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Autore: Mara_chan    07/08/2012    1 recensioni
Chissà dov’è ora, sicuramente sarà impegnatissimo nei suoi innumerevoli compiti di hokage da quando il popolo della capitale del regno del fuoco ha chiesto a gran voce l’elezione del loro eroe, colui che ha salvato Konoha, e il mondo intero. E ha salvato anche me.
E' LA MIA PRIMISSIMA FAN-FIC!!! SIATE CLEMENTI MA COMMENTATE PURE CON SEVERITà COSì LA PROSSIMA VOLTA MI MIGLIORERò!!! GRAZIEEEEEE
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Per sempre Naruto-kun
È una bellissima giornata di sole, i raggi illuminano le strade di konoha mentre cittadini e stranieri chiacchierano allegri. Guardare tutta quella gente mi mette allegria, la guerra è finita dopotutto, e l’unione delle cinque nazioni in una sola, governata dalla coalizione dei kage, ha permesso una convivenza pacifica e rassicurante con i ninja degli altri paesi. La pace, l’amicizia, l’amore. Ci è riuscito davvero. Non ne ho mai dubitato dopotutto.  Chissà dov’è ora, sicuramente sarà impegnatissimo nei suoi innumerevoli compiti di hokage da quando il popolo della capitale del regno del fuoco ha chiesto a gran voce l’elezione del loro eroe, colui che ha salvato Konoha, e il mondo intero.   
E ha salvato anche me. Molto tempo prima però, quando ancora non eravamo dei ninja, quando ancora ero la piccola privilegiata figlia del capoclan degli Hyuga. Ho sempre odiato essere una privilegiata. Una bambina con i codini, nella foga di giocare a rincorrersi con i suoi amici, inciampa e cade contro la mia gamba.  Spaventata per la caduta si gira a guardarmi; è una piccola Hyuga della casata cadetta. Ora è più spaventata, scoppia a piangere e chiedendomi perdono in tutti i modi, si inginocchia davanti a me.                 
 Come dovrei comportarmi ora? Secondo il mio clan dovrei punirla per aver osato toccarmi, ma come potrei? Non mi piace fare la snob, e non voglio comportarmi da nobile viziata. È per questo che non piaccio a mio padre; non sono degna di essere sua figlia. E pensare che una volta ammiravo così tanto mio padre, volevo diventare forte e posata come lui, ma anche gentile e delicata come la mamma. Presto però mio padre si rese conto che non ero quello che si può definire un “genio”, faticavo a stare dietro agli allenamenti a cui mi sottoponeva; avrei avuto bisogno di più tempo. E gli sguardi delusi di mio padre certo non mi aiutavano. Ogni giorno peggioravo, e mi abbattevo sempre di più. –non sono in grado- mi ripetevo –è inutile-.                                     Immersa in questi pensieri non mi sono resa conto di aver raggiunto l’ingresso dell’accademia ninja. Mi siedo sull’altalena che ondeggia al vento dall’altra parte del piazzale d’entrata .
È proprio qui che era seduto la prima volta che l’ho visto. Avevo 6 anni, stavo effettuando la solita passeggiata pomeridiana con il mio tutore quando avevo notato un bimbo biondo che si dondolava sull’altalena, con gli occhi azzurri lucidi: stava piangendo. Fissava una coppia di giovani ninja che era venuta a prendere loro figlio uscito dall’accademia per la fine delle lezioni. Erano felici, il bambino aggrappato alle mani dei suoi genitori si dondolava avanti e indietro ridendo; e loro, contagiati dall’allegria del figlio, ridevano a loro volta. Il bimbo biondo sull’altalena però aveva attirato la mia attenzione. Perché piangeva? Però non dissi nulla, almeno fino a quando due jonin, passando vicino all’altalena rivolsero sguardi di puro odio al bambino, che accortosene, rispose con un gestaccio. Allora feci quella domanda ingenua al mio tutore : -chi è quel bamb…?-. Non feci in tempo a finire la frase che la risposta arrivò repentina: -non dovete stargli vicino Hinata-sama-. Non chiesi neanche il perché, il tono del mio tutore non ammetteva domande. Rimasi in silenzio, colpita dal quel bambino biondo che soffriva e che doveva sopportare, chissà per quale motivo, l’astio della gente che lo circondava.                                                                                                                      
La stessa gente che ora lo ha acclama con tanto vigore. Da quell’episodio cominciai a disubbidire ai consigli del mio tutore e lo seguii ovunque, osservandolo.                             
Era solo, sempre solo, tutti lo guardavano con odio e nonostante questo lui cercava disperatamente di farsi notare, combinava disastri e a chiunque lo riprendeva gridava con foga e convinzione che un giorno tutti lo avrebbero ammirato e che sarebbe diventato hokage. Nessuno ci credeva, nemmeno io all’inizio, poi però osservandolo meglio ho cominciato ad essere certa che un giorno ce l’avrebbe davvero fatta. Si allenava da quando si alzava fino a sera tardi, e nonostante questo all’accademia non se la cavava per niente bene, si ribellava agli insegnanti e si prendeva gioco delle lezioni. Sembrava sempre allegro e spensierato, ma io leggevo nei suoi occhi la tristezza della solitudine, perché è la stessa che si leggeva nei miei occhi; nonostante fossi la primogenita di una casata nobile del villaggio e avessi tutti ai miei piedi ero timida, chiusa in me stessa, non avevo amici, non parlavo mai, mi sottoponevo agli estenuanti allenamenti di mio padre e non facevo che peggiorare il mio stato d’animo.
Il mondo intorno a me era tutto grigio non vedevo come io avrei potuto avere una qualche speranza di essere utile in questa vita; fui colpita dalla depressione.Poi da quel giorno trovai una motivazione per andare avanti: proteggerlo, senza riserve, allo stesso modo di come aveva fatto lui con me. Dopo un allenamento con mio padre ed Hanabi, abbattuta dopo essere stata sconfitta nel combattimento da mia sorella e aver assorbito gli sguardi delusi di mio padre, ero scappata di casa e accecata dalle lacrime, andai a sbattere contro il capo di una piccola banda di bulletti della mia età. Stava mangiando un gelato e gli cadde.
Ovviamente se la prese con me, soprattutto dopo che si era reso conto che ero la figlia del capoclan. Cominciarono a picchiarmi, nonostante avessi chiesto più volte umilmente scusa. Poi arrivò lui, nel momento in cui stavo per perdere i sensi. Quando mi ripresi lo stavano picchiando e lui, anche se cercava di reagire, stava soccombendo sotto i colpi dei tre. Quando perse i sensi fummo raggiunti dal mio tutore, che probabilmente mi cercava da tempo, mi raccolse e mi portò via senza nemmeno darmi il tempo di soccorrere il bambino a terra che mi aveva protetto senza pensare a se stesso. Il giorno dopo lo vidi all’accademia come sempre. Da quel momento avrei voluto ringraziarlo ma ero troppo timida. Lo ammiravo moltissimo e continuai ad osservarlo, sperando di potergli restituire il favore prima o poi, o che almeno per una volta fosse lui a guardarmi ed ammirami. L’occasione la ebbi durante l’esame dei chunin dove, nonostante non riuscii a vincere conto mio cugino Neji nella terza sessione dell’esame, ottenni la fiducia e l’ammirazione di quel ragazzino biondo che tanto ammiravo. Nei uscii sconfitta ma felice, per la prima volta dopo tanto tempo.                                                                                                                                                                                Ma non ero soddisfatta, e giurai a me stessa che l’avrei protetto in futuro. Ero pronta a sacrificare la mia vita per lui. Quell’ammirazione si era piano piano trasformata in amore. Lo amavo. Ma non ero in grado di dirglielo, troppo timida, troppo chiusa.                                                                
Trovai il coraggio per dirglielo solo nel momento in cui ero certa che la morte sarebbe arrivata presto, tentando di distrarre anche solo per qualche secondo un avversario troppo potente per me e dando la possibilità al ragazzo che amavo di riprendersi e di raggiungere il suo sogno. Ci riuscii, e sorprendentemente sopravvissi. MI venne così data la possibilità di proteggerlo di nuovo durante la guerra. Diedi me stessa, nonostante fu lui a salvarmi durante la battaglia, ma incrociai il suo sguardo e mi ammirava, mi considerava forte.Ero felice, sono felice, ho raggiunto il mio obbiettivo… e allora perché mi sento così? Perché non riesco a rallegrarmi che entrambi abbiamo raggiunto i nostri sogni? Forse, devo ammetterlo, mi sarebbe piaciuto che i nostri sogni divenissero uno unico da condividere e portare avanti insieme. Che ingenua è impossibile.                                                                                                                                                                                         Un falco messaggero vola in alto sopra di me: una missione, forse. Meglio così mi distraggo dai miei pensieri. È Sakura-san, ha bisogno di aiuto in ospedale per un paziente. La raggiungo subito, mi chiama spesso ultimamente; c’è bisogno di personale per curare i feriti di guerra. Non sono un medico ma sono utile nell’osservare il sistema circolatorio del chakra. Poi posso approfittarne per domandarle sue notizie. Una volta giunta all’ospedale, raggiungo Sakura-san nella sala operatoria. C’è un uomo sulla trentina che giace addormentato al centro della sala circondato da 5 ninja medici. Senza aspettare una spiegazione osservo il paziente con il byakugan: è una semplice ostruzione di un canale di chakra al braccio destro. Con una lieve pressione delle dita la libero e annuncio che il paziente è a posto. Sakura sorridente mi da una pacca sulle spalle e mi ringrazia, ma probabilmente nota che sono giù di morale perché mi chiede se sto bene. Io le rispondo che va tutto bene e le chiedo se ha notizie dell’hokage. Non sa nulla ma ha sentito che l’indomani i kage avrebbero fatto visita al paese per valutare la situazione e fare un annuncio importante.                       
 Felice di poterlo rivedere l’indomani, andai a casa aspettando con ansia la mattina.In effetti ricevetti l’invito a trovarmi con gli altri shinobi nella piazza principale ad assistere all’arrivo dei kage.                                                                                                         È mattina, mi vesto in fretta per non perdermi nemmeno un minuto di quell’incontro, per poterlo osservare, dopo tanto tempo. C’è già un po’ di gente, ragazzine adulanti, mercanti in cerca di affari, e qualche persona che conosco. Mi avvicino a loro e attendo. Non riesco a smettere di sorridere, quanto mi è mancato, quante volte ho sognato questo momento. Piano piano la piazza si ghermisce di gente.                                                                                                                                            
Eccolo: i cinque kage sono apparsi in cima al balcone che da sulla piazza. Lui è li tra loro, sorride gentile e soddisfatto, ma leggo qualcosa di strano nei suoi occhi. I cinque kage parlano ognuno alla volta ma io non li sento, sono totalmente rapita dall’hokage. Arriva anche il suo turno, dice qualcosa sulla ricostruzione delle città, lo sviluppo economico. Konoha lo accoglie con un’ovazione e imbarazzato sorride. Ora non sorride più si è fatto serio e chiede silenzio.
La piazza lo accontenta e lui dice: -popolo di konoha, grazie di essere venuto qui oggi, e vi prego di attendere ancora qualche minuto prima di tornare ogniuno alla propria quotidianità perché ho da fare un annuncio importante che vi coinvolge tutti. Voi avete chiesto me come hokage  io  vi ringrazio, ringrazio davvero tutti per avermi riconosciuto sia come persona che come capo. Ho accettato e collaborato per la ripresa dalla guerra, ma c’è una cosa che per me è molto importante, che mi impedisce di essere la persona che vorrei essere. È puro egoismo nei vostri confronti me ne rendo conto ma io spero che verrò compreso e perdonato. C’è un amico che si è perso nei meandri dell’oscurità e io avevo giurato che l’avrei salvato. Non l’ho fatto, ho fallito varie volte ma ora voglio dedicarmi a questa promessa; è per questo che ho deciso di rinunciare al titolo di hokage per raggiungere ed aiutare il mio amico ad uscire da quel circolo di odio che lo consuma sempre di più.-                                      Il silenzio nella piazza era tangibile. Nessuno se lo sarebbe mai aspettato. Non appena tutti ebbero assorbito la notizia cominciarono fischi e urla e il nome di Sasuke Uchiha risuonava con disprezzo nella folla. Ecco cosa lo turbava, è vero lui mantiene sempre le promesse, fa parte del suo credo. È una delle cose che mi hanno fatto innamorare così di lui. Per lui è molto importante, Sasuke è un fratello più che un amico e non lo abbandonerebbe mai. È giusto che segua la sua via. Solo pochi applaudono, oltre a me vedo solo Sakura, poco lontano, che ha gli occhi lucidi.                                                                            Ma l’hokage, senza badare ai fischi e alle urla continua a parlare -lo so, lo so, spero che prima o poi mi perdoniate. C’è un’altra cosa che vorrei dire: visto che io me ne andrò gli altri Kage hanno convenuto che sia io a scegliere una persona che mi sostituirà nell’incarico. Ci ho pensato a lungo e ho convenuto che serve una persona giovane e forte, con degli ideali solidi e vivi, pronta a qualsiasi cosa pur di proteggere il suo popolo. Queste sono le caratteristiche che, a mio pensiero, servono per essere Kage e non ho potuto che pensare ad una sola persona. Hinata Hyuga, vorrei che divenissi tu Hokage al mio posto. Pochi capiranno il perché di questa scelta ma sicuramente tutti converranno in futuro che è stata la più saggia.-                                                                                          
 
Non ha detto il mio nome. No, impossibile. Io hokage?? Ma scherziamo? È pazzo, sicuro!                      
Eppure tutti mi fissano e anche lui sta guardando nella mia direzione facendo cenno di avvicinarmi. L’ho ha detto davvero!! Mi avvicino ipnotizzata ai cinque kage. Mi sento una calamita e gli occhi di tutti sono dei magneti. Vorrei sprofondare, ma l’uomo che amo mi sta chiedendo di raggiungerlo. Come potrei rifiutare. Mi avvicino a lui, completamente persa nei suoi occhi azzurri. Mi cala il copricapo dei kage sulla testa. Il silenzio regna. Da qualche parte inizia un timido applauso che si esaurisce quasi subito. I kage mi stringono la mano, io non capisco più nulla. Quello che successe dopo nemmeno lo ricordo, troppo frastornata, era tutto una festa e io dovevo prepararmi per partire. Non ebbi occasione di vederlo e di parlargli, troppa gente che veniva a congratularsi, troppe cose ha imparare. Eppure avrei voluto vederlo, chiedergli come stava. Era sicuramente distrutto ma sapevo che la decisione che aveva preso era la più giusta per lui. Ero incredula ma determinata: non lo avrei deluso, lui crede in me per affidarmi un tale compito. Ecco il giorno della partenza, devo raggiungere gli altri kage nella grande nazione, lui mi si para davanti. Finalmente soli, io e lui faccia a faccia. Mi sento svenire per l’emozione ma non posso permettermelo, devo reggere. Anche lui è in partenza: in cerca di Sasuke suppongo. Resta in silenzio, anche io, sento quell’oppressione al petto che mi viene quando sono in sua presenza. MI guarda, sorride, e si volta. È pronto a partire e io di nuovo non sono riuscita a parlargli. - Mi aspetterai?-  dice volgendomi le spalle. Le lacrime mi crescono negli occhi. Non è tristezza; è felicità. Non piangerò più, mai più.
È una promessa.
-Si, per sempre Naruto-kun-.
  
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