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Autore: CloyingCyanide    12/08/2012    2 recensioni
Questa FF nasce il 17 giugno '09 e deve il suo titolo sia ad una frase di "The Fantasy", sia all'omonima canzone dei The Cure.
Tutto ruota attorno alla storia tra Shannon e Maya, una ragazza italiana con un segreto troppo doloroso da svelare e molte decisioni importanti da prendere.
Se questa fan fiction è qui, lo si deve ad una persona che adoro: Mary. Enjoy it!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Los Angeles, 9 luglio 2009


Quando chiuse la telefonata, Shannon era accanto a lei, seduto sul letto senza dire niente.
Sospirò, rigirandosi il cellulare tra le mani un paio di volte prima di poggiarlo sul comodino. La tensione stava scendendo di colpo, ed era ben evidente nel colorito delle sue guance. Si fissò i piedi, stretti nelle ciabattine infradito azzurre, prima di alzare di nuovo gli occhi verso di lui, e raccontare.
“Ha detto che verrà a trovarci tra pochi giorni.”
Shannon aggrottò la fronte senza rendersene conto. Il suo viso stanco era un origami.
“Non ce l’ho fatta a dirglielo per telefono. Voglio aspettare di averlo di fronte.”
E lui, sempre in silenzio, si batté piano una mano su una coscia. I neuroni stavano lavorando duramente, nel frattempo.
“Ho sbagliato, vero?”
“Beh...” bofonchiò lui. “Tu hai ancora bisogno di tanto, tanto tempo e tanta tranquillità.”
Non si meravigliava del fatto che Maya continuasse a temporeggiare. Aveva persino fatto l’abitudine a incassare continuamente colpi per concederle un po’ di serenità, anche solo apparente, visto che ormai la sua era andata a farsi  benedire già da un pezzo. Bene, cosa bisognava fare stavolta? Ospitare Mattia? Gli bruciava lo stomaco.
“Quand’è che arriva?”
“Dice che non partirà prima di dopodomani, almeno.”
“Poi fatti dire con precisione le date di arrivo e di partenza, così gli prenoto un albergo.”
“Ok.”
Era estate, a Los Angeles. Nemmeno a dirlo, il sole picchiava duro. Eppure in quella stanza era calato un gelo spaventoso. Non uno sguardo, non una parola carina. Solo impaccio, tanto, tanto impaccio.
“Lo sai.”
“Eh?”
Shannon la guardò tentando di camuffare il disappunto. Molto spesso succedeva che Maya desse per scontate le cose più importanti, visto che non aveva forza di dirle. Confidava nella arguzia mentale di Shannon, che avrebbe dovuto recepire tutti i -pochi- segnali e reinterpretarli, per arrivare a quello che lei voleva dire e che puntualmente non diceva. Quindi non era poi così strano se Shannon stentava a capirla, molte volte. Uno come lui esige che gli si parli chiaro.
“Che cosa dovrei sapere?” domandò, un po’ scocciato.
Maya prese un respiro. “Che io con Mattia non... non mi sento al sicuro. Ma mica per me. Alla fine io so cavarmela, come me la sono sempre cavata, figurati. Però... se dovesse succedere qualcosa a... insomma...” strinse le braccia attorno alla pancia, forte. “Io devo proteggere il mio bimbo persino dal suo papà, Shan. Non volevo che finisse così.”
Era un discorso a cui avevano accennato varie volte. La paura di Maya per il futuro del bambino non era certo un mistero. Non se la sentiva di crescerlo insieme a Mattia, di esporlo a troppi rischi, gli stessi che aveva provato sulla sua stessa pelle. Non volevo che finisse così...
Shannon le fece scivolare un braccio sulle spalle e se la avvicinò al petto. “Devi smetterla di pensare a cose brutte. Non succederà niente di male. Niente, niente più.”
Era sempre un piacere avere le mani di Shannon posate sul viso. Erano stranamente leggere, ma così rassicuranti. Maya si lasciò accarezzare, sperando che quel tocco lavasse via tutte le preoccupazioni. “Non voglio tornare a Roma.”
“Non ti avrei permesso di partire” spiegò, secco, tutto d’un fiato, come se si trattasse di uno sbuffo di fumo che il suo cuore non riusciva più a trattenere. “Ed è per questo che non succederà niente di male, Maya.”
Forse una lacrima scese anche sulle guance di Shannon. Si rendeva conto che solo strappando Maya dalle sue radici malate sarebbe riuscito a farla rifiorire, in un terreno più fertile e accogliente come quello della California, prendendosene cura giorno dopo giorno, con tanta pazienza. A Roma c’era il cadavere di un passato che le avrebbe avvelenato l’esistenza, oltre a compromettere il futuro del piccolo.
“Starete bene qui a Los Angeles, tu e il batuffolino. Beh, sarà un batuffolino californiano. Mica male.”
Si strinsero di più.
“Con una mamma fantastica come te, poi, non gli mancherà proprio niente. Però pensaci bene. Non puoi prendere decisioni affrettate, stavolta.”
Le scompigliò i capelli, tanto per sdrammatizzare. “Hai tempo per rifletterci su. Ma adesso lasciamo stare, mi sembri abbastanza a pezzi.”
Sorrise dolce, ricamandole un piccolo bacio sotto l’occhio, proprio sulla cicatrice lasciata da uno dei tagli che si era procurata nella brutta giornata con Mattia. “Dai, basta tremare. Aggrappati, piuttosto. Andiamo in cucina a preparare il caffè.”
E così, con Maya che gli si sorreggeva al collo, arrampicata come una scimmietta, Shannon proseguì  verso l’altro lato della casa, dimostrando una forza che nemmeno aveva. Ma in cuor suo sapeva che quello era il suo compito. E che lo sarebbe stato per molto tempo ancora.
 

 **

Non riuscivano proprio a dormire.
La tv era accesa e trasmetteva la replica di chissà quale puntata di Lost, che non stavano davvero guardando. Shannon le parlava di qualche idea per le canzoni, ma lei non capiva, non era abbastanza lucida da poter dare un parere costruttivo. Taceva e lo guardava, accoccolato sui cuscini. I loro visi erano così poco distanti.
“Sì, sono sempre più convinto: per Night of the Hunter ci vuole qualcosa di più potente. Domani proviamo la versione nuova?”
Lei annuiva. La manina, stretta a pugno contro le labbra, si distese e svolazzò ad accarezzare una guancia ruvida di Shannon, facendosi strada fra i ricami della barba. “Va bene.”
“Non mi hai detto che ne pensi...”
 Sorrise debolmente. “La penso come te. Dovresti essere molto più incisivo.”
“Così mi piaci, ragazza!”
Anche lei sorrise di più. Conosceva bene la bellezza dei lineamenti di Shannon, ed era sempre una gioia ritrovare se stessa proprio lì, nella forma increspata delle labbra o dietro la coroncina di ciglia che gli orlava gli occhi verdastri. Illuminato dalla luce azzurrina della tv, sembrava quasi un alieno. Ma un alieno carino. Un po’ stempiato e col nasone, ma carino. “Sei proprio bello.”
“Oh, addirittura! A cosa devo questo complimento, Signora?”
“A tua mamma che ti ha fatto così bello!”
“Dici sempre un mucchio di sciocchezze quando sei stanca” rise, piano, prima di baciarla a fior di labbra. “Dovresti dormire.”
“Anche tu.”
“Concordo.” Cercò il telecomando per spegnere la tv. Furono al buio, anche se si sentiva qualche rumore proveniente da fuori: c’era Jared che gironzolava canticchiando in casa, a notte fonda. “Il bimbo? Dorme?”
Maya sorrise di tale ingenuità. “Penso di sì. Ma ricordati che è ancora troppo piccolo, quindi non riesco a sentire se si muove o sta fermo.”
“Ah, giusto” le accarezzò la pancia, timido, col dorso di due dita. Lo faceva raramente. Il rispetto che nutriva per quella pancia gli impediva di dimostrare affetto per la creaturina. Alla fine si stava affezionando, anche se ne aveva ancora paura. Ma, dopotutto, era pur sempre il figlio della donna che amava. “Ti dà fastidio se..?”
Maya scosse la testa e ridacchiò, senza lasciargli concludere la frase. “Stai scherzando? Mi commuovo quando lo fai. Davvero. Anche se succede raramente. Ma ti capisco, se non te la senti. Non importa.”
Una delle abilità di Shannon era dirottare i discorsi: quando si accorgeva che stavano prendendo una brutta piega (cosa che, con Maya, accadeva fin troppo di frequente), li pilotava su un piano più easy. “Guarda che, pian piano, ci sto prendendo confidenza. Secondo me io e lui diventeremo grandi amici.”
“Sì, ciao! Posso dire addio ai miei sogni di gloria, allora. Lo devierai di sicuro!”
“Per forza! Gli insegnerò a suonare la batteria. E ad andare in moto. E a toccarsi la punta del naso con la lingua!”
Maya rise, cogliendo una a una le pagliuzze di gioia che baluginavano attorno alle pupille di lui. “L’ultimo punto mi sembra fondamentale.”
“Lo è! A Los Angeles non sei nessuno, se non sai farlo!”
“Aah, capisco... Mi concederai almeno di farlo diventare un medico?”
“Un medico? Ma che cosa noiosa! Non sarebbe meglio che facesse qualcosa di più divertente, che ne so, l’esploratore?”
La cortese risata di lei si fece strada, soffice, nell’aria frizzante della stanza. “Sì, certo, Indiana Jones! E poi l’esploratore non è un mestiere.”
“Questo lo dici te! Nemmeno il mio lo è, tecnicamente, ma mi pare che mi guadagno da vivere lo stesso.”
“Perché sei stato fortunato.”
“Non proprio. Più che altro è perché ho molta passione. E un fratello geniale che mi ha aperto la strada.”
“Quindi mi stai dicendo che mio figlio può diventare un esploratore grazie alla sua grande, ipotetica, passione per... per i luoghi selvaggi?”
“Sì, ma gli ci vuole un socio in affari che gli faccia da spalla. Potrei benissimo essere io il suo Jared.”
“Ancora?? Spero che gli dei abbiano pietà del mio povero cuore. Non potrei farcela.”
“In realtà non vedi l’ora che io me ne vada col tuo cuccioletto nei luoghi più nascosti del pianeta, ammettilo!”
“A questo punto spero almeno che vogliate portarmi insieme a voi.”
“Ecco, in quel caso finirebbe il divertimento. Però faremo un sacrificio e ti faremo venire con noi comunque. Ricordati solo di portare delle scarpe comode e un cappello per ripararti dal sole. Ah, e non dimenticare la lozione antizanzare e l’antidoto per il veleno dei serpenti, ovviamente. Senza di quelli non si va da nessuna parte.”
Sorrise. Avrebbe voluto continuare quel gioco infinito di fantasie da bambini, ma la tenerezza dello sguardo di Shannon glielo impediva. Traboccava amore, e decise di arrendersi. Gli accarezzò i capelli, piano, dicendogli che lo amava. E ringraziandolo. Di tutto, di niente.
“Ma smettila” rispose lui, dandole un pizzicotto sulle guance. “Adesso però è proprio ora di dormire. Vieni qua.”
Senza aspettare che terminasse la frase, Maya era già al suo posto, col viso sul petto di Shannon. Aspettò che le cingesse le spalle con un braccio prima di sentirsi completamente al sicuro. Ogni tanto la mano di Shannon si avventurava anche sulla sua pancia, e questo la tranquillizzava molto.
“Buonanotte, Indiana!”
Shannon rise. “Buonanotte a te, sweet child. E alla pulce, anche se di sicuro già dorme.”
 


 

Los Angeles, 14 luglio 2009, ore 18.40


“Sei veramente un maleducato. Perché non sei andato a prenderlo all’aeroporto?”
Shannon non si degnò nemmeno di staccare gli occhi dallo schermo della tv, troppo preso a giocare con la xBox. “Non sono affari tuoi.”
“In effetti no, non lo sono, ma vorrei solamente che tu smettessi di comportarti come un ragazzino.”
A quel punto il batterista mise il gioco in pausa. “Ascolta, Jared” si massaggiò la fronte, chiudendo gli occhi. Un pazzesco mal di testa non lo lasciava in pace da due giorni. “E’ stato lui a dire che sarebbe venuto in taxi: hanno deciso tutto lui e Maya. Io mi sono fatto gli affari miei. E tu dovresti fare altrettanto, per una volta.”
Jared si rifiutò di continuare a discutere. Capiva il nervosismo del fratello per una situazione del genere: Mattia stava per arrivare, Maya era agitatissima e Shannon si sentiva maledettamente fuori luogo. Mancavano solo i suoi rimproveri acidi. “Hai ragione, ti chiedo scusa.”
Shannon scrollò le spalle e spense la xBox. Non aveva più voglia di giocare né di starsene chiuso in una stanza da solo. Seguì il fratello fuori dalla camera. “Maya dov’è?”
“In veranda ad aspettare Mattia.”
E ci andò anche lui. La sua ragazza era lì, affacciata alla balaustra di legno, pensierosa. Si avvicinò a lei senza annunciarsi in altro modo che non fosse il rumore dei suoi passi. Quando le fu alle spalle le accarezzò i capelli, spostandoli dalla nuca per imprimerci un piccolo bacio.
“Eccoti!” disse lei, rincuorata della sua presenza, mentre assestava le braccia di Shannon attorno alla vita. Si accomodò nell’abbraccio senza staccare gli occhi dalla strada. Non si vedeva nessuna macchina, nemmeno in lontananza. Non che ci fosse nulla di strano: era una semplice stradina di un quartiere residenziale, quindi il traffico era praticamente pari a zero. “Tutto ok?”
Mugugnò per dare una risposta che voleva essere affermativa. Circa. “Tu? Stai tremando.”
“Penso sia normale. Beh...”si strinse nell’abbraccio. “E’ un incontro importante.”
Shannon le diede un paio di carezze sulla pancia, sopra il cotone del delizioso abito a pois che la ragazza aveva messo per l’occasione. Non sapendo come rispondere, tacque, puntando il mento alla sommità di una spalla di lei.
Ed ecco delle luci e lo sbuffare di un motore. Il taxi si arrestò proprio dove finiva il brevissimo viale di casa Leto. Maya strinse i polsi di Shannon, quasi per rassicurarsi che le fosse ancora accanto, mentre la portiera dell’auto si apriva.
Non c’era davvero niente da dire, quando Mattia apparve ai loro occhi. La statura imponente, il vigoroso fisico da nuotatore, i litri di inchiostro sottopelle erano quelli di sempre. Forse era proprio per questo che l’effetto che Maya ebbe, nel vederlo di nuovo, fu la solita emozione fortissima, una scossa secca alle radici delle arterie. Faceva fatica a muoversi, a parlare, a sorridere. Ma per lui non era un problema: sapeva benissimo come prenderla.
Avvicinatosi alla coppia, Mattia si piegò sulle ginocchia, tanto, fino a che i suoi occhi, coperti dalle lenti dei Carrera, si ritrovarono dritti in quelli neri e impauriti di Maya. Le accarezzò una guancia, appuntandole una ciocca di capelli dietro un orecchio. Si sentiva dal tocco delle mani che era impaziente anche lui. “Ciao, piccolina.”
Lei non rispose. Aveva abbassato gli occhi e il viso.
“Hey” Mattia le sollevò il mento con l’indice. “Non sei felice di vedermi?”
Non era una vera domanda. Mattia aveva tutte le risposte ai comportamenti di Maya: la conosceva meglio di quanto conoscesse se stesso. Per questo non si sorprese quando le dita di lei afferrarono delicatamente i suoi occhiali da sole portandoglieli in cima alla testa, scoprendogli le iridi blu. E adesso sì, adesso sì che riconosceva il suo Mattia, in quell’azzurro che non poteva farle paura.
Lo abbracciò forte, fortissimo, e il viso si nascose sul collo, ruvido per la barba corta.
Lui si lasciò scappare una risata debole, mentre la stringeva e le accarezzava la testolina. “Oh, finalmente un’accoglienza calorosa!”
“Stupido. Mi sei mancato da morire.”
“Anche tu.”
L’abbraccio non durò molto più a lungo. Mattia si assicurò che Maya non stesse piangendo, prima di andare a salutare Shannon, che si era allontanato solo di qualche passo, ma li teneva sotto stretto controllo.
“Hi, Shannon” pronunciò nel suo inglese precario.
“Welcome” fu la risposta, sterile e decisa come lo sguardo che si scambiarono.
“Bene!” intervenne Maya a tentare di salvare la situazione. “Possiamo entrare in casa. Shan, would you show Mat the way..?
“Sure.”
Così entrarono in casa, guidati da Shannon, fino ad accomodarsi in giardino, dove Maya aveva allestito un tavolo per l’aperitivo.
“Ti trovo bene. Hai messo su qualche chilo.”
“Ah.”
“Non era un’offesa!” Mattia rise, sgranocchiando una patatina. “Volevo dire... si vede che hai ripreso a mangiare.”
“Già.”
“Riesci a pronunciare qualcosa che non sia solo un monosillabo?”
Maya abbassò gli occhi, automaticamente, dondolando le gambe sotto la sedia come le bambine che si vergognano. “Scusami.”
“Dovresti smettere di chiedere scusa per cose che non esistono, Maya.”
“Hai ragione. Scusa.”
Mattia rise, scuotendo un po’ la testa con incredulità. “Io ti adoro, non c’è niente da fare.”
Nel frattempo Shannon era rimasto in silenzio: quella conversazione in italiano lo stava escludendo. C’era un milione di cose che gli davano fastidio, inclusa l’aria che respirava. L’attesa per il discorso fondamentale tra Mattia e Maya stava tormentando anche lui, che non riusciva nemmeno a star seduto.
“Io torno dentro, scusate” disse a Maya, interrompendola mentre parlava. “Se c’è bisogno di qualsiasi cosa..”
“Vai pure” gli rispose lei con occhi buoni e forse un po’ impauriti per l’imminenza del discorso che le pesava così tanto.  
Shannon tornò in casa col sospetto di non aver fatto una mossa furba. Non poteva lasciare Maya incustodita: non si fidava di Mattia, e il dubbio che potesse di nuovo farle del male era tutt’altro che infondato. Decise quindi di rimanere a osservarli dalla finestra, così da poter intervenire in caso di necessità. Cercò di regolare il respiro nel tentativo di calmarsi, ma con scarso successo. Fermo lì, con mani e naso spalmati sulla finestra, continuò ad osservare Maya e Mattia per minuti che sembravano interminabili.  
  
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