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Autore: Blacket    09/08/2012    4 recensioni
[ Se solo le nostre mani fossero più vicine,
così che una volta unite,
il tempo non possa più nuocerci. ]
Non importa quanto il vostro rapporto fosse malato, ma il coraggio di presentarsi a nuovo- usando il requisito fondamentale della ricetta: un briciolo di follia, giusto per prendere la decisione sbagliata al momento giusto.
[...]"Il servizio apportato al III Reich come Ufficiale del secondo reggimento del fronte Est è stato sospeso [...] in quanto il soggetto risulta neurologicamente scosso, dopo la diagnosi qualificata come la pedita di capacità di codifica di memoria.[...] Herr Ludwig Beilschmidt verrà trasferito nella sua tenuta di proprietà a Blankenfelde nella periferia della Capitale. I nomi di parenti e\o inviati a prendere visione del soggetto saranno citati con la sottostante firma di approvazione.
Note: Non è permesso rintracciare alcun prossimo parente in condizione adeguatamente consona e attiva da poter prendere atto dello stato del paziente." [...]
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Sie sind ein Man I. Sie sind ein Man.



[ Se solo le nostre mani  fossero più vicine,
così che una volta unite,
il tempo non possa più nuocerci. ]


Il tessuto usato per i berretti delle divise nere era ruvido al tatto.
Si increspava quasi sulla pelle; graffiava impietoso i polpastrelli senza dare una benchè minima sensazione che potesse definirsi piacevole- pareva, suo malgrado, che fossero lavorati apposta per pungere ed allarmare, spostare l'attenzione su questi come fossero biechi avvertimenti d'allarme; dei corvi puntuti e gracchianti sulla testa dei soldati.
Avevano una forma terribilmente agnostica: così proiettata in avanti e lucida e nera, là dove avrebbe visto bene le ali untuose del macabro animale piumato, poi, poco più in basso, v'era il becco aguzzo d'un colore malato- tinto delle stesse sporche tonalità del petrolio, dal violetto acerbo dei riflessi al catrame denso delle ombre.
Questa, una delle diverse ed intricate (complicatissime perchè italiane) ragioni che avevano portato Feliciano ad aborrire la presenza  dei suddetti indumenti.
Riusciva a sradicarselo dal capo non appena poteva- sul campo, vibrando lo sguardo al sole e raccattando la scusante del caldo; nei piccoli momenti di pausa giusto per scostare le ciocche ramate dal viso- togliendosi quella corona di spine che a lui stava sempre un poco più stretta rispetto agli altri; e lanciarlo malamente sul piccolo divano della caserma o in mezzo ai mazzi gialli d'erba stappava finalmente i suoi più angusti pensieri, che là dentro alla gabbia di cotone pungente si accartocciavano fino a sopire e neutralizzarsi.
Non appena levava il masso nero davanti ai propri occhi, iniziava a vedere di nuovo con chiarezza ed un'obiettività allucinante, scoprendo quello stesso italiano dal sorriso oramai malinconico e pieno di falsi ricordi; un albun fotografico proveniente da quel paese visto sempre sotto una strana peculiarità: dotato di un pizzico di pepe e rosmarino in più rispetto al resto del mondo.
La Germania (lo sventurato continente che lo vedeva come martire, giunto lì a volere dei prossimi che stan seduti sullo scranno), al contrario, pullulava dell'acciaio più forte e denso, liquefatto per le vie ed evaporato al cielo così da tingere le nuvole ed il fascio nascosto di stelle; allungava i sapori e gli odori al malto della birra, e l'infimo dispiacere affogato in quest'ultima.
Inoltre, a quanto pareva, nessuno si lamentava troppo per quegli atroci berretti.

- Tieni.-
L'italiano allungò l'imputato corvo sul letto sfatto, lasciandolo cadere con un piccolo ritorno di molle vicino a Ludwig. Vide la stoffa ringhiante nascondersi fra le lenzuola tutte accartocciate sul fondo, rimbalzare un paio di volte prima di chetarsi al muto ordine delle pupille del suddetto teutonico- un uomo alto, robusto, dannatamente tedesco, "d'un obbedienza verso i superiori quasi delinquenziale", a vedersi bello.
Ma incomprensibile. Eternamente chiuso fra le sue mura quadrate della ragione, d'un inafferrabilità che l'aveva intimorito più volte e facendolo deglutire a vuoto innanzi ai primi impatti di marciume che aveva constatato nella sua persona- o meglio dire: nel suo essere Sergente. 
Il loro rapporto era un rompicapo, avviato per sbaglio da un motore di caotiche occhiate ed un primo incontro che poteva ritenersi l'unico nel quale erano entrati entrambi in una deliziosa sintonia; ossia lo scambio del comprendere ciò che serve all'uno e all'altro, nulla più che si possa considerare un chiarimento o un poco di luce sopra a quelle grandi nubi di tossico fumo.
Non sapeva se accogliere la sua decisione di consumare (bruciare?) quelle casuali voglie con lui fosse una strana presa di coscienza anche da parte di Ludwig- che infine, gli aveva volutamente mostrato la sua bisessualità o omosessualità in volute più ispide e serie del dovuto; senza che in realtà entrambi riuscissero a scoprirsi e conoscersi davvero.
Si presentava innanzi solamente l'angusto segreto spezzato fra le labbra ed i gesti dei due, flebile e reincarnato negli improbabili dettagli incastonati nelle nicche di quello sguardo in più che si rivolgevano,  l'attenzione febbrile che li colpiva puntuta con fitte striscianti sul ventre- eppure l'agognato sentimento che reclamava nei suoi sogni pareva che nemmeno avesse la forza di nascere e sbocciare, forse perchè il terriccio non era fecondo ma secco ed arido di spine e polvere e crepature forse curabili da una qualche acqua misteriosa, che ancora non si faceva trovare.
Ci pensava spesso, mentre lo scrutava rivestirsi in silenzio; mentre allungava sulla sua figura nuda i segni della nuova Germania che svettava grande e potente cucita sulle divise -e qui altri panni che poco gli andavano a genio, sempre più feroci ed incalzanti, non davano tempo di stabilire il perchè delle cose e ti si paravano innanzi pretendendo il mondo intero da chi era semplice ed umile.
Lo osservò con calma riallacciarsi la cintura - ed il suo guizzare dei muscoli creò nuovi fumi di confusa memoria; la sua foga nel togliere quello stesso pezzo di cuoio e calpestarlo con le brache di tela, ed una grinta un poco ubriaca e malmessa dallo stesso sorriso sbilenco che portava in volto prima di azzannarlo e tempestarlo di difetti violacei.
In quegli attimi Ludwig riusciva a concentrare tutto il suo essere su di lui.
Rammentava bene quei momenti: il sospiro spirato appena prima di una salda presa sulla vita, quella confusione di sguardi e gesti sordidi di coordinazione, il primo sfiorarsi rozzamente, indecisi sul da farsi di quegli incontri consumati senza porsi troppe domande che avvinghino la mente peggio delle tortuose spighe di rose, e che pungano la coscienza assente di entrambi bucando e facendo sanguinare via quel malato rapporto.
Ludwig aveva un incredibile bisogno di sfogarsi a quel modo. Lo intuiva Feliciano nel suo sguardo, nella colpevolezza del non aver nessuno, e sopra ad un velo inerte sopra all'unica pozzanghera di cielo che aveva trovato a Berlino: i suoi occhi azzurri e celesti, di mille altre tonalità del ghiaccio più freddo e ustionante - e man mano che cercava di avvicinarsi e scostare l'ombra cupa dei suoi occhi, il torbido gelare lo attanagliava fino a che non salivano a galla i brividi di pentimento e vergogna più che giustificata.
I baci di Ludwig mordevano e graffiavano, non amavano soffermarsi sulle sue labbra (giusto per sentirsi amate sotto il peso carbonaro delle armi); si trattava di una necessità violenta e senza risparmi che lo lasciavano senza fiato e gli succhiavano via l'anima- ed il tutto avveniva in modo così frenetico che Feliciano nemmeno aveva tempo di fargli capire quanto in realtà umano era; perchè le parole non uscivano dalla bocca se non in strani rantolii ed un mugolare doloroso provocato dalle sue mani, e la sua voce profonda che proferiva un imperioso "Mein" anche sotto gli ansiti.
Chissà com'era aggrapparsi a quella spalle cercando protezione. Oppure, udire il profumo di una voce così imponente su note di conforto.
Era abbastanza sicuro che vi fosse un uomo, nella sua testa di grano biondo- perchè infine anche lui era venuto al mondo gemendo, da una madre che dopotutto l'aveva amato; e aveva sicuramente avuto una famiglia, degli interessi, sogni e sentimenti. Così in principio è l'uomo che nasce sputando vagiti, indipendentemente da come il destino riuscirà a piegarlo.
Aveva avuto diverse parvenze della sua umanità senza nemmeno provare a scavare nel suo "io" per trovarci qualcosa; come degli inaspettati e semplici abbracci, gesti più candidi e puliti anche se attuati sotto un sovraccaldato lenzuolo e malvisti dagli spiragli coraggiosi della luce lunare- e filtrava indiscreta dalle finestre socchiuse, andando ad illuminare un'esigua fetta di vita, dove storceva un poco di meno il naso davanti ad un lento intricarsi di mani e braccia, dove l'italiano aspirava il suo odore di ferro e acciaio - misto a quell'essenza di muschio fresco e verde che ritrovava fra i capelli scompigliati dalla notte.
C'era infine ben poco da capire in quella situazione. Anche perchè, in definitiva, non sapeva se vederla mezza piena o mezza vuota d'opportunità.

Per quanto la situazione si potesse ritenere ridicola e confusionaria, Feliciano adorava guardare i suoi movimenti una volta calmo e tutto sommato pensieroso. Si trascinava addosso una meticolosità disarmante; le mani non si presentavano esitanti ma sempre con un nuovo ritmo a tamburellare nelle vene, e l'espressione assorta già sfilava davanti ad un incerto futuro di problemi,  la fronte corrucciata con quei suoi fari celesti a far da sentinelle, e le labbra semischiuse già preannunciavano il ticchettio da metronomo di quelle rotelle fumanti che gli giravano pronte in testa.
Lo vide prepararsi con attenzione, misurando i soliti meccanici movimenti, coprendosi da capo a piedi e permeando quella figura con la quale si presentava al mondo, ma non a lui- oramai sapeva cosa c'era sotto le vesti, ogni singola cicatrice albina che solcandolo, tracciava nuove linee del suo corpo conosciuto e non a tragico contempo.
Al termine di quella singolare investitura da soldato,  arraffò il tanto odiato cappello, per poi imbastirlo alla meglio sulla propria testa. Feliciano udì i tacchi degli stivali piombare pesanti a terra, intimidendo le assi di brullo legno- così si ingrandiva il grande Sergente e la sua crudeltà, si stampava piano piano fino a farsi enorme, iniziando a scalpellare le coscienze dei subordinati dal reticolo più esterno, riuscendo fino a oltrepassare le pesanti mura di pietre e mattoni, arrivando con estrema facilità a giungere al Re del castello.
- Buona giornata.-
Si voltò verso di lui con intenzione marziale, drizzandosi in piedi come un palo di ferro, che si sarebbe rivelato coperto di ruggine anche se apparentemente forte ed invincibile. Al suo confronto, Feliciano era molto più simile ad una spiga di grano. Buona, semplice, irrimediabile ed indispensabile: si sarebbe piegata anche al più piccolo sbuffo di vento, senza però mai accennare a spezzarsi definitivamente.
-A lei.-
Il consueto sorriso amaro a fargli da compagno, nascosto dietro al piccolo tonfo della porta oramai chiusa. Feliciano non se ne sarebbe mai più separato, in un certo qual modo.

Ludwig era esattamente come uno di quei berretti.
Grezzo, d'una ruvidità allarmante e chiuso a gabbia; graffiante e ruggente sotto ogni punto di vista, poco malleabile e rigido come il ferro- eppure, Feliciano, si ritrovava sempre a portarselo addosso.




Alcuni corridoi delle infermerie trasudavano dallo stucco malmesso il soffocante freddo dell'odore medicinale d'esperimento molto più di altri; accompagnavano l'ultima fermata dei feriti di guerra con l'avorio smunto delle pareti, spalmato a manto sull'intero piccolo edificio di frontiera e volgendo alla neutralità l'intero luogo- ma sempre chiazzato da grida profonde d'incurabile tenacia, rovinando l'idilliaco pensiero del bianco immutabile e denso circondato da un onnipresente verde foresta.
Non v'erano troppe parole di conforto da sillabare nel luogo del forzato silenzio, o piuttosto sarebbero dovute salire in alto facendo tuonare le ugole forti e dando nuovi rintocchi di metronomo ai "tic" sempre più lenti dell'antico sperare.
Feliciano aveva l'impressione di avventurarsi nelle fiabe di Babilonia, e girare a vuoto nella famosa torre demoniaca sfilando uno per uno i gradini aguzzi; eppure rimaneva così distante dal mondo dei camici bianchi, quelle barelle lanciate a sfrecciare con appresso una responsabilità molto più grande di quella che delle semplici stanghe d'acciaio di sarebbero aspettate.
L'italiano vedeva ogni singolo piano della costruzione passargli davanti agli occhi intrisi di una compassione non sua e certamente non premeditata- perchè in quel luoghi, oltre al puzzo di acidi v'era quello della sofferenza, che non aveva più la possibilità di togliersi o sgretolarsi dalle pareti; non si riusciva a lavarlo via, ma unicamente a percepirlo tonante e cucito sotto i muri.
I controlli mensili della fisicità adibiti per i soldati erano un supplizio per fin troppi armati.
Feliciano non spregiava il lavoro degli addetti- una semplice visita ai polmoni, la lieve occhiata che davano al cuore ascoltandolo mentre si aspirava a boccate per pochi secondi, le cure per i piccoli problemi che in tempi simili non coprivano certo delle necessità, e venivano lasciate a raggrumare sangue piccole ferite, un raffreddore covante l'otite, infezioni da poco conto- piuttosto il tragitto da compiere per capire effettivamente se si era ancora in grado di imbracciare un'arma e correre assieme al battaglione d'attacco- ma chi si era mai premurato di constatare se un uomo definito tale era pronto per sfiorare rigidamente la canna di un fucile, e puntarla verso colui che chiamavano nemico?

Per motivazioni che possono essere sicuramente comprese dall'animo sensibile di chi prima sparava colori e sfumature su tela invece che piombo da una doppietta dell'esercito, l'uscita ed il ritorno al campo risultavano un compito assai meno gravoso e più pulito- magari perchè ci si sentiva un poco lerci a vedere i soldati mutilati a gemere in un piccolo angolo, ma abbassando il capo verso il pavimento consumato si poteva fingere di aver scrutato ben poco di quello che in realtà era stato assorbito dai sensi.
In definitiva, Feliciano si ritrovava a marciare veloce rispetto ai suoi standard, incantandosi di tanto in tanto a cogliere una nuova screzia nelle mattonelle pietrose e calpestate più volte con differenti attriti. Erano delle buone compagne per racimolare meglio i pensieri- in luoghi del genere, era molto meglio proiettare il proprio pensiero verso altri problemi; magari i propri, senza accattarsi quelli degli altri.
Doveva assicurarsi che suo fratello stesse bene. Oppure, avrebbe dovuto trovare qualcos'altro per annullarsi in mancanza di Ludwig.
Non lo vedeva da una settimana buona, e per quanto quell'essere potesse interessargli sotto certi punti di vista, era stata una breve vacanza da quello che rimane un suo personale enigma senza un'apparente testo nè conclusione, lontano dalla sua Superbia sul campo di cenere ed i gesti sempre troppo intensi.
Forse, però, l'aveva fatto apposta- certamente il tedesco sapeva prima di lui quando avrebbe avuto visite mediche, e farsi trovare sulla pelle infiniti segni violacei aggiunti ad una dolorosa posizione a sedere non l'avrebbero certo agevolato in quella gabbia di leoni. Ciò che infine lo affliggeva -o meglio: gli impostava un suo certo metodo di pensiero durante certe ambigue azioni nei confronti di Ludwig, che invece di allontanarlo come avrebbe dovuto lo incoraggiava a non sottrarsi alle sue spine.
Non era ancora arrivato a forzarlo, quel lupo dal pelo ispido e nero; pungente e irto dalle incombenze, ma elegante se ammirato da lontano, eppure sempre fieramente brusco in ogni suo tiro di fiato- perchè seppur bramando il sapore di quel piccolo agnellino, si limitava a morderne la carne lasciandola intatta e arrgovigliando i ricci spumosi della lana, senza fermarsi a leccare confortante gli involontari tagli (venuti si a lacerarsi fischiando nella mente più che sul corpo) ma lasciando la certezza che sarebbe tornato. Sicuramente incoraggiato da quel cambio di grezze carezze lanciate l'uno sull'altro forse per sbaglio, che si inceppavano sulla pelle come se fosse intervenuta una piccola scarica elettrica a farli desistere; ma il gesto si misurava con la medesima forza e si imprimeva sulla pelle e sulle labbra morse fino a diventare vermiglie.
Per quanto potesse negarlo, pensare a Ludwig nuoceva solamente la purezza della sua anima -non considerato l'evidente desiderio di essere sfiorato in modo diverso, oppure rubargli qualche ansito più dolce del solito- e si limitava unicamente a rinfrancare in un certo qual modo la propria fisicità.
L'immaginarlo nelle bieche faccende umane rispecchiava più una sua spavantosa curiosità ed interesse nei suoi confronti che già riusciva a metterlo in serie difficoltà.
Trovava frustrante la loro non-conoscienza.

Ludwig Beilschmidt.
L'aveva sentito chiaramente.
Con quel timbro così dannatamente tedesco, infisso sulle poche vocali e scivolando malamente su tutte le consonanti indurendone opportunamente la pronuncia; infine, lanciando un soffio felino giunti alla "sch", ricalcandone la provenienza e l'acciaio con cui le sillabe si andavano formando.
Anche l'infermiera, che essendo dunque una donna auspicava ad un parlato sicuramente più melodico ingranava a quel modo- ma il tedesco imponeva dei pilastri di pronuncia così arrugginiti, senza che si desse la giusta intonazione e sinfonico impatto nell'ascoltare.
Il sentire il suo nome pronunciato in quello strinìo di ghiaccio oltre che a intristirlo gli procurò dei brividi, accompagnanti la mentale visualizzazione della sua persona.
Comunque incalzato da quella pulce nell'orecchio, ed ostentando una consona sicurezza, si avvicinò alla stanza da cui era uscita la lavorante falciando la linea polverosa del sole- quella lama luminosa piantata a girare sull'asse della porta legnosa, e dava quell'impressione impietosa di entrare in un luogo al contempo dimenticato e ricordato, in quelle occasionali occasioni dove rivivendo il passato prendeva piede il vecchio ripostiglio abbandonato dove infine, anche se le parole ne agognavano il contenuto, nessuno sarebbe andato a controllare se tutti i ricordi stipati là dentro erano ancora intatti.
Fece uno, due passi in silenzio, prima di imbattersi nel cielo di Berlino.
Un fascio azzurro e senza nuvole, pulito sin nel profondo- vide un intero mare in quegli occhi celesti, di una densità così languida che avrebbe potuto specchiarcisi.  Erano belli. Forse più del dovuto.
Gli pareva di entrare in una piccola casetta non sua, anche mentre osservava la condizioni di Ludwig un poco ammirato come un buon attivo spettatore; attento ai mutamenti ed ai dettagli, tutto preso a constatare quanto quella scoperta l'avesse travolto: gli era sempre stata sotto il naso, ed ancora non aveva potuto vedere tanta disperata umanità in uno sguardo.
Stupefacente.
Si chinò di poco sul posto, come per catturare meglio i dettagli insoliti colti probabilmente per mera fortuna; come dei capelli lievemente più disordinati e lasciati ricadere e pizzicare la fronte,  le labbra semischiuse in quello che doveva essere il suo esatto specchio, ed una benda già sporca a fasciargli la testa. Vide il suo respiro farsi vivo sotto la camicetta verdognola del tipico ricoverato, dei gesti incredibilmente confusi ed infantilmente semplici- afferrò la coperta che lo copriva, guardandolo con tanto di occhi e stringendo le labbra piene nel vuoto di una morsa.
-Ludwig?-
Sussurra ad una belva che anche ferita riesce ad intrappolarlo con l'innato colpo di scena, facendo della propria figura un faro d'attenzione in cui Feliciano aveva colto troppo per ignorare completamente quello sguardo che ben altro significava per lui. Oh- quante volte aveva colto le pupille dilatarsi a quel modo fra le pile delle granate, sul campo e sotto il sudore di una corsa e dopo una breve e comune doccia; senza però l'impatto devastante che essi gli davano.
Magari, quella poteva considerarsi una piccola svolta al loro tirarsi e mollarsi a vicenda; un'occasione da sfruttare con la porta ben chiusa ed una prospettiva diversa incastonata sul sorriso in volto di Feliciano- così lasciò la malizia mascherargli sinuosa i lineamenti, e mentre il capo si voltava verso l'entrata sbarrata le dita agili correvano cariche di aspettativa ai bottoni della divisa.
Certo, era sicuro del significato di quello sguardo. O forse, del fatto che non gli avesse ancora parlato assieme.
- Che ti han fatto? -
Gli occhi scuri si coprono di lieve preoccupazione, mentre la giacca viene posata su un piccolo sgabellino dinoccolato lì accanto, scivola come l'acqua animato da gesti più consapevoli e forse approfittatori; forzati dal desiderio di poterlo accarezzare come ne aveva voglia, per una sola volta.
Eppure Ludwig esitò a rispondere, assottigliando invece le palpebre come per scrutarlo meglio; e magari, in qualche suo improvviso pensiero, non arrivava a concepire tutto ciò che fermentava la voglia di Feliciano e gli graffiava impietosa il ventre- ed il sorriso non si spense, anche quando le le mani seguirono il profilo naturale dei fianchi ed intersecandosi poi sulla cintura.
Si trattava di un ballo che poteva finalmente essere danzato da ambe le parti- non v'erano strane restrizioni o inconsuetudini; glielo dicevano gli occhi di Ludwig fattisi così naturali, erano un perfetto filtro delle emozioni: si buttavano straordinariamente intense sulla sua coscienza annunciandosi con un'iride scottante, che avrebbe definito di un color cielo scarlatto (per quanto improbabile fosse).
Con un lieve strattone tirò il cuoio fino a farlo tintinnare sull'allacciatura metallica. Trovò quel suono carico d'attese e d'una strana nota animalesca, giusto a braccetto col il fare del tedesco- gli piacque.
-M-ma..Cosa sta facendo?-
L'ufficiale aveva avuto il coraggio di parlare, finalmente.
Eppure, per la triste gioia sopita di Feliciano, avrebbe forse potuto starsene in silenzio.
Quella voce solitamente roca e profonda, aveva dato un guizzo involontario d'acuti dopo che si era accorta di star facendo lo stesso ritardo di chi ha da svegliarsi come sognatore. V'era solamente la confusione nel suo sguardo, una contrapposizione al suo solito stampo di ferro che pareva quasi corrodersi sul volto.
Non era una maschera adatta a Ludwig.
- Si rivesta!-
Feliciano, la cintura a mezz'aria stretta nella mano destra, due occhi fatti a palla piantati accusatori su Ludwig come due lanterne da stadio, ed il capo furetto che poi fuggiva dal malato e correva ovunque, giusto per comprendere se avrebbe preferito che lo avvisasse prima (nel caso fosse munito di telepatia,oppur informandolo con una diversa veemenza che aveva davvero poca voglia di combinar qualcosa), o che all'improvviso allargasse le braccia, magari sputando fuori che in realtà stava scherzando - testando magari anche le sue innate doti di recitazione. Poteva andare?
Aveva un'espressione indignata, un po' a rimproverare quella sua idea che all'inizio gli era parsa più che geniale.
-Eh?-
Aveva ancora la cintura che penzolava smorta dalla sua presa.
Pareva un appiglio un poco smangiucchiato o forse non consono -magari un filino idiota- ma non avrebbe mai accennato a rimettersela per nulla al mondo; un poco per la vergogna, un nuovo stadio di sensibilità che si appianava piano in lui che aveva scoperto essere ingannatrice ed orribile, uno dei più brutti dipinti che mai si era figurato in occasioni simili.
Il lupo aveva appena ammonito l'agnello perchè si stava togliendo la lana- non era forse la cosa che desiderava?
In quel momento, la sua mente vagò verso diverse alternative.
Non aveva ragione di volersi la colpa per quell'infausto gesto, preferiva di gran lunga attenuarsi con una scusante che non invischiasse nel fango la sua dignità, anche se effettivamente, una cintura ed il suo sguardo malizioso non propinavano delle buone frottole da raccontagli- poteva per esempio sproloquiare su quanto avesse voluto strozzarsi, con quella cintura.
Si guardarono consci dell'aria pesante, imporporati entrambi di uno strano imbarazzo non premeditato e punzecchiante; capace forse di resuscitare quelle umane sensazioni che in luoghi di fuoco e cenere avevano smesso di farsi largo fra gli sguardi duri e freddi, magari stabilendosi lontano da quei campi di vergogna che proprio non riuscivano a sopportare.
Riuscire a vedere quel rossore sulle guance di Ludwig, gli ricordò quanto anche lui fosse uomo- e poco importava che fosse in un frangente così ambiguo e altalenante, era innanzi a quella fiera che aveva visto come ringhiante ed imperiosa sgretolarsi piano piano; puntava gli occhi vivi verso quelli che sarebbero potuti essere i suoi padroni, e guaiva mesta in attesa di vedersi regalare anche lei delle affettuose carezze sul capo che mitigassero un po' il pelo fatto di chiodi e tinto della fuliggine più sporca. Desiderava forse trovarsi a scodinzolare per qualcuno? Eppure, era conscia di essere diversa, destinata a calpestare il sottobosco fresco di muschi invece che zampettare per un'accogliente casa, trovarsi ad essere il Cattivo in presenza di troppi falsi Buoni.
-...Chi è lei?-
Ludwig deglutì, le sopracciglia inarcate in un moto incrinato- quasi da un momento all'altro si sarebbe trovato spezzato in due; come se finalmente si fosse accorto di esser fatto di cristallo, che il suo annullarsi in certi casi non serviva a farlo forte. Ma quelle parole?
-Scherzi.-
Feliciano, incredulo, vide le pupille dell'ufficiale dilatarsi, come a voler risucchiare ogni più piccola ombra ed il più flebile filtro di luce, per poi restringersi precipitosamente fino a diventare un minuscolo puntino tinto di catrame, lucido e scattante ma ancora pauroso e diffidente- eppure non vedeva quegli occhi come dei piccoli cristalli alpini, ma braci celesti ch'ardevano di una vita ancora mai sfiorata e conosciuta nella sua persona; non si trattava di un piccolo bocciolo verde, ma piuttosto dell'entrata in scena di un grande campo nuovo ed arato. I semi erano volati placidi ad impastarsi con la terra, ed ancora non si poteva sapere cosa ne sarebbe cresciuto: se il bramato manto arcobaleno dei petali dei fiori, o le spine velenose dei malati rovi. Lo stava prendendo in giro?
Guardandolo con quella una sensibilità sicuramente repressa dall'esercito e dalle divise rigide e scure, Ludwig riuscì però a trasmettergli un'emozione.
Una sola.
Uno zampillo di fuoco scappato dal proprio padrone, di quelli che volteggiano in aria credendosi un poco immortali- le solite fiammelle che si tuffano felici nel fuoco prima di levarsi a far da corona con piccoli puntini incandescenti e vibranti, capaci di portare una fiammata ed una scintilla che avevano rubato prima dalla loro casa fiammante- bastava loro trovare uno spago secco e provato, per scatenare una gloria ardente d'incendio.
Infine, lo Spaesamento.
Ne constatò tanto, ne vide un intero orizzonte pieno- là dove avrebbe voluto scorgere delle aspettative un poco rosee sul delicato salutar del sole, invece che nuvoloni  zeppi di satire maleodoranti, una condensa di cirri  violentemente fatti del grigio scuro della fuliggine, di nubi danzanti solo per miracolo.
Quasi, si ritrovò a reprimere le parole di conforto che spuntavano amare sulle labbra. A quel dannato tremava la voce, di un sibilio tipico di chi non aveva preso prima il coraggio necessario per parlare- che il soldato d'acciaio doveva poter sentir sibilare solo dai condannati a morte.
- I...Medici mi hanno detto che h-ho.. perso la memoria.-
Parve pensare poi al seguito, mettendo in fila ogni singola nuova informazione che gli era stata data, magari sforzandosi un poco per ricordarla- volendola faticosamente mettere in pratica.
- Ho battuto la testa. Mi...dispiace, non ricordo di lei.-
Il tatto primordiale dell'artista, porta ad una visuale completamente differente di quello che è il mondo percepito dagli altri.
La vista di Ludwig, per Feliciano, equivalse quindi ad una totale immersione nell'ispirazione- uno strano incontro con una musa nemmeno mai lontanamente sospettata. Come non poteva  non soffermarsi su quella nuova scoperta, da bravo esploratore qual'era. I nuovi dettagli che riusciva a cogliere si tramutavano in mille e mille nuovi dipinti, toccati dalla chioma scura del dispiacere.
Ecco i tratti marcati del volto, da uomo forte -uomo d'armi- che scivolavano inadatti sull'impressione che dava di sè; quella voce di una profondità avvolgente fattasi sfusa ed incerta- e Cielo! la sua espressione coronata dal grano biondo, un paio d'occhi lasciati aperti, bellissimi ed espressivi.
Anche se il cuore accennava un poco a scottarsi con delle nuove emozioni, la sua personale visione gli piacque tremendamente.
Abbassò le braccia, lasciando che la cintura si sfilasse sinuosa a lato del letto (infine, non avrebbe potuto certo spiegargli cosa aveva intenzione di fare; era oramai una stoccata persa - e forse, ciò che lo infastidì di più, fu l'indecisione di esserne felice o meno.), provando forse lo stesso sentimento che si accenna ad una perdita. Si avvicinò piano, mordendosi un labbro, e fissando così intensamente quelle bende aspre e giallastre che teneva si sarebbero disintegrate da un momento all'altro; erano così legate al suo capo, così macabre.
- Mi dispiace. -
Il muoversi era diventato uno strano impiccio. Perchè la bestia selvaggia che aveva di fronte, a differenza di ciò che era prima, non sapeva dove e come fermarsi- e poteva benissimo rimanere intontita  e frustrata, ma una fiera rimaneva: possedeva ancora i suoi artigli e le zanne d'avorio, il ringhio potente e la tenacia di ferro.
Forse, anche per quell'immagine piantata in mente, Feliciano si avvicinò con la discrezione di chi si appresta a rapportarsi con un qualcuno ancora da addomesticare sotto ogni punto di vista, esente da ogni contatto umano e fisico.
Tese poi sicuro la mano destra,  ostentando un sorriso falsamente allegro, una di quelle maschere che lì dentro però portava spesso e volentieri.
- Sono Feliciano Vargas. -
Tutto da capo. Poteva rifarsi la sua immagine, aveva l'obbligo di far rivivere ogni gesto dal primo e più insignificante stringersi una mano, non necessariamente sfociando nell'intimo. Si trovava fra le mani un libro prima scritto malamente, pieno di cancellature e segnacci rossi, ed ora completamente bianco ed immaccolato.
Pochi, pochissimi appunti lo scrivevano di un'ordinata ed ordinaria calligrafia. Quello che quindi v'era scribacchiato frettolosamente all'inizio, per quanto molto o meno importante e confusionario, era andato perso.
Avvertì poi la sua stretta non più forte come un tempo incatenarsi alla sua presa, uno sguardo azzurro che per lui era l'invito più blando a non lasciarlo solo.
- Lei mi conosce già, credo.-
"Non importa, non è vero."
Un pensiero a dirsi abbastanza stupido, tristemente comparso dopo aver assorbito l'impatto di un semplice pensiero: lui Ludwig non lo conosceva. Poteva insinuare di saper quel'era il suo modo di fare, poteva affibiargli diverse figure ed impressioni scaturite solamente dal caso, ma non avrebbe saputo dirgli dove abitava, se aveva famiglia, quel'era il suo colore preferito e se aveva una qualche passione- poteva ragguardarlo sul suo ordine, sul fatto che gli piacesse la birra ma che non cedeva troppo passo all'alcool, eppure non avrebbe saputo snocciolare informazioni sul suo privato anche quando di faccende private fra loro c'erano state. 
Era partito dall'ultima pagina di uno scritto per arrivare alla prima. Da ciò che di solito si scopriva in ultimo -o mai- in una persona, senza tentare di conoscere le basilari informazioni di un individuo. Ora non poteva negare, che il loro precedente approcciarsi fosse decisamente inconsueto.
Trovò però interessante la preoccupazione che covava nei suoi confronti. Forse era quello strano modo di presentarsi a lui, magari era rimasto affascinato dal pelo nero tirato a lucido del Lupo, e che prima non aveva mai avuto modo di vedere a quel modo.
Sentì il forte bisogno di occupare quel libro vuoto- magari lasciarci una piccola dedica con apposta la sua firma, un pensiero che l'avrebbe tranquillizzato dandogli un fascio di origini anche quando non le rammentava affatto. Sentì quindi, il bisogno di mentire.
- Sono un suo commilitone, ero preoccupato. Sono venuto a cercarla.-
Si sedette cauto sul bordo del letto, afferrando poi con la code dell'occhio il movimento repentino quanto impercettibile di Ludwig nell'allontanarsi. C'era da aspettarselo.
Sperò quasi che si aggrappasse a quella sua uscita, che magari si sentisse pronto ad appigliarsi ad un qualcosa che tenesse la sua mente sveglia e laboriosa- che in qualche strano modo, pensasse a lui non vedendolo più come uno sfogo.
Avrebbe voluto voltarsi e rivedere quel viso e la sua nuova espressione, tutti quei dettagli sconosciuti e sentirli vivi sotto le sue dita, vibrare sotto i polpastrelli e farsi caldi al contatto con la sua pelle chiara. Lo sguardo si puntò invece sulle sue mani, tenute dapprima a torturare la coperta, poi lasciandole cadere sonnolente in grembo. Osservò il dito steccato alla mano sinistra, si trattenne dal sfiorarlo con la sua.
- Ero un militare?-
Aveva sussurrato quella domanda con una strana fatica, un tono non propriamente da Ludwig, con una nota di disperata curiosità ancora da identificare ed il dubbio, alla fine, di non potergli dire nulla. Chi perdeva la memoria non poteva riassumere tutti i propri ricordi chiedendo in giro, sicuramente- questo, lo sapeva anche lui.
Ma stupidamente e senza pensarci, l'aveva avvisato di essere un suo commilitone (oppure, l'avrebbe intuito dalla divisa borchiata appesa all'attaccapanni o dall'epiteto di "Ufficiale" che nolente usciva timoroso dalla bocca di tutti).
Sarebbe stato inutile nasconderglielo.
-Si. Un bravo militare.-
Lo guardò negli occhi, avvicinandosi inconsapevolmente a quella strana scultura- anche perchè, in fin dei conti, non poteva definirlo diversamente: ogni suo lineamento portava alle mente il marmo levigato delle antiche ed oramai famose figure dei monumenti sparsi per il vecchio continente. Gli piaceva vederlo così.
Sorridendo, si allungò nel mentre a raccogliere la cartella clinica lasciata sul comò al fianco di Ludwig - e lui lo guardò confuso, come avrebbe fatto un cucciolo inesperto spinto per la prima volta ad esplorare il mondo in tutta la sua crudezza- e fece attenzione a non poggiarsi su di lui prima di tornare seduto al suo fianco. Gli lanciò un'occhiata amaramente rassicurante, prima di sfogliare la carta sottile, un poco stropicciata e stampata di scuri caratteri neri.
"Il servizio apportato al III Reich come Ufficiale del secondo reggimento del fronte Est è stato sospeso [...] in quanto il soggetto risulta neurologicamente scosso, dopo la diagnosi qualificata come la pedita di capacità di codifica di memoria, data dalla- [...]"
Feliciano arricciò il naso sentendosi a disagio, mascherandosi alla meglio per non mutare espressione, trovandosi schiacciato da quei termini tanto autoritari- che stampati lì parevano l'unica condizione accettabile per il personaggio in questione, come fosse il parlato di chi possedeva una conoscienza senza pari. Tante scabrose parole, solo per spiegare il fatto della sospensione d'attività.
Si ritrovò per un secondo ad essere fissato da Ludwig, e sentendosi uno strano imbarazzo addosso, si scusò voltando frettolosamente pagina, ed accomodandosi meglio; non stava male seduto lì vicino a lui. Era silenzioso, indiscreto, si era sporto appena per conoscere la sua condizione magari leggendo e senza proferir parola; un suo presenziare silenzioso, che per nulla poteva recargli fastidio.
"Herr Ludwig Beilschmidt verrà trasferito nella sua tenuta di proprietà a  Blankenfelde nella periferia della Capitale. I nomi di parenti eo inviati a prendere visione del soggetto saranno citati con la sottostante firma di approvazione.
Note: Non è permesso rintracciare alcun prossimo parente in condizione adeguatamente consona e attiva da poter prendere atto dello stato del paziente."
Quindi era solo.
Nessuno avrebbe potuto accompagnarlo, nè prendersi cura se avesse avuto bisogno, dargli una botta di conforto quando il malditesta sarebbe giunto feroce a chissà quale ora della notte, svegliandolo con forti scossoni- e solo il manto notturno gli avrebbe fatto compagnia in quei terribili momenti, anche quando sarebbe venuto il terribile dubbio di non riuscire più a ricordarsi dove aveva lasciato le chiavi della tenuta, per quale motivo si ritrovava in cucina e cosa avesse deciso di fare appena prima di uscire di casa; non avrebbe potuto che stringersi al nulla, magari accovacciarcisi aspettando di dimenticarsi anche quel dolore. Da solo.
Guardò gli spazi vuoti che avrebbero dovuto riempirsi dello scribacchìo incomprensibile della sua famiglia, ma che sostavano incomprensibilmente lì in attesa, forse nemmeno speranzosi di vedersi tinti del nero d'inchiostro.
Chi avrebbero inviato da Ludwig? Sarebbe stata una persona presente ed umana -oppure, oppure gli sarebbe stata simile per freddezza e serietà-, sarebbe riuscita a carpire qualcosa della sua persona ancora prima di lui?
Incomprensibilmente, e senza che effettivamente avesse deciso di farlo, arraffò goffo la penna a lato della plastica dura della cartella, apponendo veloce un indeciso "Feliciano Vargas"- così facendo, riuscì forse ad intuire la maggiorparte dei pensieri che lo affollavano riguardo a Ludwig e che se ne erano stato nascosti in strane pieghe della sua mente- rifugiandosi infantili dietro ad altre preoccupazioni giocando a nascondino.
-Cosa avete scritto?-
Feliciano deglutì, inspirò l'aria avvertendo nolente il profumo semplice del verde muschio così fresco e particolare, vide quegli occhi che rivolgevano a lui un semplice pensiero- e quella menta quasi totalmente resettata, non poteva che immaginarlo come un buon conoscente, magari un affezionato conosciuto sul campo di battaglia. Non era comunque ancora sicuro di voler sapere cosa girasse nella mente di Ludwig al suo riguardo: la differenza dal prima al dopo avrebbe potuto schiarire fin troppo quel tramonto formato da cirri grigi e di rara condensa.
-Hai una tenuta, sai? Ti ci trasferiranno. Verrò io con lei, la aiuterò se ho bisogno. Una pausa non mi farà male, e credo che Blankfelde sia un bel posto. Secondo me-...-
Parlava, perchè aveva paura di quello che sarebbe uscito dalla sua bocca, se avesse tentato di starsene zitto. Temeva che altri pensieri lo punzecchiassero, continuassero a limarlo lasciando piccoli tagli ovunque, che passassero su ferite ancora aperte, e che lo colpissero dove non dovevano- che fosse la mente a uscirne sofferente, che il cuore non ci provasse nemmeno.
Si fermò appunto- inceppando la lingua in quell'infinito mangianastri, soffermandosi a cogliere l'insolita uscita del tedesco senza memoria, che ora lo osservava leggermente curioso, cercando di trattenere la sua proverbiale curiosità dietro alla naturale maschera di logica serietà stampata sul volto.
- Hai uno strano accento.-
Fece, con un'espressione così indecifrabile e completamente scoperta da ogni falsità, che avrebbe potuto leggerci addosso qualunque cosa volesse- un intero poema, di un confuso comportarsi ancora arrugginito dalla sorpresa e dallo spavento, il tutto sviolinava verso una sinfonia deltutto diversa dal solito- un timbro veloce dell'archetto legnoso capace di svegliare il piacere dell'aspettativa.
- Italiano, Herr Beilschmidt.-  

E per qualche strana ragione dettata dalle confuse spire mentali- capaci di ritrarre fino ad un certo punto quello che si prova sostando in uno stadio umano, se non aiutare da altri fattori: quali un organo pompante e lo specchio indissolubile dato dalle pupille nere- non appena Feliciano uscì, si sentì addosso un peso non suo, il pestare cocciuto di idee lasciate impietose a campare per aria; ed uno strano sussulto che si rilasciava in un sospiro, il groppo in gola tanto ardente dall'invogliarlo a piangere.












Blacket's Time:

Dal titolo: Anche tu sei un uomo.

Non so più quante persone devo ringraziare.

Tralasciando la storia in sé- in questo periodo un po' svogliato, ho chiesto disperati consigli a chiunque riguardo a trame, il mio metodo di scrittura, i dettagli che non tornano, e altro-fin troppo. Nonostante le risposte mi siano arrivate chiare e rassicuranti, sono state diverse sorprese e chiacchiere a farmi scoprire quanto io abbia voglia in realtà di dire un qualcosa. Non per l'importanza in sè, ma per la voglia di far apparire nella mente di un'altra persona la stessa immagine che voglio dare- aiutandomi questa volta, con le parole.
Ringrazio quindi qualsiasi persona mi abbia appoggiato o incoraggiato, in particolare la mia Capra, la mia Carota, e la mia Zuccherofila. Sono conscia della mia pesantezza, quindi Grazie.
Comunque- non mi riferisco a questo testo in particolare, se ciò che ho scritto fa schifo, è un'altra storia.

Questa Fic la finisco.
Si, perchè me lo sono prefissata, e sono solo trequattro capitoli che ne verranno fuori. Ce la farò, lo prometto giuro solennemnete sopra alla guida dei babbuini volanti, eccetera eccetera.
Ditemi però, se pubblicarli pure, questi capitoli. Esprimetemi un pensiero, un pollice rivolto verso l'altro o il basso.
Grazie a chi ha detto fino a qui, spero nessuno abbia minacciato di tagliarsi le vene per la noia.
E ci ficco
Der Buschtabe |Sbavature perchè inconsciamente, me l'ha ispirata. Non so come abbia fatto, ma me l'ha ispirata. Lo so, c'è il link e sono una persona ORRIBBILE.

Baci Bavosi, Blacket.

  
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