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Autore: roxy92    11/08/2012    2 recensioni
Chi ha sbirciato la fic che ho cancellato prima avrà una vaga idea di come scrivo. Mi piacciono le cose che non piacciono alla massa, trattate in modo non ordinario. Io lo so che me le cerco, ma ognuno, quando libera la fantasia, produce i risultati più disparati. Il mio è questo.
Dal prologo:
"Quando non ricordi il tuo passato, è come se un macigno fosse sempre in procinto di caderti addosso. Ce l’hai sospeso sopra alla testa, trattenuto da un filo sottile. Il terrore che il presente sfumi come il tempo trascorso è una morsa che attanaglia lo stomaco e a tratti non fa respirare.
Se sei abbastanza forte, ore, giorni, minuti e secondi, ti scivolano addosso come se il tempo non esistesse. Le tue mani sembrano vuote ai sentimenti e ti ritrovi sempre a stringere il niente. Non hai nulla per cui vivere e nulla per cui morire."
Io mi metto alla prova nel disperato tentativo di creare qualcosa che superi almeno le più basse aspettative... Qualcuno di voi mi da una mano e mi dice che ne pensa? Anche sapere se è meglio lasciar stare... Se ne avete il coraggio, buona lettura. :)
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Piccolo, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il ballo del destino aveva iniziato il suo corso e lei, come una sciocca, si era illusa di essere lei stessa l'ago che guidava la bussola della sua vita e della sua morte.

Sotto la pioggia battente che appiccicava la stoffa degli abiti ai suoi muscoli tesi e stanchi, aveva digrignato i denti una ancora una volta. Una delle ultime bestie ruggiva e l'acqua rappresa era come se le gridasse di lasciar perdere.

Non era più la bambina arrabbiata: era una guerriera matura e prima ancora una donna. Era anche il suo cuore ebbro della battaglia che si dimenava. La sua anima non voleva rinunciare all'amore, ai sentimenti e alla vita.

La luce celata negli occhi scuri di Piccolo era la folgore che le indicava dove tagliare, il suo mantello che vibrava nel vento il fazzoletto leggero che le solleticava la guancia.

A differenza dei suoi compagni caduti, non le sarebbe toccata la pace dell'oblio. Lei aveva troppi motivi per restare su quella terra, poco importava se priva di corpo, tra gli esseri umani.

Lei sarebbe sempre rimasta li, a piangere e ridere in silenzio, come soffio vivace che lambiva le dita di colui che amava.

L'aveva capito Piccolo? L'aveva inteso quel testardo d'un namecciano ciò che lei provava?

Quel supremo bambino gli avrebbe raccontato del suo gesto? Quando lei sarebbe sparita, gli avrebbe detto che aveva cercato di proteggerlo?

Sì, si rispose sicura. Anche se giovane, Dende era come quel vecchio saggio di Namec: aveva intelligenza e cuore.

Se anche il loro re fosse stato così, molte cose avrebbero potuto essere diverse. Addirittura, lei si sarebbe potuta innamorare.

La spada cozzò contro quella di Haldir e ghignò, beffarda. In fondo non poteva avercela col suo maestro. Erano vittime entrambi di un fato avverso, di un destino orrendo.

Fece forza contro le lame, poi si tirò indietro. La mossa repentina sbilanciò appena l'avversario, che rimase incerto per pochi attimi. Non era certo uno stratagemma sufficiente per metterlo in difficoltà.

La guardò negli occhi Haldir, ma non riuscì a reggere a lungo il suo sguardo. Era diventata davvero bella e, solo per il fatto di essere stata cresciuta da lui, era colpevole.

“Perdonami.”

La sua voce uscì lieve, inconsistente, nemmeno una preghiera. Una supplica solamente.

La più giovane fra le bestie sorrise e le sue labbra rosse parvero aver catturato i primi raggi dell'aurora. Lo aveva già perdonato da tanto. Eppure non sarebbe bastato. Per loro, c'era solo la possibilità di combattere.

Mentre volava verso di loro, Piccolo si chiedeva che razza di tecnica stessero usando. Era come se la terra stessa gemesse con loro.

Gli pareva che nell'ululare del vento si udisse un pianto, un grido strozzato. Non aveva mai udito nulla del genere in vita sua.

Un'inquietudine potente gli attraversava le membra. Accelerò l'andatura ma volare diventava gravoso.

Delle correnti d'aria assurde lo sbalzavano avanti e indietro, incepace di proseguire dritto. Non seppe se essere contento o arrabbiato che padre e figlio sayan si trovassero più o meno nella sua situazione.

Si chiese in che modo avrebbero potuto aver ragione di quei due pazzi. Gli parve di aver udito una voce maschile chiedere perdono e si bloccò all'improvviso, credendo di essere diventato pazzo.

Possibile che fosse davvero Haldir ad aver supplicato? Si toccò gli occhi e non capì perché li sentiva bagnati. Cos'era quella sensazione orrenda alla bocca dello stomaco e perché quelle lacrime? Che motivo aveva di piangere?

Si rese conto così di essere come in diretto contatto con i sentimenti di Haldir e arrossì fino alle orecchie quando fu in grado di comprendere quelli di Galen.

“Che ti prende Piccolo?”

Tremò all'idea che quel sayan potesse intendere il motivo del suo turbamento.

“Perché adesso stai piangendo?”

Non aveva né il tempo né le capacità per spiegare una cosa così complicata a un citrullo come quello.

“Non sto affatto piangendo! E' l'effetto di questo vento magico!”

Tagliò corto, punto sul vivo, pronto a ripartire. Goku, per la propria incolumità, decise di tacere ed arrivare subito al posto. Gli avevano detto che c'era bisogno di calmare due persone e forse salvarle da molte altre. Era la moltitudine di avversari che gli interessava, ma il namecciano sembrava del tutto restio a fornire dettagli sull'argomento.

Stanco, optò allora per trasformarsi. In quel modo il vento non gli dava più fastidio e superò agilmente l'amico, fino ad arrivare a quella radura. Atterrò nel punto in cui il vento era più forte ed agitò il braccio in aria.

Al namecciano, che faceva quasi fatica a tenere gli occhi aperti, prese quasi un accidenti. Va bene che era forte, ma come aveva fatto a centrare un avversario come Haldir al primo colpo?

Piccolo sospirò, deluso per essersi dimostrato praticamente inutile in quella situazione a cui teneva così tanto.

“Ma chi diamine sei tu?”

Aveva domandato intanto il malcapitato a terra, pulendosi la guancia con la mano libera dalla spada.

Allora che il vento si era placato, dopo pochi istanti, apparve pure lei. Piccolo se la trovò davanti e perse un battito.

“Per quale motivo sei tornato?”

Il namecciano non si curava affatto della sua reazione, dal momento che aveva potuto intuire i sentimenti che lei celava in sé.

Non l'aveva ascoltata minimamente ed era felice del fatto che, per combattere, lei stesse usando la spada che lui stesso le aveva forgiato con la magia, quella prima volta che l'aveva vista all'opera.

Non le diede il tempo di controbattere. Le carezzò una guancia. Era tornato per salvarla. Era stupido spiegare ciò che è ovvio.

“Ascolta. Possiamo aiutarvi.”

A quella rivelazione Galen si scostò veloce da lui, come scottata.

“Non dire assurdità e vattene. Nessuno vi ha chiesto niente!”

Per fortuna Piccolo sapeva che non doveva credere neppure a una parola.

“Voi non volete che finisca così.”

Si era rivolto anche all'altro che, più che come ad un alieno, lo squadrava come qualcosa che si vorrebbe schiacciare.

“Ah, sì? Tu conosci addirittura le nostre volontà!”

Haldir aveva agitato il braccio in aria, sarcastico, mentre da seduto tornava impiedi.

“Io conosco ogni cosa!”

Tuonò il guerriero dalla pelle verde, alzando la voce di un'ottava.

“L'ho sentito mentre attraversavo il vento delle vostre aure.”

Spiegò arrossendo. Aveva guardato in terra.

In quel modo, era come se avesse ammesso di aver spiato negli intimi recessi del cuore della giovane che voleva salvare.

Cercò di non curarsi del fatto che Galen fosse diventata all'improvviso più rossa di lui. Girò il viso, sentendosi battere sulla spalla.

“Non solo hai capito che quel vento era il prodotto delle nostre aure, ma sei anche stato in grado di spiare i nostri sentimenti?”

All'insinuazione di Haldir, annuì deciso. Quel maledetto era quasi più alto di lui e aveva le iridi grigie e chiarissime, quasi bianche.

Il maestro riprese l'allieva. Era inutile vergognarsi dei propri sentimenti. C'è una parte di sé che va solo accettata.

“Quanto a te...”

Aveva stretto più forte la mano sulla sua spalla.

“...Piccolo... “

Assunse un'aria compiaciuta mentre gli si rivolgeva.

“...in che modo vorresti aiutarci?”

Mentre l'allieva lo osservava spiritata, rinfoderò la spada.

“...se sei così capace da poter vedere chiaramente in noi, chissà, forse sei davvero in grado di aiutarci.”


  
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