Immobile al centro della stanza, lo sguardo vacuo, i capelli in disordine, il volto sporco rigato dalle lacrime.
Perché?
Sofferenza.
Perché?
Dolore.
Perché?
Disperazione.
Perché?
Non lo so.
La stanza buia, un tempo accogliente, ora così spoglia. I muri grigi, il pavimento pieno di polvere, nessun mobile.
La sua prigione.
Perché tutti la odiavano?
Perché la tenevano rinchiusa in quel posto?
Perché?
Fratello…dove sei?
Mi avevi detto che non mi avresti mai lasciata.
Perché sei sparito all’improvviso? Perché non hai impedito che mi portassero via tutto, che mettessero le sbarre alle finestre, che mi rinchiudessero per sempre?
Madre.
Padre.
Dove siete? Perché sono sola?
Perché?
Sofferenza.
Perché?
Dolore.
Perché?
Disperazione.
E poi, come ogni giorno, la rivelazione. Così improvvisa da toglierle il fiato.
La colpa.
Il ricordo.
I cadaveri.
Le sue mani sporche di sangue.
Il loro sangue.
E l’urlo, l’urlo disumano che allora era uscito dalle sue labbra e che ogni giorno si ripeteva finché, come era giunto, così il ricordo svaniva inghiottito dal buio della sua mente e la litania ricominciava.
Perché?
Sofferenza.
Perché?
Dolore
Perché?
Disperazione.
Perché?
Non lo so, non lo so…