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Autore: thankyoujoseph    10/08/2012    5 recensioni
“Alex scosse la testa, non appena vide arrivare Joseph con un sacchetto di ghiaccio sullo zigomo.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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It's pretty much like being diabetic, and having your father working in a bakery. 
A slow suicide for my head. -

Capitolo otto.

PVALEX.

'più forte! più forte! Che fallita che sei, devi andare più forte!' 
Stupida voce nella mia testa, smettila di gridare così, come se non ci fosse un domani. 
Velocità 8, pendenza 3. Corri più veloce fallita, o non arriverai mai al tuo obiettivo. Corri.
Quando il Tapis rulant rallenta capisco che non è lui ad essersi fermato prima ma io. E' fresco però, il pavimento intendo, è fresco.
Sento il sudore scendere copioso sul mio viso, e sgocciolare sul pavimento gelido. Non è affatto divertente.
Ci deve essere qualcuno vicino a me, perché sento il calore di un corpo che non è il mio. Chissà se ieri Joseph alla fine una volta a casa si è fatto Martha.
Alex? Sei svenuta. Vorrei scuotere la testa per scacciare quei pensieri, e pensare al fatto di essere svenuta mentre correvo.
Non è affatto divertente.


« Ti ho detto che sto bene. » sbuffo tenendo il telefono tra la spalla ed il viso « Ho solo perso l'equilibrio. » ripeto per la terza volta.
Mi guardo i piedi, vorrei schiaffeggiarmi fino a svenire di nuovo in questo momento. 
« Papà... davvero, sto bene. » ripeto. Lo sento sospirare, in modo pesante quasi come se fosse pieno, pieno di questa frase 'sto bene'. 
Come al solito annuisce, e mi saluta raccomandandomi di stare attenta. Come al solito ci passa sopra.

Mi siedo in salotto, con la tazza di thé caldo in grembo ed il telecomando nella mano destra, inizio a scorrere tra i canali in cerca di qualcosa che mi aiuti.
America's Next topmodel.
Haley sbatte la porta alle sue spalle e getta la borsa a terra, secca, senza dire nulla.
« Ciao Haley. » alza la mano come a zittirmi, anche prima di chiederle come è andata la giornata, anche prima di fermarla per parlare un po'.
Va direttamente in cucina, avvolta nella sua nuvola di silenzio, apre il frigo e si versa un goccio di soda nel bicchiere, e poi direttamente nello stomaco fredda, gelida.
Per un secondo mi domando se anche lei sente quel dolore lancinante allo stomaco quando beve qualcosa di gelido, ma so che non è così.

Torna solo per tirare fuori il telefono dalla sua borsa e se ne va in camera, chiudendosi con forza la porta alle spalle.
Aspetto qualche minuto interminabile, minuti che diventano un'ora e poi due.
Trascino i piedi di fronte alla porta di camera sua e busso piano. Nessuna risposta. Provo di nuovo, ma ancora nulla.
« Haley, posso entrare? » domando posando la fronte sul legno fresco dello stipite. Ci vuole un minuto buono prima di sentire la sua voce.
« Non rivolgermi la parola. » risponde secca « non starò qui a dirti quanto tu sia stupida, perché tanto lo sai già. » continua.
« non è come credi tu Haley, sono solo inciampata tra i miei piedi, ed ho sbattuto la testa a terra.. non è come credi. » dico chiudendo gli occhi, prendendo un respiro profondo.
Haley non risponde, ed io non rispondo a me stessa. 


E' pomeriggio tardi, è una stupida giornata.
Infilo i jeans, ed i miei stivali neri di pelle, che non importa quanti gradi fanno, mi accompagnano sempre.
Salgo in macchina, e parto senza esattamente sapere dove andare, ho solo bisogno di uscire di casa, di far finta di nulla. 
La radio è accesa, e il volume è alto, eppure sento ancora la voce nella mia testa che mi urla contro.
Quando scendo dall'auto sono appena uscita dal traffico di New York. Quando scendo dalla macchina mi trovo di fronte al Casinò Bar. 
Quando scendo dall'auto mi rendo conto che la porta dice chiuso, ma c'è gente dentro. Entro, veloce.
« Signorina, non può entrare è chiuso ancora. » mi riprende un ragazzo, avrà la mia età e già lavora in quella bettola.
Lo ignoro, e vado direttamente al bancone, due occhi verdi mi scrutano in maniera curiosa: « Posso aiutarti? » domandano.
« Cerco Joe.. » dico quasi insicura, intimorita, come se la decisione se ne fosse andata tutto insieme « Devo parlargli, è urgente. » aggiungo.
Sembra convinto, sembra. Svanisce dietro una porta, dalla quale dopo poco appare lui. 
« Che succede? » ha ancora la voce stanca, deve essersi svegliato non più di un'ora e mezzo fa, ed ha mal di testa, tiene le sopracciglia aggrottate a causa di questo.
Quasi vorrei buttargli le braccia al collo, e chiedergli di aiutarmi, dirgli che ora sono io ad avere bisogno di lui. « Nulla, passavo di qui e volevo vedere come stavi. » forzo un sorriso.
Lui mi guarda male, mi guarda cupo e poi scrolla le spalle versando dell'acqua in un bicchiere che mi mette davanti al naso « Sto bene grazie. »
E' freddo come l'acqua in quel bicchiere, forse di più. Mi fa venire i brividi.
« Sto lavorando Alex.. non era il caso di venire. » bofonchia. 
Lo guardo torva, perché forse non capisco, perché forse non voglio capire: « Ti volevo fare compagnia, se vuoi ti aiuto.. che facevi? » domando cercando di cambiare discorso.
Si tocca il ponte del naso, e poi alza gli occhi al cielo « svuotavo delle scatole. Davvero vuoi aiutarmi?» domanda sarcastico « Vuoi alzare uno scatolone e svenire davanti ai miei occhi?» fa un sorriso amaro e sbatte la mano sul bancone.
Il sangue mi si gela nelle vene. 
« E' meglio che vado..» guardo il soffitto e spero di non tradire nessun emozione. Divento un muro, lo lascio lì con un sorriso freddo come le sue parole. 
Perché quando lui aveva bisogno di me c'ero stata? Stupida Alex, stupida.






 

 

 

   
 
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