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Autore: dear harreh    09/08/2012    25 recensioni
Una brutta sensazione mi pervase il corpo. Cintia sembrava indifferente, ma io sapevo che c’era qualcosa che non andava. Eveline non stava bene.
‘’No, Niall, va tutto bene’’ continuavo a ripetermi ‘’ tua figlia è normale, come tutte le altre bambine.’’
Ma dovevo capirlo subito che non era così. Dovevo ascoltare la voce che mi diceva che nulla andava bene.
Andai in salotto in preda alla furia, sotto lo sguardo interrogativo di mia moglie.
Faceva freddo, lì. Tirava il vento, i capelli mi si spostavano e i brividi mi percorrevano le braccia.
I brividi non erano per il freddo, però, erano perché qualcosa non andava, e io lo sapevo.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Niall Horan
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Silvia’s space.

Questa volta devo metterlo all’inizio per ragioni di…sicurezza? Bho, comunque volevo dirvi che questa One Shot è ispirata al pezzo del libro più bello che abbia mai letto, ossia ‘Cose che il buio mi dice.’ .
è praticamente identica, eccetto per la parte finale e alcuni futili dettagli. Comunque è Niall a parlare, quindi non si parla di lui, ma della ‘’sua storia’’ .  Ho voluto anche cambiare scrittura :o
Mi sono ispirata a quel pezzo perché ero al mare e , non curante della gente che mi circondava, sono scoppiata a piangere leggendolo. Penso che Carolyn Jess-Cooke sia un’ottima scrittrice e che il libro sia meraviglioso. Questa è pubblicità occulta, forse, ma dovevo dirvelo.
Chi lo ha letto, capirà perché è uguale.
Grazie a tutti come sempre per il supporto che mi date. Ormai ripeto sempre le stesse cose, ma siete davvero meravigliosi e vi devo tutto.
Adesso vi lascio a questa cacchettina qui sotto che spero non vi deluda troppo.
Un bacio grande a tutti quanti,
Silvia xx





The hole is gone, the darkness is disappearing.

Era una mattinata come tante, quella. Io e Cintia eravamo in cucina a mangiare, insieme alla piccola Eveline, la nostra unica e meravigliosa figlia.
I suoi capelli erano fuoco, come quelli della madre, gli occhi erano ghiaccio, come i miei, però i suoi erano vuoti. La sua espressione era piatta.
Perché? Pazza, l’avevano chiamata, ma no, la mia bambina non era pazza, non lo era affatto.
Non aveva gli occhi da matta, erano solo privi di emozioni. Non si poteva capire cosa pensasse, se scherzasse, anzi, lei non scherzava…mai.
Io avevo trentatré anni e due settimane, quel giorno.
Dopo aver finito di mangiare, in un costate e abituale  silenzio religioso, io e Cintia pulimmo la cucina, mentre Eveline andò in salotto, a suonare la chitarra.
Le avevo insegnato io a suonare, conosceva le mie canzoni e ora ne stava scrivendo una lei.
Uscii dalla cucina per guardarla e consigliarle di alzare la canzone di un tono, lei si girò, mi sorrise e disse << Grazie, papà.>> sorrisi a mia volta. Ormai, dopo mesi di cure, aveva raggiunto una certa stabilità, ora era una dodicenne come le altre.
Ci aveva odiati, a me e Cintia, perché l’avevamo mandata in una casa di cura nell’Irlanda del nord.
Psicologia infantile.
Quand’è tornata tutto si è sistemato, anzi, quando ha imparato a suonare la chitarra tutto si è sistemato.
Un tranquillante, sì, era davvero un tranquillante per lei.
Per questo quando non sentii più il dolce suono delle corde mi preoccupai.
Una brutta sensazione mi pervase il corpo. Cintia sembrava indifferente, ma io sapevo che c’era qualcosa che non andava. Eveline non stava bene.
"No, Niall, va tutto bene" continuavo a ripetermi "tua figlia è normale, come tutte le altre bambine."
Ma dovevo capirlo subito che non era così. Dovevo ascoltare la voce che mi diceva che nulla andava bene.
Andai in salotto in preda alla furia, sotto lo sguardo interrogativo di mia moglie.
Faceva freddo, lì. Tirava il vento, i capelli mi si spostavano e i brividi mi percorrevano le braccia.
I brividi non erano per il freddo, però, erano perché qualcosa non andava, e io lo sapevo.
<< Eveline? >>
Nessuna risposta. Il silenzio. Un maledetto silenzio che alzava la tensione.
<< Ehi, amore, dove sei?>>
Ancora nulla.
Poi vidi l’ombra della tenda sul pavimento freddo e bianco, come la pelle di Eveline.
La finestra. Cosa ci faceva la finestra aperta?
Ah, forse Eveline guardava il castello sul panorama davanti la finestra.
Lo faceva sempre, quando era stanca, o quando pensava.
Molte volte, però, veniva interrotta dal buio. Sì, diceva di essere circondata, oppressa. E si sentiva sprofondare in una voragine e si aggrappava ai braccioli della poltrona implorandomi di aiutarla.
Conviveva con la pressione del buio, che però vedeva solo lei.
Conviveva con la paura di cadere in un abisso nero, che però vedeva solo lei.
Non era sulla poltrona, dove poteva essere?
Sul cornicione della finestra, ecco dov’era. Con le gambe rannicchiate al petto e l’espressione tranquilla, come non mai.
<< Eveline, cosa ci fai lì? Dai scendi che fa freddo.>>
Nessuna risposta. Continuava a guardare avanti con lo sguardo perso.
Sorrideva, e lei non sorrideva mai, quasi mai.
Quel castello era tutto per lei, voleva andarci. Per lei sarebbe stata una liberazione, lì avrebbe lasciato tutti i suoi male e sarebbe tornata ad essere normale, a detta sua.
<< Dai, scendi di lì! Che ne dici se ti insegno una nuova canzone?>>
<<Sì, una canzone nuova. Sarebbe molto bello.>>
Tirai un sospiro di sollievo, ma lei buttò una gamba in avanti. Mi avvicinai con il cuore in gola.
<< E allora vieni, così andiamo a suonare!>>
<< Ora non posso, papà. Hanno costruito un ponte che porta da qui al castello. Non è incredibile? >>
Purtroppo, però, il ponte lo vedeva solo lei.
<< Evy, no, non c’è nessun ponte. Vieni con me.>>
<< Non c’è più.>>
<<Cosa non c’è più, amore?>>
Mise avanti anche l’altra gamba e sentii Cintia urlare. Non mi ero nemmeno accorto che era dietro di me e piangeva. Sapeva che dovevo pensarci io, avevamo un rapporto speciale, io ed Eveline.
<< La voragine, papà. Il buio sta scomparendo.>>
Sorrise, ma sorrise con il cuore, come non aveva mai fatto.
<< Ferma, Eveline, non c’è nessun ponte che a reggerti!>>
Mi guardò offesa.
<< Non mi credi, vero?>>
Non risposi e continuò << è di cemento armato, papà, non posso cadere!>>
Continuava a sorridere  e io non sapevo più cosa fare.
Si alzò in piedi e sentii le gambe cedere, il cuore fermarsi, le ossa spezzarsi. Tutto dentro me faceva tremendamente male.
Si voltò un’ultima volta verso me per dirmi << Ti voglio bene papà.>>
Poi si lasciò andare nell’oscurità del vuoto, nel cielo di una giornata nuvolosa di settembre, di un’Irlanda destinata a restare sconosciuta.
E tentai di afferrarla, ma no, potevo solo vedere mentre rimpiccioliva sotto i miei occhi, mentre si allontanava dalle mie braccia e si faceva trasportare da qualcosa più grande di lei.
Lo sapevo, io, che qualcosa non andava. Lo sapevo che la mia bambina non era come le altre.
No, non era normale.
Io non parlavo con una dodicenne, io parlavo con una ragazza malata.

Non parlavo con la mia bambina, parlavo con quella che era la sua schizofrenia infantile.
Non guardavo gli occhi di una ragazza come tante, guardavo due pozzi azzurri e privi di emozioni, due abissi privi di inizio e fine.

La mia bambina non era come le altre, ma forse mi ha insegnato più di quanto potesse fare qualcun altro.
Lei, lei mi ha fatto capire quant’è importante la mia salute, mi ha fatto capire cosa vuol dire perdere qualcosa di importante. Perché non sono le macchine o le chitarre, le cose importanti.
Io ho perso una parte della mia vita, ho perso tutto ciò che era il mio essere.
Ho perso la mia bambina, ma ora mi sono  alzato più forte che mai e suono per lei.
Io sono sempre stato qui per lei. Per cantarle, per suonarle, per amarla e non trascurare mai il ricordo della ragazza che è stata.
Io sono qui tutt’ora per dedicarle Moments, per dirle che  se potessi tornare nel tempo cambierei tutto, per dirle che lei era, ed è, tutto ciò che avevo e che "ho".
Canto per lei, suono per lei e continuerò a farlo fino a quando le nostre strade non si rincontreranno.
La sua voragine non c'è più, il suo buio è scomparso. Ora sta bene, devo solo aspettare e potrò stringere di nuovo tra le mie braccia la mia bambina. 
  
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