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Autore: thenightsonfire    11/08/2012    8 recensioni
Lei, che, eppure, continuava ad attirare lo sguardo del ragazzo su di sé. E l'odio che le rivolgeva con sguardi sprezzanti, battute taglienti, insulti era tutto un modo per dirle “non mi avrai”. Poteva avere tutti dalla sua parte, Silente, i professori, coloro che l'avevano guardata con rispetto e desiderio perché era amica di Potter, ma non lui. Oh, no: lui voleva spogliarla, ma solo per denigrare le sue forme acerbe, le sue imperfezioni; voleva baciarla, ma solo perché nessuna, nessuna, poteva desiderare un pezzente come Ron Weasley, così come era penosamente palese lo desiderasse lei, piuttosto che lui; voleva possederla, sottometterla, fisicamente e mentalmente, ma solo per dimostrare che lui sarebbe stato sempre più forte di lei; voleva sentirsi dentro di lei, sentirla contro di lui, con lui, ovunque, ma solo per spezzare quella sua corazza di purezza e darle la prova che, se lui non poteva essere intoccabile, allora non poteva – non doveva – esserlo nemmeno lei.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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UNTOUCHABLE.

 

 

Dedicata a Nury,

che mi ha avvicinata al mondo delle Dramione fino a questo mio primo tentativo.

 

 

Everything about you is how I wanna be

Your freedom comes naturally

Everything about you resonates happiness

Now I won't settle for less

Give me all the peace and joy in your mind

Bliss, Muse.

 

 

Draco Malfoy, seduto in disparte davanti al portone centrale di Hogwarts, seminascosto da alcune macerie, le macerie di una Hogwarts più distrutta di quanto non fosse mai stata, poggiò i gomiti sulle ginocchia e poi il volto sui palmi aperti.

Aveva cercato di allontanarsi con i suoi genitori dalla scuola, subito dopo la caduta del Signore Oscuro – aveva cercato di fuggire.

Di nuovo. Per l’ennesima volta.

E non era servito. Sua madre Narcissa aveva tentato di trascinarlo via in silenzio, di nascosto, seguita dal marito Lucius, ma un manipolo di Auror era riuscito a bloccarli per riportarli indietro, entro il perimetro della scuola. Avevano disarmato Lucius per primo, poi, quando si erano avvicinati a sua madre Narcissa con l'intento di bloccarla, lui aveva puntato sconsideratamente la bacchetta contro di loro per difenderla – il suo primo, vero atto di coraggio – e lo avevano schiantato. Doveva essersi ferito una tempia all'impatto col suolo, perché, quando lo avevano risvegliato, dei rivoli di sangue avevano già cominciato a scendere. Lo avevano alzato da terra con premeditata malagrazia.

Avevano tolto loro le bacchette. Sequestrate.

Catturati.

Non sapeva cosa sarebbe accaduto. Le mani premute contro il suo volto fino a sentire dolore, nella sua mente riusciva solo a sentire e risentire alcune parole che aveva sentito pronunciare agli Auror mentre li scortavano indietro.

Wizengamot... processo... privazione dei beni... condanna...

No, pensò con un gemito strozzato. Non voleva. Non aveva mai voluto. Non aveva avuto scelta.

E sapeva che la sua voce non sarebbe stata ascoltata, perché il Marchio Nero sul suo braccio sinistro, il segno inequivocabile della parte da cui si era schierato – da cui lo avevano schierato – avrebbe parlato per lui.

Non osava alzare gli occhi. Non osava affrontare la limpida luce del nuovo giorno che si affacciava sulla scuola distrutta, sventrata, martoriata, sui corpi esanimi di chi era morto, sulle ferite, fisiche o meno, di chi era sopravvissuto, su...

Sulle colpe di chi non aveva fatto nulla per proteggere Hogwarts, esattamente come lui. Ma la verità era che non aveva mosso un dito né dall’una né dall’altra parte fin dall’inizio, da quando non aveva scagliato l’Anatema che Uccide su Albus Silente, e successivamente quando a Malfoy Manor aveva finto di non riconoscere Potter, Weasley e la Granger...

E, inaspettatamente, riconobbe in lontananza la voce di quest'ultima. Fu questo a fargli alzare lo sguardo, a fargli lacrimare gli occhi contro la luce accecante di mezzogiorno. La vide passargli accanto, al di là delle macerie dietro cui si era nascosto. Codardo. Weasley le teneva un braccio attorno alle spalle esili, abbracciandola, quasi cullandola, portandola via dal castello, via dalla morte, via dal dolore. E lei, vide, sorrideva, seppur debolmente, riusciva a sorridere. Come?, si domandò, stringendo i denti. Come? Lo guardava e sorrideva, gli sussurrava qualcosa, poggiava il capo sul torace del ragazzo...

Strinse spasmodicamente le mani sulla sue ginocchia, mentre un'ondata di odio lo invadeva. O forse umiliazione.

Avevano vinto loro, alla fine. Il babbanofilo e la Mudblood.

Intoccabili.

Intoccabili da tutti, perché erano gli eroi.

Era per Weasley. Sorrideva a lui. E pensò che avrebbe voluto ucciderlo, che avrebbe voluto far soffrire entrambi, che avrebbe voluto cancellare qualsiasi traccia di felicità del volto della Granger, strattonarla e farle del male, e ferirla, ferirla in ogni modo possibile, perché erano lei e il suo sangue sporco ad aver vinto, non lui e la sua pura discendenza di mago, no, lei, lei che non avrebbe dovuto nemmeno fare parte del mondo della Magia, che era inferiore a lui...

Inferiore.

Un'altra ondata di odio – no, umiliazione –, più forte, più accecante di prima, perché la Granger aveva vinto sempre, ad ogni esame, ogni pozione riuscita, ogni regola infranta senza conseguenze, ogni punto guadagnato, ogni incantesimo ben riuscito, ogni...

Ogni occhiata non ricambiata.

Hermione Granger che compariva al Ballo del Ceppo elegante e bellissima, vincendo i pregiudizi di tutti. Vincendo anche i suoi.

Ogni pericolo scampato.

Hermione Granger che sopravviveva al Basilisco, sguinzagliato nella scuola indirettamente per mano di suo padre al fine di epurare il castello dai Mezzosangue.

Ogni esame in cui lo aveva battuto.

Dimostrando che una Muggle-Born poteva essere superiore ad un mago di sangue puro come lui.

Ogni dimostrazione di buon cuore.

Hermione Granger che al terzo anno, dopo l'incidente con Fierobecco, urlava ad Hagrid di portarlo in infermeria. Anche se lo odiava. Anche se la chiamava Sanguesporco.

La Granger che rimaneva comunque pura, fiera, coraggiosa, che continuava a rintanarsi in biblioteca persino quando tutta la scuola le dava della secchiona so-tutto-io, incurante degli insulti, incurante dei giudizi altrui, lei e il suo rigore, lei e i suoi capelli crespi, lei e la sua mano sempre maledettamente levata durante interrogazione, lei e i suoi Eccezionale, lei e la sua divisa scolastica sempre ordinata e perfetta.

Divisa che avrebbe voluto strapparle. Oh, sì: strappargliela di dosso, con violenza, umiliandola, tenendola ferma in qualche angolo nascosto della scuola, per poi puntarle la bacchetta alla gola, chiederle se adesso aveva paura, e sentirla squittire dal terrore per quello che poteva farle, che voleva farle...

Gli sfuggì un gemito roco. Voleva? Voleva davvero?

Ricordava quando aveva cominciato a formulare questi pensieri: mentre al Ballo del Ceppo lei, sorprendentemente bella per la prima volta, ammaliava tutti. Persino lui. Persino lui, che avrebbe dovuto provare solo disgusto per tutto ciò che la ragazza rappresentava, era finito con l'esserne quasi attratto. E aveva cominciato a odiarla ancora di più per questo, giorno dopo giorno, mentre lei lo disprezzava e lo guardava con aria di superiorità, quando, invece, avrebbe dovuto temerlo e considerarlo superiore, al di sopra di lei – e, ah, quanto avrebbe voluto tapparle la bocca, tapparle la bocca solo con le sue labbra, , ma senza romanticismo: solo con violenza, disprezzo, collera, collera per ciò che era e rappresentarla, e umiliarla con quel contatto...

Ricordava ancora lo schiaffo al terzo anno, e aveva cominciato a desiderare di ripagarla con la stessa moneta, con la violenza, fisica o psicologica che fosse. Perché lui, con quello schiaffo, non aveva avvertito solo dolore fisico, no, ma soprattutto un duro colpo a ciò che era, perché lei, una Mezzosangue, aveva inconsapevolmente scalfito quella apparente sicurezza di intoccabilità che si era costruito.

Lei, una Muggle-Born.

Lei, indegna della magia.

Lei, indegna di qualunque mago.

Lei, che, eppure, continuava ad attirare lo sguardo del ragazzo su di sé. E l'odio che le rivolgeva con sguardi sprezzanti, battute taglienti, insulti era tutto un modo per dirle “non mi avrai”. Poteva avere tutti dalla sua parte, Silente, i professori, coloro che l'avevano guardata con rispetto e desiderio perché era amica di Potter, ma non lui. Oh, no: lui voleva spogliarla, ma solo per denigrare le sue forme acerbe, le sue imperfezioni; voleva baciarla, ma solo perché nessuna, nessuna, poteva desiderare un pezzente come Ron Weasley, così come era penosamente palese lo desiderasse lei, piuttosto che lui; voleva possederla, sottometterla, fisicamente e mentalmente, ma solo per dimostrare che lui sarebbe stato sempre più forte di lei; voleva sentirsi dentro di lei, sentirla contro di lui, con lui, ovunque, ma solo per spezzare quella sua corazza di purezza e darle la prova che, se lui non poteva essere intoccabile, allora non poteva – non doveva – esserlo nemmeno lei.

Intoccabili.

L'uno all'altra.

Lui non poteva toccarla.

Lei non voleva toccarlo.

E tutto questo, questo desiderare non significava desiderarla, come avrebbe mai potuto? No: significava solo desiderare di farla sentire umana, fragile, annichilita.

Ed era questo che aveva pensato. Era questo di cui si era convinto, per tutto quel tempo.

Prima che lo marchiassero.

Il Marchio Nero, che ancora pareva bruciare sul suo braccio sinistro, seppure Voldemort fosse stato sconfitto.

Prima che lo caricassero di un peso – di una missione – che, lo sapeva sin dall'inizio, non avrebbe mai potuto portare a termine, prima che fingesse di essere onorato del fatto che stava per diventare un assassino.

Uccidere. Uccidere Silente.

Prima che, ancora una volta, un adulto, Piton, dovesse cercare di aiutarlo perché non poteva farcela da solo.

Come un bambino. Come un codardo.

Prima che, al sesto anno, voltasse le spalle alla sua scuola, cercando per mesi un modo per far entrare i Mangiamorte in quelle mura.

Dando il via, indirettamente, alla vera guerra.

Prima che non avesse più tempo nemmeno per i sentimenti, nemmeno per quelli verso la Mezzosangue – disprezzo, odio, disgusto, si ripeteva ancora.

Poi, durante quell'ultimo anno, lontano dalla Granger, persa chissà dove a combattere una guerra che faceva morti anche tra i vivi (quei morti che respirano ma che hanno perso tutto, e non vivono, sopravvivano soltanto, aspettando la fine) con Potter e Weasley, quel disprezzo era lentamente scivolato via, perché ormai dentro di lui non c'era più posto per l'amore, o l'amicizia, o gli affetti. In quel mondo che si stava accartocciando su se stesso morto dopo morto non c'era più posto per nulla, se non per la consapevolezza.

Consapevolezza d'aver commesso un crimine ingiustificabile, lasciando la scuola nelle mani del Signore Oscuro.

Consapevolezza che, per quanto cercasse di apparire spavaldo, nemmeno lui era al sicuro.

Consapevolezza che mentre lui era lì, a fingere una sicurezza che non c'era e che in realtà era paura – codardo, codardo come era sempre stato –, la Mezzosangue era là fuori a combattere e a rispettare il copione di una tragedia che la vedeva coraggiosa, giusta, leale.

Al ricordo del se stesso che piangeva spaventato nel bagno di Mirtilla Malcontenta si sovrapponeva la consapevolezza che lei combatteva senza lasciarsi andare.

E infine la consapevolezza più grande, strisciante come un serpente mentre si insinuava tra le sue vertebre, tra le costole, gli stringeva lo stomaco, gli soffocava i polmoni: che l'odio, il rancore, il disgusto non c'erano mai stati, e che li aveva costruiti lui, come una barriera per non vedere... Vedere che, anche se non poteva amarla o desiderarla come donna – perché non voleva, perché non era abbastanza per lui, perché era una Mezzosangue, perché, perché, perché... – lui la ammirava. Ammirava tutte quelle qualità che lui non aveva mai posseduto, il fegato, il buon cuore, l'onestà, la lealtà, la libertà – lui, lui era incatenato al suo nome, ai Malfoy, al suo rango –, la gioia immotivata che le traspariva dagli occhi quando era con i suoi amici – lui che non riusciva nemmeno a evocare un Patronus cosa poteva saperne, della gioia? –, persino il disprezzo per le regole, e la odiava perché grazie ad esse sarebbe stata sempre migliore di lui. La invidiava. Era attratto dal suo modo di essere, che lui non avrebbe mai avuto. E quindi era attratto, indirettamente, da lei.

Il mondo doveva aver cominciato a finire allora, pensò con amarezza, quando un Purosangue si era reso conto di invidiare una Muggle-Born. Di esserne attratto come la falena dalla fiamma. Fiamma che era intoccabile.

Intoccabile.

Perché era sporca? O perché era troppo pura?

E poi?, si chiese. Dopo cos'era successo? Quand'era scomparsa anche la consapevolezza, per lasciare spazio solo ai sensi di colpa? Alla resa? Mentre la scuola era in mano ai Carrow? O quando aveva capito che la salvezza, persino la sua, era nelle mani di tre diciassettenni che aveva sempre disprezzato?

Avevano vinto già mentre lui comprendeva di essere nelle loro mani, più di quanto loro fossero stati nelle sue a Malfoy Manor, e che quel blando tentativo di proteggerli era stato solo un inutile tentativo di redenzione.

Avevano già vinto su di lui prima che Harry Potter vincesse sul Signore Oscuro.

Aveva cancellato tutto. Aveva smesso di sperare. Aveva smesso di chiedersi – seppure avesse in genere scacciato quei pensieri come mosche fastidiose, anzi, peggio, seppure avesse cercato di nasconderli e seppellirli come fa un assassino con i cadaveri delle sue vittime – se magari, in un'altra vita, una vita dove il sangue e la famiglia non contavano niente... se magari, in una vita come quella, lui avrebbe potuto toccare la Mezzosangue...

E il sangue aveva cancellato tutto quell'ultima notte. Il sangue di cui si era sempre vantato, quello dei Purosangue, si era mescolato a quello dei Mezzosangue e dei Muggle-Born per terra, sulle pareti, sulle mani di chi aveva ucciso, sui vestiti macchiati, davanti ai suoi suoi occhi, impresso a fuoco sotto le sue palpebre. E aveva visto, aveva finalmente visto che il sangue era tutto uguale. Maghi, Babbani, Mezzosangue. Tutto il sangue sporcava alla stessa maniera. Sporcava i volti dei feriti. Sporcava i vestiti di chi era morto. Sporcava il cuore dei sopravvissuti.

Per cosa avevano combattuto?

Per quali differenze?

Dov'era, dov'era il sangue puro di cui gli avevano insegnato a essere fiero?

E aveva capito.

Il sangue non è mai sporco, quando scorre nelle vene di persone dal cuore puro.

Il sangue è sporco solo quando viene versato.

Cuore puro che i Malfoy non avevano mai avuto, troppo occupati a corrompere, a mentire, a intimidire, a ferire, a uccidere.

Ed il sangue versato è sporco per tutti, alla stessa maniera.

Ed era per questo che Draco Malfoy era sempre stato più sporco di Hermione Granger.

Hermione Granger che, voltasi a riguardare il castello da sopra la sua spalla, ad una trentina di metri da lui, finalmente lo vide. Per un attimo rimase immobile, forse indecisa sul da farsi, a osservarlo con uno sguardo che si sforzava di non lasciar trasparire alcuna emozione. Poi, inaspettatamente, sorrise debolmente anche a lui come aveva sorriso a Weasley. Ma non c'era gioia in quelle labbra che si spiegavano, non c'era vittoria, non c'era trionfo, non c'era la presunta gioia che aveva desiderato fino a pochi istanti prima.

Draco Malfoy si sentì ancora più sporco di prima per aver pensato che potessero sentirsi dei vincitori.

E l'ondata – d'odio o di umiliazione che fosse – scomparve così com'era venuta, lasciandolo spossato, incapace di muoversi, parlare, persino pensare, perché sapeva cosa volesse dire quel sorriso, quell'incresparsi di labbra rosee in quel volto lacerato dalle ferite e dal dolore.

Che avevano perso tutti.

E per la prima volta, Draco non provò più niente per la Mezzosangue. Niente disprezzo, niente odio, niente disgusto, niente attrazione, o amore, o invidia, o gelosia: perché per la prima volta sentì che erano vicini, non più intoccabili, e allora non c'era più niente di irraggiungibile da anelare.

Nessun coraggio.

Avevano tutti paura del futuro.

Nessuna spavalderia.

Erano tutti dei bambini spaventati, adesso.

Nessuna redenzione.

Non ancora, per nessuno. Erano tutti colpevoli.

Nessuna purezza.

Erano tutti sporchi del sangue versato.

E fu allora, quando la sentì più vicina che mai, che Draco Malfoy riuscì a lasciar andare Hermione Granger.

 

 

 

 

Note.

  1. L'ho scritta ascoltando i Muse di sottofondo, e in particolare Bliss, che trovo adattissima. Per questo l'ho citata a inizio capitolo.

  2. Questo è solo un tentativo. Spero sia accettabile, e che io non sia andata – troppo? – OOC. E, ecco, che poteste recensire, o criticare, o, insomma, farvi sentire in qualunque modo, anche solo per dirmi di darmi all'ippica. Grazie a tutti, comunque.

   
 
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