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Autore: Rosmary    11/08/2012    8 recensioni
{La storia si è classificata prima al "Contest Addii" di IDon'tKnowMyName.}
{La storia, partecipando come edita, si è classificata decima, vincendo il premio "Introspezione", al contest di Save_me "Un'introspezione caduta nell'oblio - Contest per edite e inedite"}
Regulus Black era solo un ragazzo quando decise di tradire Voldemort. Regulus Black era attraversato da una miriade di sensazioni diverse: lui sapeva quale fosse la condanna inflitta ai traditori. Cosa ha potuto provare un giovane di neanche vent’anni dinanzi una condanna simile? Quali pensieri hanno potuto tenergli compagnia l’ultimo giorno di vita?
Le sue labbra riuscivano ad incrinarsi in un sorriso a questo pensiero. Essere qualcuno lo rincuorava e gli dava coraggio. Essere qualcuno, appartenere a qualcosa, riusciva ad illuderlo circa il suo futuro: qualcuno era in grado di vincere la morte, al contrario di nessuno.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Regulus Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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I personaggi presenti in questa storia non mi appartengono, sono di proprietà di J.K. Rowling;
la oneshot è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


 

 

Cosa significa morire, Regulus?



Cosa significa morire, Regulus?

Una figura si stagliava dinanzi un imponente edificio, aveva lo sguardo annebbiato dai troppi pensieri, le labbra sottili schiuse ad accogliere il sapore particolareggiato della pioggerella autunnale, i capelli neri appiccicati alla fronte ed al contorno del volto, l’udito ovattato a causa dell’umido scaturito dalle fila brune, il volto completamente sbarbato ed il respiro affannoso.
No, Regulus Black non era morto ancora, ma il colorito estremamente chiaro della carnagione lo rendeva simile ad un elegante cadavere; un ragazzo donato alla Morte perché quest’ultima potesse sbeffeggiare la Vita.
Gli indumenti erano fracidi, pesanti ed ancor più scuri. Indossava il consueto completo nero, nessun dettaglio ad illuminare il buio, nessun dettaglio che lo avvicinasse alla vita. Dei brividi ineducati percorrevano rapidi il corpo del mago, scuotendolo con carezze maldestre, che tanto somigliavano a piccole torture.
Aveva freddo Regulus; perché l’estate era terminata, perché in Inghilterra era sempre autunno, perché in quel periodo dell’anno gli alberi erano abituati a perdere foglie, perché in autunno il vecchio veniva scacciato via senza rimpianti.
Aveva freddo Regulus; perché era terrorizzato, ed il terrore si condensava, divenendo sempre più pesante, più pressante, più freddo. Un corpo senza vita è dapprima caldo e man mano sempre più tiepido, sino a raffreddarsi completamente; e Regulus era quel corpo, quel corpo che aveva abbandonato l’estate e penava durante l’autunno, aspettando l’inverno, consapevole che nessuno potesse evitare il sopraggiungere della gelida stagione.

Cosa significa morire, Regulus?

In quell’infinito lasso di tempo ripeteva a se stesso la medesima domanda, come un mangianastri difettoso, inceppato su un’unica traccia. Aveva paura, anzi, era terrorizzato. Aveva compiuto una scelta, forse la prima che sfidasse la sua educazione, i suoi canoni, il suo ambiente ed il suo stesso Padrone. Una decisione tormentata e sofferta, ma inevitabile. Aveva preso la decisione che gli avrebbe distrutto la vita. Non sarebbe rimasto nulla di lui, ne era convinto. Non sarebbero rimaste neanche le fotografie sparpagliate a Grimmauld Place, neanche i suoi abiti, neanche il Kit del piccolo Pozionista, niente. Neanche la sua anima sarebbe sopravvissuta alla morte, l’Inferno l’avrebbe reclamata a gran voce, con l’intento di divorarla. Erano pensieri che si facevano strada in lui rapidamente, tentavano d’inibire la ragione, ma lui doveva essere lucido, non poteva rilassare la mente, doveva tenerla in allenamento in ogni modo possibile.
Lo sguardo del giovanissimo mago continuava ad indugiare sull’edificio, sarebbe bastato un suo gesto e tutti quei Babbani sarebbero inconsapevolmente spariti, lasciando posto all’accesso della dimora Black. Ma lui non aveva voglia d’entrare in casa, non aveva voglia di fingere che tutto andasse bene, non voleva intravedere la porta della camera di Sirius – era troppo orgoglioso Regulus per ammettere consciamente la ragionevolezza delle idee del fratello, la sua lungimiranza ed il suo coraggio.
Regulus Black sapeva di non essere un coraggioso ed impulsivo Grifondoro; Regulus aveva il suo piano, e lo studiava da mesi, aveva scelto d’agire nel silenzio e nell’anonimato – il suo non era coraggio, la sua era consapevolezza. Ma Regulus Black non era neanche un leale ed onesto Tassorosso; avrebbe tradito la sua famiglia ed i suoi alleati, era pronto a venir meno ad un giuramento, avrebbe tradito il suo Signore. E Regulus Black non era sicuramente un arguto e saggio Corvonero, perché erano stati necessari anni per comprendere chi o cosa lo circondasse. Senz’ombra di dubbio, concludeva con una punta d’orgoglio, Regulus Black era un Serpeverde, calcolatore ed ambizioso, determinato ed egoista; sì, annuiva a se stesso, lui era davvero un Serpeverde, lui era davvero un Black.
Le sue labbra riuscivano ad incrinarsi in un sorriso a questo pensiero. Essere qualcuno lo rincuorava e gli dava coraggio. Essere qualcuno, appartenere a qualcosa, riusciva ad illuderlo circa il suo futuro: qualcuno era in grado di vincere la morte, al contrario di nessuno.
Impietrito dalle riflessioni, continuava a non fare un passo in avanti e neanche un passo indietro, lasciando che i passanti Babbani l’adocchiassero con curiosità: alcuni gesticolavano tra loro additandolo come pazzo, altri lo ignoravano, pochi indugiavano alcuni attimi presso di lui, indecisi se proseguire il cammino o offrirgli aiuto, ma nessuno si avvicinava davvero, nessuno chiedeva a quel diciottenne perché stesse immobile sotto la pioggia, perché bevesse la pioggia, perché tremasse.

Cosa significa morire, Regulus?

Ancora una volta si era posto quella domanda. Allora la mano destra aveva trovato l’ardire d’infilarsi nella tasca dei pantaloni, estraendo una pergamena sgualcita, impermeabile ai fenomeni naturali grazie alla magia. Lo sguardo aveva indugiato sulla propria grafia: ricordava perfettamente il momento in cui si era seduto alla scrivania della propria camera ed aveva macchiato la punta di una piuma con dell’inchiostro nero. In un primo momento aveva avuto la folle idea di scrivere una lettera d’addio, indirizzarla a Sirius o a qualche parente, o a Kreacher magari, che gli era sempre stato devoto, l’unico che avesse tentato di capirlo in quella casa. Ma ben presto si era reso conto di quanto paradossale e vergognoso fosse il suo stesso pensiero: un Black non scriveva lettere, che fossero d’addio o d’amore; un Black non metteva a nudo la propria anima; un Black non confidava alla carta i propri sentimenti. Ricordava anche che in quel lasso di tempo l’inchiostro nero aveva macchiato la pergamena, quella macchia irregolare l’aveva irritato, aveva allora accartocciato la pergamena sporca e l’aveva scaraventata lontano da lui. Era poi tornato a riflettere sul cosa scrivere – era importante scrivere, era importante lasciare una traccia, desiderava che Lui sapesse, e grazie al desiderio aveva chiaro cosa farne di quel calamaio, di quella piuma e di quella pergamena vergine. Le sue ultime parole sarebbero state per colui che di lì a poco avrebbe tradito; l’avrebbe sbeffeggiato con la semplice realtà: Regulus Arcturus Black aveva scoperto il grande segreto, il segreto della potenza del temibile Lord Voldemort. Lui l’avrebbe ucciso e Regulus gli avrebbe portato via un pezzo d’immortalità: era, tutto sommato, uno scambio equo.
Al ricordo sorrideva a se stesso, un sorriso amaro rivolto alla propria stoltezza, mentre la pioggia aveva smesso di cullarlo. Il cielo aveva pianto abbastanza, ben presto tutte quelle lacrime sarebbero state asciugate e di quel pianto autunnale non sarebbe rimasto nulla. Nulla eccetto un giovane che guardava il cielo schiarirsi con ostilità. Come aveva osato interrompere quel pianto? Perché il cielo voleva imporgli il chiarore del sole? Non avrebbe sopportato la luce, il suo volto era vulnerabile; sarebbe apparso stanco, provato e terrorizzato. Chiunque avrebbe potuto intravedere l’angoscia troneggiare sul suo sguardo, ed un Black non aveva il permesso d’esternare le proprie sensazioni, soprattutto l’angoscia. Poteva esternare la soddisfazione, l’eccitazione, persino la gioia e la rabbia, ma non l’angoscia, non la paura, non la fragilità. Questo non era permesso.

Cosa significa morire, Regulus?

Aveva deciso d’incamminarsi, aveva deciso di concedersi un’ultima passeggiata. Poteva avvertire i brividi di freddo del proprio corpo, poteva percepire la pelle raggrinzita dall’umido e la pesantezza dei propri indumenti. Avanzava lentamente, godendosi ogni attimo. La pergamena era nuovamente in tasca, ed anche le mani erano in tasca, a cercare ristoro. Le iridi catturavano ogni immagine e imprimevano tutto nella memoria, nella speranza che quei ricordi non svanissero. Annusava l’aria, accorgendosi di quanto fosse forte l’odore dell’erbetta bagnata. Si era stupito di non provare ribrezzo tra le strade colme di Babbani – solo qualche mese prima credeva d'essere pronto a sterminarli tutti. Ma ora non più, ora aveva capito. Aveva capito quanto quel gioco non fosse per lui. Lui amava le Arti Oscure, amava spingersi oltre ed ampliare i propri poteri, ma quel gioco era sporco di sangue e di dolore, quel gioco chiedeva dazi troppo elevati, era un gioco perverso, poteva ritorcersi contro gli stessi partecipanti. Regulus aveva persino pensato che quel gioco l’avesse inventato la Morte in persona ed avesse concesso il manuale delle istruzioni ad un giovane attraente ed ambizioso: Tom Riddle. Regulus, convinto circa la giustezza della propria teoria, aveva iniziato a credere che, lentamente, la Morte si era nutrita di Tom ed in silenzio aveva assunto le sue sembianze.
Ma non c’era più tempo per dilettarsi in teorie e ragionamenti, e Regulus Black era ormai pronto ad accettare il proprio destino; lo era mentre s’accomodava su una panchina bagnata, distendendo le braccia sullo schienale ed inclinando il capo all’indietro. Respirava l’autunno, consapevole d’essere una grossa foglia, ormai secca, pronta a cadere e schiacciarsi al suolo, cedendo il posto a nuove foglie, più verdi e più forti.
Regulus Black non aveva capito cosa significasse morire, aveva capito, però, cosa significasse sapere d’avere poco tempo a disposizione. Secondo il mago significava avere voglia di comprare una manciata di Gelatine Tuttigusti+1, assaggiarne una a caso, sperando nella fragola; significava sedersi su una panchina ed attendere che il cielo riprendesse il pianto, per il solo gusto d’avvertire il contatto tra la pioggia e le proprie labbra; significava sorridere ad una parete grigia, immaginando d’aver dinanzi un campione di Quidditch; significava aver voglia di rintracciare Lumacorno e confidagli quanto fossero patetiche le sue festicciole; significava desiderare ardentemente urlare addio al mondo intero, urlarlo agli sconosciuti, ai Babbani ed ai maghi, urlarlo a Kreacher, urlarlo all’albero genealogico. Ma sapere d’essere un condannato a morte significava anche voler far tutto e non realizzare niente. Per questo motivo Regulus si era alzato da quella panchina ed aveva percorso la strada a ritroso, era ritornato dinanzi all’edificio ed aveva visto comparire l’accesso alla propria dimora. Era entrato in silenzio, senza guardarsi intorno, aveva chiamato a sé soltanto Kreacher, gli aveva spiegato ogni cosa ed aveva preteso un inutile giuramento di fedeltà. In ultimo si era concesso un piccolo peccato: si era specchiato, incrociando il viso giovane, troppo giovane, e gli occhi colmi di paura mista a determinazione. Aveva sorriso a se stesso ancora una volta, ammiccato al suo riflesso e sollevato una mano per agitarla in segno di saluto – e addio, Regulus sembrava dirsi, col tipico tono arrochito dallo sforzo di trattenere le lacrime. Aveva ridotto in frantumi lo specchio ed era uscito dalla propria stanza.
Non era possibile per lui tornare indietro, così aveva poggiato la mano sulla spalla dell’Elfo e, smaterializzandosi, era andato avanti.






 


Risultato del Contest Addii di IDon'tKnowMyName:

Autore: Rosmary
Titolo fan fiction: Cosa significa morire, Regulus?
La tabella di correzione sarà la seguente:
- Livello ortografico: grammatica: (19/20) sintassi(15/15)
- Lessico e stile (15/15)
- Originalità (18/20)
- Trama (19/20)
- Gradimento personale (8/10)
- Punti bonus per l’utilizzo dell’immagine (massimo 5): 5
- Giudizio del giudice: (breve commento scritto)
Non c'è che dire è davvero una storia bellissima e appassionata. Hai descritto tutto in modo preciso senza mai risultare banale o ripetitiva, hai tenuto il lettore incollato allo schermo fino alla fine, senza stancare mai. Le tue descrizioni sono molto vivide, seguendole ci si riesce ad immaginare nitidamente tutto quello che circonda Regulus in quel momento e, leggendo attentamente le tue parole, anche i suoi sentimenti risultano chiari, mi è sembrato quasi di essere in lui per un momento e provare le sue stesse sensazioni.
Hai utilizzato perfettamente l’immagine da noi proposta e l’hai resa anche abbastanza originale non banalizzando l’utilizzo di pergamena ingiallita e penna d’oca.
Non ci sono errori veramente gravi nella storia ma qualche piccolo errorino di distrazione è venuto fuori.
Hai anche descritto in modo abbastanza originale l'autunno, come se fosse anch'esso triste per la prematura dipartita di Regulus.
Per un totale di 94/100 punti + 5 punti bonus per un totale di 99/100

   
 
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