Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Eryca    10/08/2012    4 recensioni
Era colpevole di aver donato tutta la sua anima alla musica.
Non c’era persona più colpevole di lei.
Era colpevole anche in quel momento, mentre tutti sapevano ciò che stava per accadere, ma nessuno aveva il coraggio di dire nulla o muovere anche solo un muscolo.
C’era musica nell’aria, lei la sentiva.
Loro la sentivano.
Vita.

****
C'è Anne, con i suoi demoni del passato e la sua maschera perenne. Ha un sogno.
C'è Davide, con la sua purezza d'animo. Ha un sogno.
C'è Matteo, con la sua spavalderia e il suo disinteresse. Ha un sogno.
C'è Riccardo, con le sue dipendenze, le sue paure e le sue bugie. Ha un sogno.
Un sogno.
Hanno tutti lo stesso sogno.
La musica.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

8.

Sogni di Rock n’ Roll

 

 

 

 

 

 

You feel you're winning, that's what it's all about,

Knowing you are winning, oooh,
And it could be the very last time,
I could be in a rock 'n' roll dream,
I could be in a rock 'n' roll dream

 

AC/DC – “Rock n’ Roll Dream”

 

 

 

 

 

 

 

 

Sognare.

Gli era sempre piaciuto come verbo, aveva una cadenza originale, un suono interessante, mistico, che ti faceva volare sulle ali della libertà, dell’immaginazione; era perfetto per il significato che conteneva, in poche parole.

Nella sua vita, quella voce verbale era stato un punto fisso, un chiodo impuntato proprio nel suo cervello, che aveva prolificato mandandogli in corto circuito i sistemi razionali, per far prevalere quelli dell’irrealtà; forse era per quel suo ostinarsi a viaggiare sulla cresta dell’onda, che si era ritrovato, a ventiquattro anni, con un lavoro umiliante e la maturità di un bambino di sette.

Ma, anche se stava affondando nel baratro causato dal voler nascondere l’evidenza e la droga che lo stava facendo inginocchiare, Riccardo non aveva ancora smesso di sentire dentro di sé quell’impeto di eccitazione che solo un sogno riusciva a donargli.

Il sogno.

Quello che si era portato dietro per tutta la vita, fin dal giorno in cui sua mamma lo aveva accompagnato al negozio di musica, cercando di tranquillizzarlo; non aveva mai creduto ai colpi di fulmine, all’amore a prima vista, erano cosa da romanzi rosa e la sua vita non era di certo paragonabile ad un di essi, ma era più che sicuro che quella volta, davanti alla batteria tenuta in esposizione, si era davvero innamorato.

E da lì il sogno aveva preso piede, diventando sempre più insistente con gli anni, fino a che non lo aveva portato da Davide, Matteo ed Anne.

I Mad.

I Mad con le loro sensazioni, i loro testi mistici, colmi di emozioni e paure represse, quelle canzoni scritte di notte che ti toglievano il fiato, cantate dalla donna più seducente e tenebrosa che esisteva; il loro mondo, messo su un piatto d’argento e servito, in quella serata estiva, ad un pubblico silenzioso, incapace di esaltarsi veramente.

Il fatto che  ̶  mentre sbottava sulla sua batteria, estraniato da tutto e da tutti  ̶  gli spettatori non stessero urlando e saltellando, com’erano soliti fare, lo irritava enormemente, rendendo la sua musica più forte e rabbiosa, inducendolo a picchiare sui tom-tom in modo esagerato.

Avrebbe voluto immortalare quel momento, per sempre.

Imprimerlo nella sua mente come una cartolina di saluti, un breve messaggio d’amore, perché era l’unica sensazione che nella sua vita aveva veramente importanza; quando se ne stava seduto dietro il suo strumento non si doveva preoccupare di sembrare troppo gay, troppo drogato.

Si sentiva un dio.

E sapeva di poter continuare a sognare, ancora per qualche istante, per il momento del suo assolo, per quegli attimi in cui si innalzava e non faceva più parte del mondo terreno, ma entrava in una dimensione che solo pochi privilegiati riuscivano a raggiungere.

E mentre la voce di Anne lo guidava in quel luogo spirituale, Riccardo non aveva più paura di mostrarsi per quello che era, non doveva nascondere chi era, perché alla musica non interessava nulla, se non il suono che stava nel suo cuore.

Il sogno.

Si lasciò guidare dalla danza sciamanica che stava prendendo piede dentro di lui, la batteria che scandiva il tempo di ogni cosa, della canzone, della sua vita; gettò un’occhiata a Matteo, le gocce di sudore che gli imperlavano il viso, gli occhi chiusi e l’espressione persa in un’altra dimensione: non riusciva a non essere bello.

Riccardo non seppe con certezza per quanto tempo suonarono quella sera, forse anche a causa della dose massiccia di cocaina che aveva tirato, prima di salire sul palco; stava esagerando con quella merda, se ne stava rendendo conto, ma appena rimaneva lucido per troppo tempo  ̶  di solito quando era al lavoro  ̶  tornava alla sua mente l’immagine di lui e Matteo che si baciavano, in mezzo alla strada, alla mercé di chiunque.

L’unica soluzione a quei tormenti era la sua fedele cocaina, mischiata con un bel po’ di erba; probabilmente anche Davide, che aveva spesso sniffato in sua compagnia, si stava chiedendo se non stesse andando troppo in là.

Forse la signora Sacco non aveva tutti i torti, forse suo figlio era davvero un drogato, pensò il batterista mentre dava l’ultima botta sul piatto, in chiusura del brano.

Vide Anne prendere in mano il microfono quasi fosse una pistola: «Siete un pubblico di merda! Fate schifo!» sputò, il viso disgustato.

In effetti quell’esibizione era stata una vera vergogna, soprattutto a causa degli spettatori noiosi e poco di compagnia, che non avevano fatto neanche un po’ di sano pogo.

Seguì Davide giù dall’improvvisato palco in legno, domandandosi come potesse reggere tutto quel peso: era stata una fortuna che non fosse crollato mentre suonavano; avrebbero dovuto pensarci due volte prima di accettare un incarico, la prossima volta.

Ma fare concerti in piccoli locali angusti e maltenuti gli serviva come allenamento, e Riccardo aveva notato che in quel modo si stava affiatando, capendosi meglio a vicenda e provando nuovi riff, assolo e quant’altro; era un’attività produttiva, che aiutava parecchio.

Sprofondò in un divanetto bucato, con molte probabilità mangiucchiato dai topi, seguito da una decisamente incazzata Anne, che si sdraiò sopra di lui, appoggiando la testa sulle sue gambe.

Doveva essere lo spazio vip, quello?

Matteo  ̶  il suo Matteo  ̶  era al bancone a ordinare i litri di birra che avrebbero dovuto aiutarli a superare quel tristissimo fallimento; il fatto che il ragazzo stesse appoggiato con i gomiti alla base di legno, mentre il suo sedere statuario se ne stava in esposizione, non era per niente d’aiuto allo scarso autocontrollo di Riccardo Sacco.

Quel luglio era relativamente fresco, anche per Torino, dove di solito l’afa regnava, contrastandosi solo con l’umidità, e Ricca era stato costretto a mettersi i pantaloni di jeans.

«Eccomi, bei fusti.» esordì Matte, il vassoio colmo di boccali «Ho portato la consolazione. Anche se potrebbero essercene di migliore, in effetti… » brontolò irritato, fissando il batterista che, scioccato, si rovesciò la bevanda addosso.

Grazie, Matteo del cazzo, grazie tante.

Non si era contenuto all’idea che il bassista avesse fatto un allusione sessuale così esplicita davanti a Davide ed Anne, senza preoccuparsi che loro potessero scoprire qualcosa o pensare male di lui; la consapevolezza che la cantante potesse essere già a conoscenza di ciò che era successo tra di loro lo invase come un vento gelido, lasciandolo di marmo.

Merda merda merda merda merda merda merda merda merda merda merda.

Ma la ragazza rimase muta e buona sulla sue gambe, senza dar cenno di vita, se non per la sigaretta che diventava sempre più corta, lasciata penzolare tra le sue labbra, proprio come avrebbe fatto un bravo camionista.

D’un tratto, senza alcun preavviso, Davide scattò in piedi e, come se avesse appena ingerito una pasticca eccitante, salì sul tavolo, mettendosi ad urlare a squarciagola, in un’imitazione di un indiano pellerossa, o forse di un tricheco, non ne era sicuro; poi, non contento, prese un bicchiere e lo scaraventò a terra, mandandolo in frantumi.

Cosa cazzo sta facendo?

Prese a saltellare su due piedi, alzando prima una gamba poi l’altra, le mani intorno alla bocca mentre ululava come se fosse uno di quei licantropi che si vedevano nei film. Matteo sembrava spaesato, invece, Anne se la rideva allegramente e, da brava psicopatica qual era, decise che doveva essere una gran bell’idea unirsi al chitarrista: così gli schizofrenici divennero due, le urla raddoppiarono, seguite però dalle risate fragorose dei ragazzi.

Riccardo sapeva  ̶  lo sapeva veramente  ̶  che Anne e Davide erano un po’… particolari, ma non avevano mai inscenato un simile spettacolo che, a quanto sembrava, stava intrattenendo tutto il pub, ancor più del loro concerto; fu in quel momento che si rese conto di quanto il suo coinquilino e la cantante fossero immensamente rock star. Non si limitavano a fare una musica grandiosa, loro davano al pubblico un vero e proprio show, fatto di follie e eccessi smisurati, senza doversi sforzare neanche tanto, visto che gli veniva in modo naturale.

E allora Ricca non si trattenne più, neanche mentre il sorriso da ebete gli si apriva in viso: si puntellò con le braccia e si fece spazio sul tavolo, per seguire quei due malati nella loro danza sciamanica, prendendo a muovere le braccia come se fosse un uccello.

Il fatto che dovessero sembrare tre idioti non colpì troppo Matteo, che si fece convincere a mandare avanti quel ballo: tutti e quattro i Mad erano impegnati in quella che sembrava essere, più di ogni altra cosa, una crisi epilettica collettiva.

E, mentre girava su stesso, si rese conto che un uomo di mezza età, in giacca e cravatta, si stava avvicinando a loro, il sorriso benevolo stampato in faccia e l’aria di chi ha preso per il culo una centinaia di persone.

Fu in quella sera di luglio, durante il loro spettacolo post-concerto, che ebbero l’onore di incontrare per la prima, fatidica volta Mauro Polloni.

 

 

 

 

****

 

 

 

«Mauro Polloni» disse l’uomo, mentre allungava la mano in un cordiale gesto di presentazione: nessuno però la afferrò, così l’uomo fu costretto a tirarla indietro senza averne stretta alcuna. Comunque, non ne sembrò troppo infastidito.

Pareva, con quei suoi Ray-Ban sul naso, il tipico uomo d’affari che sarebbe stato capace di contrattare con chiunque e di vendere persino la moglie, per un prezzo abbordabile; un vero e proprio avvoltoio in valigetta e scarpe lucidate.

Il fatto che avesse abbinato in maniera eccellente la camicia e la cravatta, stava a significare quanto egli desse importanza al primo impatto e di certo loro, con i jeans stracciati e le magliette di gruppi musicali, non avevano passato il test. Eppure, Mauro Polloni non diede alcun segno di disgusto, anzi, non sembrava avere alcuna intenzione di togliersi dalla faccia quel sorriso da ebete.

Questo è un vero coglione.

Ecco ciò che stava pensando Matteo, seduto in uno dei tanti tavolini del pub, in evidente imbarazzo nel trovarsi di fronte ad un simile individuo, che non ti faceva sicuramente sentire a tuo agio.

Il bassista lanciò uno sguardo sghembo a Riccardo, intento a mangiucchiarsi le unghie con fare nervoso, in un comportamento tipico di lui.

Erano passate diverse settimane dal loro passionale bacio, gli esami erano finiti, per sua grande gioia, ed era anche riuscito a passare con ottantatre; ad Anne non era andata ugualmente bene e se l’era cavata con un sessantanove e un calcio nel culo, dovuto al fatto che i professori non avevano alcuna intenzione di sopportare le sue rispostacce per un altro anno.

Ovviamente, la sera dell’esame orale, si erano ubriacati e avevano fumato erba a volontà, in compagnia di un amichevole Davide ed un decisamente taciturno Riccardo, troppo sballato per capire anche solo dove si trovasse.

Matteo aveva cercato più volte di rimanere solo con il batterista, per cercare di parlargli, di fargli uscire dalle labbra quella fatidica confessione, perché solo in quel modo avrebbe potuto essere in pace con sé stesso, senza dover ricorrere alle sostanze stupefacenti; Ricca doveva solamente ammettere ad alta voce di essere omosessuale, gay, frocio, finocchio, checca, prendi in culo.

Prima o poi avrebbe dovuto farlo, volente o nolente, perché la vita glielo stava spiattellando in faccia e non intendeva sentire un rifiuto.

Le sue considerazioni vennero interrotte dal raschiamento di gola di Davide, che cercava di portare l’attenzione del signore su di loro e smorzare quel silenzio imbarazzante; in effetti, Polloni li aveva avvicinati, dicendogli che aveva una proposta da far loro, ed ora se ne stava zitto e muto a fissarli con un sorriso plastificato.

Qual è il tuo problema, bello mio?

La clientela del locale non era minimamente interessata allo spazio intimo che si erano creati, piuttosto concentrati sulle cameriera affascinanti che si aggiravano tra i tavoli, in minigonna e maglietta estremamente scollata; gli uomini di mezza età ubriachi e sudici erano le creature che facevano più ribrezzo sulla faccia della terra, avevano un che di laido.

Quelle povere bariste dovevano sopportare le pacche sul sedere e le allusioni sessuali di un branco di eterosessuali vecchi e allupati.

Se solo il mondo fosse interamente gay…

Si girò verso Riccardo  ̶  il suo Riccardo  ̶  e incrociò il suo sguardo tenebroso: nelle iridi castane del ragazzo c’era una tempesta in atto, si poteva vedere il vento del senso di colpa spazzare via tutte le insicurezze; ma ciò che ti impediva di distogliere gli occhi dai suoi era quel dolore, quelle gocce di sofferenza che sembravano implorarti aiuto.

Guardare dentro a quegli occhi faceva male, nel senso più stretto del termine.

«Signori, la vostra esibizione è stata grandiosa!» la voce di Polloni interruppe il dialogo silenzioso tra i due ragazzi, improvvisamente; Matteo si ritrovò con la testa roteante, in sincronia con quella della Terra.

I tuoi sogni repressi mi fanno male, Riccardo.

Si costrinse ad osservare Anne mentre, risoluta come al suo solito, si metteva a sedere e prendeva un cipiglio aggressivo, segno che quel tizio non le andava per nulla a genio.

La canottiera della cantante era così scollata che, quando si piegò appoggiandosi al tavolo, a fronteggiare Mauro Polloni, rimase ben poco all’immaginazione.

Matteo era convinto di aver visto un guizzo negli occhi di Davide, palesemente perso per la sua migliore amica.

«La sai una cosa, amico?» chiese la ragazza, così vicina al viso dell’uomo che, se avesse voluto, avrebbe potuto baciarlo. «Abbiamo fatto schifo. È stato il concerto più penoso che io abbia mai fatto.»

Il nuovo arrivato si abbandonò ad una di quelle risate di convenienza, in cui non ridi perché sei divertito, ma perché stai per dire qualcosa di molto serio, o in alternativa per fare una steccata.

Ora, il timore aleggiava nell’aria, quel tizio metteva inquietudine.

«Se permetti, sono un produttore discografico e credo che il vostro show sia stato a dir poco… coinvolgente.»

Produttore discografico.

Produttore discografico.

Produttore discografico.

Produttore discografico.

Produttore discografico che era appena riuscito a zittire Anne, sconvolta apparentemente quanto il resto del gruppo, consapevole di trovarsi davanti ad una vera possibilità per la loro carriera.

Ed eccolo lì, insistente come mai prima d’allora: il sogno.

«Il finale, in cui hai esplicitamente insultato il pubblico, era molto rock e durante tutto il concerto si poteva sentire la rabbia…» cominciò, il tono mellifluo, mentre cercava le parole giuste «e agli spettatori, la rabbia, piace. E se piacete a loro, signori, allora siete nelle mie grazie.»

Matteo dovette ragionare due o tre volte per connettere la situazione: loro piacevano al pubblico, quindi, di conseguenza piacevano anche a quel tizio in giacca e cravatta che altro non era se non un fottutissimo produttore discografico.

In effetti, erano diversi mesi che facevano serate per Torino, la gente ormai li conosceva, li apprezzava e si portavano dietro sempre un piccolo seguito di fan, che sembravano andare matti per Anne, più che altro.

Non avevano mai pensato seriamente ad un possibile futuro, era già abbastanza avere a che fare con una piccola cerchia di persone, un gruppo; ma ora, con quel tipo che gli stava realmente offrendo un’opportunità, il sogno prese a stiracchiarsi, ad uscire dal sonno e ruggire, facendosi sentire.

Era sempre lì, non se n’era mai andato, il sogno di rock n’ roll.

Davide, di solito loquace e benevolo, era rimasto come ammutolito di fronte ad un uomo così potente, che li teneva in pugno e avrebbe potuto decidere se farli salire, oppure gettarli nel cassonetto dell’immondizia, insieme alle lattine di birra vuote; Riccardo, dal canto suo, manteneva quell’espressione annebbiata dovuta agli effetti della cocaina.

Nessuno osava più spiccicare una parola.

Mauro Polloni aveva il controllo della situazione, se non il coltello dalla parte del manico.

Dannati avvoltoi affaristici…

«Questo significa, signorina, che mi siete piaciuti. E se qualcuno piace a Mauro Polloni, allora vuol dire che ha un colloquio assicurato con Franco Tasso.»

Chiunque avesse a che fare con la musica, o se ne interessasse anche solo minimamente, era a conoscenza di chi fosse il proprietario dell’Etichetta discografica più in voga nella scena underground italiana: Franco Tasso.

Con la sua Alternative Productions, Tasso aveva scoperto alcuni dei migliori gruppi alternativi d’Italia, facendo salire di livello la sua Etichetta; ogni persona che aveva intenzione di sfondare nel mondo della musica underground puntava ad un contratto con la Alternative.

E adesso, davanti a loro, sedeva uno degli agenti discografici di quella Casa, sorridente come un bambino, ben consapevole di aver fatto colpo.

Il sogno.

Eccolo di nuovo, forte, determinato, a spingere con tutto sé stesso per uscire dalla custodia ermetica in cui Matteo lo aveva rinchiuso, sperando di poterlo placare, di poter vivere andando al lavoro e tornando a casa da un compagno.

Ma il sogno era lì.

Non se ne sarebbe mai andato, perché lui era stato toccato dal dono della musica, dal talento di saperla creare, di essere in grado di parlare quel linguaggio, di captare i segnali; non si poteva voltare le spalle alla musica, lei te lo impediva.

Davide, improvvisamente, era diventato pallido come un lenzuolo, inducendo i suoi amici a preoccuparsi per la sua salute, ma presto si resero conto che era solo estremamente sotto choc.

«Franco Tasso dell’Alternative Productions?» domandò Anne, a quel punto estasiata e dimenticata del fatto che quel tipo proprio non le piaceva.

Polloni, a quel punto, tirò fuori dalla tasca della giacca un biglietto da visita, sul quale erano incisi il numero di telefono, il suo nome e cognome e il logo famosissimo dell’Etichetta indipendente; sorridente, sapeva di aver appena acciuffato un banco di pesci.

Il chitarrista sembrò riscuotersi dallo stato di semi-trance nel quale era calato, prese in mano il biglietto e lo esaminò a lungo, probabilmente intimorito di incontrare lo sguardo pieno di giudizio del produttore.

«Chiamatemi.» disse solamente, senza mai cambiare espressività «E pensateci. Potrebbe essere il vostro trampolino di lancio.»

Detto questo, si alzò, allungò nuovamente la mano in segno di commiato, sapendo che, questa volta, tutti avrebbero ricambiato la stretta, cosa che, in effetti, successe.

Era davvero ridicolo come le persone cambiassero di fronte ad elementi da cui avrebbero potuto dipendere, pensò Matteo, mentre sentiva la pelle liscia di Polloni sulla sua mano.

Rimasero soli e il silenzio prese a ruggire, mentre scariche di adrenalina si propagavano per tutti loro, che non stavano più nella pelle.

«Ehi, tu! Portaci un altro giro, cazzo! Dobbiamo festeggiare!» esclamò infine Davide, scaturendo l’urlo liberatorio di Anne, che sembrava essere sull’orlo delle lacrime.

Tutti stavano pensando allo stesso identico fardello, il quale li seguiva indomato da troppo tempo.

Le cose sarebbero cambiate, d’ora in poi.

 

 Il sogno stava diventando sempre più reale

 

 

 

 

****

 

 

 

Capitolo importantissimo, questo qua, perché d’ora in poi inizieranno i veri e proprio disastri e la scalata dei nostri quattro ragazzi verso il successo.

Ovviamente, Mauro Polloni, Franco Tasso e la Alternative Productions  sono frutto della mia fantasia, perché mi sembrava giusto così, invece di usare Etichette realmente esistenti e figure di spicco nel mondo dell’underground.

Nel prossimo capitolo ci saranno delle grandi sorprese, la festa inizierà ad entrare nel vivo e finalmente si scoprirà qualcosa di più del complicatissimo personaggio di Anne; ma soprattutto, le cose tra Davide e Anne si faranno, diciamo… più calde.

Ragazzi, vi chiedo di lasciare un commentino se leggete, perché mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate, altrimenti gli stimoli per continuare la storia diventano davvero pochi.

 

Grazie a tutti, come sempre,

Eryca

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Eryca