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Autore: giulina    08/08/2012    1 recensioni
Leo tirò in aria l'ennesimo biscotto e lo fece finire direttamente nella bocca aperta, sorridendo alla ragazza che continuava a girare lo zucchero nel suo tè ormai freddo. Non resistette più e gli sorrise apertamente. Con quel ragazzo era tutto un mostrare sorrisi storti e denti bianchi, un ridere fino a sentire male allo stomaco.
- Mi piace. -
- Il mio riuscire a centrare la bocca con il biscotto? Lo sai che riesco a mangiarmi anche l'unghia del pollice mentre sono al telefono? -
Agata rise di nuovo e Leo le si avvicinò, toccandole delicatamente con l'indice la fossetta appena accennata sulla guancia sinistra.
- Mi sono innamorato. -
- Di me? -
- Macchè, parlavo di quella fossetta lì. Sì, proprio quella lì. Non è che la puoi regalare? -
Agata continuò a sorridere mentre Leo le percorreva con il dito la pelle del viso e la guardava con quegli occhi dalle ciglia lunghissime, che le facevano sentire la necessità di abbassare lo sguardo. Non meritava che qualcuno la guardasse con quegli occhi.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Alle pecore, al vino bianco, alla mia città.

A voi, un grazie infinito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Venuto dal sole o da spiagge gelate

venuto in novembre o col vento d'estate

io t'ho amato sempre, non t'ho amato mai

amore che vieni, amore che vai.

 

-Amore che vieni amore che vai, F, De Andrè-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sin dal primo sguardo che si era scambiato con quella donna dai lunghi capelli bianchi, Leo aveva capito che Luciana era un osso duro.

Un osso che tra l’altro non parlava molto e preferiva esprimersi a gesti. Il suo preferito era il dito medio, neanche a dirlo.

Era così terribilmente volgare e interessante anche senza aprire bocca che Leo non poteva smettere di osservarla nemmeno mentre se ne stava sprofondata nella poltrona nel salotto buio e con i mobili ricoperti di polvere, zitta e immobile a guardare le televendite in televisione.

Il volume al massimo, perché era anche un po’ sorda. Lui naturalmente parlava, parlava e parlava senza nemmeno prendere fiato. In quel momento, mentre la donna fingeva di ascoltare l’oroscopo della settimana, Leo le raccontava il suo primo bacio al sapore di caramello e di quella volta che aveva visto Lorella Cuccarini al supermercato con delle infradito identiche alle sue.

Alla donna, non poteva fregare di meno.

Aveva aperto bocca dopo ore di silenzio a tavola, dopo aver assaggiato il pesce spada del ragazzo.

-Ma questo è rosmarino? Mi fa cagare il rosmarino.-

-L’ho usato per insaporire.-

-Fa cagare lo stesso.- 

-E intanto si è fatta fuori tre etti di pesce. Tanto schifo non le deve fare.-

-Sto cercando solo di fare la persona educata, stronzo.-

Leo aveva sorriso trionfante per quell’insulto gratuito e si era messo a scrivere la lista della spesa su un foglio di carta igienica, non avendo trovato niente di meglio in giro. La casa della donna non era molto grande ed era poco luminosa, con le finestre tappate dalle serrande arrugginite o con le tende tirate per non fare entrare un filo di luce.

C’era polvere un po’ ovunque e giornali di mesi prima lasciati a marcire sul tavolo di vetro nell’ingresso, insieme a delle bottiglie di birra e tre scatole vuote di biscotti al cioccolato. Stranamente, non c’era odore di chiuso ma profumo di lavanda in tutte le stanze.

Si percepiva maggiormente nel corridoio dove si trovava la camera da letto della donna. Naturalmente, a Leo era stato categoricamente vietato di entrare. E lui, ovviamente, non vedeva l’ora di oltrepassare la soglia di quella stanza.

C’erano tanti quadri appesi alle pareti bianche ammuffite agli angoli: erano l’unico punto di colore e luce tra quelle mura. C’erano anche delle fotografie in bianco e nero che raffiguravano campagne, un pozzo, un lago di montagna e un bambino sorridente sulla neve, che si stava infilando ad un piede uno sci.

-Che shampoo usa?-

-Che cazzo te ne frega?-

-A cuccia, Luciana! Solo per curiosità, ha dei capelli bellissimi. Glieli posso toccare?-

-Giuro che ti infilo questa forchetta su per lo sfintere.-

-Era un no?- Dito medio nella sua direzione. Forse quella donna e Agata avevano qualcosa in comune.

-Tra poco me ne vado. Domani torno alla solita ora con la spesa. Spaghetti allo scoglio per pranzo!-

-Niente...-

-...Rosmarino, ho capito. Senta, ma non posso nemmeno sfiorarle una ciocca?-

 

 

 

 

 

 

Leo aveva passato l’intero pomeriggio a casa di sua nonna Paola a giocare a canasta e a mangiare pistacchi seduto in veranda a piedi nudi e con la vista del mare davanti a sé.

In quei momenti gli ritornava sempre alla mente qualche pezzo della sua infanzia passata a pescare girini nel botro o a giocare con la pasta di sale insieme ai suoi cugini dai capelli rossi e l’accento napoletano.

Adorava sentirli offendersi tra di loro quando si arrabbiavano!

Tornato a casa fischiettando una canzone sottovoce, aveva trovato Agata che fumava in salotto, con una sua bottiglia di vino stappata in mano e una gonnella nera elegante che copriva le sue gambe poco abbronzate.  

-Ulalà! Si fa sesso stasera?-

-No, esco. Sono venuta a metterti i panni in lavatrice e a dare a Bogdana un maglioncino che mi ha prestato qualche giorno fa. Domani ricordati di pagare il telefono, lo dovevi fare una settimana fa.-

Leo rimase in silenzio a guardarla uscire dalla porta con il rumore dei suoi anfibi sul pavimento di cotto.

Nell’aria rimase il suo profumo e sul bicchiere che aveva usato per bere del vino, c’erano tracce del suo rossetto rosso; Leo appoggiò le labbra dove c’era il segno delle sua bocca.

Si preparò un tramezzino al tonno e si sedette sul divano senza accendere la televisione. La finestra del balcone era aperta e dall’appartamento di Aldo proveniva la voce disperata di Mina. Anche lui, in quel momento, si sentiva un disperato.

Con la coda dell’occhio vide una formica nera con la testa rossa camminare sul bracciolo del divano; la lasciò nascondersi sotto il tappeto giallo ai suoi piedi.

Poco dopo, mentre stava guardando un vecchio film Western su un canale sconosciuto, Aldo attraversò silenzioso il salotto, con il suo passo leggermente ciondolante, e si sedette accanto a lui sul divano.

Non si sentiva più la voce di Mina provenire dal suo appartamento.

-Buttato fuori di casa un’altra volta?-

-Già. Manik e Davide sono a cena fuori.-

-Per cui stasera stai da me, ho capito. Mi domando quando ti deciderai a divorziare.- Leo diede un morso al suo tramezzino e appoggiò i piedi nudi sul basso tavolino di vetro leggermente incrinato ad un angolo.

Aldo si accarezzava la rada barba bianca sul suo mento, guardando di fronte a sé. Aveva un livido bluastro sul polso. Forse Costanza l’aveva preso a mestolate con il cucchiaio di legno come era già successo in passato.

-Non posso divorziare. Non riuscirei mai a svegliarmi la mattina senza il profumo del pancarré che sta facendo abbrustolire in forno o il suo canticchiare a bassa voce per non farsi sentire da me. Non potrei stare senza i suoi piedi freddi la notte e gli occhi azzurri che non vedo felici da tempo.- Leo sorrise. Come sapeva essere poetico delle volte.

-È bello.-

-Che cosa?-

-Il vostro amore.-

-Si...è bello e anche un po’ violento, se bisogna essere sinceri. Che ne dici se ora ti canto ‘Con o senza te’ ?-

-A bassa voce e prima vai da Giancarlo al pianterreno a prendere una bottiglia di vino.- Aldo annuì e ciabattò con le sue pantofole bianche da donna fino all’ingresso.

-Agata dov’è?- -

-Fuori.-

-Ah...che ne dici se ne prendo due, di bottiglie?- -

Mi sa che ci vogliono.- L’uomo aprì la porta e fece qualche passo all’esterno.

Rientrò subito dopo correndo e con l’occhio sano spalancato dal terrore. -C’è Costanza sul pianerottolo con la scopa in mano. Ci vado dopo da Giancarlo.-

Si misero entrambi a sedere sul divano a guardare la pubblicità di un acquario poco fuori Roma, aperto da poco, dove l’orca assassina era l’attrazione principale.

Leo si mise a ridere piano e nella sua mente riaffiorò il ricordo del suo primo appuntamento con Agata.

Una strana malinconia lo assalì ma cercò di nasconderla a se stesso, continuando a sorridere e finendo il suo tramezzino.

D’altronde stare con lei era ogni volta un piacere e un dolore, un sorriso e una lacrima.    

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quella sera c’erano due gradi centigradi nell’aria e il gelo aveva ricoperto ogni superficie possibile, comprese le strade e le autostrade, per cui muoversi dalla propria abitazione era un problema.

La gente se ne stava rintanata in casa con i termosifoni al massimo e alcuni con il camino acceso, anche se il pensiero di uscire all’aria fredda per prendere la legna era una sofferenza; le televisioni erano quasi tutte sintonizzate su un film d’azione che era uscito quasi un anno prima al cinema; i bambini se ne stavano con il naso rosso per il raffreddore, appiccicati ai vetri ghiacciati delle finestre, sperando di veder comparire la prima neve dell’anno.

Leo e Agata, quella sera di novembre, erano insieme. Stranamente. I

l loro lo si poteva definire un appuntamento, anche se la faccia seria e quasi terrorizzata della ragazza non esprimevano in pieno il sentimento che si dovrebbe provare al primo appuntamento con il ragazzo che ci piace.

-Tu sei...-

-Un genio? Lo so!-

-Un idiota, un completo idiota.- -

È...un complimento dalle tue parti?-

-Lo sai cosa succede se ci beccano qui?-

-Sinceramente no, ma vale la pena rischiare per assistere a questo spettacolo!- -

Guarda che l’acquario è aperto anche di giorno.-

-Lo so, però pensavo che violando la legge ti sarei piaciuto di più. Il bello, bastardo e fuorilegge, capito?-

-E cosa hai fatto di bastardo per ora?-

Leo si guardò intorno preso alla sprovvista e tirò fuori dalla tasca destra del suo cappotto una penna rossa. Ciabattò con le sue infradito fino alla parete dove era attaccato un volantino per l’apertura di un nuovo fast food in centro, e disegnò due lunghi baffi e un dente nero, al bambino sorridente che c’era sopra.

Sorrise entusiasta ad Agata.

-Ed ora cosa mi dici?-

-Sei pazzo.-  

Il ragazzo tirò fuori dallo zaino nero ai suoi piedi un lenzuolo con la stampa di due cuccioli di Labrador, giustificandosi con un: –La tovaglia era sporca- e lo stese per terra. S

i misero seduti a mangiare il riso allo zafferano che aveva preparato Leo qualche ora prima a casa, bevendoci sopra un vino rosso di pessima qualità.

Davanti a loro c’era l’immensa vasca del delfino Holly, che in quel momento faceva geniali acrobazie fuori dall’acqua.

-Sei pazzo davvero- Disse a bassa voce Agata, allungando le gambe davanti a sé, con il piatto caldo sopra le sue cosce.

Sorrideva a mezza bocca. Leo osservò per tutto il tempo la fossetta sulla sua guancia sinistra.

Fuori, aveva iniziato a nevicare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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