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Autore: FairLady    09/08/2012    2 recensioni
[Autori Libri]
[Altri Autori Libri] Ho letto in un giorno il libro di Erica Arosio "L'uomo sbagliato"
Non so bene perché e per come.... ma mi ha colpita. Mi è entrato dentro e mi ha lasciato anche un po' l'amaro. E quando sono arrivata all'ultima riga mi è uscita di getto questa One Shot.
non so bene chi la leggerà. Forse questo libro non l'ha letto nessuno di voi...ma avevo bisogno di condividere.
Il rating è giallo per alcune parole un pò forti che ho usato. Non contiene scene di sesso.
Nona classificata al contest "Second Chance" indetto da SummerRain sul forum di EFP
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ricordare di te. Di me. Di noi.
Anche quando non eravamo veramente noi. 
Forse erano due che ci somigliavano. Che grattavano dalla vita quello che riuscivano. Che si accontentavano di attimi sporadici ma vivi ed intensi.
Talmente tanto da infilarsi sotto la pelle e radicarsi come capillari. Insinuarsi nei muscoli, fino ad affondare nella carne più debole e per questo più vulnerabile. 
E senza accorgertene ti sono arrivati nell’anima e da lì, da quell’ammasso di sentimenti, emozioni, spasmi, dolori e lacrime, non li togli più. Neppure con tutta la forza di volontà di questo mondo. Neppure se ci provi fino a farti sanguinare le dita. 
Quando cerchi di accantonare a fatica le sensazioni e il cuore, apri gli occhi in un breve istante di lucidità e ti dici che sì, in fondo è stato meglio così.
Non analizzi. Non capisci veramente. Non ti capaciti di quello che è successo. Sai solo che ti ha lasciato disarmata ed immobilizzata perché nemmeno tu sapevi di poter provare certe cose. Non ti conoscevi davvero. E allora attui un’opera di autoconvincimento, sperando che prima o dopo ti possa rendere conto di quanto sarebbe stato sbagliato continuare a farsi male. 
Le parole sono belle perché ti danno l’illusione di poter spaccare il mondo.
Con le parole è facile organizzare, decidere, immaginare. Sognare. E ti perdi nel piacere di materializzarti in una vita che vedi migliore. Che pensi di volere. Che credi ti debba appartenere. 
Le parole sono una droga e quando inizi a sniffarle sei certa di poter smettere quando vuoi; invece ti invadono la testa come un fiume in piena. E non le fermi. No. Prendono il sopravvento e tu sei fregata. 
Però poi arriva sempre quel momento in cui le parole finiscono e il flusso dei pensieri si congela. Basta un momento e tutto si blocca e ti lascia davanti al quadro scheggiato e scolorito della tua realtà. Sfacciatamente. Crudelmente. 
E anche se con tutta te stessa vorresti restare ancora in quel sogno che ti ha dato tanto, che ti ha presa e scossa e devastata e mutata e sradicata da ciò che credevi di essere, sei costretta a tornare in te. Arrancando. Trascinando la tua volontà per i capelli. Strattonandola come un magnaccio fa con la sua puttana che nasconde i propri guadagni per non farseli fregare. 
Sei inerme e ti lasci scivolare via. E pensi che dopotutto quel dolore l’hai meritato e forse ti farà spurgare tutto il male che hai fatto agli altri e anche a te stessa. 
Non solo ti sei permessa di sognare ma hai azzardato, allungando la mano nel tentativo di acchiapparlo quel sogno. Ti senti uno schifo ma poi guardi il riflesso del tuo guscio allo specchio e reciti come una litania tutti quei luoghi comuni dal potere consolatorio. Che poi non è che consolano. Non sono un balsamo. Né un placebo. Sono peggio di una bolla d’aria sparata direttamente in vena. Ti soffocano perché sai che anche quelle sono solo stupide parole. Che poi i conti devi farli col tuo cervello, con il tuo cuore idiota ed ingenuo che ti ha fatto credere che esistesse la possibilità di estraniarti e vivere davvero quelle emozioni accecanti. Quell’amore totale che ti annega e ti riporta a galla contemporaneamente. Quel tornado spaventoso in cui però ti butteresti senza scrupolo e dal quale saresti pronta a non uscire più. 
 
E mentre stringo tra le braccia la piccola Camilla Stucchi-Lanzone, mi fermo in contemplazione dei suoi boccoli setosi e biondi, così diversi dai folti capelli scuri miei e di Alessandro.
“Li avrà presi da qualche parente alla lontana. Sai, Franci, certi connotati saltano anche un paio di generazioni.”  
“Si, Ale. Hai sicuramente ragione. – risponde nonna Sofia – la tua pro-prozia aveva capelli così biondi e ricci da far invidia a una principessa.”
“Nonna Sofia – è Maria Sole che reclama la sua sorellina – dammela che vado a cambiarla.”
Si è fatta grande in un attimo, la mia donnina. Ed io che pensavo di non appartenere più a tutto questo. 
Un po’ è vero. Lasciandoti sopraffare dalla vita, caro amore mio, ti sei portato via un pezzo consistente di me. Quello più pulsante. Quella Francesca che starà sempre sdraiata sulla spiaggia sotto casa tua a Lecce, nell’attesa di vederti spuntare dall’uscita del palazzo.  
“Mamma – Cosimo invece ha sviluppato un sentimento simile alla gelosia. Il mio piccolo di casa – pensi che inizierà a camminare presto?”
“Amore, ha appena compiuto quattro mesi. Tu hai mosso i primi passi che avevi quasi un anno…” 
“Aspettami Maria Sole! Vengo con te…” Dice poi, sbuffando. Cosimo. Così uguale ad Alessandro, che mi abbraccia orgoglioso, ignaro del turbinio che mi scuote le viscere da mesi. Quanto aveva desiderato un terzo figlio? Io non ne sentivo il bisogno eppure adesso mi ci aggrappo come ad un ancora. 
Guardo mio marito. La sua compostezza. La sua tranquillità. I suoi occhi sono un mare calmo in autunno, coi suoi colori caldi e rassicuranti. Mi avvolgono e mi sento serena. 
I tuoi erano una burrasca estiva. Una tempesta emozionale che ti devastava fin dentro l’anima. 
Torna Maria Sole e mi mette in braccio la piccola Camilla. Ha due magnifici occhi verdi. Due smeraldi incastonati in un visetto rubicondo. 
Tu non ci sei più ma hai voluto lasciarmi comunque qualcosa di te.
C’è lei a ricordarmi di quelle ore rubate all’Hotel Eden, in quella periferica via di Milano. Delle notti insonni passate ad amarci. Di quanto il mio corpo fosse fatto per appartenerti e di quanto le tue dita riuscissero ad accarezzarmi in profondità mai esplorate. Mi hai consumato e te ne sei andato per non tornare più. 
Mi avevi sfidato a far parte di te e, alla fine, ho vinto io. Farò parte di te sempre. E tu di me.
Vedi, Riccardo. Dopotutto le femmine sei capace di farle. 
   
 
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