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Autore: amanda91    08/08/2012    6 recensioni
Dal prologo: La luce … poi un ritorno al buio. Elena dischiuse gli occhi ritrovandosi d’un tratto strappata al paradiso. Un lungo sonno, estraneo alla vita, e poi … tutto era svanito. Si trovò distesa su un rettangolo d’acciaio, respirò a fatica ingurgitando con prepotenza l’aria tutta intorno, che entrò feroce in lei, come se fosse respirata per la prima volta. Che fosse il paradiso? Una sorta di ritorno alla vita?
Non aggiungo altro, se non l'augurio di una buona lettura!
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Damon/Elena
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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POV DAMON

Un leone in gabbia. Ecco ciò che parve in quel momento. Quella stanza gli sembrò soffocante come mai.
Furente, distrutto, accecato, ormai fuori controllo, scaraventò una lampada al muro, che ricadde atterra con un rumore sordo. Quell’improvviso schianto non zittì le urla che straripavano in testa, nel cuore e nell’anima, che continuarono a dilaniarlo, mentre correva in bagno a sciacquarsi il viso, per strappare via dalle labbra quell’odore. L’odore di quella bocca che lo aveva teneramente divorato, imprimendo sulla sua un sapore fresco, fruttato, buono. Maledettamente buono.
Posò gli occhi allo specchio, che rifletté un’immagine distorta di sé stesso, un uomo esasperato, furibondo, e annullato dall’amore per una donna.
Era giunto il momento di andar via, di fuggire da quelle mura nelle quali era rimasto impresso il suo sapore, di scappare da quella stanza ancora bruciante, reduce della sua presenza, da quel letto ancora caldo del suo corpo.
Aveva ormai perso sé stesso, risucchiato, reso nullo da una donna.
 Era stata lei la sua stessa umanità, la sua più grande debolezza, gli era entrata nel cuore, e lì, da quella posizione privilegiata, lo aveva annientato.
“Che stai facendo Damon?”
La voce inquieta di Stefan lo sorprese intento ad infilare abiti di ogni genere in una valigia.
Era l’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento, in realtà se avesse potuto avrebbe evitato di ascoltare persino sé stesso, e quelle stupide vive emozioni che continuavano ad infierire ricordandogli il dolore, e l’incapacità di sfuggirvi.
La sua bruciante umanità lo stava uccidendo.
“Non sono affari che ti riguardano” lo zittì senza degnarlo di una misera occhiata, continuando invece imperterrito nel suo lavoro.
Il fratello sospirò appena, e quel singolo sospiro riecheggiò tra di loro più di un urlo.
“Ho visto Elena correre via pochi minuti fa” lo informò ponderato, e al nome della ragazza riuscì finalmente ad attrarre i suoi occhi, che si precipitarono su di lui.
“Esci da questa stanza!” gli impose duro, senza diritto di replica.
“No! Finché non mi dici cos’hai intenzione di fare”
“Intendo andarmene dall’altra parte del mondo se necessario”
“Cosa??” chiese il minore spiazzato, e ancora titubante.
“Entro stasera possibilmente, se ti togli dai piedi e mi lasci finire di sistemare”
Fu un’ennesima velata richiesta, prossimo a scattare. E se lo avesse fatto sapeva che tutto sarebbe precipitato irrimediabilmente.
La voglia di urlare, uccidere e annientare era forte, tanto che gli sembrò di perdere il controllo. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di placare quel dolore che gli aveva preso la bocca dello stomaco attanagliandolo in una morsa lancinante. Stava affondando, e questa volta temette che non ci fosse rimedio.
“Tu non vai da nessuna parte in queste condizioni!” gli impose Stefan crucciato, a pochi passi da lui che come incapace di arrestarsi continuava a vagare per la stanza gettando alla rinfusa in valigia qualsiasi oggetto o vestiario incontrasse.
“Non era una domanda ma un’affermazione se non l’avessi capito”
“Non ti permetterò di farlo – si impose questa volta, accostandosi al fratello – cos’è successo Damon?”
“C’è un limite a tutto. Io l’ho superato abbondantemente” pronunciò quelle parole con misurazione, intenzionato a fingere ancora. C’era un limite al dolore che un semplice uomo potesse sopportare, e lui quella sera lo aveva per la prima volta oltrepassato.
“Così hai deciso di fuggire?”
In quel frangente, preso alla sprovvista da una domanda che gli sembrò totalmente inaccettabile, sfogò incapace di sopportare ancora la sua presenza.
“Ma perché non la smetti di martirizzarti? Guarda che ti sto facendo un favore! Mi tolgo dai piedi, ti lascio campo libero! Lo capisci?” chiarì furibondo, alzando di troppo il tono di voce. Le urla tuonarono per tutta la stanza.
“Damon come puoi soltanto pensare una cosa del genere? Tu sei mio fratello, sangue del mio sangue, non posso lasciarti andare via!”  anche Stefan urlò questa volta, portandoli entrambi in una gara senza più silenzi, e verità negate o nascoste.
“Cazzo Stefan tu e il tuo fottuto sangue! La tua ragazza pochi minuti fa mi ha baciato! E me la sarei scopata volentieri se non fossi arrivato tu!”
Ringhiò furente, e crudele. Voleva ferirlo, voleva annullarlo, come Elena aveva fatto con lui. Voleva sentirlo tremare di dolore e collera cieca, come lui continuava a fare. Voleva che lo odiasse, e lo lasciasse andare.
Voleva che gli permettesse di correre lontano, e di ricostruire altrove quell’eternità che lo perseguitava, dove non ci fosse più quella ragazza a tenere accesa la fiamma dell’umanità in lui.
Riuscì nell’intento perché Stefan si rabbuiò all’istante. Il suo volto subito sfigurato fu l’ultima cosa che vide prima che venisse scaraventato al muro. Il dolore dello schianto fu nulla in confronto a quello che continuava a bruciargli nel petto.
 “Su dai, non dirmi che non te l’aspettavi – infierì ancora – non sono io forse il motivo della vostra crisi?” ipotizzò sadico mentre si rimetteva in piedi per poi rivolgergli un sorriso soddisfatto. Lo stava sfidando, lo stava istigando. Voleva il sangue, la lotta. Voleva scaricare tutta la rabbia che continuava a straziare entrambi. Voleva che l’odio li prendesse spezzando quel legame fraterno che continuava ad avvicinarli nonostante tutto.
Stefan ringhiò serrando i pugni. Credeva  fosse pronto ad attaccarlo, sopraffatto dalla natura che entrambi continuavano a temere e a combattere, ma invece non andò così. Il suo viso torno umano di lì a poco, e non gli si avvicino, né gli si avventò addosso, ma fermo dov’era sorrise appena.
“Non riuscirai a farmi perdere il controllo Damon! È inutile che continui a tentare”
Quelle parole pronunciate con lentezza e quiete esasperante lo lasciarono spiazzato. Non fiatò più, non seppe cosa dire, così fu ancora il fratello a parlare.
“C’è una cosa che ci rende differenti… io ho capito cos’è che Elena cerca, tu no”
Il vampiro rimase come pietrificato. Si lasciò semplicemente cadere al muro. Non ebbe più forza di parlare, né di tentare ad odiarlo, né  di cercare il confronto, o la lotta. Come svuotato di ogni cosa, rimase in lui soltanto un senso di vuoto.
“Come fai ad arrenderti Stefan? Tu che hai avuto il suo amore, come fai ora a vivere senza?”
Il fratello lo sorprese ancora, com’era accaduto spesso negli ultimi tempi, e contro ogni sua aspettativa gli si sedette accanto. Furono di nuovo spalla contro spalla, ma questa volta di nuovo vicini, complici, fratelli. Si ritrovarono nel buio di una stanza, piegati dall’amore per la stessa donna. Ancora una volta.
“L’ Elena che amavo io non avrebbe continuato a cercare te, e non ti avrebbe baciato. Non è più la donna che io amavo. Io non conosco chi sia diventata, ma tu si” gli suggerì sconfitto.
“Hai smesso di amarla, Stefan?” domandò Damon confuso.
“No… ma lei ha smesso di amare me”
Rimasero così, uniti come non accadeva da secoli. Seppero entrambi come sarebbe finita. Ma qualsiasi cosa sarebbe successa seppero anche che quel legame di sangue che li univa da sempre  li avrebbe tenuti insieme anche questa volta.
 
POV ELENA

Guidata da una logica cieca si era ritrovata davanti la fatiscente porta del Grill, ancora in tuta, sconvolta e indifferente agli sguardi curiosi dei passanti e degli altri clienti.
Era entrata immergendosi in un covo di vita che aveva evitato da quella sera. Da quando litigò con Stefan e per la prima volta si era lasciata guidare dall’istinto e dalla voglia inarrestabile di cercare Damon, che restava nonostante tutto il cento del suo universo.
Si era feriti anche questa volta, si erano scontrati, odiati e rimproverati, come sempre. Ma non riusciva a spiegarsi come mai l’unica cosa che riuscisse a ricordare di tutta quella folle serata erano le sue labbra carnose e passionali danzare sulle proprie, o il modo infinitamente dolce con cui l’aveva stretta in un abbraccio innocente, e la voce scandita e serena con la quale le aveva letto quelle pagine di poesia aspettando che arrivasse il sonno a chiamarla. 
E poi i suoi occhi, due enormi pozze oceaniche, inondati di lacrime, mentre ancora una volta le gridava di amarla. Si chiese quanto ancora avesse potuto ferirlo prima che cominciasse ad odiarla, quanto male gli potesse ancora infliggere prima di perderlo per sempre.
E lei sarebbe precipitata in un groviglio di dolore e colpa se soltanto lui l’avesse abbandonata.
“Elena, questo è il quarto bicchiere, devo preoccuparmi?”
Il tono familiare e apprensivo di Matt, che era venuto a portarle il bicchiere di bourbon precedentemente ordinato, la destò.
Immersa tra i pensieri più bui era stata come incantata dal legno scuro del bancone a ridosso del quale era seduta, e si accorse solo allora che fosse arrivato l’ennesimo ordine.
Quando alzò gli occhi su di lui si rese conto che le era comodamente poggiato di fronte e la scrutava inquieto.
Aveva dato la vita per lui, pensò. Per il ragazzo della porta accanto che era stato il suo mondo per lunghi anni, prima che la vita che conosceva venisse sconvolta. Prima che Damon si affacciasse alla sua strada,facendoglielo dimenticare subito dopo. Prima che la sua famiglia venisse annientata e l’adolescenza che solo allora si sporgeva ai suoi occhi le venisse strappata.
Portò il bicchiere alle labbra assaporando lenta il liquore ambrato e amaro che quella sera le faceva compagnia.
Si ritrovò a pensarsi più simile a Damon di quanto pensasse.
“Cosa ci troverà mai di buono Damon in queste porcherie?” domandò crucciata non potendo più trattenere l’espressione di disgusto che le si dipinse spontanea sulle labbra.
“Se non ti piace perché non lo lasci? Forse è meglio, eh?” le suggerì agitato il ragazzo.
“Voglio soltanto stare meglio … sono stanca di tutto questo dolore – in un sorso finì anche quel bicchiere – posso averne dell’altro?”
Il biondo la esaminò per lunghi minuti, mentre lei continuava a notare soltanto la vena azzurrina e pulsante che gli animava il collo.
Per un istante non riuscì a destarsi da quella visione, e stette meglio.
Il dolore si placò, mentre l’alcool in circolo nelle vene abbassava la guardia, la concentrazione, e la sua vera natura cominciava a premere sotto la superficie, al di sotto della corazza che aveva faticosamente costruito, per mostrarsi poi spaventosamente.
Sentiva quell’opprimente peso sul cuore lasciarla pian piano, e i ricordi di ciò che era accaduto sfocarsi. Era la sua umanità che la stava abbandonando, mentre il sangue risaliva verso l’alto bagnandole gli occhi, ed uno scalpitio di cuori prese il sopravvento su tutto il resto.
Un odore metallico, il solito odore inebriante, travolgente e maledetto, la deliziò, mentre le arrivava alle narici.
L’ultima cosa che notò fu il viso terrorizzato di Matt, e le sue labbra che si aprirono nel probabile tentativo di comunicarle qualcosa che non riuscì a captare. Poi una corsa disperata, mentre battiti, voci e odori le devastarono la mente.
Quella notte era destinata a fuggire, pensò, mentre riprendeva la sua corsa.
 
POV DAMON

Dall’istante in cui aveva visto il display del cellulare illuminarsi, e aveva letto il nome di Matt in chiamata, dentro di sé aveva preso vita un’estenuante lotta. Avrebbe potuto rispondere e accollarsi l’ennesimo problema che continuava a ripetersi non avrebbe dovuto riguardarlo, o avrebbe potuto rifiutare la chiamata e continuare a crogiolarsi nella disperazione chiedendosi se fosse giunto il momento di abbandonare tutto e cominciare  da zero.
Come se chilometri di distanza fossero davvero bastati a cancellare il suo volto dai ricordi più vivi e umani che continuavano a straziarlo.
Come se un’eternità fosse bastata davvero a ridargli la pace. Quella no, non gli era mai appartenuta. Non avrebbe mai potuto appartenere ad un essere dannato come lui.
Soltanto lei aveva saputo donargliela a sprazzi, soltanto lei sarebbe riuscita a rischiarare le fitte tenebre che da sempre gli divoravano l’anima.
Avrebbe potuto scacciarla quell’anima, quella bruciante maledetta umanità che lo stava portando alla deriva, ma non ne era capace. Non più ormai.
Serrò la mascella afferrando il cellulare, poi si maledì quando capì quale parte di sé aveva vinto la battaglia.
“Qualsiasi sia il tuo problema non mi interessa” precisò stizzito. Come se fosse vero.
“Damon – il ragazzo sembrò risollevato dalla risposta a tal punto da non far caso alle sue parole – Elena è stata qui e…”
“E non sono affari miei. Ciao” lo liquidò risoluto pronto ad attaccare. Ma tentennò un po’ troppo, giusto il tempo di dare a Matt il tempo di proseguire.
“No aspetta! Era ubriaca… penso! E decisamente fuori controllo! È fuggita e non so dove fosse diretta, penso dovreste cercarla!”
La voce allarmata dall’altro capo del telefono ebbe il potere di agitarlo, soltanto il tempo di tornare a ritroso a quella sera … poi pura collera prese i suoi occhi, rendendolo freddo come il gelo.
“Non sono il suo badante. Vorrà dire che domani troverete un cadavere in città. In ogni caso c’è Stefan in giro a cercarla, chiama lui”
“Ci ho provato, non risponde! Damon ti prego…”
“No Matt non hai capito – specificò fermo e adirato – avete smesso di addomesticarmi. Chiama Stefan e lasciami in pace!”
Riagganciò. Strinse i pugni fino a farsi male, fino a che il sangue smise di circolare in quelle dita lattee rendendole ancora più bianche e doloranti. Fino a quando pensò di abbandonare l’idea di andarla a cercare.
Non avrebbe dovuto, non le avrebbe permesso di essere ancora così importante.
Non sarebbe mai e poi mai corso a cercarla mostrandole di essere ancora il centro dei suoi pensieri, il fulcro della sua vita.
Un grido iroso fuoriuscì dalla sua gola arida, inondando la stanza, trapassando le mura, disperdendosi nelle tenebre.
Le gambe si mossero senza che lo volesse, mentre la mente gli intimava di restare saldo al suolo.
Non l’avrebbe mai ascoltata, lo sapeva bene.
Non se ciò avrebbe significato lasciare lei in pericolo, persa nella notte, preda di chissà quali istinti, schiava di una natura maledetta che avrebbe potuto abbatterla, annullarla, com’era stato con lui.
Avrebbe continuata a porla in eterno dinanzi a sé stesso, all’orgoglio ferito e al dolore che continuava ad infliggergli.
Quell’amore, ora lo seppe per certo, lo avrebbe ucciso.
  
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