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Autore: laviatraversa    11/08/2012    6 recensioni
Il Villaggio della Foglia si presentava, almeno ai suoi occhi, come il fantasma di tutta la bellezza che era stato. Un tempo, prima che lui complottasse, tradisse, ferisse il suo paese natale. Sasuke Uchiha, incatenato e tenuto sotto stretto controllo da quel che rimaneva della squadra ANBU, attraversava ancora una volta – per l'ultima volta – il cancello che lo portava nel vivo di Konoha. Perché non era il bosco nei dintorni ad esprimere l'essenza di quella comunità tanto valorosa quanto unita.
[...]
« In un'altra vita avrei potuto innamorarmi di te, Sakura. »
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Naruto Uzumaki | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
- Questa storia fa parte della serie 'My Only Desire - SasuSaku'
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Note: salve a tutti, quella che state per leggere è una one-shot che la mia mente bacata ha partorito ieri notte, ma che è stata messa per iscritto solo questo pomeriggio. È da considerarsi una What If?, e ho cercato di essere il meno dettagliata possibile per quanto riguarda le vicende del manga perché mi sono basata semplicemente su ciò che ho letto su internet – non guardatemi male, ho iniziato a guardare Naruto solo un mese fa e sono alla fuga di Sasuke verso Orochimaru – e ciò che la gentilissima Ato mi ha detto. Questa fic la dedico a lei, per tutto l'aiuto che mi ha dato. Grazie, grazie di cuore. È altresì dedicata a DearJuliet, perché non l'avviso mai quando pubblico qualcosa e perché la adoro.E, ovviamente, è dedicata a tutte le persone che hanno trovato in questi due ragazzi un po' singolari il loro OTP sin dalla prima puntata. Buona lettura.





Another Life





Il Villaggio della Foglia si presentava, almeno ai suoi occhi, come il fantasma di tutta la bellezza che era stato. Un tempo, prima che lui complottasse, tradisse, ferisse il suo paese natale. Sasuke Uchiha, incatenato e tenuto sotto stretto controllo da quel che rimaneva della squadra ANBU, attraversava ancora una volta – per l'ultima volta – il cancello che lo portava nel vivo di Konoha. Perché non era il bosco nei dintorni ad esprimere l'essenza di quella comunità tanto valorosa quanto unita. Dalla posizione in cui si trovava, riusciva a scorgere chiaramente il monte in cui erano scolpiti i visi degli Hokage, e non riuscì a trattenere – un tempo, quando la vita la dava quasi per scontata, era così bravo a nascondere ciò provava – il moto d'invidia che lo assalì.
Quei cinque volti erano l'emblema, la rappresentazione tangibile, di tutto ciò che non era mai stato capace di essere. E ciò che, purtroppo, non sarebbe più potuto essere. Sasuke si chiese a cosa servisse un processo, quando il verdetto che di lì a poco gli avrebbe spezzato il cuore – un cuore che, anche se aveva fatto di tutto per evitarlo, aveva da poco ripreso a battere con nuova forza – poteva leggerlo negli occhi di tutti i presenti, accorsi per gustare finalmente la vendetta tanto attesa, che erano certi avrebbe avuto un sapore dolcissimo. E lui non poteva biasimarli, perché per tanto, troppo tempo si era dedicato anima e corpo per costruire la sua. Gli venne quasi spontaneo sorridere, pensando ai giorni in cui era bambino e ancora non poteva vantare il segno che l'avrebbe condotto alla follia. Agli occhi delle guardie che lo scortavano verso il carcere – per uno scherzo del destino, era uno dei pochi edifici ad essere rimasto intatto – il suo abbozzo di risa sembrò più un ghigno – quello di chi ha perso la ragione e sta ancora tramando, nonostante le condizioni in cui si trova –, e il ninja che stava accanto a lui impiegò un secondo – in seguito ammise, a malincuore, che era stato davvero fulmineo – per scoccargli un pugno sull'addome che gli mozzò il respiro e lo fece cadere in ginocchio. Poco importava se avesse raggiunto la redenzione, seppure all'ultimo, e avesse sconfitto Madara. Restava un traditore, una persona da guardare con disprezzo. Difatti nessuno si era premurato di curargli le ferite con cura, si era appena accertati che restasse in vita il tempo necessario per condurlo fin lì, a Konoha, e poi, la decisione sarebbe stata unanime, ne era sicuro, condannarlo a morte. All'unica persona che, nonostante tutto, si sarebbe occupata di lui come di chiunque altro – persino con lei aveva perso il diritto di aspettarsi di più – era stato vietato di avvicinarsi, le avevano intimato di occuparsi dei feriti più gravi – più onesti. Tuttavia, non si stupì di trovarla lì, a guardarla con gli occhi pieni dell'antico amore – sopito, certo, ma mai dimenticato –. E di lacrime.
Sakura Haruno –
povera ragazza, l'amore è stato così crudele con lei, pensavano tutti senza aver però il coraggio di aprir bocca – piangeva disperatamente.
E, per la prima volta, Sasuke conobbe il senso di colpa, bevendolo da un calice che nessuno riempito per lui.



*



La poca luce che filtrava dalla piccola finestra e le spesse sbarre che vi erano poste davanti, creava singolari caleidoscopi di colori all'interno dell'angusta e piccola cella dove, giorni prima, era stato buttato in malo modo. Sospirò, addentando il pezzo di pane raffermo che gli era stato portato da una guardia qualche ora prima. Non gli era concesso ricevere visite, e francamente non gli sarebbe piaciuto ricevere l'ulteriore umiliazione di farsi vedere in quelle condizioni – era pur sempre Sasuke Uchiha, dannazione! –, ma era sicuro che, da qualche parte nel villaggio, Naruto stesse facendo il diavolo a quattro per poterlo vedere, anche solo per un'istante. Era sinceramente colpito dall'affetto genuino e fraterno che, nonostante tutti i trascorsi, il ragazzo continuava a riserbargli. Non che ci fosse qualcosa di cui stupirsi, a suo parere, visto che stava pensando allo stesso ragazzo che in tutti quegli anni non aveva mai smesso di cercarlo, aggrappandosi ad una promessa che era certo avesse fatto anche a se stesso. Una promessa che, secondo la sua logica, era facilmente ignorabile.
Il rumore della porta che si apriva lo scosse dai suoi pensieri, ma non poté che stupirsi quando vide davanti a sé la versione riveduta e corretta della, ormai famosa, Tecnica Seducente di Naruto.
È proprio vero, si disse, che a volte le soluzioni migliori sono anche le più semplici.
In un attimo, non vuole provocare uno svenimento pure all'amico, non dopo tutta la fatica che ha fatto, Naruto riprende le sue sembianze.
«Sasuke!», esclamò. La sua felicità era palpabile nell'aria densa di sconforto.
«Avrei dovuto immaginarlo», fu il borbottio dell'altro.
Il biondo quasi lo prese a calci; l'Uchiha era –
da sempre e come sempre – capace di smorzare il suo entusiasmo nel giro di mezzo secondo.
«Sei ridotto male, amico», notò amareggiato.
«Oh, e io che pensavo che la crema alla papaya che ho applicato prima sul viso mi avesse reso la pelle lucida e tonica come non mai.»
«Non sei proprio cambiato di una virgola, eh?», Naruto porse la sua domanda simulando uno scherno che non sentiva suo, ma dentro di sé gli sembrò di avere davanti lo stesso ragazzo con il quale aveva imparato a concentrare il chakra sulle piante dei piedi.
Sasuke non rispose, concentrando la sua attenzione sul graffio, visibile nonostante le cure, che gli aveva lasciato con la sua katana.
«Fa molto male?», chiese, più a se stesso che al suo interlocutore.
Naruto seguì il suo sguardo e comprese, ma decise di andare oltre e passare a questioni più urgenti. Tuttavia, il sibilo delle guardie che si riprendevano e gli intimavano che gli avevano concesso fin troppo tempo, non gli permise di trattenersi oltre.
«Io ora devo andare, ma prima devo darti una cosa», annunciò.
Non ottenendo risposta, estrasse dai calzoni – gli stessi calzoni arancioni che portava da sempre, notò l'altro – un sacchetto. Glielo porse, ma vedendo la titubanza dell'amico decise di posarlo ai suoi piedi.
«È una ciotola di ramen, fresco fresco dal chiosco», fu il suo saluto.
Riprese le sembianze dell'attraente ragazza grazie alle quali era riuscito a entrare, e uscì. Sasuke, seppur impercettibilmente e per appena un'istante, sorrise.
Certe cose – persone – non cambiano mai.



*



Era notte fonda, lo capiva dai raggi lunari che filtravano attraverso la finestra, ma il sonno non si era ancora deciso a fargli visita. La febbre, che da giorni lo faceva delirare, sembrava essere quasi passata, ma era certo che le ferite fossero comunque ancora infette. D'altronde, senza fasciature e in mezzo alla sporcizia, come avrebbe potuto sperare il contrario? Sarebbe stato uno sciocco, e Sasuke Uchiha era proprio una di quelle persone che non potevano definirsi tali. Poteva essere – o sembrare, a seconda del punto di vista – antipatico, scontroso, presuntuoso, egoista, egoista e, perché no, anche folle. Ma una cosa che proprio non gli mancava – non se lo era mai potuto permettere, di farsela mancare – era l'intelligenza.
Si accorse che,
probabilmente, la febbre non gli era passata, quando si accorse dei vaneggiamenti nei quali si ostinava a rifugiarsi. Non era certo il momento né il luogo di scrivere un elogio a se stesso, sebbene il tempo non gli mancasse.
A correre in aiuto della sua sanità mentale – ultimamente precaria, gli costò molto ma dovette ammetterlo – giunse un bisbiglio appena fuori dalla sua porta. Tese l'orecchio, e riuscì a cogliere sommariamente il discorso che avveniva fuori dalla sua cella.
«Ecco i tuoi soldi, bakayaro. Ora fammi entrare.»
«Credo che manchi qualcosa, piccoletta.»
«Sono stata fin troppo generosa, fammi entrare o ti spacco la faccia.»
La porta si aprì un istante dopo.
Sasuke si ferì gli occhi con la luce che entrò dal corridoio ben illuminato, ma non si sorprese – l'aveva già riconosciuta – quando nel centro di quel gioco di luci apparvero degli insoliti capelli rosa, due grandi occhi verdi e un fisico minuto.
In effetti, si era chiesto quando Sakura si sarebbe presentata per tormentarlo.
«Sasuke-kun», sussurrò in preda all'emozione.
Vederlo lì, in quella piazza, solo qualche giorno prima, umiliato e malconcio, aveva riportato a galla tutti i sentimenti che aveva tenacemente cercato di cancellare.
Il suo cuore sapeva da sempre che avrebbe amato un'unica persona per tutta la sua vita, ma la sua mente aveva impiegato molto più tempo per convincersene.
«Mi chiedevo quando saresti giunta a darmi il colpo di grazia», replicò beffardo il ragazzo. Stava per essere processato – e sicuramente condannato –, l'unica cosa che desiderava era di restare in pace, fra sé e sé, nell'attesa logorante in cui era sospeso.
«Veramente, io sono venuta qui per curarti, Sasuke-kun», ammise lei, decisa.
«Oh.»
Era totalmente spiazzato. Chi era la ragazza che si trovava di fronte? La Sakura che conosceva lui – o che, forse,
credeva di aver conosciuto – non sarebbe mai stata così diretta, così ferma nel suo intento. Si aspettava di trovare una certezza, in Sakura, un qualcosa che era rimasto lo stesso, che non aveva subito metamorfosi di alcun genere. Pensava – sperava, c'è poi tanta differenza? – di trovare una sicurezza in lei, di poter vivere, seppure con gran distacco, un momento che l'avesse riportato ai suoi tredici anni, quando quella ragazzina così timida e sensibile gli girava intorno tutto il giorno.
Invece, davanti a lui aveva trovato una donna, temprata dalle difficoltà di una guerra che era anche – e soprattutto – colpa sua.
Senza indugi, con la sicurezza tipica delle cose semplici, aveva aperto la sua piccola valigetta, tirandone fuori delle bende pulite e qualche strana boccetta.
Con professionalità – Sasuke non riuscì a scorgere il lieve tremolio delle sue mani – gli tolse le bende vecchie e sporche e iniziò a versare il contenuto verdastro delle piccole ampolle sulle ferite più gravi, poi concentrò il chakra sulle mani e le curò come meglio poté. Serviva tempo per curarle al meglio, ma a lei questo non era concesso. Bendò nuovamente il tutto, e posò le mani sul suo viso.
Sasuke scoprì che il freddo delle mani di Sakura era piacevole sul viso.
Le tumefazioni sparirono a poco a poco, lasciando tuttavia cicatrici che, la ragazza non lo disse ad alta voce, probabilmente avrebbero bruciato per sempre.
Una volta che ebbe finito, chiuse la valigetta e fissò il suo sguardo negli occhi di Sasuke.
Le sembrò di essere – finalmente – tornata a casa dopo un lungo viaggio.
«Perché l'hai fatto?»
«Perché tu, che lo voglia o no, sarai sempre, per me, un membro del team sette.»
Sasuke sussultò.
«Il team sette si è sciolto anni fa, Sakura.»
«Non per me», affermò con decisione la ragazza.
«Posso farti una domanda, Sasuke-kun?»
«Non penso di avere molta scelta.»
«Cosa intendevi quella notte?»
«Quale notte?», Sasuke aveva capito benissimo, ma cercò comunque una via d'uscita da un discorso che non era certo di poter affrontare.
«Hai capito benissimo, mi riferisco a quel...
grazie.»
Sakura tremava, eppure non sentiva freddo.
Sasuke, dal canto suo, sentiva di aver perso tutte le parole. Eppure era sicuro di averle lì con lui un attimo prima.
«Io...», articolò con un fil di voce.
«Ho capito, me ne vado», sussurrò lei.
La porta stava per aprirsi, e anche quel frammento della sua vita stava per scivolargli dalle mani.
«Aspetta, Sakura.»
Lei fece finta di non aver sentito, sicura che fosse il suo cervello – perfido traditore – a volerle giocare un tiro mancino.
«
Per favore
Si girò di scatto, come se il suo cuore fosse stato stato colpito da mille e più kunai.
«Non è facile ammetterlo, e se mai ti rivedrò negherò con tutte le mie forze, ma quella notte, con quel grazie, volevo dirti...»
«Volevi dirmi?», Sakura era ormai impaziente; da quasi quattro anni cercava una risposta, e avendola così vicina si promise che non se la sarebbe lasciata scappare.
Non un'altra volta.
«Era una specie di
ti voglio bene, credo. E poi, mi sembrava giusto ringraziarti per tutto quello che avevi fatto per me senza chiedere mai nulla in cambio, ecco.»
«Oh, Sasuke-kun!»
Incapace di stare ferma, era tanto stupita e commossa da pensare di trovarsi in un sogno che aveva la consistenza della felicità e un sapore dolcissimo, corse verso di lui, inginocchiandosi e chiudendo le braccia dietro il suo collo, in un abbraccio che valeva più di mille promesse. Contro ogni previsione, lui la strinse a sua volta.
Rimasero così per un tempo indefinito, in cui Sakura pensò che, davvero, la speranza è l'ultima a morire e Sasuke si chiese perché, quand'era ancora un bambino, non l'avesse mai abbracciata. La risposta lo colpì, amara.
Non gli era mai interessato.
Era forse quello, dunque, il suo destino? Accorgersi che lei era così importante solo quando non avrebbe mai potuto avere il tempo di conoscerla, comprenderla a fondo?
Soffocò una bestemmia, inspirando il profumo delicato dei suoi capelli.
«È il momento di uscire, signorina», annunciò la guardia.
Sakura pianse un'unica lacrima, e poi si staccò dalla forte stretta con la quale Sasuke sembrava volesse incastrarla dentro di lui.
Non disse niente, depositò solo un timido bacio sulle sue labbra. Si alzò e uscì.
«
In un'altra vita avrei potuto innamorarmi di te, Sakura.»



*



«Chi vota a favore della condanna a morte di Sasuke Uchiha, colpevole di aver commesso i reati appena elencati?», chiese l'Hokage.
Il verdetto fu
unanime.



*








  
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