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Autore: SAranel    10/08/2012    8 recensioni
John e Sherlock sono a casa di un cliente per un indagine. Mentre Sherlock è a caccia di indizi, John resta a far compagnia al più piccolo dei bambini di casa che gli espone un grave e fastidioso problema, per il quale Sherlock sembra avere la soluzione. Che succederà?
"Non l'ho immaginato, zio John" il tono di voce del marmocchio crebbe, nonostante la sua vocina infantile rendesse tutto più comico che serio. "Era un mostro. Un mostro vero e proprio".
Prima che John potesse replicare, una voce troncò la risposta sul nascere.
"Mi era sembrato di sentire uno strano sovraddosaggio di cellule mostrifere nell'atmosfera di questa casa. Provengono da qui, dunque?" Sherlock si appoggiò allo stipite della porta, osservando John e Martin con profondo interesse.[...]
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Hello people!
Tecnicamente questa storia non ha un grande background da raccontare. Vi dico solo che l’ho scritta quasi tutta sul cellulare, ispirata da un frammento di una meravigliosa fanfiction in inglese di cui purtroppo non ricordo il nome ma che cercherò assolutamente, questo per dirvi quanto la scrittura sia una mia gigantesca fissazione.
Spero davvero di non aver fatto troppo male!
Buona lettura!
S.

 

Storie di Armadi Infestati e Tesori nascosti

*

 

 

 

"Non c'e' alcun mostro nell'armadio, Martin" disse dolcemente il dottore al bambino rannicchiato tra le coperte. La voce di John, calma e tranquilla, non sembrò però sortire l'effetto desiderato.

"Non è vero. Io l'ho visto di sfuggita, prima. Ha fatto in tempo a nascondersi ma so per certo che è lì!" il bambino squittì con una vocina tremula. John sospirò e gli passò una mano tra i capelli, ravvivando con fare rassicurante la chioma fulva del piccoletto.

"Ora sei grande Martin. Cosa direbbe Ben se ti vedesse adesso, tutto spaventato?" domandò ancora il dottore, provando anche quella strada.

Il ragazzino sbuffò, affondando ancora di più nel calore confortante delle coperte, come se fossero il suo impenetrabile fortino anti mostri.

"Ben sarà anche il maggiore, ma dovresti vederlo come corre, dopo aver spento la luce in bagno. E guarda caso l'armadio in stanza ce l'ho io".

John rimase muto, senza nulla di abbastanza brillante da dire, in risposta. Sherlock ci stava mettendo decisamente troppo con la sua indagine e il dottore stava lentamente esaurendo le rassicurazioni di sorta per il suo piccolo amico.

"E' sempre lì, tutte le notti. Si infila nell'armadio mentre faccio i compiti e poi muove la porta per spaventarmi. E' cattivo".

John sorrise. Da un lato gli ricordava se stesso di tanti anni prima, tormentato da Harry, che aveva fatto dello spaventare John in ogni maniera possibile, il suo hobby preferito.

"E' certamente solo il vento, Martin. A Londra ci sono state tempeste fortissime negli scorsi giorni e magari un soffio di vento ha smosso gli abiti dentro il tuo armadio. E magari ha anche fatto cigolare le porticine" esclamò John con un sorriso dolce, confortante, accarezzandogli la pancia paffuta. Martin lo osservò pensoso, come se stesse valutando le varie possibilità.

Alla fine, ovviamente, optò per la sua verità.

"No. Ti dico che è un mostro. Uno vero. Ha cinque braccia e due teste. Anzi tre. E... " ci pensò su un secondo. "... e un naso gigantesco".

John ridacchiò al bislacco identikit fornitogli dal suo piccolo amico. Chissà, magari negli archivi di Scotland Yard avevano un reparto dedicato ai mostri spaventa-bambini.

Avrebbe dovuto mandare un appunto a Lestrade, dopo.

"Mi sembrava di ricordare che le braccia fossero tre" lo prese in giro John ricordando un'accurata descrizione di nemmeno mezz'ora prima.

Martin s'immusonì'.

"Avevo visto male".

"O forse l'hai solo immaginato, piccolo".

"Non l'ho immaginato, zio John" il tono di voce del marmocchio crebbe, nonostante la sua vocina infantile rendesse tutto più comico che serio. "Era un mostro. Un mostro vero e proprio".

Prima che John potesse replicare, una voce troncò la risposta sul nascere.

"Mi era sembrato di sentire uno strano sovraddosaggio di cellule mostrifere nell'atmosfera di questa casa. Provengono da qui, dunque?" Sherlock si appoggiò allo stipite della porta, osservando John e Martin con profondo interesse. Il dottore sollevò un sopracciglio.

"Cellule... che?" ripeté, confuso, cercando di interpretare le parole del detective.

"Ovvio John. Quelle che indicano la presenza di un mostro in un determinato luogo. E questa casa ne è piena" si mosse dalla porta e si guardò intorno, con fare sospettoso. "Soprattutto questa stanza".

Martin saltò fuori dal suo rifugio, euforico, guardando John con espressione grave e Sherlock con una sorta di profonda ammirazione.

"Visto John? Sherlock ha capito! E lui è un consultivo investigante e quindi ha ragione!".

Sherlock riuscì a malapena a reprimere un brivido freddo nel sentirsi chiamare a quel modo, ma ebbe il buon senso di rimanere in silenzio.

"Ovviamente ho ragione" sbottò Sherlock, come se provasse fastidio a dover ripetere l'ovvio. "Ho sempre ragione".

John non sapeva, non aveva la minima idea di dove Sherlock volesse andare a parare. Che la noia fosse arrivata ad un punto tale da spingerlo a prendersi gioco di povere creaturine spaventate?

"Senti, Sherlock, sei certo di sapere cosa... cosa stai dicendo?" cercò di essere il più delicato possibile. L’esatta frase che avrebbe voluto pronunciare non sarebbe stata propriamente adatta alle orecchie di un seienne.

Sherlock sbuffò, sistemandosi il bavero del cappotto.

"John, eppure dovresti sapere certe cose. Insomma, fai parte anche tu della nostra... " lo guardò con fare solenne. "... Agenzia".

Martin sembrava non riuscire a rimanere fermo. Evidentemente non gli capitava molto spesso di avere un adulto dalla sua parte, che lo assecondasse invece di rassicurarlo con le solite manfrine trite e ritrite.

John strabuzzò gli occhi.

"Agenzia?".

"Agenzia John!" Sherlock agitò le mani, eccitato. "L'Agenzia per la Bonifica di Armadi Infestati!" disse, come fosse la cosa più ovvia del mondo.

John represse a stento una risata, mettendo giusto in tempo una mano davanti alla bocca, appena comprese le intenzioni di Sherlock.

Se voleva assecondare il racconto del detective, sarebbe dovuto apparire il più professionale possibile.

"Oh, ma è vero! Quasi dimenticavo!” si batté una mano sulla fronte, fingendosi sorpreso dalla sua sbadataggine. “sono rimasti così pochi mostri dell’armadio a questo mondo che quasi avevo dimenticato l'esistenza della nostra Agenzia!" esclamò, con voce squillante.

Martin aveva gli occhi che brillavano di puro e sincero sollievo.

"Oh ma è fantastico! Allora puoi cacciarlo via per sempre?" domandò, raggiante, a Sherlock. Il detective annuì.

"Ovviamente. Nessun mostro è mai ritornato dopo il nostro speciale trattamento" annunciò, con sguardo fiero. "Men che meno un comunissimo Nasone Cinquebraccia".

John sorrise, con una sensazione di estremo calore nel cuore. Era la prima volta che vedeva Sherlock... così... umano. E per quanto strano, gli piaceva terribilmente.

"Sono facili da cacciar via?" chiese ancora Martin, curioso, stringendo il suo t-rex di peluche fra le braccia.

"Oh di una facilità estrema. L'ultimo con cui mi sono scontrato è scappato via in un lampo. Si chiamava Anderson".

Il bambino sembrò sorpreso.

"Il mostro aveva un nome?".

John rischio di soffocare dal ridere e Sherlock, invece, assunse la sua migliore espressione contrita.

"Certa gente tende ad affezionarcisi. Non è certo il tuo caso, piccoletto".

Martin annuì energicamente, a bocca aperta, come se la sola idea di convivere con quel mostriciattolo e dargli addirittura un nome, fosse l'ultimo dei suoi desideri.

"Ma dove li tengono? Nascosti?".

Sherlock ci pensò un secondo.

"Il più delle volte. Oppure li assumono in polizia".

John affondò la testa nel cuscino e le sopracciglia di Martin si inarcarono, con un cipiglio confuso. Decise di non indagare ulteriormente.

"Io voglio solo che vada via. Puoi farlo ora?" chiese il bambino, con un sorriso.

Sherlock, tossì, dandosi un’aria importante.

"Ovviamente. Procederemo immediatamente con la...con la... " sembrò pensarci su un attimo.

"Procedura Standard" venne in suo soccorso John. Sherlock s'illuminò.

"Non avrei saputo dirlo meglio. Porta una coperta, John. Meglio che Martin non veda".

Il bambino sembrò più che felice di non essere parte attiva della cosa e prese una coperta pulita dal suo cassettone, lanciandola a John.

"Tieni John. Fate attenzione!" li esortò, prudente.

Sherlock si avvicinò all'armadio e sbirciò al suo interno, facendo finta di essere assorto nella contemplazione di qualcosa di assolutamente sbalorditivo. John aprì la coperta e la incastrò tra le due ante aperte creando una sorta di ambiente separato dal resto della stanza. John sorrise a Sherlock che aveva preso a battere con le nocche sull'anta di legno.

"Mai visto un esemplare così in vita mia! Tu John?" gridò Sherlock ad alta voce, così che anche Martin ascoltasse.

“Neppure io, Sherlock! E’ incredibile! Ed io che pensavo non esistesse!” gridò il dottore di rimando, facendo un po’ di scena e scuotendo leggermente il lenzuolo, come se si stesse agitando in preda ad un forte nervosismo.

“Passami l’attrezzatura, John, presto! Prima che esca fuori completamente!” Sherlock disse ancora, smuovendo l’anta velocemente. “Nella mia giacca!”.

“Presto John!” lo incoraggiò anche il bambino seduto sul letto, che adesso stava stritolando il suo dinosauro tanto da strappargli quasi la testolina di stoffa.

John rise, silenzioso, e aprì la giacca di Sherlock, così che Martin potesse vedere di sfuggita la giacca dal poco spazio visivo che gli era concesso. Sherlock afferrò il suo cellulare dalla tasca della giacca e accese la torcia impostandola alla massima luminosità, così che il bambino potesse intravederla anche attraverso la trama fitta della coperta.

“Con questa lo annienteremo sicuramente John! Ha i minuti contati ormai” disse Sherlock eccitato. John rise, eccitato, fingendo un’incredibile scontro all’ultimo sangue con un maglioncino appeso su una delle stampelle nell’armadio.

“E’ un osso duro!” sbottò poi il dottore, scalciando un po’, forse un po’ troppo platealmente.

Sentirono Martin trattenere il respiro, dall’altro lato del rifugio improvvisato.

“Attenti! Venite via se prova ad aggredirvi!” gridò loro, preoccupato.

“Tranquillo Martin! Sherlock è un professionista!” lo rassicurò John, cercando di sembrare serio, almeno quanto bastava per rendere la cosa credibile. Il ragazzino non replicò, il che fece ben sperare i due.

“Ecco John, ce l’abbiamo quasi fatta!”.

“Ancora un po’! Passami il frustino, John!” gli chiese Sherlock, e John obbedì, domandandosi perché diavolo si fosse portato dietro quel dannato affare. Decise che preferiva non saperlo.

Un paio di sferzate a vuoto contro i poveri abiti appesi nell’armadio fecero da degna conclusione a quello scontro all’ultimo sangue, seguite da un terribilmente convincente verso vittorioso da parte di Sherlock e una risata allegra di John come perfetta colonna sonora. Con un gesto della mano, la coperta cadde davanti a loro.

“Missione compiuta!” annunciò Sherlock, sistemandosi il cappotto, come se si fosse davvero appena accapigliato con un mostro a cinque braccia. Martin lo guardò come se avesse appena visto Babbo Natale in persona con tanto di slitta e renne volanti. Ed elfo aiutante, ovviamente.

“Non tornerà più? Mai più?” domandò, esitante, sporgendosi appena dal letto e osservando le ante spalancate dell’armadio pieno di innocui vestiti.
Sherlock sembrò offeso.

“Metti in dubbio le nostre capacità, ragazzino? Certo che non torneranno!” ribadì, come se quella domanda non fosse nemmeno degna di una risposta.

Martin prese a saltellare allegramente sul letto.
"Grazie! Grazie mille Sherlock!" applaudì Martin, euforico, sventolando il povero dinosauro in aria, come uno strano pon pon. "Finalmente potrò dormire tranquillo. Erano secoli che non ci riuscivo!".
John si sentì sciogliere. Accarezzo il visetto paffuto del bambino con una mano, mentre Sherlock si esibiva in un elegante inchino.
"E' un dovere aiutare piccoli mocciosi spaventati" disse Sherlock, guardando in aria. "Ora possiamo anche andare, John" annunciò.
"Aspettate! Devo pagarvi!" esordì il piccoletto, atterrando sul tappeto accanto al letto dopo un salto abbastanza arzigogolato dal materasso. Prese a rovistare nel cassetto del comodino come se cercasse disperatamente qualcosa.
John s'intenerì.
"Oh Martin, tranquillo, il nostro servizio è... gratis" spiegò John ma il bambino non gli prestò la minima attenzione.
Sherlock lanciò un'occhiataccia al dottore.
"E' giusto che il nostro piccolo cliente desideri ricompensarci. Dopotutto lo abbiamo liberato di un problema decisamente ostico" ribadì il detective, cercando l'appoggio del ragazzino che annuì energicamente.
"Ossico, si" disse, continuando a rovistare e lanciando oggettini e giocattoli vari sul letto, incurante del disordine.
"Ma Sherlock, non è il caso... " John disse tra i denti, stritolando un braccio di Sherlock con una presa salda delle mani, senza farsi vedere. "Non è necessario, ci abbiamo messo sì e no cinque minuti".
"E' necessario invece. Non fai altro che rimproverarmi di accettare casi senza pretendere una parcella" lo redarguì, cercando di liberarsi dalla morsa. "Sei incoerente, John Watson".
La risposta velenosa di John fu interrotta da un gridolino eccitato da parte di Martin, che adesso sventolava tra le mani un dischetto di metallo tutto storto, che nella sua vita passata era sicuramente stato una moneta da due sterline.
"Questa è preziosissima!" squillò Martin, spiegando diligentemente. "L'ho trovata al parco, un mese fa! Papà dice che è un tesoro, visto che era sotterrata sotto un albero".

Sherlock prese la moneta dalla manina del bambino e la osservò con sufficienza, cosa che gli costò una nuova stretta stritolante al braccio da parte di John. Improvvisamente la sua espressione divenne assolutamente interessata.

“Oh ma è meravigliosa! Grazie mille, Martin!” lo ringraziò il detective, con una voce fintamente allegra e soddisfatta. Fortuna che il bambino non conoscesse Sherlock tanto da accorgersi di quella perfetta pantomima.

“E’ antichissima! Magari era di qualche pirata! C’erano pirati in Inghilterra, lo sai?” chiese a Sherlock, vantandosi della sua conoscenza.

Sherlock lo guardò affabilmente, fingendo estrema sorpresa.
“Sicuramente è molto antica! Dopotutto c’è stampata sopra…Elisabetta seconda” lanciò in aria la moneta un paio di volte, riafferrandola con maestria in un veloce gioco di dita.

Martin sorrise.

“Beh, la regina è vecchissima” disse, con voce piena di infantile sincerità. “Lo avrà pure conosciuto un pirata, no?”.

John rise, prossimo quasi a sciogliersi per la troppa tenerezza. Se solo non avesse dovuto combattere contro il cinismo sempre pronto all’agguato del suo coinquilino, si sarebbe goduto quel simpatico scambio di battute molto di più. Sherlock lo imitò.

“Oh dovrebbe sentirti mio fratello” disse Sherlock, a voce bassa.

“Tuo fratello conosce la Regina?” Martin domandò curioso.

“Oh, molto bene” rispose Sherlock, sarcastico. “Da bambino diceva a tutti che l’avrebbe sposata”.

Sul visetto di Martin comparve una strana espressione atterrita.

“Tuo fratello deve avere qualche rotella fuori posto” fu il suo giudizio.

Sherlock lo guardò negli occhi e poi rivolse lo sguardo a John, scoppiando a ridere.

“Questo bambino comincia seriamente a piacermi” disse a John, che adesso guardava verso il muro per evitare di piegarsi in due anche lui.

Sherlock scosse la testa.

“Comunque, il mio lavoro qui è finito. Arrivederci, Martin” ancora ridendo, porse una mano al bambino, sventolandola all’altezza dei suoi occhietti azzurri e Martin la strinse, con entusiasmo.

“Oh, ciao ciao!” squittì, a voce alta, lasciando la mano di Sherlock e passando ad abbracciare John in una stretta affettuosa, che l’uomo ricambiò con piacere, strofinando la mano sulla schiena del piccolo.

“Buonanotte mostriciattolo” gli disse il dottore, rimboccandogli poi le coperte e uscendo dalla stanza, con un cenno di saluto.

“E grazie!” lo sentirono dire ancora, da dietro la porta.

 

Sherlock non disse nulla mentre scendeva di corsa al piano di sotto, verso Mike che lo aspettava alla base delle scale. John li osservò affacciato al parapetto, li guardò parlare di qualcosa che non riuscì a sentire, e alla fine Mike annuì, stringendo la mano di Sherlock e tornando nell’altra stanza.

John lo raggiunse subito dopo, chiudendosi il giubbotto.

“Allora?” chiese, curioso.

“Allora torneremo fra qualche giorno. Devo analizzare alcuni indizi che ho trovato nella stanza da letto”.

John annuì.

“Capisco”.

Rimasero in silenzio mentre s’incamminavano verso la porta d’ingresso, un silenzio che fu interrotto soltanto dall’impossibilità di John di tacere ancora sull’argomento. Su quella cosa assolutamente fuori dal normale, almeno per Sherlock, accaduta nella stanza al piano di sopra.

“Sei stato… carino, con Martin” disse, diplomatico. Meglio non essere subito troppo accomodanti. Troppi bei complimenti avrebbero potuto sconvolgerlo. “Molto carino, in verità” si sbilanciò.

Sherlock lo guardò, di sfuggita.

“Quella era l’idea”.

“E’ stato…bello da parte tua. Un bel gesto. Non me lo sarei aspettato da te” affermò, sinceramente.

Sherlock sbuffò, con un ghigno sul viso.

“Hai sempre così poca fiducia in me, John” fece come per rimproverarlo, dirigendosi verso la porta, lungo il corridoio. “E comunque frena i sentimentalismi. L’ho fatto per il semplice motivo che le sue ciance stavano intralciando le mie indagini, John. Mike avrebbe dovuto dirci che sarebbero stati presenti i bambini durante il sopralluogo”.

John aggrottò le sopracciglia, sorridendo.

“Quei bambini vivono qui, Sherlock. Sei tu l’intruso, fino a prova contraria”.

Sherlock lo fulminò con lo sguardo.

“E allora Mike dovrebbe aumentare le misure di sicurezza per la sua casa, così da evitare furti di gioielli e di conseguenza la mia presenza qui. Ti appigli sempre a queste sottigliezze, John” lo rimbrottò Sherlock, sbuffando.

John lo spintonò, ma senza fargli troppo male e poi sorrise, quando gli sovvenne alla mente un particolare della giustificazione di Sherlock che decisamente non quadrava.

“Tu sei venuto nella stanza di Martin a indagine conclusa” disse, sicuro. “Anche ammettendo che ti avesse…disturbato, ormai avevi finito. Non c’era bisogno di tutta quella scena”.

Sherlock sembrò rimanere senza parole, a quell’affermazione. Un lieve rossore comparve sulle sue guance e prese a mordersi il labbro, nervosamente.

“Ero in piena elaborazione dati, John. Non nella parte pratica dell’indagine ma in quella intellettuale, la più importante! E tutto quel ciarlare non era affatto d’aiuto”.

John rise, guardando il detective arrampicarsi sugli specchi e crogiolandosi in una sorta di perfido piacere. Doveva immaginare che Sherlock sarebbe stato il tipo da vergognarsi di quei rari momenti d’umanità. Perfettamente in character, alla fine.

“Oh sicuramente. Perdonami per aver insinuato di aver deliberatamente reso felice un bambino”.

Sherlock sembrò gradire la particolare scelta delle parole.

“Ti perdono, John” gli concesse e John scosse la testa, infilandosi le mani nelle tasche, e continuando a camminare accanto a Sherlock.

“Oh grazie Sherlock” finse di ringraziarlo, con espressione piena di gratitudine. “Allora, cosa pensi di fare della tua…ricompensa?” gli domandò, sinceramente curioso, cambiando argomento.

Il detective scrollò le spalle, con un cenno del capo che voleva indicare indifferenza che però non risultò, stranamente, molto convincente.

“E’ solo un pezzo di ferro consumato” disse, ancora con quello strano tono di voce. “Lo lascerò in salotto e fingerò di averlo perso”.

John mugolò deluso, guardando il detective con le sopracciglia corrugate in uno sguardo di disapprovazione.

“Sherlock…”.

“Se vuole liberarsi delle sue inutile chincaglierie farebbe meglio a gettarle via invece che darle a me. Sono cose che s’imparano da bambini, John”.

“Ma per lui era importante davvero, Sherlock…” provò John, in extremis.

“Ne troverà un’altra”.

“Sì ma…”.

“Niente ‘ma’” sbottò il detective, allungando il passo.

Sbuffò e si avvicinò ad un vecchio mobile elegante nell’anticamera dell’ingresso, posando la moneta dietro una vecchia cornice d’argento, attento che nessuno lo vedesse. John scosse la testa, a braccia incrociate, e Sherlock gettò gli occhi al cielo.

“Insomma John, togliti quell’espressione dalla faccia” lo rimproverò, portando le mani al bavero del cappotto e accorgendosi improvvisamente di qualcosa.

“Che c’è adesso?” chiese John, con tono acido.

“Ho dimenticato la sciarpa. Tu va avanti, aspettami fuori” esclamò, tornando indietro verso il salotto a larghe falcate.

John però non si mosse.

Rimase fermo ad aspettarlo, nonostante il chiaro invito di Sherlock a non farlo e nonostante il comportamento del suo coinquilino non lo rendesse meritevole di nessuna carineria o cortesia. Oltretutto, dentro di sé, John sentiva di dover rimanere lì. Si nascose ben bene dietro una delle nicchie del muro, facendo in modo che lui potesse vedere Sherlock ma che quest’ultimo non potesse scorgere lui.

Vide il detective armeggiare con la sciarpa blu, legandosela al collo con nonchalance e poi, del tutto inaspettatamente, vide Sherlock guardarsi intorno, come per assicurarsi di non essere spiato e lo guardò afferrare la moneta che aveva nascosto poco prima, riponendola con cura nella tasca interna del cappotto, quella riservata agli oggetti di estrema importanza.

John ridacchiò, attento a non rendersi visibile agli occhi di Sherlock, e uscì di soppiatto dalla porta chiudendola dietro di lui senza il minimo rumore, fermandosi davanti al cancello del giardino per lasciar credere al detective di essere rimasto lì fuori ad aspettarlo.

Quando il detective ricomparve, John lo guardò toccare insistentemente la taschina del cappotto, come se si stesse assicurando che il suo contenuto fosse ancora al suo interno.

Arrivato davanti a John, il detective sorrise.

“Possiamo andare”.

“Molto bene” asserì John, felice. Sherlock era sempre un continuum di sorprese, esasperanti per di più, ma certe volte anche inaspettate, spontanee, come quella piacevole scoperta appena fatta. E la loro rarità le rendeva cento, mille volte più belle.

John aprì il cancello e lasciò che Sherlock lo precedesse, incamminandosi verso la strada principale, alla ricerca di un taxi. Quando si fermarono sull’ampio marciapiede, in attesa, Sherlock non trattenne una risata. John lo guardò, curioso.

“Cosa c’è?”.

“Sei un bambino, John”.

Il dottore lo guardò, confuso.

“Che diavolo ho fatto adesso, Sherlock?” gli domandò, interdetto. Quella sì che era bella.

“La mamma non ti ha detto che non si spia la gente nascosti dietro i muri?”.

Gli servì un secondo per assimilare quella frase e il suo sottinteso ma poi John scoppiò a ridere, divertito e per nulla stupito che Sherlock sapesse, dopotutto nulla gli si poteva nascondere completamente, e si strinse nelle spalle, come a dirgli che non poteva farci nulla.

“Ho avuto un’infanzia difficile, Sherlock”.

Sherlock si finse intristito. Mise le mani nelle tasche e guardò John con un musetto avvilito.

“Oh, poverino” disse, con tono fintamente consolatorio. “Mi dispiace”.

John annuì, mesto, stando al gioco.

“Piena di mostri dentro l’armadio, sai”.

Lo sguardo di Sherlock s’illuminò e si strinse nel suo cappotto.

“Oh diamine. Se solo ci fossimo conosciuti prima, avrei potuto aiutarti”.

John gli diede uno schiaffetto scherzoso sulla schiena.

“Terribile tempismo, è vero” asserì. “Ma potrei portarti a casa a conoscerlo. Penso che continui a tormentare i miei genitori. Sai, gli manco”.

Sherlock represse una risata, lanciandogli occhiatine divertite.

“Muoio dalla voglia” esclamò. “In effetti, sei uno di cui si sente la mancanza, quando non ci sei”.

John strabuzzò gli occhi, sorpreso ma incredibilmente lusingato da quelle parole, in fondo in fondo.

“Sono commosso” lo ringraziò. “Non ho vecchie monete con cui pagarti, però”.

Sherlock si morse il labbro inferiore, immerso in un’assorta concentrazione, come se stesse mentalmente stillando una lista delle possibilità con cui risolvere quel piccolo contrattempo.

“Ci sono due o tre cose con cui potremmo ovviare al problema. Troveremo una soluzione, tranquillo” esclamò, eloquente. “Una volta a casa, potrei farti un elenco delle mie proposte”.

John scoppiò a ridere, ricambiando l’occhiatina furba di Sherlock, mentre osservava un taxi avvicinarsi.

Strinse una mano di Sherlock nella sua, nel calore confortante della tasca del cappotto dell’altro.

“Oh Sherlock, ne sarò estremamente felice” disse, malizioso. “Cosa farei senza di te?”.

 

 

 

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