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Autore: Shodaime    08/08/2012    7 recensioni
Eccovi la mia prima fic, siate clementi^^
Come dicono gli avvertimenti è un AU, ma non troppo AU, quindi non spaventatevi. Il titolo è abbastanza esplicativo da sè, quindi vi dirò semplicemente che ho deciso di pubblicarla sotto le 'leggerissime' pressioni della mia beta^^
Spero che vi piacerà e che in tal caso lascerete un commentino, anche solo qualche parola =)
Detto questo vi auguro buona lettura, e attenti all'ananas, è agitato per il matrimonio incombente!
Genere: Comico, Demenziale, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tsunayoshi Sawada, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quando il furgoncino si fermò, o come pensò Tsunia, arrestò la sua marcia infernale, quello che si parò davanti ai tre aveva l’aria di essere tutto meno che un convento.

“Sembra una caserma.” Commentò Tsunia, scendendo barcollando dal mezzo.

“Tsk. E’ architettura degli anni quaran..trent..novanta, ignorante!” Affermò Reborn con malagrazia, dando prova in un'unica frase della sua totale mancanza di cultura e della poca attenzione che prestava ai cartelli.

Cosa che in effetti lo accomunava a Fra Cristoforhei, dato che il furgone era stato posteggiato bel bello su un divieto di sosta, con buona grazia delle casse dei Vigili di Monza.

“Convento delle Carmelitane con gli Anfibi…” Lesse Tsunia, avvicinandosi. “Ma che razza di ordine è? E poi perché ci sono schizzi di sangue sul cartello??” Domandò, sconvolta.

Reborn alzò le spalle. “Sarà un sacrificio religioso.” Commentò, prendendo i bagagli.

Fra Cristoforhei rise, e Tsunia giurò di aver avvertito una sottile nota di terrore nella sua voce.

“Signore, io devo lasciarvi! Devo andare a pagare la multa e poi a prendere notizie su Mukurenzo… Ha scritto su Facebook che si trova a Milano, e devo controllare che non si metta nei guai con i buttafuori delle discoteche. Di nuovo.”  Così dicendo, con una fretta alquanto sospetta, il buon frate ingranò la retromarica e se ne andò, dando al catorcio il vigore di una Ferrari finchè non scomparve oltre la fitta nebbia monzese.

“A Milano?” Domandò Tsunia alla madre. “Che ci sta a fare a Milano? E cos’è questa storia delle discoteche??” Continuò, in preda all’esasperazione.

“Suvvia tesoro rilassati! Siamo in Italia! La terra del sole, del buon cibo e del buonumore!” La rassicurò Reborn, sorridendo, mentre citofonava al convento.

“Io di sole non ne vedo….” Mormorò Tsunia, mettendosi accanto alla madre.

Aprì una donnona di due metri d’altezza e poco meno di larghezza, con un grembiule lercio e un mestolo in mano.”

“Che volete? L’ora della distribuzione della sbobba è finita, passate stasera.” Grugnì.

“…Alla faccia del buon cibo….”Disse tra sé Tsunia, guardando sconcertata la donna.

“Ma quale sbobba. Dobbiamo vedere la Monaca Sbronza.” Rispose Reborn, apparentemente inflessibile.

La grossa donna parve sconvolta. “ La…Monaca Sbronza?” Domandò. Il mestolo le cadde di mano. Tsunia vide delle formiche morire avvelenate. “Dovete aver fatto qualcosa di terribile!” Concluse, facendo cenno alle due di seguirla.

Reborn vide Tsunia rabbrividire lungo il corridoio del chiostro. Da canto suo, Tsunia decise che anche la parte del ‘’buonumore” era andata a farsi benedire.

Il percorso che condusse le due donne alla cella della Monaca Sbronza assomigliò in modo impressionante a quello che si compie per arrivare alla sedia elettrica. Non che Tsunia ne fosse particolarmente esperta, ma l’atmosfera cupa e la luce soffusa inframezzata da suoni quantomeno spettrali non aiutavano per niente.

La luce di una lampadina cominciò a tremare prima di spegnersi.

Tsunia ebbe la netta sensazione di sentire qualcuno gridare “Uomo morto che cammina nel Miglio Verde!”, e di sentire i suoi passi procedere al rallenty.

Di nuovo.

“Ecco. La cella è questa. Ora, se volete scusarmi, ho un capriolo da arrostire in cucina.” Disse, prima di schizzare via con la velocità di un frate che abbia appena preso una multa.

“E adesso che facciamo?” Domandò a mezza voce Tsunia.

Reborn, da madre amorevole qual era, buttò di peso la figlia nella stanza, usandola come scudo umano.

L’oscurità regnava sovrana. Da una finestrella in alto filtrava la fioca luce del pomeriggio monzese, e tutto quello che riusciva ad illuminare erano un paio di occhi che fissavano le due donne nel buio più totale.

Fissi.

Minacciosi.

E rossi.

Una mano si posò su quello che si rivelò essere un tavolo, dietro cui la figura stava seduta. Accese un lume, rivelando la presenza di una donna giovane, vestita da suora. Ma Tsunia ebbe la netta sensazione che sarebbe stata molto più credibile vestita da terrorista che da monaca. O anche da panda, piuttosto.

In effetti, Tsunia aveva spesso delle ottime intuizioni.

“Tu sei la sposina eh?” Disse la donna, passandosi una mano sulla guancia, dove una strana macchia a forma di fiamma spuntava dal velo insieme a una ciocca di capelli blu.

Tipi strani, questi italiani.

“S…Sì, sono io.” Ammise Tsunia, trovando un briciolo di coraggio che non se ne fosse ancora scappato a fare il minatore in Alabama.

La monaca si alzò, ignorando Reborn, fino a raggiungere un frigo bar accanto all’inginocchiatoio. Ne tirò fuori quella che aveva tutta l’aria di essere una fiaschetta di grappa, e la scolò, prima di tornare a guardare Tsunia.

“Vuoi la mia protezione, dunque…”Mormorò.

“Co….Così pare….” Balbettò Tsunia, guardando la madre.

La monaca le si avvicinò. La guardò per qualche secondo. Poi fece un’espressione disgustata.

“ALLORA MUOVITI E FILA A FARE OTTANTA GIRI DEL CHIOSTRO!!”Urlò. “NON VOGLIO AVERE SOTTO PROTEZIONE UNA BAMBOLINA! SONO STATA CHIARA??”

Tsunia si sentì gelare l’anima nelle vene, e prima ancora di poter pensare qualcosa le sue gambe stavano correndo attorno al chiostro con la forza della loro ultima volontà.

“Prendersela tanto con una ragazza innamorata…Allora è vera quella storia sul tuo amore perduto, eh Monaca Mirch?” Mormorò Reborn, sorridendo nella penombra.

Quel giorno, Reborn,  assaggiò ripetutamente con la testa quanto possano essere saporiti i muri dei conventi italiani.
   
 
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