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Autore: Black_Eyeliner    07/08/2012    6 recensioni
-Sasuke, ricordi la mia promessa in riva al fiume… Io non voglio farti male, mai più.
Lo guardò diritto negli occhi, non senza notare il rossore sulle sue guance incupirsi nella maniera più adorabile che riuscisse ad immaginare, le sue labbra tremare appena con le poche parole incespicanti che seguirono.
-Adesso puoi farmene. Hai il mio permesso.

[Uchihacest]
[Shonen-ai]
[One-shot]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Itachi, Sasuke Uchiha
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Hurt

 

 

[You hurt me only because you love me]

 

 

Rinsecchite e brune, le foglie cadute dai rami degli alberi, ormai quasi del tutto spogli, scricchiolarono debolmente sotto le suole di gomma che le avevano appena calpestate.

Dopo aver mosso una serie di passi in avanti, Sasuke si fermò esitante, stringendosi di più lo yukata scuro sul petto glabro e pallido, un po’ per la folata di vento improvvisa che gli scompigliò dispettosamente i capelli, un po’ per per il lungo brivido che gli percorse la schiena, facendolo sussultare lievemente.

Seduto sul tronco potato di quella che una volta era stata una quercia, Itachi, coi capelli sciolti sulle spalle, lo sguardo dedito e le mani affaccendate nell’affilare meticolosamente un kunai, non sembrava neanche vero. Sembrava piuttosto una visione onirica, un sogno materializzatosi nel giardino della casa che un tempo era appartenuta a entrambi; un’immagine inconsistente, in procinto di dissolversi come l’autunno dopo aver rubato gli ultimi colori ai fiori, così, da un momento all’altro, lasciando di sé null’altro chela fragranza nostalgica di un ricordo.

-Tra poco pioverà…

Come avesse seguito la scia di quelle parole, il vento si risollevò, facendo mulinelli della polvere e delle foglie secche che turbinarono ancora un po’, finquando non tornò a placarsi di nuovo. Sasuke non si era mosso. Le braccia strette attorno al proprio torso e gli occhi vacui e neri, puntati alla schiena del fratello, il ragazzo continuò a rimanere immobile, all’impiedi, lasciando che solo la lunga frangia corvina dei suoi capelli, sospinta dalla brezza autunnale, gli adombrasse di tanto in tanto la vista.

-… E’ meglio che rientri in casa, otouto.

Sasuke sospirò flebilmente, ascoltando e adorando il suono grave e basso di quella voce. Kami, quanto gli era mancata, come la stessa terra sotto i piedi. Ma adesso non c’era più nulla da temere, suo fratello era di nuovo con lui, non l’avrebbe lasciato più e per nulla al mondo avrebbe rinunciato a lui. Quasi come non fidasse delle sue stesse intuizioni, Sasuke chiuse per un istante gli occhi, solo per poi riaprirli e permettere loro di colmarsi ancora e ancora dell’immagine di Itachi, della sua figura slanciata e infinitamente composta nella sua posizione a sedere, dei suoi capelli nero assoluto in balia del vento, delle linee perfettamente trapezoidali in cui, dal bacino stretto, la sua schiena chiudeva fino alle larghe spalle forti, le stesse alle quali un tempo si era amorevolmente aggrappato, per non cadere. Il modo in cui queste ultime, in particolare, avevano vibrato con ognuna delle parole che Itachi aveva pronunciato, fecero deglutire Sasuke al pensiero di quanto fossero incredibilmente umane, consistenti e vere, carne e pelle e sangue, vive, sotto la maglia nera che il fratello indossava. Di quanti sforzi e fardelli e dolore avessero dovuto sopportare. Di quanto fosse stata una fortuna alla fine essere riuscito a strapparle alla morte e, allo stesso tempo, di quanto fosse un privilegio ora poterle guardare di nuovo, come quand’era bambino e desiderava ardentemente raggiungerle, perché sempre troppo, disperatamente lontante. Ed ora che del bambino erano rimasti solo i grandi occhi neri e l’acerbezza dei tratti esili del viso e del corpo, Sasuke lo stesso non potè impedirsi d’arrossire nell’ammettere che sì, gli sarebbe piaciuto aggrapparsi di nuovo a quelle spalle forti e muscolose, carezzarle, graffiarle; stavolta non all’impiedi però, ma con Itachi, disteso, fra le sue gambe, sopra di lui.

-Non sarà certo un po’ di pioggia a farmi preoccupare.

Replicò atono alla fine, per non lasciare che la voce tradisse i pensieri che tanto strenuamente stava provando a scacciare.

-Forse tu no, ma se ti prendi una polmonite sarò io quello che si dovrà preoccupare.

Sasuke tacque, serrando le labbra e arrossendo stavolta non più di imbarazzo, ma di stizza. Da quando Itachi gli aveva confessato d’amarlo, tutto ciò che aveva desiderato più d’ogni altra cosa era d’essere all’altezza di quel sentimento tanto anelato, così smisurato e peraltro ricambiato da sempre, forse già dall’utero materno; d’essere adulto abbastanza da poterne sopportare la portata sconfinata e soprattutto il più maturo possibile da non sottovalutarne le inevitabili conseguenze.

Si prese del tempo per ribattere, avanzando in direzione del ragazzo più grande, che seguitava a dargli le spalle e a riporre i kunai nelle loro fodere; avrebbe voluto ghermirgli le spalle –ancora, le sue spalle- e costringerlo così a voltarsi per guardarlo negli occhi; avrebbe voluto urlargli di non essere più un bambino e che il bacio fugace e dolce che si erano scambiati qualche notte prima sul rivo erboso del fiume aveva racchiuso tutto il significato e tutto l’ardire di una vita intera.

-Ho sopportato di peggio che una polmonite fino ad ora.

Mormorò solo, come a voler sottendere tutta una serie di recriminazioni per il male subito che rimasero tuttavia sofferte e taciute, mentre la frase “non sono più un bambino, Itachi” gli moriva sulla lingua pur di non pronunciarla e provare così il contrario.

Itachi smise di colpo di armeggiare col suo equipaggiamento, il suono scricchiolante del tappeto di foglie che aveva ricoperto quasi tutto il giardino cessò a indicargli che Sasuke si era fermato e adesso era proprio dietro di lui, ad aspettare un gesto, una parola, delle scuse non necessarie ad implorare un altrettanto futile e superfluo perdono.

Nonostante il vento che aveva ripreso a soffiare, riusciva quasi a percepire il respiro di Sasuke solleticargli la nuca, scoperta dai lunghi capelli scuri che gli erano scivolati in avanti e, in quello stesso respiro, appena un po’ accelerato, quasi fu in grado di cogliere poche sillabe, le parole strazianti nonfarmimalemaipiù echeggiare come un’unica, insensata preghiera nell’aria colma della pioggia che non sarebbe tardata a cadere.

Itachi si voltò, con lentezza, ma deciso;  e non appena lo fece gli mancò il fiato nell’indugiare ancora una volta nella bellezza quasi impudente di suo fratello minore. L’osservò attento, i capelli neri spettinati, la pelle alabastrina in contrasto con la stoffa scura che gli si incrociava sul petto nell’orlo dello yukata, la punta del naso diritto un poco arrossata da un raffreddore incipiente, i tratti ancora acerbi del viso in netta contrapposizione agli occhi, immensi come quand’era piccolo, ma profondi, traboccanti di una maturità nuova e da poco conquistata, il dolore di un passato crudele disciolto nel nero infinito delle sue iridi, più adulte, imploranti risposte, certezze.

Imploranti un qualcosa cui, evidentemente, le sue labbra sottili e chiare non riuscivano a dar voce.

-Sasuke, io…

-Shhhh.

Senza preavviso alcuno, Sasuke, con le proprie più piccole e bianche, gli prese le mani e se le portò ciascuna sopra di un fianco; Itachi avrebbe potuto giurare d’aver visto un sorriso appena accennato increspare la linea diritta e impassibile delle sua bocca perennemente imbronciata, ma prima che riuscisse a riprendere la frase che aveva lasciato a metà, Sasuke lo interruppe, parlando per primo.

-L’hai detto tu stesso, nii-san. Non devo perdonarti per forza.

Itachi chiuse gli occhi non appena Sasuke gli scivolò contro, sendendosi a cavalcioni sulle sue gambe; percepì il tepore effuso da quel corpo più piccolo  invadere il proprio e, in quell’abbraccio inaspettato, inspirò il profumo fresco e dolce che si annidava nell’incavo fra il collo e la spalla di lui, dalla curva armoniosa che disegnava dal lobo dell’orecchio in giù. Si ritrovò con la lingua impastata al palato, incapace di proferir parola al pensiero che quell’odore non era affatto cambiato, che era lo stesso di quando tante volte aveva preso in braccio il Sasuke in fasce che sillabava parole senza senso al suo orecchio e al quale tante volte aveva detto ti amo senza che lui, ancora un lattante, avesse potuto comprenderlo.

Ora lo comprendeva? Comprendeva il senso più autentico di quelle due parole?

 Non ebbe il tempo di chiederglielo, perché all’ennesimo tentativo di parlargli ancora si ritrovò con le sue labbra tiepide premute contro le proprie, la piccola lingua ancora inesperta a supplicare esitante un accesso che, ben presto, gli fu concesso.

Risalite lungo i fianchi di Sasuke, Itachi spiegò le mani a ventaglio; coi palmi premette sulle sue scapole ossute e sporgenti, attirando il più piccolo a sé, approfondendo il loro contatto con la foga di chi teme che non ci sia più un domani e il mondo stesse avviandosi ad un inesorabile fine. Nell’istante in cui sentì Sasuke gemere dolcemente nel bacio, lo strinse più forte e per poco non pianse al pensiero di tutto il male che gli aveva fatto, a quanta sofferenza quel piccolo cuore, che sentiva ora scalpitare furiosamente fra i loro petti, separati solo dalla stoffa dei vestiti, aveva dovuto sopportare; e fu in quel momento a capire che davvero superflua era stata la frase che lui stesso aveva detto a Sasuke, perché il perdono di Sasuke, in tutta la sua incommensurabile preziosità, ce lo aveva già. Il perdono di Sasuke ce lo aveva sempre avuto.

Quando la mancanza d’ossigeno li costrinse poi a interrompere il bacio, si ritrovarono entrambi ansimanti, ciascuno con la testa abbandonata sulla spalla dell’altro e con la voglia di rimanere ancora abbracciati, col vento fresco a lambire il rossore delle loro guance.

Sasuke strinse fra le dita affusolate e bianche la maglia di Itachi, come se Itachi davvero non gli bastasse mai. Ricordò lo shuriken che gli aveva ferito una spalla la notte del massacro e ricordava ciascuno schiaffo, ciascun pugno, ciascun calcio che Itachi gli aveva inferto quando era tornato anni prima a Konoha; ricordava il dolore del polso spezzato, delle costole rotte e rammentava perfettamente la mano che lo aveva quasi soffocato nel tenerlo fermo contro il muro duro e impietoso, lo stesso muro contro il quale, inerme, era stato costretto a rivivere ancora e ancora la notte che non avrebbe mai voluto arrivasse e che aveva sperato fino all’ultimo fosse stata null’altro che un incubo.

-Itachi…

Sussurrò mentre iniziava a percepire le lacrime pizzicargli le ciglia, spezzando d’un tratto il silenzio rotto solo dai loro respiri affannosi.

-Mmm.

-Dicono che faccia molto male.

Itachi sgranò gli occhi a quelle parole, di cui non tardò tuttavia a cogliere il senso più profondo di ciò che implicavano; d’impeto gli prese le spalle gracili e lo scostò da sé qual tanto che bastava a guardarlo in faccia: Sasuke era ancora rosso in viso, le labbra anch’esse ancora arrossate del lungo bacio che si erano appena scambiati. Bellissimo. Come aveva fatto, dannazione, a stargli lontano, tutto quel tempo, a privarsi di lui.

-Sasuke, ricordi la mia promessa in riva al fiume… Io non voglio farti male, mai più.

Lo guardò diritto negli occhi, non senza notare  il rossore sulle sue guance incupirsi nella maniera più adorabile che riuscisse ad immaginare, le sue labbra tremare appena con le poche parole incespicanti che seguirono.

-Adesso puoi farmene. Hai il mio permesso.

Incredulo o forse solo convinto d’aver sentito male, Itachi sgranò gli occhi, la lingua arrovellata e la bocca schiusa in un’espressione attonita. Che Sasuke nel frattempo fosse maturato, nonostante ancora arrossisse e balbettasse in situazioni come quella, non lo metteva in dubbio; di contro, però, non poteva certo dire che la propria naturale propensione a considerare Sasuke solo un bambino bisognoso di protezione stesse attenuandosi. E forse fu per superare questa consapevolezza che, quando intuì che forse il suo fratellino stava cercando in quel modo quasi goffo e assolutamente adorabile, di proporgli qualcosa o forse di proporsi lui stesso, per poco non si sentì mancare al pensiero di loro due assieme, i loro corpi nudi e sudati, avvinti l’un l’altro, fra le lenzuola sfatte.

-Non credevo col tempo fossi diventato così masochista, otouto.

Gli chiese come a voler sdrammatizzare e poi sorrise appena nel vedere Sasuke che si alzava di fretta dalle sue gambe e avvampava furiosamente, indignato o forse soltanto imbarazzatissimo e risentito di aver confessato ad Itachi d’essere finalmente pronto a fare l’amore con lui e, per giunta, di averglielo confessato in quella maniera, malgrado i suoi propositi, ancora così dannatamente infantile.

-Si può sapere che hai capito, niisan?

Borbottò inviperito il più piccolo, il suono di metà della frase coperto dal boato di un tuono più forte degli altri che precedette lo scroscio improvviso di una pioggia fitta e impetuosa.

Itachi non ebbe neppure il tempo di ribattere che Sasuke già era scappato via, dentro casa e non proprio solo per ripararsi dalla pioggia. Nemmeno lui aveva troppa fretta in realtà di ripararsi dalla pioggia ma, ugualmente, Itachi seguì il fratello oltre la porta d’ingresso, mentre fuori il temporale imperversava. Sperò, anzi, che i tuoni non smettessero così presto chè, se in Sasuke era rimasto ancora un po’ del bambino che ricordava, sicuramente gli avrebbe chiesto di dividere il letto con lui.

 

Stavolta sorrise per davvero di un sorriso più ampio, felice, mentre si richiudeva la porta alle spalle.

 

 

Era bello essere di nuovo a casa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nda: U C H I H A C E S T . *ç*

   
 
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