Note: salve a tutti, quella che state per leggere è una one-shot che la mia mente bacata ha partorito ieri notte, ma che è stata messa per iscritto solo questo pomeriggio. È da considerarsi una What If?, e ho cercato di essere il meno dettagliata possibile per quanto riguarda le vicende del manga perché mi sono basata semplicemente su ciò che ho letto su internet – non guardatemi male, ho iniziato a guardare Naruto solo un mese fa e sono alla fuga di Sasuke verso Orochimaru – e ciò che la gentilissima Ato mi ha detto. Questa fic la dedico a lei, per tutto l'aiuto che mi ha dato. Grazie, grazie di cuore. È altresì dedicata a DearJuliet, perché non l'avviso mai quando pubblico qualcosa e perché la adoro.E, ovviamente, è dedicata a tutte le persone che hanno trovato in questi due ragazzi un po' singolari il loro OTP sin dalla prima puntata. Buona lettura.
Another Life
Il
Villaggio della Foglia si presentava, almeno ai suoi occhi,
come il fantasma di tutta la bellezza che era stato. Un tempo, prima
che lui complottasse, tradisse, ferisse il suo paese natale. Sasuke
Uchiha, incatenato e tenuto sotto stretto controllo da quel che
rimaneva della squadra ANBU, attraversava ancora una volta –
per l'ultima volta – il cancello che lo portava nel vivo
di Konoha. Perché non era il bosco nei dintorni ad esprimere
l'essenza di quella comunità tanto valorosa quanto unita.
Dalla posizione in cui si trovava, riusciva a scorgere chiaramente il
monte in cui erano scolpiti i visi degli Hokage, e non riuscì
a trattenere – un tempo, quando la vita la dava quasi per
scontata, era così bravo a nascondere ciò provava –
il moto d'invidia che lo assalì.
Quei cinque volti erano
l'emblema, la rappresentazione tangibile, di tutto ciò che non
era mai stato capace di essere. E ciò che, purtroppo, non
sarebbe più potuto essere. Sasuke si chiese a cosa servisse un
processo, quando il verdetto che di lì a poco gli avrebbe
spezzato il cuore – un cuore che, anche se aveva fatto di tutto
per evitarlo, aveva da poco ripreso a battere con nuova forza –
poteva leggerlo negli occhi di tutti i presenti, accorsi per gustare
finalmente la vendetta tanto attesa, che erano certi avrebbe avuto un
sapore dolcissimo. E lui non poteva biasimarli, perché per
tanto, troppo tempo si era dedicato anima e corpo per costruire la
sua. Gli venne quasi spontaneo sorridere, pensando ai giorni in cui
era bambino e ancora non poteva vantare il segno che l'avrebbe
condotto alla follia. Agli occhi delle guardie che lo scortavano
verso il carcere – per uno scherzo del destino, era uno dei
pochi edifici ad essere rimasto intatto – il suo abbozzo di
risa sembrò più un ghigno – quello di chi ha
perso la ragione e sta ancora tramando, nonostante le condizioni in
cui si trova –, e il ninja che stava accanto a lui impiegò
un secondo – in seguito ammise, a malincuore, che era stato
davvero fulmineo – per scoccargli un pugno sull'addome che gli
mozzò il respiro e lo fece cadere in ginocchio. Poco importava
se avesse raggiunto la redenzione, seppure all'ultimo, e avesse
sconfitto Madara. Restava un traditore, una persona da guardare con
disprezzo. Difatti nessuno si era premurato di curargli le ferite con
cura, si era appena accertati che restasse in vita il tempo
necessario per condurlo fin lì, a Konoha, e poi, la decisione
sarebbe stata unanime, ne era sicuro, condannarlo a morte. All'unica
persona che, nonostante tutto, si sarebbe occupata di lui come di
chiunque altro – persino con lei aveva
perso il diritto di aspettarsi di più – era stato
vietato di avvicinarsi, le avevano intimato di occuparsi dei feriti
più gravi – più onesti.
Tuttavia, non si stupì di trovarla lì, a guardarla con
gli occhi pieni dell'antico amore – sopito, certo, ma mai
dimenticato –. E di lacrime.
Sakura Haruno – povera ragazza, l'amore è
stato così crudele con lei, pensavano
tutti senza aver però il coraggio di aprir bocca –
piangeva disperatamente.
E, per la prima volta, Sasuke conobbe il
senso di colpa, bevendolo da un calice che nessuno riempito per lui.
*
La
poca luce che filtrava dalla piccola finestra e le spesse sbarre che
vi erano poste davanti, creava singolari caleidoscopi di colori
all'interno dell'angusta e piccola cella dove, giorni prima, era
stato buttato in malo modo. Sospirò, addentando il pezzo di
pane raffermo che gli era stato portato da una guardia qualche ora
prima. Non gli era concesso ricevere visite, e francamente non gli
sarebbe piaciuto ricevere l'ulteriore umiliazione di farsi vedere in
quelle condizioni – era pur sempre Sasuke Uchiha, dannazione!
–, ma era sicuro che, da qualche parte nel villaggio, Naruto
stesse facendo il diavolo a quattro per poterlo vedere, anche solo
per un'istante. Era sinceramente colpito dall'affetto genuino e
fraterno che, nonostante tutti i trascorsi, il ragazzo continuava a
riserbargli. Non che ci fosse qualcosa di cui stupirsi, a suo parere,
visto che stava pensando allo stesso ragazzo che in tutti quegli anni
non aveva mai smesso di cercarlo, aggrappandosi ad una promessa che
era certo avesse fatto anche a se stesso. Una promessa che, secondo
la sua logica, era facilmente ignorabile.
Il rumore della porta
che si apriva lo scosse dai suoi pensieri, ma non poté che
stupirsi quando vide davanti a sé la versione riveduta e
corretta della, ormai famosa, Tecnica Seducente di Naruto.
È
proprio vero, si disse, che
a volte le soluzioni migliori sono anche le più semplici.
In
un attimo, non vuole provocare uno svenimento pure all'amico, non
dopo tutta la fatica che ha fatto, Naruto riprende le sue
sembianze.
«Sasuke!»,
esclamò. La sua felicità era palpabile nell'aria densa
di sconforto.
«Avrei dovuto immaginarlo», fu il
borbottio dell'altro.
Il biondo quasi lo prese a calci; l'Uchiha
era – da
sempre e come sempre
– capace di smorzare il suo entusiasmo nel giro di mezzo
secondo.
«Sei ridotto male, amico», notò
amareggiato.
«Oh, e io che pensavo che la crema alla papaya
che ho applicato prima sul viso mi avesse reso la pelle lucida e
tonica come non mai.»
«Non sei proprio cambiato di una
virgola, eh?», Naruto porse la sua domanda simulando uno
scherno che non sentiva suo, ma dentro di sé gli sembrò
di avere davanti lo stesso ragazzo con il quale aveva imparato a
concentrare il chakra sulle piante dei piedi.
Sasuke non rispose,
concentrando la sua attenzione sul graffio, visibile nonostante le
cure, che gli aveva lasciato con la sua katana.
«Fa molto
male?», chiese, più a se stesso che al suo
interlocutore.
Naruto seguì il suo sguardo e comprese, ma
decise di andare oltre e passare a questioni più urgenti.
Tuttavia, il sibilo delle guardie che si riprendevano e gli
intimavano che gli avevano concesso fin troppo tempo, non gli permise
di trattenersi oltre.
«Io ora devo andare, ma prima devo
darti una cosa», annunciò.
Non ottenendo risposta,
estrasse dai calzoni – gli stessi calzoni arancioni che portava
da sempre, notò l'altro – un sacchetto. Glielo porse, ma
vedendo la titubanza dell'amico decise di posarlo ai suoi piedi.
«È
una ciotola di ramen, fresco fresco dal chiosco», fu il suo
saluto.
Riprese le sembianze dell'attraente ragazza grazie alle
quali era riuscito a entrare, e uscì. Sasuke, seppur
impercettibilmente e per appena un'istante, sorrise.
Certe
cose – persone – non cambiano mai.
*
Era
notte fonda, lo capiva dai raggi lunari che filtravano attraverso la
finestra, ma il sonno non si era ancora deciso a fargli visita. La
febbre, che da giorni lo faceva delirare, sembrava essere quasi
passata, ma era certo che le ferite fossero comunque ancora infette.
D'altronde, senza fasciature e in mezzo alla sporcizia, come avrebbe
potuto sperare il contrario? Sarebbe stato uno sciocco, e Sasuke
Uchiha era proprio una di quelle persone che non potevano definirsi
tali. Poteva essere – o sembrare, a seconda del punto di vista
– antipatico, scontroso, presuntuoso, egoista, egoista e,
perché no, anche folle. Ma una cosa che proprio non gli
mancava – non se lo era mai potuto permettere, di farsela
mancare – era l'intelligenza.
Si accorse che,
probabilmente,
la febbre non gli era passata, quando si accorse dei vaneggiamenti
nei quali si ostinava a rifugiarsi. Non era certo il momento né
il luogo di scrivere un elogio a se stesso, sebbene il tempo non gli
mancasse.
A correre in aiuto della sua sanità mentale –
ultimamente precaria, gli costò molto ma dovette ammetterlo –
giunse un bisbiglio appena fuori dalla sua porta. Tese l'orecchio, e
riuscì a cogliere sommariamente il discorso che avveniva fuori
dalla sua cella.
«Ecco i tuoi soldi, bakayaro. Ora fammi
entrare.»
«Credo che manchi qualcosa,
piccoletta.»
«Sono stata fin troppo generosa, fammi
entrare o ti spacco la faccia.»
La porta si aprì un
istante dopo.
Sasuke si ferì gli occhi con la luce che
entrò dal corridoio ben illuminato, ma non si sorprese –
l'aveva già riconosciuta – quando nel centro di quel
gioco di luci apparvero degli insoliti capelli rosa, due grandi occhi
verdi e un fisico minuto.
In effetti, si era chiesto quando Sakura
si sarebbe presentata per tormentarlo.
«Sasuke-kun»,
sussurrò in preda all'emozione.
Vederlo lì, in
quella piazza, solo qualche giorno prima, umiliato e malconcio, aveva
riportato a galla tutti i sentimenti che aveva tenacemente cercato di
cancellare.
Il suo cuore sapeva da sempre che avrebbe amato
un'unica persona per tutta la sua vita, ma la sua mente aveva
impiegato molto più tempo per convincersene.
«Mi
chiedevo quando saresti giunta a darmi il colpo di grazia»,
replicò beffardo il ragazzo. Stava per essere processato –
e sicuramente condannato –, l'unica cosa che desiderava era di
restare in pace, fra sé e sé, nell'attesa logorante in
cui era sospeso.
«Veramente, io sono venuta qui per curarti,
Sasuke-kun», ammise lei, decisa.
«Oh.»
Era
totalmente spiazzato. Chi era la ragazza che si trovava di fronte? La
Sakura che conosceva lui – o che, forse, credeva
di aver conosciuto – non sarebbe mai stata così diretta,
così ferma nel suo intento. Si aspettava di trovare una
certezza, in Sakura, un qualcosa che era rimasto lo stesso, che non
aveva subito metamorfosi di alcun genere. Pensava – sperava,
c'è poi tanta differenza? – di trovare una sicurezza in
lei, di poter vivere, seppure con gran distacco, un momento che
l'avesse riportato ai suoi tredici anni, quando quella ragazzina così
timida e sensibile gli girava intorno tutto il giorno.
Invece,
davanti a lui aveva trovato una donna, temprata dalle difficoltà
di una guerra che era anche – e soprattutto – colpa sua.
Senza indugi, con la sicurezza tipica delle cose semplici, aveva
aperto la sua piccola valigetta, tirandone fuori delle bende pulite e
qualche strana boccetta.
Con professionalità – Sasuke
non riuscì a scorgere il lieve tremolio delle sue mani –
gli tolse le bende vecchie e sporche e iniziò a versare il
contenuto verdastro delle piccole ampolle sulle ferite più
gravi, poi concentrò il chakra sulle mani e le curò
come meglio poté. Serviva tempo per curarle al meglio, ma a
lei questo non era concesso. Bendò nuovamente il tutto, e posò
le mani sul suo viso.
Sasuke scoprì che il freddo delle
mani di Sakura era piacevole sul viso.
Le tumefazioni sparirono a
poco a poco, lasciando tuttavia cicatrici che, la ragazza non lo
disse ad alta voce, probabilmente avrebbero bruciato per sempre.
Una
volta che ebbe finito, chiuse la valigetta e fissò il suo
sguardo negli occhi di Sasuke. Le
sembrò di essere – finalmente – tornata a casa
dopo un lungo viaggio.
«Perché
l'hai fatto?»
«Perché tu, che lo voglia o no,
sarai sempre, per me, un membro del team sette.»
Sasuke
sussultò.
«Il team sette si è sciolto anni fa,
Sakura.»
«Non per me», affermò con
decisione la ragazza.
«Posso farti una domanda,
Sasuke-kun?»
«Non penso di avere molta scelta.»
«Cosa
intendevi quella notte?»
«Quale notte?», Sasuke
aveva capito benissimo, ma cercò comunque una via d'uscita da
un discorso che non era certo di poter affrontare.
«Hai
capito benissimo, mi riferisco a quel... grazie.»
Sakura
tremava, eppure non sentiva freddo.
Sasuke, dal canto suo, sentiva
di aver perso tutte le parole. Eppure era sicuro di averle lì
con lui un attimo prima.
«Io...», articolò con
un fil di voce.
«Ho capito, me ne vado», sussurrò
lei.
La porta stava per aprirsi, e anche quel frammento della sua
vita stava per scivolargli dalle mani.
«Aspetta,
Sakura.»
Lei fece finta di non aver sentito, sicura che
fosse il suo cervello – perfido traditore – a volerle
giocare un tiro mancino.
«Per
favore.»
Si
girò di scatto, come se il suo cuore fosse stato stato colpito
da mille e più kunai.
«Non è facile
ammetterlo, e se mai ti rivedrò negherò con tutte le
mie forze, ma quella notte, con quel grazie, volevo dirti...»
«Volevi
dirmi?», Sakura era ormai impaziente; da quasi quattro anni
cercava una risposta, e avendola così vicina si promise che
non se la sarebbe lasciata scappare. Non
un'altra volta.
«Era
una specie di ti
voglio bene,
credo. E poi, mi sembrava giusto ringraziarti per tutto quello che
avevi fatto per me senza chiedere mai
nulla in cambio, ecco.»
«Oh,
Sasuke-kun!»
Incapace di stare ferma, era tanto stupita e
commossa da pensare di trovarsi in un sogno che aveva la consistenza
della felicità e un sapore dolcissimo, corse verso di lui,
inginocchiandosi e chiudendo le braccia dietro il suo collo, in un
abbraccio che valeva più di mille promesse. Contro ogni
previsione, lui la strinse a sua volta.
Rimasero così per
un tempo indefinito, in cui Sakura pensò che, davvero, la
speranza è l'ultima a morire e Sasuke si chiese perché,
quand'era ancora un bambino, non l'avesse mai abbracciata. La
risposta lo colpì, amara. Non
gli era mai interessato.
Era
forse quello, dunque, il suo destino? Accorgersi che lei era così
importante solo quando non avrebbe mai potuto avere il tempo di
conoscerla, comprenderla a fondo?
Soffocò una bestemmia,
inspirando il profumo delicato dei suoi capelli.
«È
il momento di uscire, signorina», annunciò la
guardia.
Sakura pianse un'unica lacrima, e poi si staccò
dalla forte stretta con la quale Sasuke sembrava volesse incastrarla
dentro di lui.
Non disse niente, depositò solo un timido
bacio sulle sue labbra. Si alzò e uscì.
«In
un'altra vita avrei potuto innamorarmi di te, Sakura.»
*
«Chi
vota a favore della condanna a morte di Sasuke Uchiha, colpevole di
aver commesso i reati appena elencati?», chiese l'Hokage.
Il
verdetto fu unanime.
*