sì.” Concludo, sedendomi accanto al fuoco, dalla parte opposta rispetto a lui. Mi sfilo lo zaino dalle spalle, facendomi sfuggire una smorfia quando la cinghia dello zaino sfiora le bende che coprono la ferita. La cosa non sembra sfuggire a Brandon che chiede subito: “Come te lo sei fatto quello?”
“I Favoriti. Sono caduta in una trappola – delle sabbie mobili – e loro mi hanno sorpresa mentre cercavo di uscirne.” Spiego mentre svolgo delicatamente le bende: è molto migliorata rispetto a ieri, ma la pelle resta gonfia vicino alla parte lesa. Spalmo un altro strato di pomata e rifaccio la fasciatura.
“Un regalino di Finnick?” chiede Brandon indicando la pomata. Io annuisco seccamente senza approfondire l’argomento. Non mi va di parlare di Finnick con lui.
“A me non ha ancora mandato niente. Non che mi serva nulla, ovviamente. Ma non credo che mi manderebbe nulla, anche se ne avessi un disperato bisogno. Non gli sto molto simpatico.” Continua lui imperterrito, mentre apre una seconda lattina di cibo e la piazza sul fuoco a scaldarsi. Mi passa quella già pronta ed io gli sorrido grata. Tutto sommato potrebbe non essere poi una idea tanto malvagia questa dell’alleanza, se significa pancia piena e protezione in più. Anche se ovviamente la cosa non può durare.
“Non dire scemenze. E’ il nostro mentore. E’ il suo compito trovarci sponsor se siamo nei pasticci. Non solo per me. Per entrambi.” Replico ingozzandomi di fagioli e manzo. In effetti ha ragione, caldo è tutta un’altra cosa.
“Sì ma ho la netta sensazione che gli piaccia di gran lunga di più trovare sponsor per te che per me.” mormora Brandon, spegnendo il fuoco.
Io scrollo le spalle imponendomi di non arrossire. Che cosa ridicola. Siamo agli Hunger Games, mica ad un programma sugli affari di cuore.
La nostra conversazione viene interrotta dallo squillo di trombe con cui attacca l’inno di Panem ed entrambi alziamo gli occhi al cielo, in attesa di vedere qualche volto, ma non appare nessuno. Oggi non ci sono state vittime, e questa è una cattiva notizia, perché il pubblico sarà annoiato, e gli Strateghi dovranno fare qualcosa per vivacizzare l’atmosfera. Il silenzio si protrae a lungo, a tal punto che quasi mi dimentico di Brandon. “Come dormi di solito?” chiede facendomi trasalire, e la cosa sembra divertirlo parecchio. Scrollo le spalle, indicando la siepe. “Mi rintano lì sotto”
Lui stringe le labbra contrariato “Non mi sembra proprio comodissimo.”
Io lo fisso schioccata per qualche secondo “Siamo agli Hunger Games, nel caso te lo fossi dimenticato. Non è di certo la fiera della comodità, ma per lo meno siamo ancora vivi.”
Lui sbuffa infastidito “Preferirei essere vivo e comodo.” Io scuoto la testa allibita. Evidentemente è una sua strategia apparire così rilassato e sicuro di se, ma sinceramente non la riesco a comprendere. Raccolgo il mio zaino, e mi preparo a scavare la mia solita tana, quando Brandon mi ferma “Lascia stare. Potremo dormire qui entrambi, tanto ora possiamo fare dei turni di guardia. Io faccio il primo. Ti sveglio tra quattro ore.” E detto questo si sistema appoggiando le spalle alla siepe, la spada a portata di mano. Io valuto l’idea di strisciare lo stesso sotto la siepe, giusto per stare tranquilli, ma alla fine decido di fidarmi di lui. Dopo tutto se avesse voluto uccidermi avrebbe già potuto farlo ampiamente. Così mi avvolgo nella coperta e poggio la testa sullo zaino, cercando di prendere sonno. Per qualche ragione sono inquieta riguardo a questa alleanza. So che non può durare a lungo, quindi sarebbe meglio farla finita subito e piantargli la lancia nel petto. Ma ormai siamo rimasti in dieci, e siamo nell’arena da meno di una settimana. Stiamo morendo fin troppo velocemente per i miei gusti, quindi un paio di occhi in più non guasteranno di certo. Decido che resterò con lui fino a che non rimarremo in quattro nell’arena. Sempre che non muoia prima, cosa ancora altamente probabile.
Mi rigiro infastidita, cercando di arginare il flusso di pensieri che mi affollano la mente. Non voglio pensare a casa. Non voglio pensare a Finnick. Più ci penso e più la nostalgia cresce, e non mi va stare a piangermi addosso. Voglio cercare di uscire da qui, possibilmente non in una cassa da morto.
Mi giro verso Brandon, e vedo che sta fissando un punto indefinito sopra la siepe. Chissà a cosa starà pensando. Forse anche lui ha qualcosa a cui aggrapparsi per non scivolare definitivamente verso la pazzia. Forse anche lui ha qualcuno che lo aspetta, a casa.
“Dovresti dormire.” Dice improvvisamente, facendomi sobbalzare. Non si volta nemmeno verso di me, ma io lo vedo comunque chiaramente sogghignare per la mia reazione. Sbuffo infastidita. Quel ragazzo mi sta veramente facendo saltare i nervi. Credo che stia prendendo un po’ troppo sottogamba la situazione, e riesco a comprendere in pieno il giudizio glaciale di Finnick sui Volontari. Spacconi.
“Perché ti sei offerto alla Mietitura?” chiedo, conscia che comunque non riuscirei a prendere sonno. Troppa tensione.
Brandon tace a lungo, e io penso che si sia sentito offeso dalla domanda. “Scusami, non volevo essere indiscreta.”
“Per via di mio fratello.” Risponde lui, voltandosi verso di me. Ha i capelli scompigliati e un graffio sullo zigomo destro che non avevo notato prima, ma gli occhi sono vigili e attenti, di un azzurro chiarissimo. Taccio aspettando che continui.
“Joshua partecipò agli Hunger Games, due Edizioni dopo quella di Finnick.” Spiega Brandon tornando a fissare la siepe. La risposta mi sconvolge. Ricordo bene quell’Edizione, perché era la prima volta in cui il mio nome compariva nella boccia di cristallo, pronto per il sorteggio. Ero molto agitata per questo, così mio padre la mattina presto, prima della Mietitura, mi portò a pescare al mare, sulla piccola scogliera vicino a casa nostra. Un posto tranquillo e felice nella mia mente, dove gli orrori di Capitol City non potevano arrivare. Quando venne il momento di recarsi in piazza, ero pervasa da una pace e una calma che mai avrei immaginato di provare in un giorno del genere. Ovviamente non scelsero me, ma prestai comunque molta attenzione a chi venne sorteggiato: Minnow Grey e Joshua Seaworth. E nessuno dei due venne incoronato vincitore.
“Mi dispiace, Brandon.” Mormoro. Lui fa un mezzo sorriso nella mia direzione, prima di continuare a raccontare. “Era stato addestrato tutta la vita a quel momento. Sapeva a cosa andava in contro. Si offrì volontario apposta, era sicuro di tornare a casa da vincitore. Quando morì i miei genitori rimasero scioccati, e iniziarono ad addestrare me. Volevano riscattare il nome della nostra famiglia, volevano che io vincessi gli Hunger Games, in modo da poter tornare ad essere fieri dei loro figli. Così mi offrì volontario. E ora eccomi qui.” Conclude Brandon. “Ma ovviamente un’altra ragione è che volevo assolutamente provare la zuppa di fagioli, specialità dell’arena.” Io scoppio a ridere e anche lui accenna un sorriso. Ora che conosco tutta la storia lo vedo sotto una luce diversa: non è più lo spaccone che credevo che fosse, ma un ragazzo costretto dai suoi genitori ad offrirsi volontario per uccidere, o nel peggiore dei casi, farsi uccidere. Mi ritrovo a pensare che anche Finnick lo rivaluti dopo queste parole, così che nel caso si dovesse trovare il pericolo dopo che ci saremo lasciati, potrà ricevere aiuto da lui.
“Scusami.” Sussurro, sperando che non mi senta, ma mi sentivo in dovere di dirglielo.
“Per cosa?” chiede lui.
“Per averti giudicato male.” Lo sento ridacchiare, mentre le palpebre mi si chiudono, e scivolo nel sonno.
Sogno. Sono a casa, nel Distretto 4, e sto spingendo un masso enorme sulla scogliera vicino a casa. Mio padre mi sta urlando contro, spronandomi a continuare a spingere, ed io ci sto provando con tutte le mie forze, ma il masso non si muove. E improvvisamente mi rendo conto di che cosa è fatto il macigno: le ossa dei Tributi morti sono state incastrate tra loro e brandelli di carne in putrefazione sono ancora attaccati qua e la. D’istinto ritraggo le mani, ma mio padre mi sprona a continuare a spingere, e improvvisamente con me c’è anche Brandon, che spinge anche lui con tutte le sue forze. Accanto a noi appare all’improvviso Finnick, in lacrime, che m’implora di smetterla, di tornare da lui ed io vorrei correre da lui, ma sono costretta a continuare a spingere.
Mi sveglio di soprassalto, urlando, coperta di sudore freddo. Accanto a me, Brandon mi scuote leggermente una spalla. “Ehi, va tutto bene?” chiede con le sopracciglia inarcate. Io annuisco. “Solo un brutto sogno.” Spiego mettendomi a sedere. E’ ancora notte, devono essere circa le due, e le occhiaie che cerchiano gli occhi del mio alleato mi confermano che il suo turno di guardia è finito e che tocca a lui riposare. Così mi trascino fino alla siepe, appoggiandomi ad essa, ancora avvolta nella coperta. Flashback del mio incubo continuano ad affollarmi la mente, e più cerco di scacciarli, più tornano a tormentarmi.
Mi concedo di pensare a Finnick, e l’immagine di lui in lacrime mi torna in mente. Chissà cosa starà facendo ora. Chissà se sente la mia mancanza come la sento io, o se semplicemente ha smesso di preoccuparsi per me ora che sono insieme a Brandon e ho più protezione.
Sto seduta a lungo fissando la siepe di fronte a me, senza muovermi, senza pensare, cercando solo di accedere a quel luogo sicuro nella mia mente, fatto della scogliera accanto a casa, del rumore del mare, dell’odore del sale, delle urla del mercato la domenica mattina, dei libri consumati dal tempo nella mia stanza, di Finnick. Del suo sorriso, dei suoi occhi, del suo tono di voce, della sua bontà, della sua forza.
E all’improvviso lo vedo. Anzi, lo sento. Mi sta chiamando, un urlo lontano, disperato, primitivo. Mi agito, cercandolo nell’oscurità. Non è un sogno, sono sveglia e lucida, non è nemmeno un’allucinazione. Lui è qui, ed è in pericolo. Cerco a tentoni la mia lancia nel buio, e mi precipito verso destra, da dove mi sembra provenga la sua voce. “Finnick! Finnick, dove sei?!” sto urlando, mentre corro a perdifiato verso di lui. “FINNICK!” strillo ancora, pregando di ottenere una risposta, ma tutto quello che ottengo sono urla disperate, lamenti che solo delle atroci torture gli potrebbero strappare. E all’improvviso mi sento strattonare nel buio. Cerco di liberami, mi dibatto graffiando e tirando pugni e calci, ma il mio assalitore non molla la presa. “Lasciami! Lasciami!” urlo, talmente forte ma farmi venire il mal di testa.
“Annie, smettila! Calmati, sono io, Brandon! Non ti agitare.” Dice il mio assalitore, ed io smetto di dibattermi. “Lasciami, ti prego.” Mormoro tra le lacrime che nemmeno mi ero accorta di aver cominciato a versare. “Va bene, ma tu calmati.” Replica Brandon allentando la stretta con cui mi tirava a se, e rimettendomi a terra. Appena poggio i piedi a terra ricomincio a correre ma non faccio molta strada, poiché Brandon mi riacciuffa. “Devi lasciarmi andare! Non lo senti? Lui è in pericolo! Devo aiutarlo, Brandon!” strillo cercando di liberarmi.
“Annie, smettila, Finnick non è in pericolo! Non può esserlo, è solamente un trucco. Non possono averlo fatto entrare nell’arena.” Dice Brandon cercando di calmarmi, ma io mi accuccio a terra e mi premo forte le mani sulle orecchie, tanto che quando il mio alleato mi costringe a toglierle sento solo un fischio acuto per qualche istante. “Annie, va tutto bene. Lui non è in pericolo. E’ solamente un trucco.” Continua a ripetermi, tenendomi stretta perché non mi venga in mente di scappare. “Torniamo indietro, abbiamo lasciato tutte le nostre cose li.” Mi prende per mano e mi fa alzare, come se fossi una bambina di tre anni. Cerco di camminare per un po’, ma le grida continuano e si fanno perfino più vicino, tanto che tento di raggiungerle un paio di volte. Alla fine, Brandon mi prende in braccio di peso e mi trascina fino alle nostre cose. Proprio non mi spiego perché si stia prendendo tutto questo disturbo per me, va bene che siamo alleati, ma questi sono pur sempre gli Hunger Games e ci può essere un solo vincitore.
Quando finalmente raggiungiamo il nostro accampamento improvvisato, alle urla di Finnick se ne aggiungono altre, di un tipo diverso. Sono acute, femminili e strillano il nome di Brandon. Le sue braccia si stringono istintivamente attorno a me, mentre i suoi occhi cambiano: le pupille si dilatano dal terrore, e i suoi occhi si spalancano.
“Brandon, non è davvero lei.” Gli ricordo flebilmente, anche se segretamente spero che ora che c’è in ballo anche una persona a cui tiene lui si decida ad andare a vedere che succede. Ma Brandon annuisce seccamente e mi deposita a terra. Vedo che le mani gli tremano e anche la voce, quando dice “Hai ragione non è davvero lei. Non è lei.” Poi prende una corda dallo zaino e me la fa passare attorno alle braccia stringendomele saldamente ai fianchi. Ancora una volta mi agito, strillando improperi, ma lui continua imperterrito a legarmi. Fa passare la corda anche attorno a se e mi ordina di legarlo. “Così non ci verrà in mente di andare da nessuna parte.” Spiega, mentre si torce le mani tra di loro. Io mi limito a premermi ancora le mani sulle orecchie, per non sentire quelle urla atroci, che si fanno sempre più vicine.
 
 

 

 
 
 
   
 
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