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Autore: Kim WinterNight    11/08/2012    1 recensioni
Allora, premetto che ero titubante all'idea di pubblicare questa mia bacata produzione, ma mi sono detta che si può sempre provare, c'è sempre qualcuno che potrebbe apprezzare.
Detto questo, vi anticipo subito che i protagonisti saranno componenti di diverse band che amo, che si raggruppano in un'unica formazione chiamata 'Faithless' e che, tendenzialmente, non c'entrano niente gli uni con gli altri. In più, fanno parte del gruppo anche un artista italiano che proprio ci sta a fare come i cavoli a merenda, per intenderci, e una comune ragazza con un passato difficile.
Be', spero di avervi incuriosito.
Allora, leggete e ditemi cosa ne pensate, perché mi piacerebbe capire se sono completamente pazza oppure no, a scrivere certe cose!!!!
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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27

 

 

“Anna?”

“Elisa, ti prego!”

“Non ho il coraggio di farlo.”

“Perché mai? Abbiamo fatto tutti questi chilometri per niente? Ora siamo qua e tu ti dai una mossa.”

Anna aveva ragione.

Ci trovavamo in Toscana, più precisamente a Grosseto, la mia città natale. Ebbene sì, dopo una settimana trascorsa a sentirmi il terzo incomoda a casa della mia migliore amica, mi ero decisa a tornare nella mia terra a controllare se la casa in cui ero cresciuta fosse ancora di proprietà della mia famiglia o se fosse stata venduta. Mio padre sarebbe stato capace di tutto pur di tagliarmi le gambe, tant’era l’odio che provava nei miei confronti.

Così, mi ritrovavo davanti al vialetto che tanto avevo odiato ma che adesso speravo tanto che potesse essere nuovamente mio. Un auto era parcheggiata sul ciglio della strada, ma non sapevo a chi appartenesse. Sperai che non fosse del nuovo proprietario della casa.

L’unico modo che avevo di scoprirlo, in quel momento, era suonare quel dannato campanello e scoprire il mio destino. In caso nessuno avesse risposto, nella mano destra stringevo una vecchia copia della chiave del portone principale.

Anna mi diede una leggera spinta, incitandomi a farmi avanti.

Una volta giunta vicino al campanello, il mio sguardo fu catturato dalla targhetta che una volta arrecava il cognome di mio padre. Ora, invece, c’era scritto ‘Famiglia Arrighi’.

“Oh, no!” mormorai, portandomi una mano alla bocca.

“Elisa! Insomma, ti vuoi decidere? Non è detto che tuo padre l’abbia venduta. Può essere che…”

“Okay, okay! Suono!”

Avvicinai l’indice sinistro al pulsante del citofono ma, quando stavo per schiacciarlo, fui interrotta da una voce femminile alle mie spalle.

“Elisa? Sei proprio tu?”

Mi voltai di scatto, ritrovandomi faccia a faccia con Adelina Giannini, una delle mie ex vicine di casa. La signora, conosciuta da tutti come Ada, era una vecchia zitella pettegola che ricordava tanto la nonna di Hansel e Gretel. Rimasi a bocca aperta, mentre la mia mente elaborava il fatto che la donna facesse ancora parte di questo mondo. Quando ero partita a Londra, due anni prima, l’avevo lasciata che vegetava a letto, in seguito ad un infarto che avrebbe ucciso chiunque. Già, chiunque ma non lei. Si sa, l’erba cattiva non muore mai. L’avevo sempre conosciuta e odiata, così come detestavo tutto il genere delle pettegole che esistevano sulla faccia della Terra.

Ebbi l’impulso di risponderle malamente, o di liquidarla con un sorriso falso come una banconota da due euro, eppure un’idea mi balenò in mente come un fulmine a ciel sereno.

Mi sciolsi in un sorriso, compiaciuta dal fatto di avere un cervello pensante.

La donna credette che stessi rivolgendo quel gesto a lei, così mi si avvicinò e mi travolse in uno dei suoi famosi abbracci stritolanti, capaci di infastidire la persona più paziente e tranquilla al mondo.

“Salve, signora Ada. Come sta? La trovo in splendida forma!” esclamai, dopo essermi gentilmente scostata da lei.

Anna, intanto, si intromise nella conversazione, salutando educatamente la donna. “Signora Ada, si ricorda di me? Sono Anna, giocavo spesso con Elisa quando eravamo piccole.”

“Oh, sì, cara! Ciao!” squittì Adelina, abbracciando anche la mia amica.

“Cosa fate da queste parti? So che vi eravate trasferite a Londra e Milano” disse, indicando prima me poi Anna, mentre pronunciava i nomi delle due metropoli.

Il sangue mi ribollì nelle vene. Quanto odiavo quel suo ficcanasare in ogni questione! Eppure, dovevo tenere duro e usufruire di quella fonte che tanto mi irritava per cercare di scoprire qualcosa sulla casa.

“Sa, è proprio per questo che sono qua” risposi, cercando di non rivelarle troppi dettagli che lei avrebbe sicuramente spifferato alle altre reliquie del quartiere, ammesso e non concesso che fossero ancora vive e vegete.

“Cioè?” I suoi occhi si accesero di quella curiosità morbosa che conoscevo bene.

“Ecco, vorrei tornare a vivere a Grosseto, ma non so se la mia casa è ancora disponibile.”

“Non lo sai?” fece, spalancando sfacciatamente la bocca, come indignata dalla mia ignoranza. Insomma, era davvero convinta che tutti dovessero essere a sua immagine e somiglianza? Che razza di presunzione era quella?

“No, non lo so” risposi con tono inevitabilmente irritato, beccandomi un’occhiataccia da parte di Anna.

“Oh, cara. Allora con tuo padre le cose non sono migliorate, vero? Mi dispiace tanto. Quell’uomo è terribile, io l’ho sempre detto!” borbottò, come se stesse parlando più con se stessa che con me.

Soffocai un’imprecazione, stendendo un velo pietoso sulla sua indelicatezza.

“Ragazze, su, venite dentro! Vi offro una tazza di caffè e vi racconto quello che so. Non sono più informata come una volta, ormai voi giovani siete così riservati! Però forse posso aiutarvi.” Così dicendo, zampettò velocemente verso la sua dimora. Chi non la conosceva, non avrebbe mai pensato che quel carro armato di donna fosse uscita illesa da un infarto.

Io ed Anna la seguimmo e, prima di entrare, la mia amica mi afferrò per un braccio e mi sussurrò: “Comportati bene.”

Mi divincolai dalla sua presa e annuii, per poi sedermi sulla poltrona di pelle nera che la signora Adelina mi stava indicando.

L’arredamento della sua casa era sempre nuovo, smagliante, come se nessuno vi abitasse, e forse era proprio così. Era come se quella donna vegetasse alla maniera di un fantasma.

Poco dopo, tre tazze di caffè fumante erano posate sul tavolino al centro del salotto e la padrona di casa si sedette su una poltrona di fronte alla mia, mentre Anna si era accomodata su una sedia di vimini.

“Il suo caffè è sempre il migliore del quartiere, immagino” osservai, mescolando lo zucchero. Il mio complimento, stavolta, fu sincero. La signora Adelina aveva molti difetti, ma non le si poteva di certo togliere quel primato.

“Lo spero, cara, lo spero! Assaggia e fammi sapere.”

Dopo aver sorseggiato il liquido nero, le sorrisi.

Lei ricambiò, scrutandomi con quei suoi occhi piccoli e stretti, indagatori e attenti com’erano sempre stati, capaci di mettermi tremendamente in soggezione.

“Allora, Elisa, devi sapere che la tua casa è in affitto alla deliziosa famiglia Arrighi” disse Ada, per poi trangugiare il suo caffè.

“In affitto?” Posai la tazza sulla superficie quadrata e vitrea del tavolino.

“Sì, hai capito bene. A tuo padre fa comodo incassare un po’ di soldi. Con i tempi che corrono non ha ritenuto opportuno vendere la casa, sai com’è.”

Evitai di chiederle come facesse a sapere certe cose. Diamine, nemmeno io ne ero a conoscenza!

“Tuttavia…”

Sollevai lo sguardo. Cosa stava per dirmi?

“La casa è a nome tuo, questo dovresti saperlo.”

Rimasi interdetta. Cosa? No, non ne sapevo niente! Eppure, feci finta di averne sentito parlare.

Annuii. “Ricordo vagamente qualcosa del genere…”

“Tuo nonno ha voluto lasciarla a te. Perciò, puoi farne ciò che vuoi.”

Sorrisi. “E’ vero. Che sciocca, io…”

“Oh, Elisa, non ti preoccupare” tagliò corto, sorridendo.

Quando io e Anna lasciammo l’abitazione della signora Adelina Giannini, fui certa che mi sarei ripresa ciò che era mio. Avevo perso tutto per colpa di mio padre, avevo dovuto rinunciare ai Faithless perché non ero in grado di compiere scelte mature, ma di una cosa ero sicura al cento per cento: sebbene mi dispiacesse per la ‘deliziosa famiglia Arrighi’, sarei tornata a vivere a Grosseto, lottando contro la bestia che mi aveva rovinato l’esistenza.

 

  
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