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Autore: Katekat    10/08/2012    2 recensioni
La ama e la odia.
Sa che l'amore per lei lo ucciderà ma non riesce a smettere di amarla.
Più la ama e più odia se stesso.
Non c'è via di fuga, per nessuno.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Rodolphus Lestrange | Coppie: Rodolphus/Bellatrix
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Rossa come il sangue, nera come la notte





Lei è davanti allo specchio. Si pettina i lunghi ricci aggrovigliati con gesti nervosi, rabbiosi, a scatti. Tirando, strappando, incurante del dolore. Il dolore non l’ha mai fermata, anzi. Le piace.

Lui la osserva, appoggiato di spalle al muro, le braccia incrociate. La studia con la testa lievemente inclinata di lato, attento. Nel suo sguardo c’è un’ombra.

Non si è mai curata più di tanto del suo aspetto. Non si è mai data la pena di pettinare quella massa di fil di ferro.

Lui l’ha sempre preferita così. Selvaggia piuttosto che disciplinata. Scarmigliata e piena di ardore anziché ordinata e sottomessa.

Ma lui non è imparziale. Per lui è bellissima in qualsiasi modo, sempre e comunque. Non perché sia cieco di fronte ai suoi difetti, tutt’altro. Conosce i suoi difetti, uno per uno, e li ama altrettanto intensamente dei suoi pregi, se non di più. Conosce il suo lato più terribile e tormentoso, e adora anche quello. Adora tutto di lei. Non potrebbe pensarla diversa da com’è. Non la vuole diversa.

Perché si sta pettinando? Perché ci mette tanto impegno?

Segue i suoi gesti intenti, meticolosi. Completamente assorbita da ciò che sta facendo, incurante di lui. Potrebbe essere un pezzo dell’arredo, per la considerazione di cui lo degna. Ma non riesce a staccarle lo sguardo di dosso. Perché è bellissima e terribile come sempre.

Posa la spazzola. D’avorio, col manico scolpito a forma di serpente. Anche le sue dita sono d’avorio, e nervose. Si muovono veloci, affusolate. Il loro pallore spicca contro le unghie appuntite smaltate di nero. Il nero è il suo colore naturale. Capelli neri. Occhi neri. Anche la sua anima è nera. Nera come la notte.

Ma le sue labbra sono rosse. Rosse come il sangue. Le piace il sangue. La eccita. Le brillano gli occhi quando lo vede sgorgare lento e denso dalle ferite, trasudare dal suolo, dalle mura, impregnare l’aria con il suo miasma greve e invisibile. Lo inspira avidamente, se ne riempie le narici, lo risucchia fino all’anima. Anch’essa si tinge di rosso, in quei momenti.

La vede mordersi le labbra, mentre fissa il proprio riflesso con attenzione quasi maniacale. Sa perchè lo fa. Vuole che siano ancora più rosse, più gonfie, più doloranti. Ecco perché ci affonda i denti, quasi a sangue. È un sapore che la fa impazzire.

Lo fa anche con lui, ma sempre più raramente. Gli prende le labbra fra i denti e lo morde. Lo morde fino a sentire il sangue stillarle in bocca, poi si ritrae, succhiandosi le labbra, come a imprigionare quel sapore sulla lingua, a imprimerselo sulle papille e nella memoria. E negli occhi ha quello scintillio sadico e malsano che gli fa accapponare la pelle e contrarre dolorosamente le viscere di desiderio.

Mentre si fissa allo specchio, lui sa a cosa sta pensando. Cerca di vedersi con gli occhi del suo Padrone, di immaginare come gli appare. Non si ritiene abbastanza per Lui. Mentre, per suo marito, lei è tutto ciò che potrebbe desiderare e molto di più. È tutto ciò che vuole e per sempre vorrà. È più di quello che lui sente di meritare e in passato si è chiesto chi dovesse ringraziare per quel dono grandioso e imprevisto, quella fortuna inattesa e immeritata.

Ma poi, piano piano, sono trascorsi gli anni. E si è reso conto che non è un dono. È un castigo. Non è fortuna. È una maledizione. Perché amare una donna e non essere da lei riamato è un tormento perenne e una beffa atroce. Sapere che lei ama un altro per il quale non conta assolutamente nulla, è ancora peggio. Sono tutte marionette nelle mani di un sadico burattinaio che è la vita, invischiate in una commedia che non fa ridere nessuno.

Non le chiede perché si stia mettendo in ghingheri. Non le chiede dove stia andando, chi debba incontrare. Lo sa. E lei sa che lui sa. E non dice niente nemmeno lei. Sa che mentire non è necessario. Una bugia sarebbe troppo. Troppo crudele perfino per lei, che è la più crudele di tutti.

I suoi occhi incrociano quelli di lui nello specchio. Un angolo delle sue labbra si incurva appena. È quello il suo modo di sorridere. Il suo sguardo è carezzevole e terrificante come l’inferno.

«Che c’è?»

Lui scuote le spalle e non risponde. Continua a fissarla.

Anche quella domanda era superflua. Tutto ciò che prova è lì, chiaro e nitido sulla sua faccia, negli occhi che non la abbandonano un attimo.

Lei si alza. Butta indietro la testa, scuotendo i lunghi capelli corvini che le ricadono sulla schiena come una cascata di seta. Domati dalla spazzola, i suoi ricci ora sono morbidi e sinuosi come le spire inanellate di una serpe. I suoi occhi sono più grandi che mai. Languidi. Dilatati dall’aspettativa del piacere. Anche il suo corpo si tende, pregustando ciò che accadrà tra poco. La conosce. Se ne accorge. È diversa dal solito. E quello può significare una sola cosa.

Tutti i suoi sospetti trovano conferma in un attimo, l’attimo in cui lei si gira e i loro sguardi si avvincono di nuovo. Faccia a faccia, stavolta. Niente più vetro a separarli, nessuna barriera a confondere e distorcere immagini e pensieri. E’ tutto lì. Cristallino e inequivocabile.

Lei lo guarda, immobile. Aspetta. Aspetta che lui glielo chieda. Gli fissa le labbra, in attesa che si schiudano per riversare fuori la domanda che aleggia, silenziosa e inespressa, nell’aria che li separa. Ma lui le tiene ostinatamente chiuse, serrate, contratte. Le labbra di lei sono rosse. Quelle di lui sono livide.

Non si piegherà. Non si abbasserà a tanto. Ha già calpestato troppe volte la propria dignità e il proprio onore per quella donna. Quella donna a cui non importa niente di lui. Non le darà anche questa soddisfazione.

Lei gli va vicino. Lenta e silenziosa come la morte. Divertita e maliziosa come il demonio.

«Ti senti bene, Roddie? Sei pallido…» Leva una mano ad accarezzargli un lato del viso. La punta delle lunghe unghie affilate sfiora appena la pelle.

Il profumo di lei gli invade le narici, annebbiandogli per un attimo il cervello. Lei gli porta via tutto. L’orgoglio, il coraggio, la lucidità. Tutto. Ne fa razzia, lasciandolo vuoto e intorpidito come dopo una lotta estenuante. Una lotta da cui non esce mai vincitore. Ormai gli è chiaro. Ma non per questo rinuncia a combattere. Si vergognerebbe di se stesso, ancor più di quanto non si vergogni già adesso. E’ un uomo, per Salazar. Ma è anche il suo uomo. E ciò lo rende debole e docile, un pupazzo nelle sue mani.

Non risponde. Accenna appena un sorriso tirato. La guarda come a volerla incendiare col calore delle sue pupille. Vorrebbe vederla contorcersi davanti a lui tra le fiamme, farle provare per una volta un decimo del dolore che prova lui ogni volta che lei va via. Amore e odio. Piacere e dolore. È sempre così tra loro. Per lui è la vita stessa. Per lei è solo un divertimento.

«Come sto?» Fa un passo indietro per lasciarsi guardare, la stronza. È talmente stronza che prova l’impulso di metterle le mani intorno al collo e toglierle la vita in quel preciso istante. Ma è anche talmente bella che non lo fa. Si limita a scivolare con lo sguardo sul suo corpo, tornando poi al suo viso. Chiude a chiave dentro di sé la disperazione che gli ruggisce nel petto e dice: «Sei bella».

Lei alza un sopracciglio, vagamente contrariata. Non è abbastanza. Vuole di più. Molto di più. E lui, sciocco, non riesce a negarglielo nemmeno stavolta.

«Sei bellissima. Sei da togliere il fiato»

Davvero gli toglie il fiato. Non trova parole per descriverla. Non ci sono parole in lingua umana per esprimere quello che lei gli smuove dentro, quando la guarda. Lei sorride crudele e si fa ancora più vicina. I loro nasi si sfiorano.

«Le mie labbra non sono abbastanza rosse» gli sussurra a fior di labbra, fissando quelle di lui. Poi alza improvvisamente lo sguardo, trafiggendolo con gli occhi neri e imperiosi. «Mordimi» gli ordina, a voce bassa.

Lui esita. È riluttante. A trattenerlo non è il pensiero di farle male. Lei quel male lo vuole, lo esige, e non è mai abbastanza. Lo blocca la rabbia. Rabbia di doversi piegare ancora al volere di quella donna. Che è la sua dannazione. La sua ossessione. Il suo chiodo fisso. La sua padrona incontrastata.

Lei gli affonda le unghie nel petto, tirandolo più vicino, guardandolo minacciosamente tra le ciglia pesanti. Il suo sguardo lo sfida a ribellarsi. Lo deride, perché sa che non lo farà. Smette quasi subito di lottare con se stesso. Sa che è inutile.

Abbassa la bocca a prendere la sua. La trova pronta, aperta, spasimante. Le loro labbra si incollano e si incastrano, in un cozzare sonoro di denti e in un amalgama di respiri rotti e ansanti, in un delirio di lingue che guizzano e si ritraggono in una lotta senza quartiere. Lei non gli dà respiro. Esige. E lui le dà quello che vuole. La sente articolare un gemito mentre le affonda i denti nel labbro inferiore.

È spietato. Come solo un uomo geloso e ferito può essere. E lei l’ha ferito a morte. Gli infligge continuamente nuove ferite e al contempo riapre quelle vecchie. Vuole vederlo dissanguarsi lentamente, giorno dopo giorno, davanti ai suoi occhi. E ci sta riuscendo splendidamente.

Però adesso è lei che sanguina. Sente il sapore del suo sangue ed è come un veleno che gli ottenebra i sensi. Molla la presa prima di perdere il controllo e lei si ritrae, barcollando leggermente. La guarda. I capelli d’ebano, la pelle d’alabastro. E quel rosso scarlatto che dilaga liquido sulle sue labbra, colando in un filo sottile lungo il mento. È spaventosa ed eccitante nello stesso tempo. Un sogno erotico e un incubo angoscioso. È sesso e morte. E intrappolato in mezzo c’è quell’amore assurdo e disperato che palpita in catene, scorticato vivo.

Lei si volta verso lo specchio, dandogli le spalle. Vede il suo sguardo accendersi di soddisfazione. Con un dito arresta quella goccia scarlatta che le scivola sul mento. Se la porta alle labbra, succhiandola. Rimane lì ancora un attimo a fissarsi rapita le labbra sanguinanti. Lui sente ancora il suo sapore sulla lingua. «Ora sono perfetta. Vero, Roddie?»

«Oui, ma chèrie. Tu es superbe»






Come break me down
bury me
bury me
I am finished with you
Look in my eyes
you're killing me
killing me
all I wanted was you

30 Seconds to Mars, The Kill






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