Pioveva forte e i tetti delle case erano inondati da veri
e propri fiumiciattoli, che correvano tra le tegole e lungo le grondaie,
spazzando via foglie e qualche ciuffetto di muschio.
Era una grande
cittadina, ma, uscendo da essa a poco, a poco le case andavano diradandosi, fino
a che non rimaneva che qualche chilometro di aperta campagna, ove si potevano
scorgere le montagne, che si stagliavano con contorni scuri contro la plumbea
volta.
Ad un certo punto si stagliava austera una piccola chiesetta,
attorniata da uno sparuto manipolo di abitazioni dall'aspetto antico; era un
posticino carino, con l'edera che cresceva sui muri delle case, alcuni
giardinetti ben curati e il fumo grigiastro, che usciva dai camini color
mattone, per poi andarsi a confondere con il bigio colore del cielo.
Alle
spalle della cappella vi era un piccolo boschetto di conifere, che stendevano
gli scarni rami verso il cielo, e facevano stormire le poche foglie rimaste
attaccate, disperatamente, alle piante.
Una sola cosa stonava in quel bel
posticino ed era una lunga strada nera, a due corsie per ogni direzione, e le
automobili sfrecciavano velocemente avanti e indietro, come grandi insetti
simili a scarafaggi.
La radio continuava a dare sempre la stessa canzone, su
ogni stazione che veniva cambiata; era una vecchia canzone, che parlava di
vecchi ricordi…
Una figura scura, più scura della notte stessa, ma quasi
confondibile con l'oscuro grigiore, stava apposta sul campanile, in un
equilibrio perfetto, sulla punta della croce di ferro, messa sul
torre.
Scrutava incessantemente verso quella città troppo luminosa, ma
infinitamente piena di vita e persone; si mosse languidamente lungo la parete
dell'edificio, come una lucertola sul muro, e, con un piccolo balzo, atterrò sul
terreno umido.
Si sporse, di poco, sotto un vecchio lampione, dalla luce
intermittente, e la sua figura venne in parte inondata dalla luce smorta del
lume: era un giovane uomo, sui venticinque anni, con lunghissimi capelli, mossi,
dalla tonalità simile al mogano, con la pelle d'avorio e grandi occhi neri come
l'abisso.
Gli umani lo avrebbero trovato attraente e normale, se non per un
piccolo particolare: due grandi ali nere e coriacee, fuoriuscivano dalla
schiena, alla stessa altezza delle scapole.
Egli indossava una camicia nera,
lacera nel punto dove uscivano le ali, e un paio di pantaloni di pelle nera; i
suoi piedi scalzi non sembravano percepire il freddo del terreno e non
rabbrividiva al contatto con gli abiti zuppi.
I suoi occhi neri erano grandi
e profondi, abissi stellati senza un passato, erano tristi e spaesati, come se
non capisse come facesse a trovarsi in quel luogo.
Si guardò attorno
nuovamente e spiccò il volo, battendo ritmicamente le ali nere, che producevano
un regolare e malinconico fruscio, diretto verso la città luminosa.
Sapeva
che stava cercando qualcuno, ma non aveva memoria di chi
fosse.
***
Settembre, mese dei colori intensi ma un poco spenti, sinonimo
di riapertura delle scuole.
Infatti riapparivano nelle strade cittadine le
frotte variopinte e rumorose degli studenti. Con grossi zaini in spalla, era
come una migrazione autunnale verso i casermoni scolastici; il traffico
mattutino si intensificava fra i pullman e le auto frettolose dei genitori
mentre, lungo i viali, grandi cortei di giovani, sfilavano pigramente verso i
portoni spalancati degli istituti scolastici.
La scuola era iniziata da pochi
mesi e già l'autunno si faceva sentire, piangendo la sua frustrazione addosso
agli alunni, che si dirigevano velocemente verso la sede scolastica.
La
campanella era suonata da circa dieci minuti e nel cortiletto della scuola non
si vedeva più nessuno, e a farla da padrone stavano la pioggia e il suo
insistente picchiettare.
Una donna, coperta da un ampio cappotto nero con
cappuccio, stava percorrendo con passo spedito il vialetto, le scarpe nere con
il mezzo tacco battevano ritmiche sul marciapiede.
Svoltò ad un angolo ed
entrò velocemente in una struttura grigia, dall'aria deprimente, percorse un
piccolo corridoio, dalla moquette grigio topo e le pareti azzurro ghiaccio, fino
ad arrivare davanti ad una guardiola.
Seduto su una poltrona economica, color
grigio fumo di Londra, una guardia in uniforme stava guardando un programma
comico in una piccola tv portatile; alzò la testa quando la vide passare,
squadrandola con occhi annoiati, e la salutò:
"Buongiorno,
dottoressa!"
"Con il tempo che fa non direi proprio…" borbottò ella.
Oltrepassò velocemente le doppie porte, con la maniglia anti- panico, e la
moquette fu sostituita da spesse e tristi piastrelle grigio chiaro. Nel
corridoietto erano ammassati, contro i muri, alcuni lettini dalla copertura
verde marcio.
Un'unica porta nera, che contrastava con il monotono grigiore,
spuntava sulla sinistra pochi passi oltre la doppia entrata; la donna entrò
nella stanza, accese la luce e si chiuse la porta alle spalle.
La donna si
tolse il soprabito invernale e lo appese all'interno di uno spoglio armadietto
bianco, e traendone fuori un camice lungo e candido.
Lo indossò velocemente,
infilò in una tasca un paio di guanti in lattice, incastro una penna a sfera nel
taschino sul seno, si fermò i capelli lunghi in una crocchia e inforcò un paio
di piccoli occhiali quadrati, dalla montatura viola.
Uscì dalla stanza e
percorse il piccolo corridoietto, accompagnata dal ritmico suono dei suoi passi,
che rimbalzava contro le pareti; quasi subito il passaggio si aprì in un'enorme
stanza fredda e asettica, illuminata da ronzanti neon azzurrini, con alti
frigoriferi di acciaio scuro contro le pareti, e alcuni tavoli, dello stesso
materiale dei frigoriferi, al centro della stanza.
Appena entrati, qualche
metro più avanti, c'era una porta bianca, con un grande vetro opaco, e affianco
si alzavano alcuni armadietti, ricolmi di boccette etichettate e lenzuoli
bianchi, sterilizzati.
La donna tolse una chiave dalla tasca destra e aprì la
porta bianca.
Davanti a lei vi era un piccolo ufficio, con una scrivania e
qualche scaffale gremito di fascicoli.
Si accomodò dietro il tavolo, prese un
libro da un cassetto e iniziò a leggere, completamente immersa nel
silenzio.
Una mezz'oretta dopo qualcuno bussò e lei, dopo un momento di
smarrimento, andò ad aprire la porta; davanti ad ella si ergeva un uomo
massiccio sulla sessantina, con lunghi baffoni sale e pepe, vestito di una tuta
blu elettrico, le sorrise cordialmente.
"Buongiorno, Lye." la salutò
amichevolmente l'uomo.
"Ma allora ce l'avete tutti con il buon giorno! Piove
a catinelle e fa un freddo da far battere i denti ai pinguini… cosa ci trovate
di buono?" sbuffò la donna imbronciata.
Egli rise, con la sua voce
baritonale, e asserì:
"Sei sempre così suscettibile?!"
"Mi dispiace,
Luigi, ma sono stanca e il capo non mi ha ancora dato le ferie!" si scusò Lye,
sistemandosi, imbarazzata, gli occhiali sul naso.
"Non ti preoccupare, Lye!
Ti capisco." La rassicurò appoggiandole una grande mano callosa sulla spalla
"Oggi, comunque, te ne ho portato solo uno… poverino."
La donna alzò un
sopracciglio, stranamente incuriosita; seguì Luigi fino al corridoietto dove si
trovava una barella bianca, ricoperta da un panno azzurrino.
"Cosa abbiamo
questa volta?" chiese, prendendo in mano il foglio di consegna.
"Non ti
voglio rovinare la sorpresa, quindi dovrai aspettare di averlo aperto." Rispose
laconico Luigi.
Lye scrollò le spalle e firmò il foglio; lo porse a Luigi che
la salutò gentilmente, ed ella spinse la barella fino alla grande stanza, vicino
ad un tavolo.
Aprì delicatamente il panno e gli si presentò davanti il corpo
di un uomo, giovane e attraente.
"Sei capitato in un brutto posto, tesoro!"
gli bisbigliò, accarezzandogli i capelli "Eri così giovane…va be!"
Scomparve, per pochi momenti, dentro l'ufficio.
Quando ritornò spostò il
corpo dalla barella bianca al tavolo metallico, e iniziò ad esaminarlo, parlando
in un registratore portatile.
"Uomo bianco, sui venticinque anni, altezza uno
e ottanta, capelli biondi, corti. Abbiamo vari ematomi sottocutanei e lievi
ferite da taglio sugli arti superiori e sull'addome… ma la ferita che lo ha
ucciso è una lacerazione sotto la trachea, dimensioni abbastanza estese e
profonda, dai bordi slabbrati."
Fermò il registratore e si mise ad esaminarne
il viso; sollevo entrambe le palpebre e una cavità oculare era stata privata
dell'occhio. Un brivido le corse su per la schiena e richiuse gli occhi.
"Un
bulbo oculare è stato estirpato brutalmente. Gli arti hanno ancora la mobilità
di una persona in vita, ma la temperatura e il colorito pallido dell'epidermide
fanno supporre alla morte avvenuta da circa diciassette ore. Ora dell'analisi
10.30, da parte della Dottoressa Ya Sidahi"
Prese dall'armadietto un lenzuolo
nuovo e ne coprì il giovane, dopo averlo riposto all'interno di una cella
frigorifera.
Chiuse a chiave l'ufficio, e si cambiò, pronta per tornare a
casa.